Filosofo tedesco (Prossnitz, Moravia, 1859-Friburgo in Brisgovia 1938). Dopo aver studiato matematica e astronomia a Berlino sotto la guida di K.Weierstrass, seguì a Vienna i corsi di filosofia di F.Brentano, il quale ebbe su di lui un’influenza determinante. Iniziò la carriera accademica come libero docente a Halle (1887); insegnò poi a Gottinga (1906-1915) e a Friburgo (1916-1933). Husserl riprese da Brentano il concetto scolastico della coscienza come internazionalità, enucleando poi attraverso esperienze laboriose il metodo di ricerca della verità implicito in una tale impostazione. Egli stesso riconobbe, per es., che la costruzione del concetto di numero contenuta nella sua prima opera, La filosofia dell’aritmetica (1891), era ancora gravemente viziata di psicologismo. Con le Ricerche logiche (1900-1901), e soprattutto con le Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica (1913), Husserl giunse a chiarire i fondamenti e le linee del suo metodo. La coscienza non ha a che fare solo con proprie modificazioni che rimandino più o meno legittimamente a oggetti intesi in senso naturalistico: essa “intenziona” oggetti suoi propri presenti “in persona”. In quanto “appaiono” alla coscienza, tali oggetti mentali sono “fenomeni”, e la descrizione rigorosamente obiettiva di essi è il compito della scienza filosofica per eccellenza, la fenomenologia. L’indagine fenomenologica esige la “messa in parentesi” del soggetto psicologicamente inteso e delle connotazioni pratico-empiriche dell’oggetto. Preliminare alla contemplazione e descrizione degli oggetti-essenze è la “riduzione fenomenologica”: un tale atteggiamento è designato anche come “epochè”, atto di sospensione del giudizio alla maniera degli antichi scettici, assunzione della posizione contemplativa dello spettatore disinteressato. Husserl applicò successivamente il metodo fenomenologico a una fondazione non formalistica e non psicologistica della logica e fornì con le sue indagini saggi di quella filosofia come “scienza rigorosa” (Strenge Wissenschaft), a cui la fenomenologia mirava come meta pragmatica fondamentale. Nelle Meditazioni cartesiane (1932) sembra tuttavia evidente l’abbandono dell’originaria neutralità fenomenologica per una scelta metafisica di tipo idealistico. Nella Crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale del 1936 (postuma, 1954) viene individuata l’origine del fallimento umano delle scienze moderne nell’abbandono dell’intuizione greca della filosofia come “movimento storico di rivelazione della ragione universale” e nella dimenticanza di quel “mondo della vita” (Lebenswelt) che è il fondamento su cui “si muovono da sempre le scienze pur senza vederlo”. Husserl ha esercitato un’influenza determinante su alcuni pensatori moderni, in particolare su Scheler ed Heidegger, con i quali ha anche talvolta polemizzato. L’interesse per Husserl è andato progressivamente crescendo dopo la sua morte e ha toccato anche culture filosofiche, come quella italiana, per lungo tempo rimaste quasi del tutto estranee all’influenza della fenomenologia. La pubblicazione postuma dei numerosi manoscritti inediti conservati presso l’università di Lovanio, contribuisce a mantenere aperto il discorso intorno al grande pensatore tedesco. Altre opere: Lezioni sulla fenomenologia della coscienza interna del tempo (1928), Logica formale e trascendentale (1929), Esperienza e giudizio (postuma, 1939). FILOSOFIA ANALITICA 2. Metodi e contenuti dei filosofi analitici. In senso lato, invece, la F.A. si contrappone alle riflessioni più o meno sistematiche sull'esistenza e la storia che hanno caratterizzato prioritariamente la filosofia "continentale" tra Otto e Novecento (Hegel, la filosofia romantica, il secondo Husserl, Heidegger, l'ermeneutica e, oggi, le filosofie postmoderne). In questo senso, possono essere considerati filosofi analitici anche il logico e filosofo tedesco Gottlob Frege (1848-1925), Bernhard Bolzano (1781-1848), lo Husserl delle Ricerche logiche, insieme ad alcuni eredi europei dell'empirismo e del kantismo (e possono essere considerati precursori di questa filosofia anche Aristotele, san Tommaso, Hume e Kant). La contrapposizione tra F.A. e filosofia continentale non è dunque strettamente geografica e si articola in alcuni punti rilevanti che riguardano differenze sostantive, ma soprattutto di tecniche e di stile, così compendiabili: una considerazione della centralità del linguaggio e della logica da parte della F.A. in genere non condivisa dal pensiero storicista, idealista e esistenzialista europeo, né dalle filosofie che in genere assegnano invece un ruolo centrale all'ontologia e alla gnoseologia; una diversa