Microsoft PowerPoint - Psicologia Sociale [modalit

Studia i modi in cui i comportamenti, i
pensieri e i sentimenti delle persone
vengono influenzati dalla presenza
reale o immaginata di altre persone
o altri gruppi.
Silvia Sarzanini
Rossana Macagno
La percezione sociale:
sociale
come arriviamo a comprendere gli altri
Studiare il comportamento degli altri ci aiuta a comprendere il nostro mondo sociale.
Lo studio della percezione sociale riguarda i modi in cui creiamo impressioni e
formuliamo giudizi nei confronti degli altri.
Il comportamento non verbale
Possiamo
comunicare
anche
senza
parlare.
La
comunicazione non verbale si riferisce alle espressioni del
volto, al tono della voce, ai gesti, alle posizioni e i movimenti
del corpo, all'uso del tatto e allo sguardo.
Le funzioni della comunicazione non verbale, secondo Argyle,
sono:
esprimere emozioni;
comunicare atteggiamenti;
comunicare i propri tratti di personalità;
facilitare la comunicazione verbale;
La comunicazione non verbale a volte conferma e rafforza
quella verbale, altre volte la contraddice.
Esprimere le emozioni con il viso
Darwin fu il primo a studiare l'espressione dei sentimenti
nell'uomo e negli animali; ipotizzò che alcune emozioni
primarie vengono espresse attraverso il volto nello stesso
modo in tutte le culture.
Era un'ipotesi funzionale all'evoluzionismo, secondo la quale
anche questa capacità di comunicare aveva assunto un
valore di sopravvivenza.
Anche studi più recenti, confermano che, almeno per sei
emozioni (rabbia, felicità, sorpresa, paura, disgusto e
tristezza), le espressioni facciali sono le stesse in tutte le
culture umane.
Il compito di decodificare le espressioni facciali non è sempre agevole, per tre motivi
principali:
1. le persone spesso manifestano emozioni “miste”
2. vi sono delle occasioni in cui gli individui non vogliono mostrare le proprie emozioni
(questo può portare a conseguenze negative dal punto di vista cognitivo e fisiologico)
3. ha a che fare con la cultura.
La cultura e i canali della comunicazione
Esistono alcune regole di esibizione, proprie di ciascuna cultura, che
controllano quali tipi di espressione emotiva vadano mostrati. Le regole
culturali che reggono l'espressione non verbale in oriente sono notevolmente
diverse da quelle occidentali.
Altre modalità di espressione non verbale regolate dalla cultura sono quelle
relative allo sguardo, o allo spazio personale, o ancora ai gesti e ai
cosiddetti emblemi (gesti che dispongono di definizioni chiare e
comprensibili, ad es. l'OK).
La comunicazione verbale mediata da più canali
La vita quotidiana si compone di interazioni sociali svolte utilizzando più canali di
comunicazione non verbale. Alcuni esperimenti hanno dimostrato che le
informazioni non verbali sono spesso ridondanti e favoriscono l'interpretazione
degli interlocutori. Si è anche notato che alcune persone (in particolare gli
estroversi) sono molto abili nel decodificare gli indizi non verbali, mentre altre (di
solito gli introversi) sono carenti.
Le teorie implicite di personalità:
come si riempiono gli spazi vuoti
Uno degli schemi fondamentali usati dalle persone per farsi delle
impressioni sugli altri è la cosiddetta teoria implicita di personalità, che
è composta dalle idee su quali tratti di personalità si accordano fra loro
(ad es. gentile-generoso, tirchia-irritabile, ecc.).
L’attribuzione causale:
le risposte ai nostri perchè
Sulla base del comportamento non verbale possiamo azzardare ipotesi
sulla personalità di una persona, dopodiché riempiamo i vuoti con le
nostre teorie implicite. Ma questi mezzi non garantiscono affatto
l'accuratezza delle nostre valutazioni.
Se vogliamo andare oltre, dobbiamo inferire la vera natura delle
persone e i motivi delle loro azioni. La teoria dell'attribuzione studia il
modo in cui rispondiamo a questa esigenza.
