Storia delle relazioni internazionali (1870-1941) Testi: Ottavio Bariè, Dal sistema europeo alla comunità mondiale, Celuc libri Milano. Vol. 1: pagg. 325-441 Vol. 2: tomo 1 pagg. 313-409; tomo 2 pagg. 423-571 Aspetti generali Storia delle relazioni internazionali: con una concezione ampia potrebbe essere definita come storia di tutto ciò che ha attraversato un confine. È vero ma enormemente vasto. La definizione “storia delle relazioni politiche internazionali” (o “storia diplomatica”) restringe il campo alle relazioni politiche tra i soggetti dell’ordinamento internazionale. Quali sono questi soggetti? Fino all’Ottocento erano quasi esclusivamente stati sovrani (= che non ammettono autorità al di sopra), nel corso del Novecento si sviluppano centri di potere diversi dagli stati (organizzazioni internazionali governative e non, grandi gruppi industriali ed energetici, confessioni religiose…). Da quando si parla di storia delle relazioni internazionali? da quando nasce il sistema internazionale ovvero dalle paci di Westfalia (1648) che pongono fine alla guerra dei trenta anni. Quali sono le conseguenze? La guerra era stata l’ultimo braccio di ferro tra impero e papato al fine di estendere la propria egemonia sul continente europeo (con Napoleone e Hitler non si può parlare di tentativi coerenti e organici ma di situazioni contingenti), nessuno dei due raggiunge l’obiettivo perché ormai in Europa si è formata una pluralità di centri di potere non riconducibili all’uno o all’altro. Viene adottata la formula cuis regio eius religio secondo cui spetta a chi detiene il potere politico decidere la religione ufficiale (tollerando le minoranze). Ciò segna la fine delle guerre di religione. Altri sviluppi: nascita della diplomazia moderna: rapporti diplomatici esistevano anche prima ma occasionali e discontinui (eccetto Venezia), dalla pace Westfalia divengono stabili e permanenti; è la prima conferenza internazionale (i negoziati durano 10 anni): ne consegue che è qui che nasce la diplomazia multilaterale, inoltre ciò è importante perché quando le conferenze divengono permanenti assumono la forma di organizzazioni internazionali; questioni linguistiche: fino a metà Seicento la lingua ufficiale dei trattati era il latino, cosa che ne permetteva la comprensione in tutta Europa ma a un numero estremamente limitato di individui; le paci di Westfalia saranno redatte in tutte le lingue parlate nei paesi firmatari avviando una prassi che continua tuttora; cursus honorum: si sviluppa una prassi nel cerimoniale diplomatico soprattutto come risposta a concrete esigenze; viene ufficializzata la figure del mediatore: un inviato di Venezia e uno dello stato della Chiesa svolgono tale funzione; si iniziano a ordinare e catalogare metodicamente i documenti. Concretamente in Storia delle relazioni internazionali si affronta il periodo dal 1870 al 1970. Le Fonti Per Fonti si intende il materiale su cui si basa la storia delle relazioni internazionali. Si può distinguere tra fonti primarie e fonti secondarie. Le prime sono quelle prodotte da chi è direttamente coinvolto nelle questioni e nelle scelte politiche (documenti, lettere, comunicazioni usate per gestire le varie situazioni, in particolare scambi epistolari tra ministeri e sedi diplomatiche, tra ministeri e ministeri, tra ministeri e governo), senza modifiche o interpretazioni. Le seconde sono fondate sulle fonti primarie (commenti, sintesi, interpretazioni). Questa classificazione non implica assolutamente un ordine gerarchico di importanza o valore. Per quanto riguarda le fonti primarie vi è un limite legato alla sicurezza e 1 all’immagine dello stato per cui c’è un limite temporale alla loro divulgazione: ad esempio nella maggior parte dei paesi europei sono accessibili dopo circa 30 anni, in Italia dopo 50 (salvo casi particolari in cui il tempo si riduce a 30 anni), negli Usa dopo 25, il Vaticano rende disponibili i propri documenti fino al 1922 (con rare eccezioni), infine paesi non democratici possono evitare completamente di rendere pubblici tali documenti. Tuttavia anche negli stati democratici esistono motivazioni per posporre la disponibilità di certi documenti: - sicurezza dello stato (es. basi militari); - pericoli per l’immagine e la dignità di uno stato; - pericolo per l’incolumità di singoli individui (in Italia la legge sulla privacy pone un limite di 70 anni). È inoltre norma di buon comportamento nelle relazioni fra stati la reciprocità nella chiusura dei documenti qualora la loro pubblicazione potesse arrecare danno ad altri. I documenti dei servizi di informazione e sicurezza sottostanno alle stesse norme, evidentemente i contenuti della maggior parte di essi tendono però a farne posticipare la declassificazione. Ben diverso è il caso di attori non statali: solitamente le organizzazioni internazionali non creano problemi ma gruppi industriali o comunque privati sono liberi di concedere o meno i loro documenti (che sono appunto privati). Storia delle relazioni internazionali e altre discipline La storia delle relazioni internazionali ha come obiettivo la ricostruzione della trama di un determinato evento o di una serie di eventi sulla base delle fonti; uno studioso di relazioni internazionali (un politologo) invece cercherà di inserire gli eventi all’interno di un più generale sistema cognitivo di regole di comportamento (approccio normotetico); un giurista delle relazioni internazionali o un economista internazionale studieranno l’aspetto giuridico o economico… Periodizzazioni È possibile individuare alcuni periodi facendo ricorso a “eventi periodizzanti”: 1815-1848: età della restaurazione. 1848: ondata rivoluzionaria. 1848-1871: realizzazione degli stati-nazione (Italia e Germania). 1871-1890: periodo bismarckiano 1890-1914: deriva delle alleanza, trasformazione degli equilibri di potenza. 1914-1918: prima guerra mondiale. 1918-1939: vent’anni fra due guerre. Possiamo individuare due sotto-periodi: Anni ’20: età delle illusioni Anni ’30: ritorno alla realtà 1939-1945: seconda guerra mondiale. 1945-1956: guerra fredda. 19456-1991: bipolarismo. Quadro generale: i protagonisti principali di questa fase sono sostanzialmente Germania, Francia, AustriaUngheria, Russia, impero ottomano, Gran Bretagna e Italia. La Germania unificata mira sostanzialmente al mantenimento dello status quo e degli equilibri europei nonché all’isolamento della Francia. Questa è animata da un forte desiderio di rivincita verso i tedeschi, 2 gode tradizionalmente di buoni rapporti con la Russia mentre ha relazioni negative o comunque non positive con la Gran Bretagna per motivi coloniali e con l’Italia sia per motivi coloniali che per la questione romana. Per quanto riguarda la Russia, oltre ai buoni rapporti con Parigi va segnalata una crescente conflittualità sia con l’Austria-Ungheria per questioni balcaniche sia con la Gran Bretagna a causa dei tentativi russi di aprirsi una via verso il Mediterraneo e di estendere la propria influenza nell’Asia centrale. La Gran Bretagna manterrà una posizione cosiddetta di splendido isolamento: continuerà ad avere proficui commerci con gli stati europei senza però intervenire nelle controversie del continente, tranne ove queste compromettessero la sua posizione (sostiene l’impero ottomano in funzione antirussa). I rapporti dell’Austria-Ungheria con gli altri attori europei sono caratterizzati da una buona relazione con la Germania e da tensioni con Italia e Russia. L’Italia da parte sue aveva appunto tensioni con l’Austria-Ungheria che fino a poco tempo prima ne dominava parte del territorio e ancora controllava Trieste e Trento, successivamente emersero anche tensioni con la Francia per la Tunisia e per Roma. L’impero ottomano era da tempo considerato il “malato d’Europa”, nel 1683 si era arrestata la sua espansione e cominciò un lungo declino. Le pressioni Austro-Ungariche e Russe nei suoi confronti erano controbilanciate dal sostegno inglese che vedeva nell’impero un ostacolo all’espansionismo russo. 3 Capitolo 9. Sistema bismarckiano e avvento dell’imperialismo, 1871-1890. Il 1870 rappresenta la data in cui i due grandi movimenti che caratterizzarono la politica internazionale nella prima metà del secolo, liberalismo e nazionalità, si divisero. Punto cruciale di questa separazione è proprio l’unificazione tedesca, i modi con cui è avvenuta e le sue conseguenze in Germania e in Europa. Dal 1870 (o 1871, anno del Trattato di Francoforte) inizia il cosiddetto sistema bismarckiano, un ventennio in cui Ottone di Bismarck si adopererà per tenere ferma e in pace l’Europa attraverso un sistema di alleanze estremamente agile. Chabod ritiene che non vi fu una fase della storia contemporanea così tanto dominata dalla diplomazia. Il sistema bismarckiano durerà dal 1871 al 1890, si può anche parlare di due sistemi uno successivo all’altro. Il primo durerà fino al 1878 (Congresso di Berlino), il secondo si concretizzerà nell’arco di 8 anni con il Trattato di contro-assicurazione con la Russia nel 1887. L’obiettivo sarà sempre la stabilizzazione dell’Europa. Perché? Bismarck voleva evitare nuove guerre in Europa, non perché contrario ad esse ma perché consapevole che la Germania non avrebbe avuto nulla da guadagnare, anzi avrebbe potuto risentirne negativamente. Egli era consapevole del fatto che la Germania aveva ottenuto tutto ciò che voleva e poteva ottenere (compresa l’Alsazia-Lorena) ed ogni alterazione degli equilibri esistenti avrebbe potuto essere a suo discapito. Tale periodo rappresenta la fase di maggior spinta imperialistica, in particolare per quanto riguarda la spartizione dell’Africa: spesso si è affermato che Bismarck non si interessò all’espansione coloniale, in realtà la Germania costituirà un impero di rilievo ma Bismarck sarà sempre attento a fare in modo che ciò non portasse conflittualità in Europa: l’espansione coloniale era dunque subordinata al mantenimento della stabilità sul continente Europeo. 1. Le grandi potenze dinanzi all’unificazione tedesca: Secondo Reich e Terza Repubblica. La Germania unificata assunse la forma di uno stato federale entro cui esistevano diversi stati regionali (sebbene non dotati dei poteri tipici degli stati sovrani): si tratta in particolar modo delle monarchie tendenzialmente antiprussiane della zona meridionale (Baviera, Wurtemberg…). In questo stato il potere, specialmente per quanto concerne la politica estera e le forze armate, risiedeva nel meccanismo (creato dalla Confederazione tedesca del Nord ed ereditato dal Reich) per cui spettavano poteri determinanti ma non esclusivi al ministero di stato e soprattutto al cancelliere mentre i capi militari e l’imperatore Guglielmo I controllavano le forze armate e i loro bilanci. In questo modo l’Alto comando militare ebbe un peso significativo nella politica estera tedesca, peso che solo Bismarck riuscì a controllare. Oltre a questo sistema e alla tradizione militare dello stato prussiano la Germania aveva altri vantaggi: estensione geografica cospicua, popolazione più numerosa in Europa (eccetto la Russia), istruzione media soddisfacente, livello di ricerca scientifica eccellente, produzione industriale in pieno decollo. Va poi considerata come variabile della politica estera tedesca una situazione geopolitica che espone il paese all’invasione da parte di altri stati: questa consapevolezza stava alla base sia dell’idea per cui la Germania doveva contare almeno sull’appoggio di due potenze su cinque che dell’”incubo delle coalizioni” spesso attribuito a Bismarck. Ad alimentare queste due idee furono anche alcune convinzioni del cancelliere tedesco: 1) forze ostili interne allo stato tedesco avrebbero potuto collegarsi a forze ostili esterne minandone la stabilità; 2) la necessità di isolare diplomaticamente la Francia che mirava alla revanche; 3) la Germania avrebbe avuto un margine di sicurezza finché la Francia avesse mantenuto istituzioni repubblicane, considerate da Bismarck come fonte di debolezza. A ciò vanno aggiunte le eccezionali capacità di diplomatico e statista di Bismarck che saranno determinanti nella politica estere tedesca di questo periodo. La Francia nel 1870 perse per sempre il ruolo di preminenza che in alcune fasi aveva avuto nel contesto europeo. Inoltre si trovava ad affrontare alcuni elementi contraddittori: da un lato la fuga in avanti della Comune di Parigi, dall’altro un’Assemblea nazionale con una maggioranza di deputati monarchici, benché fedeli a tre diverse dinastie. In ogni caso la Francia era un paese ricco e produttivo il cui sviluppo capitalistico era secondo solo a quello inglese e tedesco. L’espansione coloniale riprese fornendo le basi della costruzione un grande impero, col favore tedesco al fine di distogliere i francesi dalla situazione europea e con l’idea di risollevare su questo terreno il patriottismo colpito dalla sconfitta del 1870. Oltre che in questo campo le conseguenze della sconfitta si fecero sentire nell’attenzione alla forza militare a 4 cui il Trattato franco-tedesco di Francoforte (10 maggio 1871) non poneva restrizioni. Patriottismo e militarismo si diffusero anche nelle forze politiche tradizionalmente pacifiste consentendo all’esercito, che continuava ad essere il secondo al mondo, di assumere un ruolo di grande rilievo. Il principale problema francese era uscire dalla condizione di isolamento verso cui la Germania la spingeva. A ciò si aggiungeva una conflittualità con l’Italia sia per la questione romana che per le rispettive ambizioni coloniali mentre godeva tradizionalmente di buone relazioni con la Russia, cosa che sarà una delle principali preoccupazioni del cancelliere tedesco. 