considerazione dell'empirismo (v.), che nel continente è stato spesso visto come dottrina antifilosofica per eccellenza, colpevole di dissolvere i concetti nell'esperienza e di degradare la filosofia a senso comune; un diverso rilievo conferito alla storia, dagli analitici per lo più considerata solo in senso strumentale per la delucidazione di un concetto e per la formulazione di un problema (spesso in aperta polemica con le varie forme di "storicismo" che caratterizzano la filosofia continentale). Ma la differenza fondamentale tra F.A. e filosofia continentale è nello stile filosofico: da una parte, gli analitici privilegiano le argomentazioni, le definizioni esplicite, le distinzioni rigorose (nonché frequenti appelli al senso comune) e, in generale, un modo inferenziale di ragionare e di esporre, e sono assolutamente avversi all'uso metaforico, allusivo e retorico del linguaggio, non trovano congeniali i commentari filosofici - che vertono sulle parole del testo, più che sulle idee e gli argomenti -, né le grandi opere sistematiche (molti importanti autori analitici non hanno mai scritto un libro, ma solo saggi e articoli su temi specifici, in un dialogo aperto con altri autori), sono avversi alle parodie di argomentazioni, quali quelle proposte per esempio da un Jacques Derrida, alle "narrative" e alle "descrizioni dense" che nella filosofia postmoderna (v. Postmodernismo) tendono a soppiantare le "spiegazioni" e le "ricostruzioni razionali". Potremmo dire, in breve, che la F.A. ha sempre aspirato a diventare "filosofia scientifica", tentando di assimilare i metodi di analisi e la ricerca di chiarezza e di verità delle scienze naturali stesse, mentre la filosofia continentale, soprattutto quella erede del Romanticismo, si è configurata come una disciplina umanistica e, talora, come una forma di scrittura letteraria (non a caso, uno dei più recenti nemici della F.A., Richard Rorty, auspica la fine della filosofia nella letteratura). CARTESIANESIMO Nella filosofia contemporanea l'indirizzo che più di altri si è richiamato a Cartesio è stata la fenomenologia (v.) di Edmund Husserl (1859-1938). Ma l'appello alla coscienza è elemento comune ad una larga parte della filosofia francese più recente, da Bergson a Sartre. G. Crapulli, Introduzione a Descartes, Roma-Bari, Laterza, 19922. A. Del Noce, Riforma cattolica e filosofia moderna. Cartesio, vol. I, Bologna, Il Mulino, 1965. G.B. Gori (a cura di), Cartesio, Milano, Isedi, 1977. CONCRETO Nella fenomenologia (v.) C. è il mondo nel quale vive l'uomo: esso rappresenta il suo orizzonte invalicabile, ma da non considerare come un oggetto. La filosofia di Edmund Husserl e dei suoi seguaci collega in modo stretto soggetto e oggetto attraverso il concetto di intenzionalità. Il motto husserliano "alle cose stesse!" indica l'atteggiamento che si propone di tenere verso la realtà: bisogna fare a meno di tutte le costruzioni pseudo-filosofiche, e ritrovare un contatto diretto con la realtà. Anche l'epoché, cioè la messa del mondo fra parentesi, non è affatto una mossa per fare a meno della concretezza, ma si riferisce solo alla messa fra parentesi del mondo oggettivato, per ritrovare un mondo più concreto: quello del pre-logico, del pre-categoriale. CORPO Nella fenomenologia di Edmund Husserl (1859-1938), il C. è un'esperienza vivente, isolata dalla riduzione fenomenologica: "Nella sfera di ciò che mi appartiene (dalla quale si è eliminato tutto ciò che rinvia a una soggettità estranea), ciò che chiamiamo natura pura e semplice non possiede più il carattere di essere oggettivo e perciò non dev'essere confuso con uno strato astratto dal mondo stesso o dal suo significato immanente. Fra i corpi di questa natura ridotta a "ciò che mi appartiene" io trovo il mio proprio corpo che si distingue da tutti gli altri per una particolarità unica: è il solo corpo che non è soltanto un corpo (Körper) ma è il mio corpo (Leib); è il solo corpo all'interno dello strato astratto, ritagliato da me nel mondo al quale, conformemente all'esperienza, io coordino, in modi diversi, campi di sensazione; è il solo corpo di cui dispongo in modo immediato come dispongo dei suoi organi" (Meditazioni cartesiane, V, par. 44). Maurice Merleau-Ponty (1908-1961) (Fenomenologia della percezione, Parte I, cap. VI e Parte II, incipit) distingue l'esperienza vissuta del C. dall'idea o pensiero del C.: "sia che si tratti del corpo altrui, sia che si tratti del mio, non ho altro modo di conoscere il corpo umano che viverlo"; "il proprio corpo è nel mondo come il cuore nell'organismo: mantiene continuamente in vita lo spettacolo visibile, lo anima e lo alimenta internamente, forma con esso un