La natura del processo di attribuzione
La teoria di Heider raffigura le persone come “scienziati sociali” che cercano di
comprendere il comportamento degli altri assemblando varie informazioni fino ad
arrivare ad una spiegazione ragionevole.
Quando cerchiamo di decidere il perché di un determinato comportamento,
possiamo compiere:
un'attribuzione interna (relativa alla personalità, agli atteggiamenti, al
carattere dell'altro)
un'attribuzione esterna (relativa alla situazione in cui l'altro si trova).
La valutazione che diamo di un certo comportamento è influenzata dal tipo di
attribuzione.
Heider ha anche evidenziato che in genere la preferenza viene data alle
attribuzioni interne: ci concentriamo sulle persone, piuttosto che sulle situazioni,
molto spesso difficili da osservare e descrivere.
Il modello della covariazione
covariazione::
attribuzioni interne vs. esterne
Kelley ha suggerito che la decisione sulle attribuzioni deriva da un'analisi del
comportamento degli altri in diverse situazioni temporali e spaziali. In particolare si fa
attenzione a tre tipi di informazioni:
consenso: come si comportano altre persone rispetto al medesimo stimolo
specificità: come si comporta l'attore rispetto ad altri stimoli
coerenza: quante volte si ripete lo stesso comportamento rispetto al medesimo
stimolo.
Quando le tre fonti di informazione si combinano in pattern caratteristici, le persone
effettuano l'attribuzione. Ad es. se consenso e specificità sono bassi, ma la coerenza alta,
l'attribuzione è più spesso interna. Se tutte e tre sono alte, l'attribuzione sarà più
facilmente esterna. Se la coerenza è bassa, c'è maggiore ambiguità, e perciò si tende a
pensare che qualcosa di insolito o contingente abbia provocato il comportamento.
Studi successivi hanno dimostrato che le informazioni di consenso sono meno importanti
rispetto a quelle di specificità e coerenza.
Il “bias
“bias”” di corrispondenza:
le persone come psicologi della personalità
Lo schema più diffuso sul comportamento umano è quello secondo cui sono le
caratteristiche personali degli individui ad indurli a comportarsi in un certo modo, e
non le situazioni in cui si trovano. Questa tendenza è chiamata errore
fondamentale di attribuzione.
attribuzione.
Però, non sempre è un errore compiere un'attribuzione interna; numerosi studi
dimostrano che le situazioni sociali producono un forte impatto sul comportamento
che le persone di solito tendono a sottovalutare.
Una delle ragioni per cui si compie l'errore fondamentale di attribuzione è il fatto
che di solito disponiamo di più informazioni sulla persona piuttosto che sulla
situazione in cui si trova. Inoltre le informazioni situazionali spesso sono di difficile
interpretazione.
Ciò che vediamo e sentiamo è l'individuo che ci si trova davanti, ed è proprio
questa salienza percettiva uno dei fattori che ci fa attribuire a lui la causa dei
comportamenti che osserviamo.
Il processo di attribuzione di solito si struttura in due fasi: dapprima le persone
operano un'attribuzione interna, quindi cercano di aggiustare l'attribuzione
considerando la situazione in cui si trova l'altro. Questo secondo stadio però,
comportando un tipo di pensiero meno automatico e più controllato, richiede
maggior sforzo e attenzione, per cui, in determinate circostanze (stress, stanchezza,
distrazione), le persone lo saltano mantenendo l'attribuzione interna anche se
sbagliata.
In genere siamo consapevoli che anche le altre persone tendono a dare motivazioni
interne ai nostri comportamenti. Siamo anche però convinti che le nostre azioni
suscitino molta più attenzione di quanto in realtà avvenga. Questo fenomeno viene
definito effetto riflettore
riflettore. La conseguenza è che spesso le persone si sentono in
imbarazzo o difficoltà molto più di quanto la situazione richiederebbe. In realtà, gli
altri ci giudicano meno severamente di quanto crediamo, in quanto provano empatia
per noi. Ma tale empatia viene da noi sottovalutata.