2. Le grandi potenze di fronte all’unificazione tedesca: Austria, Russia, Inghilterra. L’Austria è la potenza che dopo la Francia risentì maggiormente dell’unificazione tedesca ma si riprese facilmente. Vienna non aveva saputo opporsi alle ambizioni germaniche e questo va letto nel contesto di altre crisi quali la Crimea, il 1859 e il 1866 (sconfitta di Sadowa). La svolta positiva venne invece dalla ristrutturazione dello stato attraverso l’istituzione della Duplice Monarchia Austroungarica (1867): il pareggio tra le due nazionalità dominanti ovviamente non rappresentò la soluzione al problema della multinazionalità che caratterizzava l’impero ma solo un passo avanti, solo la risoluzione del principale di questi problemi: quello ungherese. Tuttavia fornì una classe politica determinata e con idee chiare e precise che permetterà all’impero di trovare un appoggio essenziale nella Germania in funzione della sua politica balcanica: unico spazio rimasto aperto. Due linee caratterizzeranno la politica austriaca: l’opposizione all’azione russa nei Balcani e l’avvicinamento e l’alleanza con la Germania. La Russia fu probabilmente dopo Francia e Germania l’attore più importante del periodo successivo al 1870. L’espansione in Asia continuò con successo facendo sentire sotto pressione gli inglesi per il controllo di Persia e Afghanistan e penetrando nei territori della Cina. L’unificazione tedesca coincise con l’esplosione letteraria e politica del movimento panslavista in chiave russa (non più su basi linguisticoculturali ma sul programma politico dell’indipendenza di tutti i popoli slavi riuniti in una grande confederazione religiosa, razziale e politica). Fondamentali erano quindi il contenimento della politica austriaca nei Balcani e il dominio sul Mar Nero. A tale scopo il governo russo annunciò, dopo la sconfitta francese, che lo zar non avrebbe più accettato la clausola del trattato di Parigi che limitava la sovranità russa sul Mar Nero; questo evento e l’annessione tedesca dell’Asazia-Lorena furono due fatti che segnarono una svolta nel sistema internazionale. Il governo britannico di Gladstone (liberale) protestò vivacemente per queste violazioni del diritto pubblico europeo e fu indicativo il fatto che fu Bismarck a convocare una conferenza a Londra che all’inizio del 1871 abrogò la clausola del Mar Nero. Ciò permise all’impero zarista di sfruttare l’onda panslavista per mantenere un certo consenso interno, mentre veniva ribadito il buon rapporto con la Germania. È facilmente rilevabile una quasi completa astensione della Gran Bretagna dagli eventi successivi al 1870 o meglio dall’avvio del sistema Bismarckiano. Il governo Gladstone era impegnato in importanti riforme interne, probabilmente le riforme liberali più importanti di tutto il secolo, d’altra parte il liberalismo inglese aveva pochi punti di contatto con la realpolitik tedesca. Ampliando tuttavia la prospettiva lo “splendido isolamento inglese” appare una scelta politica bipartisan, seguita anche dai governi conservatori e comunque non tanto come un non-agire ma come un agire soprattutto in un contesto diverso da quello dell’Europa di Bismarck: la Federazione imperiale, l’impero anglo-indiano, l’azione in africa, il “grande gioco” in Asia sono gli esempi più eclatanti dell’azione inglese in ambito extra-europeo. Sono gli anni in cui l’Inghilterra anticipa il fenomeno denominato poi neoimperialismo. Pur mantenendo rapporti commerciali con gli altri attori europei la Gran Bretagna evita di farsi coinvolgere nelle controversie continentali. Ma sono anche gli anni in cui la Gran Bretagna conclude il suo ciclo di grande potenza aprendo una fase di transizione di qualche decennio prima di cedere il posto agli Usa. 3. L’Italia, sesta grande potenza. Nel decennio precedente al 1870 la politica estera italiana aveva avuto due temi ricorrenti: farsi accettare nel sistema europeo e portare a termine l’unità nazionale (Roma, il Veneto, Trento e Trieste). L’alleanza italo-prussiana dal 1866 aveva permesso di annettere il Veneto. La questione romana fu più complessa: Cavour aveva iniziato le trattative con Napoleone III per un ritiro delle truppe francesi da Roma, tuttavia 5 dopo la morte dello statista italiano (6 giugno 1861) la Francia aveva abbandonato i negoziati. Il tentativo di Garibaldi venne fermato con la forza nell’agosto 1862 dagli italiani, nel 1863 il governo Minghetti giunse con la Francia alla Convenzione di settembre con cui l’Italia si impegnava a non attaccare il territorio pontificio a fronte del ritiro delle truppe francesi. Nel novembre 1867 si assistette ad un nuovo tentativo di Garibaldi fermato però dai francesi. Il raffreddamento dei rapporti italo-francesi influì negativamente sulla disponibilità italiana ad unirsi all’alleanza franco-austriaca contro la Prussia. Quando i francesi furono sconfitti e cadde il Secondo impero (4 settembre 1870) l’Italia denunciò la Convezione di settembre e occupò Roma (20 settembre 1870). L’Italia si trovava di fronte alla necessità di esprimere ora una propria politica estera, alcuni elementi vanno presi in considerazione: l’ostilità dei paesi vicini (Austria e Francia); una posizione strategica sia al nord verso l’Europa continentale che al sud nel Mediterraneo, una posizione che poteva anche rivelarsi pericolosa e scomoda; la debolezza economica e finanziaria si traduceva in debolezza militare. In ogni caso, se non da grande potenza, l’Italia agiva da membro attivo del sistema europeo, d’altra parte la questione romana non era conclusa e si presentava la possibilità di un tentativo di restaurazione del Pontefice ad opera delle potenze cattoliche: la politica italiana sarà orientata soprattutto in tal senso al fine di uscire dall’isolamento. 4. La prima fase del sistema bismarckiano e la crisi d’Oriente del 1875-1878. L’isolamento della Francia è dunque la prima preoccupazione del cancelliere tedesco. Per fare ciò è necessario tener presente i buoni rapporti diplomatici tra Francia e Russia: era dunque necessario agire in modo tale che la Russia non sentisse la Germania come una minaccia tale da ritenere utile l’avvicinamento alla Francia. Diveniva fondamentale dare sicurezza alla Russia. Che cosa poteva essere percepito da questa come una minaccia? Non tanto le azioni tedesche ma piuttosto con il conflitto con l’Austria-Ungheria. Quest’ultima controllava la maggior parte della popolazione slava non russa e soprattutto con la creazione della duplica monarchia si assiste ad una linea particolarmente dura adottata soprattutto dagli ungheresi contro gli slavi (cha aspiravano a vedersi riconoscere la parità con austriaci e ungheresi) ciò non poteva non indisporre la Russia che si era fatta portavoce delle istanze pan-slavistiche mentre le politiche balcaniche dei due paesi spesso entravano in contrasto. Questo avrebbe potuto spingere la Russia a cercare l’appoggio francese, Bismarck operò quindi al fine di creare una certa cooperazione tra Germania, Austria-Ungheria e Russia. Fin dal 1870 era mutato l’atteggiamento di Vienna verso Berlino e durante la missione di riconciliazione austroungarica (giugno 1871) Bismarck ebbe l’occasione di esplicitare che nessun trattato tra i due paesi avrebbe dovuto contenere riferimenti ostili alla Russia. La riconciliazione austro-tedesca continuò per tutto il 1872 e nel settembre lo zar incontrò gli altri due imperatori, si ponevano così le basi del passo successivo che porterà nell’ottobre del 1873 all’intesa dei tre imperatori presentata da Bismarck come una riconferma della solidarietà monarchica, una sorta di Santa Alleanza contro la rivoluzione. Tale intesa si articolò in tre diversi documenti: 1) un trattato militare russo-tedesco che stabiliva che se una delle due potenze fosse stata attaccata l’altra sarebbe intervenuta in suo aiuto con 200.000 uomini (24 aprile 1873); 2) una convenzione russo-austriaca meno vincolante che prevedeva l’obbligo di consultazione tra i due paesi in caso di crisi ed eventualmente la stipulazione di un trattato militare (6 giugno 1873); 3) un atto di accettazione della Germania della convenzione russo-austriaca (22 ottobre 1873). Si formava così la prima Intesa (o Lega) dei tre imperatori, tuttavia emersero presto le prime difficoltà. Fra il 1873 e il 1875 il problema dei rapporti franco-tedeschi dominò la scena politica europea arrivando ad intaccare le basi dell’Intesa. L’elezione a presidente della Repubblica del maresciallo Mac Mahon, espressione della volontà di restaurazione della monarchia e la ripresa del partito clericale da parte francese e il kulturkampf condotto da Bismarck per motivi interni ma anche per timore di ingerenze francesi portarono ad un clima di tensione e al diffondersi dell’idea che fosse possibile un attacco tedesco alla Francia. La crisi fu aggravata da articoli di giornale, da voci sulla salute di Bismarck, dai tentativi di francesi di uscire dall’isolamento… e si protrasse fino alla primavera del 1875 quando Gran Bretagna e Russia si adoperarono per allentare la tensione. La soluzione della “crisi della paura della guerra” fu quasi imposta dalle altre potenze europee e rappresentò uno smacco personale al cancelliere tedesco, ma 6 soprattutto dimostrava che l’Intesa non era sufficiente a mantenere la stabilità in Europa. Inoltre Bismarck aveva sottovalutato la possibilità che una Russia almeno in parte tranquillizzata relativamente ai rapporti con l’Austria-Ungheria avrebbe potuto spingersi verso il Mediterraneo e quindi contro l’impero ottomano che controllava il Bosforo e i Dardanelli consapevole del fatto che se non avesse urtato gli interessi tedeschi e austroungarici non avrebbe incontrato opposizioni. Nell’estate del 1875 la situazione nei Balcani si infiamma: Bosnia-Herzegovina, Bulgaria, Serbia e Montenegro insorgono contro il dominio ottomano; entro la fine dell’anno la crisi ha assunto un rilievo internazionale e tre grandi potenze sono coinvolte: la Russia e l’Austria-Ungheria, nonostante la reciproca diffidenza, inclini a politiche di compromesso che favorissero il rafforzamento delle loro posizioni, la Gran Bretagna invece si impegnava a favore del mantenimento dello status quo e quindi in sostegno dell’impero ottomano. Bismarck da parte sua iniziava ad avvicinarsi con prudenza alla crisi, avvicinamento che poi avrebbe portato al Congresso di Berlino. Ben presto la crisi assume i connotati di una guerra russo-turca (aprile 1877-gennaio 1878) che vide le forze zariste arrivare con grande difficoltà ad Adrianopoli (gennaio 1978), ma la situazione inizia a preoccupare parecchio Londra e non solo. Per altro giungono all’opinione pubblica le notizie di varie crudeltà commesse ai danni della popolazione civile. In questo periodo si segnalano inoltre le conversazioni segrete tra Austria e Russia (luglio 1876) e la Conferenza di Costantinopoli (dicembre 1876-gennaio 1877) al fine di stabilire delle tutele per le popolazioni balcaniche a cui però l’impero ottomano non da applicazione. La guerra giunge ad una soluzione autonoma con il trattato di Santo Stefano (3 marzo 1878) tra Russia e impero ottomano che riconosce la vittoria della prima. Il trattato prevedeva la creazione di una Grande Bulgaria (con l’annessione di una parte della Tracia e una parte della Macedonia), aumenti territoriali a Serbia e Montenegro, un regime di autonomia per la BosniaHerzegovina e alcune cessioni territoriali a favore della Russia. Era chiaro che la Grande Bulgaria si sarebbe configurata come uno stato satellite russo e in virtù della sua estensione territoriale avrebbe consentito alla Russia uno sbocco sul Mediterraneo. Ciò preoccupava enormemente la Gran Bretagna ma anche gli altri paesi rivieraschi. Da parte sua la Russia si rendeva conto di non poter pretendere una pace mal vista da tutta Europa. 