sistema". Ne L'essere e il nulla (III, II, 1), Jean-Paul Sartre (1905-1980) definisce il C. "il passato immediato in quanto affiora ancora nel presente che lo fugge. Questo significa che esso è, a un tempo, punto di vista e punto di partenza: un punto di vista, un punto di partenza che io sono e che insieme oltrepasso verso ciò che ho da essere". COSCIENZA 4. Bergson e Husserl. Nel pensiero contemporaneo questi problemi ritornano in diverse versioni. È in particolare la filosofia francese, in cui è prevalente un filone spiritualista, a svolgere il tema della C. Un esempio illustre è il pensiero di Henri Bergson (1859-1941), che si può dire graviti attorno alla nozione di C. La prima opera di Bergson, il Saggio sui dati immediati della coscienza (1889), analizza la differenza tra "tempo spazializzato" e "durata reale": il primo è il tempo omogeneo e neutro dell'orologio, esso misura la successione degli istanti o le estremità di un intervallo, senza preoccuparsi della natura qualitativa dei fatti che accadono; la seconda invece è il tempo della C., che è un flusso continuo i cui momenti non si possono isolare, durata vissuta, irreversibile, nuova ad ogni istante, irripetibile. Ora, mentre il primo è la dimensione dell'esteriorità e della scienza, che per necessità pratiche ha bisogno di agire su di un mondo che si deve prestare alla misura e alla previsione, la seconda è la dimensione dell'anima e della libertà; nella durata continua della C. il passato fa tutt'uno col presente e crea senza tregua con esso qualcosa di assolutamente nuovo. È vero che "la maggior parte delle nostre azioni quotidiane si compiono in questo modo [cioè automaticamente], e che grazie alla solidificazione nella nostra memoria di certe sensazioni, sentimenti e idee, le impressioni esterne suscitano in noi movimenti che, pur essendo coscienti e anche intelligenti, assomigliano per molti aspetti ad atti riflessi [...]". Ma spesso è proprio quando compiamo una scelta senza un apparente motivo o ragione, che si rompe la "crosta" che ricopre i nostri più intimi sentimenti, e allora "l'io dal basso risale alla superficie... L'azione compiuta non esprime più allora un'idea superficiale, distinta, facile da esprimere e che ci è quasi esteriore: risponde invece all'insieme dei nostri sentimenti, dei nostri pensieri e delle nostre più intime aspirazioni, a quella particolare concezione della vita che è l'equivalente di tutta la nostra esperienza passata...". FENOMENOLOGIA 2. L'atteggiamento naturale e la fenomenologia. È in questo contesto di significato e nel clima di reazione al positivismo che caratterizza la filosofia europea tra Ottocento e Novecento, che Edmund Husserl (1859-1938) fonda la F. contemporanea. Egli osserva che l'atteggiamento naturale, ingenuo, si serve del mondo senza porsi il problema di come ci venga dato. La scienza positiva non è altro che il prolungamento dell'atteggiamento naturale: lo scienziato si pone il problema del come delle leggi naturali, ma non del costituirsi originario del mondo nella percezione. Nell'atteggiamento naturale e nella scienza la percezione è un fatto ovvio: una cosa ci sta dinanzi agli occhi, tra le altre cose. Su dati come questo si costruisce un sistema di regole e di spiegazioni: le massime di comportamento e le leggi fisiche. FENOMENOLOGIA Il pensiero contemporaneo - osserva Husserl - pretende che un unico metodo sia valido per la conoscenza: quello delle scienze naturali. È un pregiudizio, che si svela proprio quando vengono messi in discussione i fondamenti della matematica e della geometria: come possono stare a fondamento di qualcosa principi che hanno bisogno essi stessi di esser fondati e dei quali è lecito metter in dubbio l'assolutezza? La critica dei fondamenti della matematica e della fisica è di per sé sufficiente a mostrare che la filosofia si trova in una dimensione interamente nuova ed autonoma rispetto alla scienza e che ad essa occorrono principi che prescindano interamente sia dal pensiero scientifico sia dall'atteggiamento naturale. Perciò il punto di partenza della F. non potrà che essere la messa in dubbio di ogni giudizio, ivi compresi quelli di carattere scientifico. FENOMENOLOGIA 5. Le intuizioni pure. Ma come trovare nel flusso continuo dei fenomeni, nel quale par non esservi nulla di permanente, degli oggetti universali, dei fenomeni puri? La via è di nuovo quella cartesiana della percezione chiara e distinta: abbiamo il diritto di avvalerci di qualunque cosa ci appaia con assoluta evidenza. Ciò che è dato in piena evidenza viene inteso solitamente come l'immediato, il questo qui, mentre l'universale, la forma, la si considera mediata, costruita dal