Così, sebbene siamo noi, e non i fattori situazionali, a risultare salienti per gli
osservatori, è anche vero che non siamo così salienti come crediamo (e temiamo).
La differenza tra attore e osservatore
L'errore fondamentale di attribuzione non si applica alle
attribuzioni che compiamo su noi stessi nella stessa misura in
cui è applicabile alle altre persone. Per spiegare il nostro
comportamento, spesso ci affidiamo ad attribuzioni
situazionali. Questo provoca divergenze di valutazione con le
altre persone. È questa la differenza tra attore e
osservatore.
Una delle spiegazioni si rifà alla salienza percettiva: le
attribuzioni vengono guidate da ciò che vediamo e sentiamo:
l'attore per l'osservatore, la situazione per l'attore.
Inoltre, gli attori dispongono ovviamente di maggiori
informazioni situazionali su sé stessi rispetto agli osservatori,
soprattutto in termini di coerenza e specificità.
Le attribuzioni a proprio favore
Quando l'autostima è minacciata, si compiono delle attribuzioni a proprio
favore, ovvero si attribuiscono i successi al proprio valore personale, e i fallimenti
a fattori situazionali. Le persone infatti tendono il più possibile a mantenere la
propria autostima, anche a costo di distorcere la realtà modificando una
cognizione. Un'altra possibile ragione si basa sull'esigenza di presentarsi bene
agli altri.
Esistono poi le attribuzioni difensive, che si verificano quando entra in gioco la
consapevolezza di poter essere oggetto di eventi tragici o luttuosi.
Una forma di attribuzione difensiva è l'ottimismo irrealistico: le persone tendono
a pensare ad un futuro luminoso più probabile per loro rispetto agli altri.
Un altro modo per affrontare gli aspetti spiacevoli dell'esperienza umana è
credere che certe cose a noi non potranno mai capitare a noi, ma solo a persone
malvagie. Questa viene definita credenza in un mondo giusto, e a volte
produce conseguenze tragiche.
Qual è la precisione delle nostre attribuzioni e
impressioni?
La capacità di comprendere il comportamento degli altri è fondamentale,
soprattutto per essere preparati al futuro.
Vi sono molte circostanze in cui non riusciamo ad essere precisi, soprattutto se le
paragoniamo al grado di accuratezza che pensiamo di avere.
L'errore fondamentale di attribuzione è la prima causa di problemi. E' importante
quindi considerare il grande potere delle situazioni, che a volte sono in grado di
travolgere le disposizioni delle persone.
Anche l'uso degli schemi, come le teorie implicite di personalità, è fonte di errori.
Questo perché le teorie spesso sono frutto di stereotipi.
E' fondamentale quindi saper reagire a tutti questi condizionamenti.
La conoscenza di sé:
come arriviamo a comprendere noi stessi
Chi siamo, e come siamo arrivati ad essere la persona che chiamiamo “noi stessi”?
La natura del sé
James descrisse la nostra percezione del Sé come duale,
composta dai nostri pensieri e credenze su noi stessi (concetto
di sé). In secondo luogo, il sé è anche un attivo elaboratore
di informazioni (consapevolezza o coscienza). Questi due
processi psicologici si combinano insieme per creare un senso
coerente di identità.
Possiamo avere diversi “Sè” che si sviluppano in risposta alle
diverse situazioni sociali.
Il senso del “Sé” nei bambini si sviluppa intorno ai due anni,
anche se per avere una definizione complessa e poliedrica
del sé si deve raggiungere l'età adulta.
Le funzioni del sè
Le decisioni son un modo per
definire se stessi
Il sé svolge essenzialmente due funzioni:
organizzativa: esistono degli schemi del sé, delle strutture mentali che ci
aiutano ad organizzare la conoscenza di noi stessi;
esecutiva: il sé regola il comportamento, le scelte e i progetti futuri delle
persone.
Ad esempio il sé ha il compito di progettare a lungo termine, e di esercitare il
controllo sulle azioni. Questo tipo di autoregolazione impiega molte energie
mentali. Questo spiega perché, ad esempio, spesso non riusciamo ad
autocontrollarci in situazioni di stress.