5. Il Congresso di Berlino. In questo contesto il cancelliere tedesco indice il Congresso di Berlino (giugno-luglio 1978) come una libera discussione sui contenuti del trattato russo-turco. L’esito sarà una modifica del trattato di Santo Stefano che ridurrà i vantaggi per la Russia a favore dell’Austria-Ungheria, riducendo al contempo il controllo ottomano sui Balcani. In particolare si ebbero: 1) la riduzione della Bulgaria (che perde lo sbocco sul Mediterraneo) che viene configurata come un principato autonomo nell’ambito dell’impero ottomano, il cui principe cristiano però sarebbe stato nominato dalle potenze europee; inoltre il principato venne dotato di una propria milizia; 2) l’amministrazione della Bosnia-Herzegovina viene affidata all’Austria-Ungheria mentre il paese rimane formalmente sotto la sovranità ottomana. Ciò rispondeva alle esigenze austroungariche di avere una zona cuscinetto tra la Serbia (ortodossa e culla del nazionalismo slavo) e l’attuale Croazia (cattolica); 3) la riduzione degli aumenti territoriali a Serbia e Montenegro a favore della Grecia, lo stato in cui era più forte l’influenza britannica; 4) la cessione alla Russia delle province ottomane di Kars e Batum. Al di là degli incontri ufficiali, Bismarck approfittò della situazione per attizzare la rivalità tra Francia e Italia, promettendo ai rappresentanti dei due stati, che avevano partecipato al Congresso con un ruolo di secondo piano, pieno appoggio alle rispettive mire espansionistiche in Tunisia (nominalmente sotto la sovranità ottomana). Quando tre anni dopo la Francia occuperà la Tunisia emergerà chiaramente l’ostilità tra questa e l’Italia. Il Reich diverrà quindi arbitro delle ostilità europee (Gran Bretagna-Russia, RussiaAustria-Ungheria, Italia-Francia). È chiaro come la Germania fosse poco interessata alla questione d’Oriente di per se, ma è altrettanto chiaro come il suo intervento sia motivato dall’esigenza di mantenere la stabilità in Europa ed impedire una troppo accesa conflittualità tra Russia e Austria-Ungheria Da parte britannica l’esito significava aver arrestato l’espansione russa ma allo stesso tempo non essere 7 riusciti a impedire un’ulteriore riduzione della potenza turca. Diveniva quindi chiaro che l’impero ottomano non era più in grado di reggersi da solo e il sostegno britannico sarebbe divenuto via via sempre più determinante. Il Congresso aveva dimostrato che l’Intesa dei tre imperatori non bastava da sola a garantire la stabilità europea: Bismarck aveva tralasciato il ruolo dell’impero ottomano. Con il Congresso di Berlino il cancelliere dimostra nuovamente la sua abilità (tiene sotto controllo l’ostilità russoaustroungarica, puntella l’impero ottomano, da un nuovo assetto ai Balcani) ma si poneva la necessità di costruire un secondo sistema in grado di garantire la stabilità europea. 6. La ricostruzione del sistema bismarckiano: dall’alleanza austro-tedesca all’Alleanza dei tre imperatori, 1879-1881. Nella costruzione di un nuovo sistema in grado di mantenere la stabilità europea Bismarck continuò a vedere come obiettivo principale l’isolamento della Francia e l’impedimento di un’eventuale alleanza franco-russa. Due evoluzioni vanno considerate per comprendere il nuovo sistema orchestrato dal cancelliere: i rapporti tra Germania e Austria-Ungheria e il ruolo dell’Italia. L’Austria-Ungheria e la Germania avevano costantemente e progressivamente migliorato i loro rapporti dopo la battaglia di Sadowa, e questioni economiche, culturali, valoriali facevano della prima lo stato ideale con cui stringere una salda alleanza che poi durerà fino alla prima guerra mondiale. Questo rapporto inizialmente paritetico, o quasi, conoscerà poi uno slittamento a favore della Germania che vedrà aumentare considerevolmente il suo peso in rapporto all’Austria. Il trattato di alleanza austro-tedesco venne concluso il 7 ottobre 1879 e impegnava le due parti a prestarsi reciproco soccorso con tutte le proprie forze in caso di aggressione. Ovviamente il trattato va interpretato in chiave antirussa poiché dalla Russia ci si potevano aspettare azioni che destabilizzassero l’ordine europeo, la cosa comporterà un’iniziale contrarietà del kaiser Guglielmo. Quest’alleanza duratura sarebbe divenuta il perno del sistema bismarckiano. Da essa si diramano due strade una verso la Russia e l’altra verso l’Italia. Tuttavia era necessario anche impedire un ritorno della crisi nei Balcani: in questo senso va letta la creazione dell’alleanza dei tre imperatori (18 giugno 1881) che non solo riproponeva l’Intesa del 1873 ma poneva la collaborazione su basi più precise e organiche. Si trattò di un solo documento, non un trattato militare ma un trattato di cooperazione politica che risulta più efficace in quanto prevede la questione dell’impero ottomano. Il trattato dispone che nel caso in cui una delle tre potenze si trovi in guerra, le altre due manterranno una benevola neutralità e cercheranno di localizzare il conflitto, ciò vale anche nel caso di guerra con l’impero ottomano purché nessuna delle tre potenze lo aggredisca senza prima consultare le altre due ed esplicitare i propri obiettivi. Venne riconosciuta la situazione creatasi nei Balcani con il congresso di Berlino. Le tre potenze assumevano l’impegno a rispettare la chiusura degli stretti turchi alle navi militari: la Russia non sarebbe arrivata al Mediterraneo ma neanche flotte ostili (britanniche) sarebbero arrivate nel Mar Nero (cosa che per la Russia aveva una certa importanza). 7. Un complemento del sistema: la Triplice Alleanza. L’Italia si poneva sulla scena europea non certo come una grande potenza al pari delle altre ma comunque come un attore di rilievo, il suo isolamento e rapporti sostanzialmente ostili con Francia e AustriaUngheria la spingevano a cercare appoggio verso qualche altra potenza, in particolare verso la Germania. Bismarck vedeva l’Italia in modo ambivalente: da un lato essa aveva un contenzioso con l’AustriaUngheria e la cosa non era certo favorevole alle intenzioni del cancelliere, dall’altro le sue relazioni con la Francia erano negative e ciò poteva contribuire all’isolamento di Parigi. Sulle relazioni italo-francesi gravano la questione romana, la competizione commerciale e l’espansione coloniale: quando nel maggio 1881 con il trattato del Bardo venne istituito il protettorato francese sulla Tunisia la reazione in Italia fu molto decisa. Inoltre il fatto che al governo ci fosse Francesco Crispi (filotedesco e antifrancese) rappresentava un ulteriore motivo di avvicinamento al secondo Reich tuttavia era necessario evitare che i rapporti italo-austriaci degenerassero. Bismarck si dimostrò disponibile ad un’intesa con l’Italia a patto che questa comprendesse anche l’Austria-Ungheria. D’altra parte il cancellerie si impegnò a far capire a Vienna che un’alleanza con l’Italia era più conveniente di un’ostilità permanente, convinto per altro che la ripresa del panslavismo avrebbe influito negativamente sui rapporti austro-russi e che quindi Vienna avrebbe fatto bene a garantirsi una certa sicurezza nei rapporti con l’Italia. Gli austroungarici da parte loro 8 ritenevano importante la creazione di un’alleanza (oltre a quella dei tre imperatori) basata sulla comunanza di intenti conservatori. Il 20 maggio 1882 veniva concluso il trattato della Triplice Alleanza allargando all’Italia l’alleanza austro-tedesca. In questo caso non vi è un esplicito riferimento antirusso, ma antifrancese. L’obiettivo era rafforzare il principio monarchico e ed evitare i pericoli che potevano minacciare la sicurezza e la pace. L’art. 1 impegnava i tre stati a non entrare in nessuna alleanza diretta contro uno di essi e a consultarsi e appoggiarsi in caso di crisi; l’art. 2 sanciva che in caso di aggressione francese all’Italia, Austria-Ungheria e Germania sarebbero intervenute in suo aiuto mentre l’Italia sarebbe intervenuta a fianco della Germania (in questo caso l’Austria avrebbe mantenuto un atteggiamento di benevola neutralità); l’art. 3 riguardava la possibilità di una coalizione contro la Triplice alleanza ma vi era anche la cosiddetta clausola Mancini che escludeva la valenza antibritannica dell’alleanza. La Russia non era nominata esplicitamente ma faceva parte dell’Alleanza dei tre imperatori e inoltre le clausole del trattato garantivano all’Austria-Ungheria la benevola neutralità dell’Italia nel caso di guerra con i russi. Il trattato era segreto e aveva la validità di cinque anni. L’alleanza con l’Austria-Ungheria rappresentò una svolta cruciale per la politica estera italiana, la fine delle tensioni con quella che era stata la principale antagonista nel processo di unificazione nazionale garantiva ora la neutralizzazione dei principali pericoli che avevano preoccupato l’Italia. Bismarck riusciva così a congelare il contenzioso tra Austria-Ungheria e Italia e al tempo stesso ad accentuare l’isolamento francese. 8. Premesse e sviluppi della diplomazia dell’imperialismo. Nel ventennio 1870-1890, mentre Bismarck costruiva un sistema essenzialmente europeo, le relazioni internazionali si dilatarono dall’Europa agli altri continenti, tanto che per alcune potenze le crisi principali nascono al di fuori del continente europeo. Alcuni elementi vanno considerati: 1) fin dagli anni ’70 Francia e Inghilterra diedero crescente importanza all’impegno extraeuropeo che diviene in qualche modo alternativo a quello europeo, ovviamente per motivi differenti; 2) la crisi d’Oriente (1875-78) fu la cerniera tra la contrapposizione anglo-russa in Asia e in Europa; il compenso offerto alla Francia e all’Italia (la Tunisia) rappresentò uno degli sviluppi che meglio indicano il passaggio dall’Europa al Mediterraneo e dal Mediterraneo al mondo extraeuropeo; 3) per quanto riguarda le date dell’imperialismo possono essere considerati diversi anni: nel 1870 l’Europa viene a trovarsi nelle condizioni politiche, sociali, economiche e culturali per un impegno e un’estensione extraeuropei che non trova precedenti in passato, nel 1876 si ha l’inizio dell’attività colonialistica di Leopoldo II di Belgio, nel 1882 l’intervento britannico in Egitto contro Arabi Pascià. Due furono i principali sviluppi di questa fase: 1) il “grande gioco” con cui si confrontano Russia e Gran Bretagna. Fin dal 1869 il governo inglese dell’India aveva raccomandato a Londra di evitare di interferire negli affari afgani e di procedere ad un chiarimento con San Pietroburgo. Nel corso degli anni ’70 tuttavia la Gran Bretagna era comunque intervenuta in Afghanistan (area strategica per proteggere l’impero britannico in Asia) mentre la Russia portava avanti operazioni di conquista in Asia centrale. La tensione tra i due paesi crebbe significativamente. Dopo il congresso di Berlino i britannici occuparono Kabul. Negli anni ’80, nonostante il governo del liberale Gladstone e le incertezze dei russi, la politica asiatica rimase il principale motivo di contrasto tra le due potenze, fino a giungere sull’orlo di un conflitto. Infine una commissione anglo-russa definì la frontiera tra l’Afghanistan (come stato protetto e rappresentato dalla Gran Bretagna) e l’Asia centrale russa. Il conflitto in Asia venne definitivamente ricomposto nel 1907. 