pensiero. Ma davvero le forme universali sono sempre mediate? Husserl è convinto del contrario: "Ma come! L'ovvietà assoluta, la guardante datità diretta, è presente soltanto nel singolo vissuto e nei suoi singoli momenti e parti, si riduce cioè al porre, guardando, il questo qui? Non dovrebbe essere possibile porre, guardando, altre datità come datità assolute, per esempio universalità, in modo che un universale possa venire, guardando, a ovvia datità, dubitare della quale sarebbe daccapo un controsenso?" (L'idea della fenomenologia, Lez. III). FENOMENOLOGIA 6. La costituzione della cosa e l'intersoggettività. La regione più vasta in cui inserire gli oggetti del nostro mondo è la cosa materiale: un vuoto che va riempito di determinazioni qualitative quali appunto il suono, il colore, ecc. Ma le qualità sensibili che attribuisco a un oggetto sono affidabili? La risposta negativa di Cartesio, della scienza moderna e di Kant stesso, ha destituito di valore conoscitivo le sensazioni (v.). Eppure è proprio il costituirsi della cosa nonostante la precarietà delle sensazioni che ne rivela la natura essenziale, trascendente. Il soggetto che coglie la cosa non è chiuso in un sogno dell'immaginazione ma è intenzionato con altri soggetti: "La vera "cosa" è ora l'oggetto che si mantiene identico nella molteplicità di apparizioni di una pluralità di soggetti, è cioè l'oggetto intuitivo in riferimento con una comunità di soggetti normali" (Idee, II, 18). L'obiettività non è del mondo ma nel mondo, come condizione dell'interagire dei soggetti, del loro intenzionarsi reciproco. L'esperienza non designa semplicemente la mia esperienza del tutto privata, bensì un'esperienza comunitaria e nel mondo, che è il medesimo per tutti, tutti possiamo accordarci nello "scambio" - e dunque nella messa in comune - delle nostre esperienze. Il soggetto vivente "è soggetto del suo mondo circostante, innanzitutto del mondo circostante spaziale fatto di cose, ma anche del mondo dei valori e dei beni, del suo mondo circostante personale e sociale" (Idee, App. XIII). FENOMENOLOGIA 7. La temporalità. Il tempo (v.) è la trama della costituzione fenomenologica del mondo perché il flusso del vissuto è temporale. È un continuum che intreccia i fili della nostra esistenza non soltanto con quelli degli altri vissuti ma con le presenze che la storia e il futuro ci suscitano. Il problema della costituzione del mondo sta dunque anche nel rapporto con queste "cose". Non si tratta del tempo psicologico che si allunga e si accorcia nelle diverse circostanze, né del tempo misurabile, oggettivo. Occorre mettere tra parentesi l'ovvietà del tempo che appare, per ricercarne la genesi. L'ora del tempo della coscienza è il centro di rapporti fra passato e futuro, tra ritenzione e protenzione. L'atto stesso della visione accade nel tempo, è un'architettura temporale costruita non con un colpo d'occhio sull'oggetto ma girandovi attorno, con atti di mantenimento nella memoria e di anticipazione di ciò che ora non vediamo. Di un cubo non vediamo attualmente tutte e sei le facce, ma le immaginiamo mediante il visto, il previsto e l'anticipazione di ciò che vedremo girandoci attorno. Il formarsi dell'oggetto fisico nella nostra coscienza avviene grazie alla rimemorazione e all'anticipazione. Ma anche il tempo oggettivo è necessario per costituire le cose: la temporalità come durata, coesistenza, successione, è la forma necessaria d'intuizione di tutti gli oggetti. Da questo punto di vista esso non è un costrutto artificiale atto a misurare e ad utilizzare il mondo fisico: è invece un tempo originario, intersoggettivo, che unifica le percezioni dei soggetti. Dunque anche il tempo "normale", "l'universalmente noto, l'ovvietà che inerisce a qualsiasi vita umana, ciò che nella sua tipicità ci è già sempre familiare attraverso l'esperienza" (La crisi delle scienze europee, 34), è il tempo della intersoggettività. FENOMENOLOGIA 8. L'universo delle intenzionalità e l'umanesimo di Husserl. Sulle strutture comuni fondanti l'esperienza - che comprende non solo la natura ma l'intero universo valutativo: morale, politica, diritto ecc. - si costruisce il mondo intersoggettivo, per tutti valido. Non si tratta di condurre una semplice indagine empirica, riducendo ogni fenomeno ai suoi elementi atomici, ma di conseguire la scienza rigorosa del costituirsi delle strutture, delle forme dell'esperienza. "L'ovvietà ingenua, la quale è portata a ritenere che ognuno veda le cose e il mondo in generale così come gli appare, occulta un ampio orizzonte di singolari verità, che prima la filosofia non ha considerato nella loro peculiarità e nella loro connessione sistematica" (ivi, 48).