Differenze culturali nella definizione di sé
Nelle culture occidentali, molti hanno una visione di sé indipendente, che esalta
l'individualismo.
In quelle orientali è più frequente la visione di sé interdipendente, che esalta
l'associazione con le altre persone.
Naturalmente esistono eccezioni in entrambi i casi, che probabilmente aumenteranno
con il crescere dei contatti fra le culture. Ma per ora le differenze del concetto di sé
sono importanti, e a volte comportano notevoli conseguenze sulla comunicazione.
Conoscere noi stessi attraverso l’introspezione
L’introspezione consiste nel guardarsi dentro ed esaminare quelle informazioni che solo
noi abbiamo circa i nostri pensieri, sentimenti e motivazioni.
Focalizzarsi sul sé:
sé: la teoria della consapevolezza di sé
L'introspezione compare in alcune circostanze, ma non è un'attività cognitiva frequente.
I nostri pensieri si concentrano di più sugli eventi, le persone e le conversazioni della
vita quotidiana.
Secondo la teoria della consapevolezza di sé, quando ci focalizziamo su noi stessi
valutiamo e confrontiamo il nostro comportamento presente rispetto ai valori e alle
regole interne; diventiamo osservatori giudicanti di noi stessi.
Non sempre l'autofocalizzazione è un procedimento piacevole: se possiamo cambiare
il nostro comportamento per conformarlo ai nostri principi interni, allora va bene. Ma
se sentiamo di non poterlo fare, allora la cosa risulterà sgradevole, e ci spingerà a
non compiere l'autoesame.
Molti comportamenti autodistruttivi come l'alcolismo, i disturbi alimentari e il suicidio
sono forme di fuga da se stessi. Ma anche molte forme di espressione religiosa e
spiritualità sono mezzi efficaci per evitare l'attenzione su di sé.
Giudicare il perché ci sentiamo come ci sentiamo:
dire di più di quanto sappiamo
Molti dei nostri processi mentali di base avvengono al di fuori della coscienza. Noi
siamo coscienti dei risultati finali, ma non dei processi cognitivi che hanno portato a
quei risultati. Ciò nonostante, l'introspezione ci può convincere della nostra capacità di
saper spiegare le nostre sensazioni.
Le persone infatti possiedono molte teorie su cosa influenza il loro comportamento e i
sentimenti (teorie causali), e le usano per spiegarsi perché si sentono in un certo modo.
Queste teorie molto spesso vengono dalla cultura in cui siamo cresciuti, e volte non
sono corrette, per cui possono portare a conclusioni errate sulle cause del nostro
comportamento.
Le conseguenze del riflettere sulle ragioni
Non solo è difficile capire le nostre ragioni tramite l'introspezione, ma a volte potrebbe
essere anche negativo. Molto spesso le persone, credendo di aver compreso le ragioni di
determinati sentimenti o azioni, tendono a cambiare il proprio comportamento basandosi
su queste ragioni, anche se sono fondamentalmente errate.
Conoscere noi stessi attraverso l’osservazione dei nostri
comportamenti
Un altro modo di conoscere se stessi è quella di osservare i propri comportamenti.
Secondo la teoria dell'autopercezione di Bem, quando i nostri sentimenti sono ambigui
e incerti, li inferiamo osservando i nostri comportamenti e la situazione in cui ci
troviamo. E il modo in cui lo facciamo riflette i principi della teoria dell'attribuzione.
Comprendere le nostre emozioni: la teoria bifattoriale delle
emozioni
Secondo la teoria delle emozioni di Schachter, inferiamo le nostre emozioni
osservando il nostro comportamento interno, ovvero il grado di eccitazione fisiologica
che avvertiamo. Prima avvertiamo l'eccitazione, poi dobbiamo cercarne una
spiegazione adeguata, traendo informazioni dalla situazione in cui ci troviamo.
Una delle implicazioni di questa teoria è che le emozioni delle persone sono in arte
arbitrarie, perché dipendono da quella che sembra la spiegazione più plausibile
della propria eccitazione.