2) Lo “scramble for Africa”. All’inizio degli anni ’80 si ha una situazione confusa e conflittuale di accaparramento di territori e di supremazie commerciali nelle regioni del Congo e del Niger. Bismarck, dopo aver constato la resistenza opposta dai britannici alla stabilimento di un insediamento commerciale tedesco nell’area, convocò una conferenza che ebbe luogo a Berlino tra il novembre 1884 e il febbraio 1885: venne stabilita la libertà di commercio nell’area dei bacini del Congo e del Niger (con i rispettivi affluenti). La Germania contemporaneamente o subito dopo acquisiva le colonie del Camerun e del Togo e stabiliva un protettorato sul territorio compreso tra l’Angola portoghese e la Colonia del Capo britannica. 9 9. L’ultima fase del sistema bismarckiano: trattato di contro-assicurazione e “seconda Triplice”. Nel corso degli anni ’80 in Francia si riaccese il sentimento di revanche, nel 1886 si formò il movimento boulangista (dal mone del generale Boulanger) e la prospettiva di una restaurazione monarchica o di una deriva bonapartista preoccupava il cancelliere tedesco. A oriente si profilava una nuova crisi nei rapporti austro-russi: infatti Vienna aveva sconfitto più volte la diplomazia di San Pietroburgo (trattato segreto austro-serbo del 1881, alleanza austro-rumena del 1884, aumento dell’influenza in Bulgaria) e ne conseguiva un senso di insicurezza russo che poteva favorire un avvicinamento alla Francia. Bismarck cercò quindi da un lato di rassicurare la Russia e di impedire un suo avvicinamento alla Francia e dall’altro di rafforzare la Triplice. Il 18 giugno 1887 venne concluso il trattato di contro-assicurazione russo-tedesco con cui la Germania dava garanzie alla Russia nel caso fosse stata attaccata dall’AustriaUngheria (benevola neutralità) e allo stesso tempo la disincentiva dall’attaccare a sua volta la rivale: in particolare le due potenze si assicuravano la reciproca neutralità tranne nel caso in cui la Germania avesse attaccato la Francia o la Russia avesse attaccato l'Austria-Ungheria. Si tratta di un accordo che si situa al limite della confliggenza giuridica, che ancora una volta dimostra la grande spregiudicatezza e il genio politico di Bismarck. Nel 1887 avvicinandosi alla scadenza della Triplice si assiste alla fase di maggior intensità dell’alleanza con il ruolo dell’Italia che diviene via via più importante agli occhi del cancelliere tedesco: è il momento di coinvolgere ancor di più l’Italia nel sistema ideato da Bismarck e l’Italia saprà abilmente sfruttare questo contesto. A proposito di questo particolare rapporto si parla di sottosistema di Robilant (dal nome del ministro degli esteri italiano) che presentò alcune condizioni relative alla salvaguardia degli interessi italiani nei Balcani e alla garanzia dello status quo in Cirenaica e in Tripolitania. Il 12 febbraio Italia e Gran Bretagna concludono gli accordi mediterranei (Corti-Salisbury): sostanzialmente una dichiarazione di buoni intenti che conferma i buoni rapporti tra i due paesi ed esclude qualunque conflittualità nel Mediterraneo. A tali accordi aderiranno poi anche l’Austria-Ungheria (24 marzo) e la Spagna (4 maggio). È possibile notare una certa fretta a rinnovare la Triplice alleanza, cosa che avvenne il 20 febbraio dello stesso anno: la clausola Mancini venne eliminata perché ormai inutile e vi furono aggiunte due integrazioni che diverranno parte integrante del trattato dal secondo rinnovo. Entrambe le due integrazioni hanno al centro l’Italia: - la prima riguardava Italia e Austria-Ungheria e affermava che qualsiasi mutamento dello status quo nei Balcani a favore della seconda sarebbe stato subordinato a due condizioni: a) consultazioni tra Vienna e Roma b) applicazione del principio dei compensi per cui anche l’Italia avrebbe tratto dei vantaggi non meglio precisati. La clausola dei compensi comprendeva anche l’espansione italiana in nord Africa. - la seconda riguardava invece Germania e Italia estendendo l’intervento tedesco a favore dell’Italia anche nel caso fosse stata quest’ultima a scatenare una guerra. La prima delle due integrazioni poi porterà al deterioramento delle relazioni italo-austriache, la seconda rappresenta il modo con cui Bismarck forniva una totale sicurezza all’Italia consapevole che in quella situazione essa non aveva interesse a muover guerra alla Francia ne ad altri. In conclusione si crea un sistema che vede la Germania in posizione centrale, strettamente legata ad essa vi è l’Austria-Ungheria; la Russia è stata bloccata nei confronti dell’impero ottomano e rassicurata per quanto riguarda la minaccia austroungarica: non ha quindi la necessità di avvicinarsi alla Francia; l’Italia risulta liberata dalla preoccupazione rappresentata da Francia e Austria-Ungheria e strettamente legata alla Germania. La Francia è isolata. Nessuna potenza ha l’interesse o la capacità di alterare il sistema creato dal cancelliere tedesco, tuttavia tale sistema è strettamente legato alla figura di Bismarck e dopo le sue dimissioni (marzo 1890) si sfalderà fino a giungere agli schieramenti della prima guerra mondiale. 1 0 Capitolo 10. Potenze “mondiali”, alleanze e blocchi contrapposti, 1890-1914. Dalle dimissioni del cancelliere tedesco nel marzo del 1890 il sistema che egli aveva creato inizia a sfaldarsi fino ad arrivare alle due alleanze contrapposte che si scontreranno durante la prima guerra mondiale. In realtà solo la Triplice alleanza rappresenterà un’alleanza realmente tale in senso giuridico anche se si svuoterà sempre più di significato soprattutto per quanto concerne l’Italia; l’Intesa invece non è tale: l’unica vera alleanza è quella franco-russa mentre la Gran Bretagna non è vincolata alle altre due potenze da nessun trattato, solo a guerra iniziata la cooperazione tra le potenze dell’Intesa verrà sancita ufficialmente. 1. L’Europa dopo il congedo di Bismarck: l’alleanza franco-russa. Gli ultimi tre anni del periodo bismarckiano furono caratterizzati da problemi interni, gli stessi che portarono Bismarck a dimettersi il 18 marzo 1890. In altre parole il nuovo imperatore Guglielmo II spingeva verso un neoassolutismo che Bismarck non poteva accettare e che faceva in modo che i cancellieri divenissero sostanzialmente uomini dell’imperatore e i militari avessero ampi poteri in politica estera. L’alleanza franco-russa tanto temuta da Bismarck fu provocata dalla nuova politica tedesca? In gran parte si ma dipende anche da fattori convergenti sia francesi (i militari, parte dei politici e il mercato finanziario) che russi (i militari e lo zar nonostante la sua ripugnanza per le istituzioni repubblicane). La Germania ritenne che il trattato di contro-assicurazione russo-tedesco non dovesse essere rinnovato e già nell’agosto del 1890 i contatti franco-russi iniziarono a muoversi verso una certa cooperazione militare. Nell’anno successivo alcuni eventi avvicinarono i due paesi: un processo a rivoluzionari russi tenuto in Francia, l’apertura del mercato finanziario di Parigi ai titoli russi e la visita di navi militari francesi in un porto russo. Il 27 agosto 1891 uno scambio di lettere tra ambasciatore russo e ministro degli esteri francese diede vita ad un’intesa preliminare secondo cui: - i due governi si sarebbero accordati su tutte le questioni relative alla pace internazionale; - nel caso in cui la pace fosse messa effettivamente in pericolo o una delle due potenze fosse attaccata, esse avrebbero adottato misure comuni. Era solo un’intesa ma due sono i punti cruciali: - rompeva l’isolamento in cui Bismarck aveva costretto per vent’anni la Francia; - forniva la base per trattative successive che si sarebbero caratterizzate per l’importanza dell’elemento militare (ne sarebbe poi nata un’alleanza basata su una convenzione militare fra stati maggiori). La convenzione militare vera e propria fu approntata nel corso del 1892 e fu firmata il 18 agosto. Essa prevedeva l’aiuto russo alla Francia con 7-800.000 uomini qualora questa fosse stata attaccata dalla Germania o dall’Italia aiutata dalla Germania e l’aiuto francese alla Russia con 1.300.000 uomini qualora questa attaccata dalla Germania o dall’Austria-Ungheria con l’aiuto della Germania. Lo zar accettò con diversi mesi di ritardo l’accordo, incerto se diffidare di più del Kaiser e della Terza Repubblica. Un’altra visita di navi militari (russe in Francia) e alcuni eventi (nuova legge militare tedesca, l’accentuarsi dei contrasti della Russia e della Francia con la Gran Bretagna) spinse lo zar ad accettare il 27 dicembre 1893, qualche giorno dopo seguì la risposta francese. L’alleanza franco-russa si basa quindi su tre atti: - lo scambio di lettere nel 1891; - la convenzione militare nel 1892; - lo scambio di lettere relative alla convenzione tra i due governi (1893-94). 2. L’Italia e il secondo rinnovamento della Triplice alleanza. Il secondo rinnovamento della Triplice nel 1891 presenta alcuni aspetti cruciali; - avviene con un anno di anticipo, su iniziativa di Crispi, e la Germania accoglie la proposta dimostrando di accettare questa parte dell’eredità bismarckiana; - il rinnovamento influisce sull’alleanza franco-russa in quanto da l’immagine di un’alleanzablocco; - anche se Crispi non è più al governo al momento del rinnovo, tale atto segue le linee avviate dallo statista (e quindi l’elemento antifrancese e l’intento di appoggiarsi ad altre potenze per realizzare 1 1 le aspirazioni extraeuropee dell’Italia). Il rinnovamento avviene a Berlino il 6 maggio 1891 e fa si che la Triplice torni ad essere un solo trattato come nel 1882 ma che conservi i contenuti dei tre documenti del 1887. L’art. 2 conferma il casus foederis fra Germania e Italia in una guerra contro la Francia; l’art. 3 che riguarda la guerra contro altre potenze e coinvolge tutte e tre le alleate diviene più significativo dopo l’avvicinamento franco-russo; l’art. 7 conferma la clausola dei compensi: Italia e Austria-Ungheria dopo essersi impegnate ad evitare modifiche territoriali che si arrechino danno a vicenda si impegnano a informarsi reciprocamente sulle questioni relative a tale ambito e infine viene ribadito il principio dei compensi; la Germania riconosceva le aspirazioni italiane su Cirenaica e Tripolitania. Veniva infine introdotto il rinnovamento automatico dopo sei anni, salvo l’espressione di intenzioni contrarie un anno prima della scadenza. 