Husserl
e
la
fenomenologia
4.
Oltre
le
essenze:
intersoggettività, crisi delle scienze e mondo-della-vita
tempo,
Filosofia e responsabilità verso l’uomo
Negli ultimi anni, Husserl è soprattutto preoccupato dal salvaguardare la
fenomenologia da qualsiasi strumentalizzazione culturale e politica.
L’occasione per difendere pubblicamente il suo pensiero gli viene da un invito
dell’Università di Vienna. Nel maggio del 1935, egli terrà una conferenza
dall’emblematico titolo La filosofia
nella crisi dell’umanità europea. Nel
dicembre dello stesso anno, riprende e
amplia
quella
lezione
in
quattro
conferenze tenute di fronte alle due
Università di Praga, che costituiscono il
nucleo del suo ultimo lavoro La crisi
delle
scienze
europee
e
la
fenomenologia trascendentale (Die
Krisis der europäischen Wissenschaften
und
die
transzendentale
Phänomenologie). In quest’opera, di cui
le prime tre parti uscirono prima della
morte di Husserl, mentre la quarta verrà
pubblicata nell’edizione postuma del
1954, Husserl afferma con passione
l’importanza
di
“gettare”
integralmente la propria esistenza
“in quella presa di coscienza della
vita
che
chiamiamo
filosofia”.
Basterebbe l’ultima parte del titolo,
quasi
nietzscheano,
del
secondo
paragrafo della Krisis, La “crisi” della
scienza come perdita del suo
significato per la vita, per capire che
per Husserl la vera crisi della scienza
consiste nel fatto che questa non serve
più alla vita, o ancor peggio non
annovera nei propri obiettivi l’essere
“per l’uomo”. “Essa esclude di principio
proprio quei problemi che sono i più
scottanti per l’uomo… i problemi del
senso o del non-senso dell’esistenza umana nel suo complesso”.
Il sapere filosofico deve quindi corrispondere, secondo Husserl, a questa
esigenza umana di senso, ai problemi di fatto come a quelli razionali, al problema
del tempo come a quello dell’eternità, da quello dell’immortalità a quello della libertà,
le questioni dell’educazione come quelle riguardanti le forme sociali e politiche
dell’esistenza umana. Per superare la “contraddizione esistenziale” dei filosofi del
presente, i “filosofi letterati” (che ricordano molto da vicino i “filosofi-autori” protetti
“dall’immunità letteraria” di un’altra celebre conferenza “fenomenologica”, il bellissimo
Elogio della filosofia di Merleau-Ponty), che spesso non si rendono conto che tutta la
loro filosofia “non avrà che l’effimera esistenza di una giornata”, Husserl esorta a
non considerare il filosofare un esercizio privato o limitato a uno scopo culturale
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nel senso più accademico del termine, ma a ritenersi, come filosofi, responsabili
verso l’umanità. La filosofia non deve essere quindi sterile ricerca, ma deve attuarsi
come possibilità pratica e insieme praticabile di rinnovamento dell’uomo.
La crisi dell’Idea di scienza
Le pagine della Krisis, risultato di una tensione di tutta la sua personalità, hanno però
richiesto a Husserl uno sforzo quasi sovrumano; egli le considera come il suo
testamento spirituale e lavora con accanimento alla revisione delle bozze. La
situazione in Germania si fa per lui sempre più intollerabile: parenti e amici
costretti all’esilio, un isolamento culturale quasi assoluto. “È molto faticoso”,
scriverà, in quello stato d’animo “sottrarsi alla nostalgia della morte”.
Per cogliere l’assunto fondamentale della Krisis occorre tenere presente la
distinzione essenziale che Husserl pone tra l’idea di scienza e il metodo
scientifico. Egli non ha la minima intenzione di portare il dibattito tra filosofia e
scienze sul piano della messa in discussione delle varie metodologie scientifiche; la
crisi della scienza si presenta a livello dell’Idea che la scienza ha di sé, e cioè della
messa in secondo piano del progetto dell’uomo. Crisi della ragione che diventa crisi
dell’esistenza.
La fenomenologia e la critica
A partire dalla fine degli anni Cinquanta, però, la filosofia fenomenologica fu
duramente criticata in nome dello strutturalismo e anche delle cosiddette
scienze umane, che fornivano di questa un’immagine riduttiva e distorta,
evidenziandone unilateralmente, e forse strumentalmente, soltanto il versante
idealistico e coscienzialistico, e presentandola quindi come una filosofia della
soggettività pura, astratta e ripiegata su sé stessa. Tale critica, pur trovando degli
ancoraggi in alcune riflessioni di Husserl soprattutto nelle Meditazioni Cartesiane, non
tiene affatto presenti gli sforzi e le indicazioni proprio dell’ultimo Husserl contro il
rischio di una deriva idealistica ed essenzialistica della fenomenologia e la sua
insistenza su concetti come esistenza, mondo-della-vita (Lebenswelt),
temporalità originaria (Urzeit), tempo proprio (Selbstzeit), intersoggettività,
mondanità, concretezza, corporeità vivente, natura, storicità.
Questa direzione antiidealistica, che emerge con chiarezza proprio negli scritti inediti
del fondatore della fenomenologia, manifesta, come abbiamo già ricordato, la sua
preoccupazione per una caduta della sua filosofia, per così dire, fuori dall’uomo
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nonché la sua volontà di evitare da un lato ogni rischio di astrattezza e
dall’altro ogni infiltrazione di obiettivismo in senso positivistico.
Ciò non significava abbandonare del tutto il piano trascendentale-logico-eidetico, ma
ricondurlo all’interno dell’orizzonte storico-temporale-intersoggettivo. È pur vero che,
come ha acutamente osservato Gadamer, sembra a volte emergere il tentativo
husserliano di riportare la storicità e l’intersoggettività del mondo della vita nel cerchio
dell’apoditticità, del Faktum “ego” ; ma è altrettanto vero che l’Husserl degli inediti
indica una chiara direzione di ricerca, a nostro avviso la più autentica e profonda, che
segna senza equivoci uno spostamento della fenomenologia dal campo della
pura analisi di essenze a quello dell’esperienza vitale e temporale e a quello
della dimensione storico-interumana dell’esistenza.
Il mondo-della-vita
Alla luce di ciò, la stessa nozione di ‘mondo-della-vita’ va riletta non in senso
biologico ma esistenziale, come “mondo prodotto dalla vita per la vita”, come
“mondo-orizzonte in cui gli uomini possono reciprocamente vivere”; un orizzonte in cui
il rapporto uomo-mondo si fonda e acquista senso soltanto nella relazione temporale e
vitale fra le coscienze-esistenze umane. La Lebenswelt è quindi il presupposto ultimo,
insieme pre-scientifico ed extra-scientifico, che viene prima di ogni interpretazione, e
la prima funzione del mondo-della-vita è di opporsi alla pretesa della coscienza a
erigersi quale origine e misura del senso del mondo. Il ritorno al mondo-della-vita
riduce questa hybris della coscienza, sia ingenua sia scientifica; la sua anteriorità
ontologica designa la Lebenswelt come l’orizzonte ultimo di ogni
concettualizzazione, di ogni linguaggio, di ogni discorso.
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