L'interpretazione del mondo sociale: le teorie delle
emozioni come valutazioni cognitive
Le nostre emozioni non sono determinate soltanto dalla spiegazione che
attribuiamo alla nostra eccitazione, ma anche dall'interpretazione della
situazione compiuta in assenza di eccitazione. La teoria delle emozioni come
valutazioni cognitive sostiene che le nostre emozioni derivano anche dal fatto
che valutiamo un certo evento come positivo o negativo per noi stessi.
La differenza tra questa teoria e quella di Schachter riguarda il ruolo
dell'eccitazione. Nella teoria delle valutazioni cognitive, sono queste ultime a
determinare l'eccitazione, mentre nella prima l'eccitazione è l'evento scatenante.
Entrambe le teorie comunque concordano sul fatto che impariamo a conoscerci
mediante l'osservazione degli eventi, incluso il nostro comportamento, e il
tentativo di spiegarli.
Usare le altre persone per conoscere noi stessi
Il concetto di sé non si sviluppa in un contesto solitario, ma é modellato dalle persone
che ci circondano. Il contatto sociale è fondamentale.
Il confronto sociale
La teoria del confronto sociale di Festinger verte su due importanti questioni:
quando procediamo al confronto sociale: evidentemente quando ci mancano dati
oggettivi con cui poterci misurare e siamo in una situazione di incertezza;
con chi scegliamo di farlo: in un prima fase con chiunque, in seguito ci si confronta
con chi è simile a noi in una dimensione o attributo considerato importante.
Ci confrontiamo socialmente verso l'alto solo per stabilire il criterio d'eccellenza. Ci
confrontiamo invece verso il basso quando abbiamo il bisogno di sostenere il nostro Io.
Spesso le altre persone osservano la nostra personalità e le nostre emozioni
in modo diverso da noi, e a volte sono in grado di fare valutazioni migliori.
Questo perché spesso gli individui possono non voler riconoscere i propri
tratti negativi, e quindi formulano previsioni errate sul proprio
comportamento.
La gestione delle impressioni
Dopo essere giunti a conoscere noi stessi, la natura sociale ci spinge a impiegare
questa conoscenza per presentarci agli altri. Possiamo presentarci per quello che siamo
o per quello che vogliamo che gli altri credano che siamo. In quest'ultimo caso
ricorriamo alla gestione delle impressioni, ovvero alla preparazione più o meno
consapevole di una presentazione del Sé.
Una delle strategie di presentazione è l'ingraziamento
ingraziamento,, ovvero quando lusinghiamo,
lodiamo e ci rendiamo graditi ad una persona, di solito di status sociale superiore.
Un'altra strategia è quella del “self
self--handicapping”.
handicapping In questo caso le persone creano
degli ostacoli e delle scuse verso se stesse per giustificare le ragioni del proprio
fallimento. Questa strategia porta, a volte, a delle autolimitazioni che possono
impedire di portare a termine il compito.
Le diverse culture impiegano diversamente la gestione delle impressioni. Nelle culture
orientali, legate all'interdipendenza, evitare l'imbarazzo pubblico ha un ruolo
fondamentale. Ma anche in occidente si ricorre spesso a gestioni esagerate, pur di
influenzare la percezione che di noi hanno gli altri.
Influenza sociale
Gli atteggiamenti
Un atteggiamento è un giudizio permanente su persone, oggetti e idee. E'
costituito da tre componenti:
1. affettiva (le reazioni emotive)
2. cognitiva (pensieri e credenze)
3. comportamentale (azioni e comportamenti osservabili)
Ogni atteggiamento può essere più o meno incentrato su ciascuna delle componenti
che lo formano. Se la base dell’atteggiamento è una valutazione delle ricompense
e dei vantaggi che l’oggetto comporta, si parla di atteggiamento a base cognitiva.
Un atteggiamento fondato più sulle emozioni e sui valori viene detto atteggiamento
a base emotiva (i valori delle persone, condizionamento).