3. Crisi extraeuropee e tensioni europee all’apogeo dell’imperialismo. La crisi armena. Oltre che in Europa anche al di fuori di essa si avviano alcuni sviluppi che caratterizzeranno la fase postbismarckiana. Alcuni elementi sono significativi: - l’avvio della Weltpolitik (politica mondiale) con cui la Germania voleva acquisire a livello extraeuropeo un peso simile a quello che aveva sul continente; è proprio con la svolta di Guglielmo II che si può tracciare una linea di confine: ora la Germania vuole colmare il divario con le altre potenze in campo coloniale; - estensione dell’impero britannico: Russia, Francia e Germania si trovano inevitabilmente a scontrarsi con esso; - comparsa di due nuovi attori: Stati Uniti e Giappone che si confrontano soprattutto in Asia orientale; - l’espansione coloniale italiana contribuisce ad aumentare la tensione; l’Italia mira ad appoggiarsi alla Triplice per realizzare le sue ambizioni; con la battaglia di Adua (1 marzo 1896) da il via ad una serie di sconfitte europee ad opera di paesi extraeuropei; tra il 1895 e il 1902 si assiste ad un miglioramento dei rapporti con la Francia e a un progressivo distaccamento dalla Triplice. Questione armena: questione dell’identità e dello sviluppo autonomo di un popolo stanziato in parte nell’impero russo, in parte in quello ottomano e in parte in quello persiano, che subisce la dura repressione dei turchi. Il partito armeno rivoluzionario agisce provocando forte reazioni da parte turca, si forma una “Triplice del Vicino Oriente” fra Gran Bretagna, Francia e Russia a cui poi si aggiungono Germania, Austria-Ungheria e Italia al fine di imporre al sultano una serie di riforme (ottobre 1895) che poi rimarrà non attuata. È emblematica della situazione di incertezza la posizione di Gran Bretagna e Russia, che quasi invertono i ruoli. Lord Salisbury (tornato al governo nel 1895) formula un progetto di spartizione dell’impero ottomano, ma le altre potenze lo lasciano cadere: la Francia ha grandi investimenti finanziari nell’impero ottomano, l’Austria-Ungheria teme una situazione di alta conflittualità con Russia e Italia nell’area balcanica e adriatica, ma il fatto che la Russia non ne approfitti è chiaramente dovuto ad una situazione di incertezza riguardo alla politica estera (oltre al fatto che la Russia era impegnata in estremo oriente). 4. Questioni extraeuropee e tensioni europee all’apogeo dell’imperialismo. Le questioni egizianosudanese, sudafricana e dell’Asia orientale. Questione egiziano-sudanese: penetrazione concorrenziale di Francia e Gran Bretagna in Africa a partire dal sec XVIII, la prima lungo una direttrice est-ovest e la seconda lungo una direttrice nord-sud. Nel 1882 la situazione in Egitto (problemi di amministrazione, movimento nazionalista e disordini su vasta scala) spinse la Gran Bretagna ad intervenire. L’impero ottomano, la Francia e l’Italia avevano rifiutato di intervenire. L’azione britannica si trasformò di anno in anno in protettorato. Si pose poi il problema della rivolta nel Sudan ove le forze britanniche ristabilirono il controllo solo negli anni ’90 dopo il ritorno al governo di Salisbury. Mentre le forze britanniche procedevano verso sud si incontrarono con quelle francesi provenienti dall’africa centrale a Fascioda il 25 settembre 1898. Ne nacque il più grave episodio di rivalità e tensione fra le due potenze. Il governo britannico si dimostrò intransigente e alla fine i francesi annunciarono il ritiro delle loro forze. 1 2 Questione sudafricana: la penetrazione inglese nella regione già nei decenni precedenti si era scontrata sia con le popolazioni autoctone che con le repubbliche boere (Transval e stato Libero d’Orange). La Gran Bretagna aveva annesso il Transval, ma i boeri riuscirono a ottenere una certa indipendenza. Tuttavia il contrasto aumentò quando si scoprirono grandi giacimenti di diamanti. Alla fine del 1895 i britannici tentarono un colpo di mano respinto dai boeri. Il governo tedesco intervenne manifestando il suo sostegno al Transval nei primi giorni del 1896. L’azione tedesca è più che altro dovuta al tentativo di mettersi in concorrenza con la Gran Bretagna nella regione o comunque di ricavarne dei compensi coloniali in un contesto generale in cui la politica tedesca ondeggiava tra la creazione di un blocco continentale antibritannico e un’alleanza con la Gran Bretagna non prima di averla messa in difficoltà. Il governo britannico non reagì ma l’opinione pubblica si infiammò. La questione con i boeri sfociò in una guerra tra il 1899 e il 1902 che portò alla Gran Bretagna più difficoltà del previsto. Questione d’Estremo Oriente: tra la prima guerra sino-giapponese (1894-95) e l’alleanza anglogiapponese. Gran Bretagna, Francia e Germania seguirono ciascuna la propria via per arrivare alla Cina. La Russia aveva stabilito la base di Vladivostock e poi si era spinta nei territori cinesi, la Francia aveva premuto da sud. In questo contesto intervengono due fattori: - la Germania pur non disponendo di basi commerciali e/o strategiche in Asia orientale voleva affermare la propria presenza nell’area; - il Giappone entra in azione militarmente e con intenti espansivi verso la Cina. La pace imposta dal Giappone alla Cina prevedeva il controllo nipponico su Corea, Formosa, isole Pescadores, penisola di Liaotung. Di conseguenza nacque una Triplice d’Estremo Oriente (Germania, Francia, Russia) con lo scopo di costringere il Giappone a rinunciare ai vantaggi della vittoria e di assumere un ruolo di protezione della Cina come preludio alla richiesta di particolari concessioni. La prima a chiedere queste concessioni fu la Germania (l’unica sprovvista di basi nella regione) che mirava ad agire in Asia orientale per indebolire l’alleanza franco-russa e grazie all’appoggio russo rafforzare le proprie posizioni in Estremo Oriente. A partire dal giugno 1897 le varie potenze europee iniziano ad ottenere concessioni e territori dalla Cina. Altri due sviluppi completano il quadro: - l’intervento degli Usa nel azione durante la rivolta dei boxers. - la stipulazione nel 1902 del trattato di alleanza anglo-giapponese. 5. L’evoluzione della situazione europea. L’Italia “fra alleanze e amicizie”. Il 1896 può essere considerato l’anno in l’Italia inizia a staccarsi dalla Triplice intesa. La sconfitta di Adua segna l’inizio della crisi della politica di Crispi, colonialista e antifrancese. Per il successivo governo, presieduto da Rudinì, il problema principale è porre fine alla guerra con l’Etiopia, obiettivo che venne raggiunto il 23 ottobre 1896 con un trattato che stabiliva un confine provvisorio con l’Eritrea reso poi definitivo. Si chiudeva così la prima fase di espansione italiana in Africa. Contemporaneamente il nuovo ministro degli esteri Emilio Visconti Venosta avviava una politica di normalizzazione nei rapporti con la Francia. Il 30 settembre 1896 Italia e Tunisia firmarono tre convenzioni relative alla posizione giuridica, economica e culturale della comunità italiana in Tunisia. Il 21 novembre 1898 un accordo commerciale pose fine alla “guerra doganale” con la Francia. L’Italia intendeva ora ottenere l’avvallo francese per le sue aspirazioni in Cirenaica e Tripolitania. Il 14-16 dicembre 1900 in uno scambio di lettere tra Visconti Venosta e l’ambasciatore francese Barrerè la Francia si impegnava a considerare Cirenaica e Tripolitania al di fuori della sua sfera d’influenza mentre l’Italia faceva altrettanto con il Marocco. Tale accordo svuotava in parte di senso la Triplice Alleanza (pur non essendovi una confliggenza giuridica) in quanto veniva meno quell’ostilità franco-italiana che era stata alla base dell’adesione italiana alla Triplice ma allo stesso tempo rappresentava un importante passo avanti per l’Italia. Contemporaneamente la situazione mutava anche a oriente: l’8 maggio 1897 Austria-Ungheria e Russia giunsero ad un intesa secondo cui in caso di impossibilità di mantenere lo status quo la Russia avrebbe accettato l’annessione austroungarica di Bosnia-Herzegovina e Novi Bazar; entrambe le potenze si impegnavano a creare un Principato d’Albania escluso da qualsiasi dominazione straniera. Ciò sembrava chiudere la strada alle iniziative italiane, tuttavia tra il 1897 e il 1901 Visconti Venosta riuscì ad ottenere qualche risultato: in uno scambio di note tra la fine del 1900 e l’inizio del 1901 si stabiliva che 1 3 Italia e Austria-Ungheria dovessero agire affinché le modifiche allo status quo avvenissero nel senso dell’autonomia e intendendosi affinché queste tenessero conto dei rispettivi interessi. Il ministro degli esteri del governo Zanardelli (1901) fu Giulio Prinetti (con orientamenti simili a Visconti Venosta), il quale fece un altro passo dell’avvicinamento alla Francia sempre avendo come interlocutore Barrerè, il quale mirava a far rimuovere eventuali clausole antifrancesi dalla Triplice. Prinetti lasciò credere che l’Italia volesse uscire dalla Triplice, poi dopo aver ricevuto l’avvertimento del cancelliere tedesco Bulow accettò il rinnovo con l’aggiunta di una dichiarazione secondo cui l’Austria-Ungheria non avrebbe ostacolato l’azione italiana in Cirenaica e Tripolitania (28-30 giugno 1902). Pochi giorni prima l’Italia aveva ottenuto anche l’assenso britannico (11-12 marzo 1902). Il 10-11 luglio un nuovo scambio di note impegnava Francia e Italia non solo a riconoscersi mano libera nei rispettivi territori di interesse in Africa settentrionale, ma sanciva anche una stretta neutralità nel caso che una delle due potenze fosse attaccata o si trovasse costretta a muovere guerra per questioni di sicurezza o di onore e impegnava le parti a comunicarsi preventivamente le rispettive decisioni. Due risultati: - assenso tiepido degli alleati della Triplice e della Gran Bretagna e assenso più impegnativo della Francia per le aspirazioni italiane in nord Africa; - sistema del 1902: un sistema difensivo, conservatore e pacifico. 6. L’evoluzione della politica europea. L’intesa cordiale anglo-francese e il completamento dei blocchi. All’inizio del Novecento la situazione della Gran Bretagna era questa: - si esaurivano gli sforzi politici e diplomatici britannici e tedeschi per stabilire un’intesa tra i due paesi; la proposta di alleanza antifrancese di Lord Lansdowne nel 1901 venne lasciata cadere; - nel 1901 moriva la regina Vittoria e con lei un’epoca di affinità con la Germania; - il governo di Londra stava per stabilire un’alleanza con il Giappone; - la Gran Bretagna cercava di uscire dall’isolamento ma non era riuscita a prevedere il pericolo tedesco in Europa. L’avvicinamento anglo-francese deriva ovviamente sia dalla volontà britannica di uscire dall’isolamento sia da un analogo desiderio francese unito all’idea di una coalizione che sopperisca sul piano diplomatico all’inferiorità di forze e di risorse della Francia nei confronti della Germania. L’accordo del 21 marzo 1899 aveva definito le aree d’influenza in Africa dopo l’incidente di Fascioda. Se l’iniziativa e la direzione dell’avvicinamento erano state francesi, con l’importante ruolo del ministro degli esteri Delcassè, Edoardo VII con le sue simpatie per la Francia ebbe a sua volta una certa importanza. L’8 aprile 1904 si giunse alla firma dell’intesa cordiale: l’Egitto veniva riconosciuto come appartenente alla sfera britannica e il Marocco a quella francese; vi erano poi alcuni articoli segreti relativi all’Impero marocchino della Spagna. Una clausola risolveva poi un altro motivo di tensione rappresentato dalla pesca al largo di Terranova. L’Intesa cordiale rappresentò un evento storico cruciale in quanto: - elemento fondamentale del rovesciamento del sistema creato da Bismarck contro la Francia; - la Francia era ora al centro del sistema di Delcassè e poteva fronteggiare la Germania avendo un’alleanza con la Russia e un’intesa con la Gran Bretagna; - ciò avveniva con un atto diverso dagli altri in quanto si trattava di un limitato accordo coloniale e non di un’alleanza ma in questo caso l’accordo sulle colonie significava anche andare d’accordo in Europa. Per altro l’avvicinamento anglo-francese fu favorito dai tentativi fallimentari tedeschi di impedirlo ma si crearono anche una serie di crisi in cui l’Intesa venne messa a dura prova. Guerra russo-giapponese (1904-05): i due belligeranti sono alleati rispettivamente con Francia e Gran Bretagna, la tensione sale quando navi russe attaccano per errore mercantili inglesi. Guglielmo II cerca un’alleanza con la Russia nel caso uno dei due imperi fosse stato attaccato, è l’ultimo tentativo di rimediare all’errore commesso con il mancato rinnovo del trattato di contro-assicurazione ma il primo ministro russo lascia cadere la proposta. Crisi marocchina (1905-06): Delcassè aveva ottenuto l’assenso per la preminenza francese in Marocco da parte di Italia, Gran Bretagna e Spagna, ma non da parte tedesca. La Germania sfrutta tale aspetto, si schiera a favore dell’indipendenza del Marocco e propone una conferenza delle grandi potenze. Francia e