Un atteggiamento infine può anche essere a base comportamentale: secondo la
teoria dell’autopercezione, in determinate circostanze le persone non sanno quali
sono le loro emozioni finché non vedono come si comportano.
Il cambiamento di atteggiamento
L’atteggiamento spesso si modifica in risposta ad un’influenza sociale. La
comunicazione pubblicitaria ad esempio si basa proprio sull’idea che il nostro
atteggiamento verso i prodotti possa essere influenzato.
Cambiare atteggiamenti modificando il comportamento: una rivisitazione
della teoria della dissonanza cognitiva
Secondo la teoria della dissonanza cognitiva, le persone modificano il proprio
comportamento se vedono che questo è incoerente rispetto ai loro atteggiamenti,
e non riescono a trovare una spiegazione esterna.
Il fenomeno della counterattitudinal advocacy fa capire che quando si tiene un
comportamento pubblico in conflitto con i propri atteggiamenti privati, senza o con
scarsa giustificazione esterna, ne segue un cambiamento proprio di questi
atteggiamenti, nella direzione dell’affermazione fatta pubblicamente.
Le tecniche di dissonanza sono però difficili da applicare su larga scala. Si ricorre
quindi alla comunicazione persuasiva.
La comunicazione persuasiva e il cambiamento di
atteggiamento
Studi sulla comunicazione persuasiva focalizzarono l’attenzione su tre fattori:
-la fonte della comunicazione (in che misura chi parla sembra esperto o attraente);
-la comunicazione stessa (la qualità del ragionamento, la presenza di entrambi i
punti di vista);
-la natura del pubblico (quali appelli funzionano con pubblici avversi o amici).
Sono state elaborate alcune importanti teorie della comunicazione persuasiva: il
modello della probabilità di elaborazione (Petty e Cacioppo) e il modello della
persuasione euristico-sistematico (Chaiken).
Entrambe le teorie affermano che, in determinate condizioni, i fatti esposti nella
comunicazione e la loro forza logica sono importanti: questa è la via centrale della
persuasione. In altre condizioni, invece, le persone non sono motivate a cogliere i
fatti, ma piuttosto gli aspetti superficiali del discorso, e le caratteristiche di chi lo
pronuncia: questa è la via periferica della persuasione.
In sostanza, se le persone sono interessate all’argomento prestano attenzione ai
ragionamenti, ed è più probabile che seguano la via centrale. Tanto più una
questione ha rilevanza personale, tanto più le persone saranno disposte a seguire i
ragionamenti.
Quando invece la questione ha scarsa rilevanza per le persone, entra in gioco la via
periferica, e fattori quali la lunghezza del discorso o il prestigio di chi parla.
La differenza tra le due vie della comunicazione persuasiva sta negli effetti: un
cambiamento di atteggiamento provocato da un’analisi dei ragionamenti ha più
probabilità di mantenersi nel tempo rispetto ad uno provocato dai meccanismi
periferici.
Le emozioni e il cambiamento di atteggiamento
Prima che le persone prendano in considerazione i nostri ragionamenti, dobbiamo
ottenere la loro attenzione. E uno dei metodi più sicuri è quello di far leva sulle
emozioni.
Occorre saper dosare con cura il contenuto emotivo, per evitare che produca
un’attenuazione della capacità di ragionare sui contenuti della comunicazione. Se
le persone si sentono terrorizzate, ad esempio, finiranno per negare la minaccia e
non riusciranno a pensare razionalmente al problema. E’ importante quindi far
seguire all’impatto emotivo un’informazione tempestiva che permetta di rassicurare
l’interlocutore.
Secondo il modello della persuasione euristico-sistematico, quando le persone
adottano la via periferica della persuasione impiegano spesso una forma euristica,
ovvero una regola semplice per stabilire il proprio atteggiamento, senza perdere
tempo per l’analisi di ogni argomenti. Se ci sentiamo bene, dobbiamo avere un
atteggiamento positivo, e viceversa.
Il problema è che spesso non sappiamo se quel “sentirsi bene” deriva
effettivamente dalla situazione in cui ci troviamo o da qualcos’altro.
Grazie per l’attenzione!