Gran Bretagna si oppongono, la Germania sferra un’imponente offensiva diplomatica e Delcassè, accusato di voler trascinare in guerra il suo paese, è costretto alle dimissioni. La conferenza si tiene ad 1 4 Algesiras con la Germania che calcolava di poter contare sull’appoggio di tutta la Triplice, della Russia e degli Usa, tuttavia ottiene solo l’appoggio dell’Austria-Ungheria. La conferenza sanciva quindi la preminenza francese in Marocco ma la Germania era riuscita a stabilire che la questione era di pertinenza di tutte le potenze, cosa che le permetterà di tener viva la questione e riaprire la crisi nel 1911. La crisi rappresentò la prima e più importante prova di forza tra i blocchi che dominarono il decennio precedente alla prima guerra mondiale. La crisi aveva poi fatto emergere il preoccupante dinamismo tedesco agevolando così la risoluzione di un altro contenzioso extra-europeo. Durante la conferenza il ministro degli esteri britannico aveva suggerito l’idea di un memorandum franco-russo-britannico nell’eventualità di una guerra con la Germania. Il ministro degli esteri russo Isvolski e l’ambasciatore britannico Nicolson furono tra i protagonisti delle trattative che portarono alla soluzione del contenzioso russo-britannico, tale contenzioso riguardava le posizioni delle due potenze in Asia dall’Afghanistan, alla Persia, al Tibet, al destino dell’impero ottomano. In questo contesto erano intervenuti anche l’alleanza anglo-giapponese e gli esiti della guerra russo-giapponese. Il 31 agosto 1907 si giunse alla firma di una convenzione contenente tre accordi (per dare vitalità separata a ciascuno dei tre) relativi all’integrità territoriale di tre paesi asiatici: - Persia: venivano stabilite due zone d’influenza, una settentrionale e più vasta per la Russia e una minore sul Golfo Persico per la Gran Bretagna; - Afghanistan: la Russia accettava di considerarlo fuori dalla sua sfera d’influenza e la Gran Bretagna si impegnava a non modificarne lo stato politico; - Tibet: veniva riconosciuta la sovranità cinese e le due potenze si impegnavano a non prendervi iniziative diplomatiche o economiche. Dopo l’alleanza franco-russa e la soluzione del contenzioso franco-britannico, la soluzione del contenzioso russo-britannico rappresenta il terzo tassello della Triplice Intesa. 7. La politica dei blocchi: l’annessione della Bosnia-Herzegovina e l’accordo italo-russo del 1909. Intesa anglo-francese del 1904 e convenzione anglo-russa del 1907: il quadro europeo inizia a delinearsi. Da ora i campi rivali non faranno più tentativi significativi per rompere gli schieramenti anche se da parte dell’Intesa manca ancora la volontà di creare una coalizione (con la parziale eccezione francese). La Germania diviene il fattore determinante, ma in una posizione di minor influenza e sicurezza rispetto al periodo bismarckiano, per diversi motivi: - gli errori della politica guglielmina tendente a ricercare continuamente occasioni in cui imporsi e pronta ad andare oltre la diplomazia e verso l’uso della forza militare; - la tendenza tedesca a compattare il blocco mitteleuropeo, pilotando l’unica alleata e rimanendo a sua volta condizionata; - i tentativi tedeschi di recuperare i vantaggi concessi alla Francia. Più precisamente la situazione vede un’Intesa anglo-franco-russa (nei fatti più che nei vincoli giuridici formali) e un blocco degli imperi centrali alleati a determinate condizioni con l’Italia. L’Italia aveva infatti motivi di dissenso: - con la Germania per quanto riguarda i rapporti con la Francia; - con l’Austria-Ungheria a causa del suo intento di agire nei Balcani in contrasto con il principio dei compensi; Vienna continuò in questo ambito su una linea di intesa esclusiva con la Russia, linea iniziata con l’accordo del 1897 e poi proseguita con altri due accordi nell’ottobre 1903 e nell’ottobre 1904 che prevedevano la neutralità di una delle due parti qualora l’altra si fosse trovata sola e senza provocazione in guerra con una terza potenza (per Vienna questa poteva essere l’Italia). Questa situazione non aveva comunque impedito il rinnovo automatico della Triplice alleanza l’8 luglio 1907. In questo contesto si colloca la decisione Austroungherese di annettere la Bosnia-Herzegovina che avrebbe portato un accrescimento formale della duplice monarchia e una riduzione formale dei territori ottomani (essendo quella regione già amministrata da Vienna) e a un inasprimento del contrasto austroserbo. Tale decisione rispondeva all’esigenza di controllare più direttamente la Serbia che stava divenendo sempre più l’epicentro del nazionalismo slavo. Furono tuttavia i metodi di Aehrenthal, ministro degli esteri austroungarico, e gli equivoci a scatenare le conseguenze più significative. In due incontri con Tittoni e Isvolski, Aehrenthal sembrò ottenere l’assenso di Italia e Russia, poco dopo 1 5 nell’incontro tra Tittoni e Isvolski il ministro italiano capì che il russo aveva acconsentito alle pretese di Vienna e tentò di correre ai ripari proponendo un’intesa italo-russo-austriaca da cui anche Italia e Russia traessero dei compensi o dei vantaggi. Il 6 ottobre 1908 l’Austria-Ungheria annunciò l’annessione. Le proteste furono forti, serbe in primo luogo; il primo ministro russo Stolypin dichiarò che non poteva accettare un tale atto, l’Italia ritenne violata la clausola della Triplice secondo cui il mutamento di status quo doveva essere concordato e doveva portare a compensi. Lo stesso Guglielmo II si irritò per non essere stato informato in tempo delle intenzioni di Vienna e per le possibili ripercussioni sull’influenza tedesca in Turchia. Il cancelliere Bulow convinse il Kaiser che non si poteva abbandonare l’AustriaUngheria in quanto questa avrebbe potuto perdere la fiducia nella Germania (cosa da evitare) e a sua volta trovarsi in difficoltà. Veniva riconfermato il saldo vincolo tra gli imperi centrali. Il 21 marzo 1909 la Germania chiese alla Russia l’esplicito riconoscimento dell’annessione altrimenti Berlino avrebbe lasciato che le cose seguissero il loro corso: la Russia, umiliata ma militarmente debole, accettò. In Italia ciò rappresentò la terza scossa alla triplice dopo la visita del presidente francese nel 1904 e la conferenza di Algesiras. La conseguenza principale fu l’accordo firmato a Racconigi il 24 ottobre 1909 in occasione della visita dello zar in Italia. Le due parti si impegnavano, nel caso che il mutamento di status quo nei Balcani fosse inevitabile, a seguire il principio di nazionalità per creare stati indipendenti dal dominio straniero; a una coordinata azione diplomatica comune; a non stipulare accordi con potenze terze senza coinvolgere l’altra parte; a considerare reciprocamente i rispettivi interessi in Africa settentrionale e sulla regione degli stretti. 8. La politica dei blocchi: la seconda crisi marocchina, la guerra di Libia e le guerre balcaniche. Le crisi che si verificano all’inizio del secondo decennio del Novecento confermano gli schieramenti che si erano formati nel primo. Il 9 febbraio 1909 la Germania riconosce la preminenza politica francese in Marocco e la Francia promette di non ostacolare gli interessi economici tedeschi. Quando truppe francesi occupano Fez invitate dal sultano al fine di contrastare una rivolta, la Germania a fronte di questa ulteriore penetrazione francese in Marocco chiede compensi e invia nella zona un proprio incrociatore. Tra Francia e Germania iniziano trattative che però si estendono presto ad altri stati: la Russia preme per una soluzione negoziale ma il governo britannico è diviso tra chi preferisce la via del negoziato e chi inizia a malsopportare la condotta tedesca. Berlino comunica che intende garantire con qualsiasi mezzo il rispetto della conferenza di Algesiras. Alla fine la Francia offrì una parte considerevole del Congo alla Germania a fronte di una porzione del Camerum tedesco e la crisi rientrò, ma il contenzioso coloniale si era trasformato in una prova di prestigio. La conquista italiana della Tripolitania e Cirenaica coincise con l’ultima fase della crisi marocchina al fine di approfittare di una situazione internazionale in movimento. L’azione era la conclusione di una lunga preparazione diplomatica (1891 consenso tedesco - 1909 consenso russo) e portò l’Italia in guerra con l’impero ottomano: il governo italiano dopo una protesta per il trattamento degli italiani in Libia inviò un ultimatum e iniziò le operazioni militari il 29 settembre. Il 15 ottobre 1912 il Trattato di Losanna vedeva la Libia assegnata all’Italia e il diritto per quest’ultima di occupare Rodi e il Dodecanneso fino a che funzionari e soldati turchi avessero abbandonato la Libia. Gli esiti sulla Triplice alleanza furono discordanti. Negativi per quanto concerne i rapporti con l’AustriaUngheria (il cui capo di stato maggiore Conrad elaborò un piano contro l’Italia approfittando del suo impegno in Libia); positivi invece per quanto concerne i rapporti con la Germania, che giocò un ruolo di sostegno al fine di mantenere l’Italia nella Triplice permettendole di portare avanti la guerra navale anche al di fuori delle acque libiche. Ciò rilanciò durante e dopo la guerra la Triplice alleanza. Ciò fu dovuto anche all’atteggiamento francese: la Russia era favorevole all’azione italiana, la Gran Bretagna era anch’essa favorevole (benché con più interessi nell’area) ma la Francia, soprattutto dopo che Poincaré era divenuto primo ministro, si dimostrò particolarmente preoccupata dalle aspirazioni italiane nel Mediterraneo. Il primo ministro infatti riteneva ormai inutile ogni tentativo di alterare gli equilibri esistenti ponendosi quindi in contrasto con la politica dell’ambasciatore Barrerè. La guerra indebolendo la Turchia spinse gli stati balcanici all’azione e in tale contesto con detti stati mobilitati prima contro la Turchia poi tra loro si apriva la possibilità di un’azione russa dopo lo smacco dovuto all’annessione della Bosnia-Herzegovina. È la Russia a favorire l’alleanza al fine di riprendere il ruolo di guida degli stati slavi: si giunge così ad una serie di trattati sulla base dei quali Serbia, Montenegro, Bulgaria e Grecia muovono guerra all’impero ottomano per privarlo della Macedonia. La guerra iniziò il 17 ottobre 1912 e 1 6 vide subito il prevalere degli stati balcanici, il 30 maggio 1913 con la pace di Londra l’impero cedette tutti i rimanenti territori in Europa tranne una parte di Tracia. Venne così meno il principale motivo di coordinamento tra gli stati dei Balcani ed emersero problemi relativi al complesso intreccio di etnie diverse. La spartizione della Macedonia dette inizio alla seconda guerra balcanica che vide la Bulgaria scontrarsi con gli alleati di prima a cui si aggiunsero anche Romania e Turchia. La sconfitta bulgara fu sancita dal Trattato di Bucarest, il 10 agosto 1913, che assegnava la Dobrugia bulgara alla Romania, gran parte della Macedonia alla Serbia, la regione di Salonicco alla Grecia e Adrianopoli alla Turchia. La crisi balcanica del 1912-13 determinò importanti sviluppi: - la rivincita della Russia dopo l’annessione austroungarica della Bosnia-Herzegovina; - la fine dell’epoca in cui i movimenti nazionali dell’area balcanica erano diretti contro l’impero ottomano e l’inizio della fase in cui la storia della regione è dominata dai contrasti tra i vari stati; - la predisposizione di tali rivalità rispetto alla collocazione che gli stati balcanici avrebbero assunto nella prima guerra mondiale (Serbia e Romania con l’Intesa, Bulgaria con gli imperi centrali). Alla fine di luglio del 1913 una conferenza delle grandi potenze decise l’autonomia dell’Albania rimandando il suo assetto al futuro. 9. Il Giappone grande potenza in Asia orientale. Il Giappone rimase chiuso al mondo esterno durante l’età moderna e anche dopo la guerra dell’oppio che aveva portato all’apertura della Cina. Nel 1853 una squadra navale americana impose la prima apertura e nel 1857-58 Usa e Giappone conclusero due trattati relativi ai loro rapporti economici e commerciali, aprendo così la strada agli altri stati europei. Dopo l’avvento al potere dell’imperatore Mutsuhito (1868) il paese iniziò un rapido processo di modernizzazione e industrializzazione senza abbandonare la mentalità tradizionale. Dotato di un esercito e di una flotta moderni il Giappone diede inizio ad una politica espansiva vincendo la prima guerra sino-giapponese (1894-95): ciò rivelò l’esistenza di una potenza extra-europea e le potenze europee continentali si coalizzarono per opporsi al Giappone e acquisire aree d’influenza in Cina. Ciò spinse il Giappone a cercare un’alleanza che ne impedisse l’isolamento: il 30 gennaio 1902 si concluse l’alleanza anglo-giapponese. Vi si stabiliva il riconoscimento dei reciproci interessi nell’area, si garantiva a ciascuna parte il diritto di salvaguardare quegli interessi qualora minacciati e infine si sanciva la neutralità di una parte qualora l’altra fosse in guerra con una terza potenza e l’intervento se fosse in guerra contro due avversari. Dopo due anni ripresero i tentativi giapponesi di affermarsi in Corea, questa volta contro la Russia. La vittoria giapponese nella guerra del 1904-05 (5 settembre 1905, pace di Portsmouth) sancì il ruolo del paese come principale potenza dell’Asia orientale, ruolo rafforzato dallo stabilimento del protettorato sulla Corea nel 1910. Il governo giapponese era consapevole che tali successi derivavano in buona parte da circostanze favorevoli, ma con la prima guerra mondiale, il logorio e la perdita di centralità dell’Europa, porranno le basi per un decisivo balzo in avanti. 10. La crisi del luglio 1914 e lo scoppio della prima guerra mondiale. Mentre si verificarono le varie crisi che coinvolsero le potenze europee Germania e Gran Bretagna si impegnarono in una gara degli armamenti navali che rappresentò una delle massime espressioni della tensione internazionale. Nell’autunno del 1912 fallisce la missione del ministro della guerra britannico Haldane mirante a stabilire un’intesa con la Germania; la Gran Bretagna aveva da un lato avviato un programma navale tale da mantenere un certo vantaggio sulla Germania, dall’altro si accordava con la Francia sulla distribuzione delle flotte con una convenzione navale (marzo 1913). La situazione è caratterizzata quindi dal contrasto anglo-tedesco, da quello franco-tedesco e da quello austro-russo ma non c’è nessun contrasto tra Austria-Ungheria e Francia, tra Austria-Ungheria e Gran Bretagna, ne fra Germania e Russia. L’Italia fu saltuariamente in contrasto con la Francia, ma mai con la Gran Bretagna e nemmeno con la Russia, sarà via via sempre più in contrasto con l’Austria-Ungheria ma non avrà motivi di contrasto diretti con la Germania. Il 28 giugno 1914 a Sarajevo viene assassinato l’arciduca Francesco Ferdinando erede al trono d’Austria-Ungheria da un nazionalista serbo. Vienna vede nello stato serbo un pericolo sempre maggiore e ritiene che sia il momento di risolvere il problema con il sostegno tedesco. In effetti la Germania sostiene l’Austria-Ungheria per tenere legata a se l’alleata, per evitare che si sgretoli 1 7 sotto la spinta dei nazionalismi e per evitare che la crisi superi l’ambito locale. Il 23 luglio l’AustriaUngheria presenta al governo serbo una nota che suona come un duro ultimatum, sembra che si voglia causare una guerra da mantenere localizzata e concludere battendo sul tempo la Russia. Quest’ultima non poteva permettersi ancora uno scacco nei Balcani (soprattutto dopo che aveva ricostruito la sua potenza militare, con un ministro degli esteri del temperamento di Sazonov e con l’esplicita solidarietà francese offerta in quei giorni, seguita poi da inviti alla prudenza). I serbi risposero proponendo di sottoporre la questione al tribunale internazionale dell’Aja o alle grandi potenze. Il 25 luglio il ministro degli esteri britannico Grey propose che le quattro potenze non coinvolte (Germania, Italia, Gran Bretagna e Francia) mediassero tra Russia e Austria-Ungheria, ma ciò favoriva Vienna, si doveva infatti mediare tra Serbia e Austria-Ungheria più che tra Russia e Austria-Ungheria. La Germania aderì pro forma visto che aveva appena incitato gli austroungarici a non perdere tempo nell’azione contro la Serbia (28 luglio 1914), il 29 la Russia decretò la mobilitazione parziale contro l’Austria-Ungheria (che il giorno seguente divenne mobilitazione generale): ciò rappresentava una minaccia per la Germania che il 31 luglio ordinò a sua volta la mobilitazione generale e indirizzò un ultimatum a Russia e Francia. Il 1 agosto la Francia iniziò la mobilitazione generale. Il 2 agosto la Germania inviò un ultimatum al Belgio in cui si chiedeva il permesso di far passare le truppe tedesche attraverso il paese. Il 3 agosto il Belgio rispose negativamente e l’Italia proclamò la sua neutralità. Il 4 agosto le forze tedesche entravano in Belgio. Il 5 agosto la Gran Bretagna dichiarava guerra alla Germania. Nello scoppio della prima guerra mondiale i Balcani fornirono solo la situazione iniziale, l’elemento scatenante per un conflitto determinato da molti altri fattori, tra cui: - la logica dei blocchi di potenza che si svilupparono e si irrigidirono fino a contrapporre stati che non avevano motivi di contrasto; - la gara degli armamenti; - l’irresponsabilità degli uomini di governo; - il modo in cui i generali avevano condizionato la diplomazia; - atteggiamenti di rassegnata aspettativa o di nazionalismo violento che animavano le opinioni pubbliche dei paesi coinvolti. La Gran Bretagna non era vincolata ad entrare in guerra da nessun accordo ma lo fa come risposta all’aggressione tedesca del Belgio (che era uno stato neutrale): il che rappresenta allo stesso tempo una violazione del diritto internazionale e un pericolo per gli interessi britannici. Il 3 settembre 1914 Russia, Gran Bretagna e Francia concludono un’alleanza vera e propria. 1 8 Capitolo 15. La diplomazia della Grande guerra. 1. 1914-1918: cinque anni di trasformazioni internazionali inaspettate e rivoluzionarie. Diversi elementi e mutamenti concorrono a creare il quadro entro cui si sviluppa la diplomazia della prima guerra mondiale: - L’atteggiamento di governi e popoli di fronte al conflitto bellico: la tendenza a non ritenere possibile che il mondo occidentale con la sua civiltà precipitasse nella guerra, il fatalismo dei governi di fronte alle ricorrenti prove di forza, la forza degli ambienti nazionalisti. - La previsione che la guerra fosse di breve durata. - La disponibilità di un numero enorme di soldati. - La trasformazione dello sforzo produttivo e del contesto socio-economico: lo sviluppo industriale e tecnologico, l’impiego su vasta scala di manodopera femminile… - Gli Stati Uniti che divengono il “banchiere del mondo” subentrando all’Europa. - La nascita di una forte opposizione alla guerra. - La guerra che inizia come europea e finisce come mondiale. 2. Problemi e sviluppi della diplomazia di guerra: “trattati imperialistici”, scopi di guerra e iniziative di pace. La politica delle nazionalità. La fase dei trattati imperialistici (così definiti dal regime bolscevico) va dall’inizio del 1915 alla primavera del 1917 e riguarda Francia, Gran Bretagna, Russia e Italia. Trattato di Costantinopoli e degli stretti (marzo-aprile 1915): tra Russia, Francia e Gran Bretagna e assegna alla Russia Costantinopoli e gli stretti (di cruciale importanza strategica), la Gran Bretagna avrebbe ottenuto il controllo dell’Egitto ed esteso la sua area di influenza in Persia, la Francia avrebbe ottenuto tre aree d’influenza in Cilicia, Siria e Palestina. Tale accordo nasce soprattutto al fine di trattenere l’impero zarista da una pace separata con gli imperi centrali ma anche al fine di bilanciare le concessioni che sarebbero state fatte all’Italia nel Patto di Londra. Accordo Sykes-Picot (maggio 1916): Francia e Gran Bretagna stabiliscono l’assetto del Medio Oriente dopo la fine della guerra. All’inizio del 1917 la Francia ancora decisa a sfruttare al meglio la partecipazione russa alla guerra e nell’intento di non farla uscire propone alla Russia Costantinopoli e gli stretti in cambio dell’appoggio all’annessione dell’Alsazia-Lorena, ma ovviamente il governo russo non vuole pagare per ciò che ha già ricevuto. La Francia allora propone l’annessione dell’Alsazia-Lorena e le miniere di carbone della Saar in cambio della libertà per la Russia di stabilire le sue frontiere occidentali. Accordi di San Giovanni di Moriana (17 aprile 1917): le tre potenze dell’Intesa assegnano all’Italia compensi nella parte meridionale e orientale della penisola anatolica. Tra la fine del 1916 e l’inizio del 1917 il presidente Wilson chiese alle potenze belligeranti quali intenti si proponessero di ottenere con la vittoria militare al fine di avviare una politica verso una “pace senza vittoria”: le risposte però non dettero esiti incoraggianti per la linea del presidente americano. Nel corso del 1917 prese piede quella che venne definita la “politica delle nazionalità”: strettamente legata alla propaganda, scelse l’Austria-Ungheria come bersaglio principale e la condizione dei popoli oppressi come leva per scardinare l’impero multietnico. 3. L’intervento italiano. Dopo l’ultimatum austroungarico alla Serbia (23 luglio 1914), il ministro degli esteri italiano Antonio di San Giuliano comunica che se Vienna avesse proceduto a occupazioni territoriali senza consenso italiano avrebbe violato la Triplice e l’Italia avrebbe agito in concordanza con le potenze che avevano interesse a impedire ingrandimenti austrounarici nei Balcani. Il 27 luglio il ministro propone che l’ultimatum alla Serbia non sia imposto da Vienna ma dalle potenze europee (la proposta trova alcuni pareri favorevoli ma non viene attuata) e avvisa la Germania sul possibile intervento britannico. Il 31 luglio l’Austria-Ungheria tentò invano di mantenere l’Italia dalla parte della Triplice con la promessa di Valona come compenso: l’Italia dichiara la sua neutralità. Si crea così una sorta di gara delle due coalizioni per attirare l’Italia, da 1 9 parte della Triplice alleanza per mantenerla almeno neutrale, da parte dell’Intesa per farla scendere in guerra. La situazione interna italiana vedeva diversi schieramenti: - i nazionalisti propendono per un intervento a favore della Triplice intesa, la guerra serve a fare dell’Italia una grande potenza; successivamente questo schieramento, mantenendo inalterata la motivazione sosterrà l’intervento a fianco dell’Intesa. - interventismo democratico (repubblicani, socialisti usciti dal partito al tempo della guerra in Libia, parte dei liberali e parte dei cattolici): comunanza con le democrazie occidentali e completamento dell’unificazione nazionale. - neutralisti: socialisti, gran parte dei cattolici e parte dei liberali. San Giuliano compì un primo passo verso l’Intesa (agosto) e inviò in Russia (settembre) un piano che tracciava a grandi linee lo schema del successivo Patto di Londra. Dopo la sua morte (ottobre) alcuni avvenimenti come l’ingresso della Turchia nella guerra, il blocco degli stretti e il rafforzamento austroungarico nei Balcani spinsero Sonnino a muoversi verso gli imperi centrali, un passo che Vienna, a differenza di Berlino, non seppe cogliere: nonostante le pressioni tedesche gli austroungarici arriveranno ad offrire solo il Trentino (marzo) e per di più ad una serie di condizioni, le richieste italiane erano ben superiori e nel frattempo Sonnino aveva già ripreso il dialogo con l’Intesa e lo portò avanti nonostante i tentativi tedeschi di offrire compensi altrove. Favorevoli alle richieste italiane erano sia i francesi che i britannici, i russi nettamente più tiepidi furono convinti grazie alle pressioni dei due alleati e al Trattato su Costantinopoli e gli Stretti. Il 26 aprile 1915 venne firmato il Patto di Londra, secondo cui l’Italia avrebbe ottenuto: - il Trentino e l’Alto-Adige con il confine al Brennero; - Trieste, Gorizia, Gradisca, la Carniola occidentale e l’Istria fino al golfo del Quarnaro con le isole di fronte; - la Dalmazia e una serie di isole; - la sovranità sul Dodecanneso; - Valona e l’incarico di rappresentare l’Albania nelle sue relazioni con l’estero; - eventuali compensi in Africa in caso di conquista delle colonie tedesche; - un credito immediato di 30 milioni di Sterline; - la garanzia che gli alleati non avrebbero firmato paci separate. Il 5 maggio l’Italia denuncia la Triplice, il 23 maggio dichiara guerra all’Austria-Ungheria. 4. L’intervento degli Stati Uniti. Il 4 agosto Wilson aveva proclamato la neutralità degli Usa, nel paese emergevano posizioni differenti (filo-Intesa, neutrali, disinteressate/più interessate alla situazione nel Pacifico…). La rigorosa neutralità venne però meno a causa di diversi fattori: - gli Usa iniziano a esportare forniture verso i paesi dell’Intesa per un valore stimabile intorno ai 17 miliardi di dollari, se l’Intesa fosse stata sconfitta… - guerra sottomarina indiscriminata da parte dei tedeschi al fine di bloccare i rifornimenti americani; si riteneva che se anche ciò avesse provocato l’intervento americano questo sarebbe arrivato troppo tardi. - il telegramma Zimmermann con cui gli imperi centrali cercarono di indurre il Messico e indirettamente il Giappone a dichiarare guerra agli Usa. Il 2 aprile gli Usa entrano in guerra. Nei primi mesi l’intervento non incise sull’andamento della guerra e divenne realmente consistente solo nel corso del 1918. Dal punto di vista diplomatico gli Usa evitano di stringere alleanze vincolanti salvando il principio isolazionista ed evitando di impegnarsi nei “trattati imperialistici”. 5. I quattordici punti di Wilson e la nuova diplomazia. Il presidente Wilson annuncia gli scopi di guerra degli Usa in 14 punti. I primi 5 riguardano i problemi generali della comunità internazionale: diplomazia aperta, libertà dei mari, soppressione delle barriere economiche, riduzione degli armamenti e problema delle colonie. Gli altri punti riguardano: - il futuro della Russia; 2 0 la liberazione del Belgio, della Francia settentrionale e la restituzione dell’Alsazia-Lorena; la liberazione di Serbia, Montenegro e Romania e lo stabilimento di relazioni pacifiche tra gli stati balcanici; - la creazione di uno stato polacco; - il futuro degli imperi multietnici in base al principio di autodeterminazione; - l’istituzione della Società delle Nazioni (SdN). Quando la Germania chiederà l’armistizio lo farà sulla base di questo programma: completamente diversa sarà la pace impostagli con l’umiliante trattato di Versailles. La nuova diplomazia avrebbe dovuto essere non segreta, basata su principi piuttosto che interessi, sul concetto di autodeterminazione, sul rifiuto delle annessioni territoriali… - 6. Le conseguenze strategiche e diplomatiche della Rivoluzione Russa. Dopo l’abdicazione dello zar (17 marzo 1917) si formò un governo liberaldemocratico guidato prima da Lvov e poi da Kerensky che assicurò agli alleati che la Russia avrebbe continuato la guerra nonostante le enormi difficoltà interne. L’uscita di scena russa provocò una serie di scompensi. Il venir meno del fronte orientale comportò la possibilità per gli imperi centrali di concentrarsi sugli altri due fronti (su quello italiano il 24 ottobre del 1917 si assiste alla rotta di Caporetto). La Russia arrivò dopo la presa del potere da parte dei bolscevichi ad un armistizio con la Germania (5 dicembre) e poi alla pace di Brest-Litovsk (3 marzo 1918) con cui la Russia perse una serie di territori dalla Finlandia, alla Polonia, alla Lituania… Ma gli effetti si fecero sentire anche nei paesi dell’Intesa con diserzioni, scioperi, contestazioni contro quella che era divenuta la “guerra dei padroni” provocando un irrigidimento in tali paesi e l’avvio di una serie di governi di unione nazionale. 7. La vittoria dell’Intesa. Sul fronte occidentale, nonostante l’Intesa avesse fermato l’avanzata tedesca, la guerra continuava come sempre a essere combattuta sul territorio francese. Nei Balcani si assiste all’armistizio con la Bulgaria (29 settembre 1918) a cui segue quello con la Turchia (30 ottobre 1918): gli alleati degli imperi centrali cedettero soprattutto per questioni militari. In Austria-Ungheria è il fenomeno delle nazionalità, già forte prima del 1914, a far crollare l’impero sotto spinte centrifughe sempre più forti. Anche in Germania il fattore è interno: il crollo economico e le difficoltà politiche spingono le autorità tedesche a chiedere al presidente Wilson un armistizio sulla base dei 14 punti, a sua volta il presidente pretende di trattare con un governo democratico: viene proclamata la repubblica (9 novembre 1918) e si crea un governo a guida socialdemocratica. L’11 novembre 1918 la Germania firma l’armistizio. Punto cruciale è che la Germania non venne sconfitta sui campi di battaglia (e la sua popolazione e i suoi politici erano consapevoli di ciò): il successivo trattato di pace di Versailles non aveva nulla a che fare con l’armistizio del novembre 1918 e fu alla base di un sentimento di rivincita e di rabbia che caratterizzerà la Germania del primo dopoguerra. 2 1 Capitolo 16. L’assetto internazionale del primo dopoguerra. 1. La conferenza della Pace. La Conferenza di Pace inizia a Parigi il 18 gennaio 1919: vi partecipano i rappresentanti di tutti i paesi belligeranti nonché dei nuovi stati che andavano formandosi ma gli aspetti fondamentali furono di competenza delle potenze vincitrici. In particolare venne esclusa la Russia e la Germania ebbe un ruolo tanto marginale da non partecipare nemmeno ai negoziati relativi al trattato di pace (a differenza di quanto era avvenuto nel 1815 con la Francia al congresso di Vienna). In questa prima fase, circa fino all’estate due furono le questioni principali affrontate: la Società delle Nazioni e il trattato di pace con la Germania. In generale i trattati con i paesi vinti sono 5 ognuno tra ciascun vinto e tutte le potenze alleate e associate. 2. Il Trattato di Versailles. Le tre potenze assunsero atteggiamenti diversi di fronte alla Germania: - Francia: posizione più intransigente con la creazione di un sistema difensivo sulla sponda ovest del Reno da realizzare anche con la decurtazione di importanti territori alla Germania; - Gran Bretagna: pace giusta per la Germania tenendo conto delle possibilità di espansione della Rivoluzione russa, trattato di garanzia Francia-Gran Bretagna-Usa; - Usa: restituzione dell’Alsazia-Lorena, creazione di uno stato polacco e principi di nazionalità e autodeterminazione; Tre furono i problemi da affrontare: le riparazioni di guerra; i confini del nuovo stato tedesco, i limiti alla sua forza militare. Il Trattato venne firmato il 28 giugno 1919 ed era formato di 440 articoli di cui i primi 26 costituivano il covenant della Società delle Nazioni. Nucleo del trattato sono gli articoli 227-232 ove si afferma la responsabilità totale della Germania nello scoppio della guerra. Perché? - stabilire almeno sul piano teorico un punizione per i capi tedeschi (ma tale tentativo non ha seguito); - introduzione del principio delle riparazioni; Per quanto riguarda le riparazioni il Trattato fissa solo la responsabilità tedesca e l’obbligo a pagare, il calcolo della cifra totale che diviene oggetto di diverse discussioni viene affidato ad una commissione che deve portare ad un risultato entro il maggio 1921 (nel frattempo si decide un acconto di 20 miliardi di marchi oro). In totale la Germania perde tra un sesto e un settimo del suo territorio: l’Alsazia-Lorena viene restituita alla Francia, il Belgio ottiene dopo plebiscito i distretti di Eupen e Malmedy, la Danimarca sempre a seguito di plebiscito lo Schleswig settentrionale. A est parte della Posnania e della Pomerania vengono cedute alla neonata Polonia il cui accesso al mare è rappresentato dal corridoio di Danzica, la quale diviene città libera ma di fatto è amministrata dai polacchi. Alcuni territori tedeschi (la Prussia orientale) risultano quindi staccati dal resto del paese. Anche Memel viene proclamata città libera ma nel 1923 è annessa dalla Lituania. Le colonie tedesche vengono assegnate alla Francia, alla Gran Bretagna e ai suoi Dominions e in Asia orientale al Giappone in contrasto con quanto previsto dai 14 punti. Sempre lungo il confine con la Francia alla Germania viene vietato di mantenere ed erigere fortificazioni sulla riva occidentale del Reno e, dove il fiume fa da confine, su quella orientale per una profondità di 50 km. Il bacino carbosiderurgico della Saar viene posto per 15 anni sotto tutela internazionale (ma con i proventi destinati alla Francia) e poi il suo destino sarebbe stato deciso da un plebiscito. Viene impedita l’annessione dell’Austria. Le clausole militari sono altrettanto pesanti: l’esercito può al massimo essere composto di 100.000 uomini con 4000 ufficiali e viene abolita la coscrizione obbligatoria, vengono proibiti l’aviazione, l’artiglieria pesante, i carri armati e i sottomarini, per le forze navali il limite è a 10.000 tonnellate di stazza. A titolo di Garanzia poi le forze alleate occupano le città di Colonia, Coblenza e Magonza con l’intento di procedere ad un ritiro progressivo in 5, 10 e 15 anni qualora la Germania avesse adempiuto alle clausole del Trattato, d’altra parte si dispone che in caso di necessità le forze alleate possano estendere l’occupazione. È evidente che il Trattato di Versailles ha poco a che vedere con i 14 punti di Wilson (territorio, autodeterminazione, colonie, disarmo generale…), le note presentate dai delegati tedeschi verranno 2 2 scarsamente considerate e il governo della neonata e fragile repubblica di Weimar si trova a dover firmare il Trattato da subito percepito come un’imposizione e un tradimento. 3. I Trattati con gli alleati della Germania. Per quando riguarda l’impero austroungarico esso si è dissolto lasciando spazio a due stati: la Repubblica Austriaca e il Regno d’Ungheria. Trattato di Saint Germain-en-Laye (10 settembre 1919): la Repubblica austriaca viene ridotta ad un piccolo stato etnicamente omogeneo a cui veniva fatto divieto di unirsi alla Germania e alle cui forze armate venivano imposti dei limiti. Le cessioni territoriali riguardavano: Boemia e Moravia alla neonata Cecoslovacchia (i Sudeti erano austrungarici), parte della Slesia e Galizia austriaca alla Polonia, Bucovina settentrionale alla Romania, Bosnia-Herzegovina, Dalmazia, Stiria meridionale alla Jugoslavia e infine Trentino, Altro Adige, Trieste, Gorizia, Carniola occidentale all’Italia. Il problema principale sorge tra Italia e Jugoslavia (v. oltre). Trattato del Trianon: (4 giugno 1920): il Regno d’Ungheria rimaneva uno stato magiaro cedendo Slovacchia e Rutenia subcarpatica alla Cecoslovacchia, Transilvania alla Romania, Backa e Banato occidentale alla Jugoslavia. Un terzo della popolazione ungherese si trova a vivere in altri stati ponendo le basi di uno dei problemi del primo dopoguerra. Trattato di Neully (27 novembre 1919): la Bulgaria cede la Dobrugia meridionale alla Romania, alcuni distretti alla Jugoslavia e altri alla Grecia. Trattato di Sevres (10 agosto 1920): l’impero ottomano durante la guerra si sgretola e i territori arabi sono occupati dalle forze dell’Intesa. L’Italia vuol far valere gli accordi di San Giovanni di Moriana ma Gran Bretagna e Francia si oppongono, nascono così gli accordi italo-greci Tittoni-Venizelos del luglio 1919 con cui l’Italia scambia le sue pretese in Turchia con il consenso greco agli interessi italiani in Albania. Gli accordi vengono resi pubblici suscitando grande scalpore, segue una conferenza che decide che l’Italia avrà un ruolo di una certa importanza in Albania. I Greci inviano le loro truppe in Turchia ma dopo la firma del Trattato di Sevres le truppe dell’Intesa si ritirano. Le clausole del trattato sono dure: amministrazione greca di Smirne e di altri territori per cinque anni, mantenimento della capitolazioni, stato armeno, Kurdistan autonomo, riduzione delle forze armate, mentre la questione degli stretti viene affidata ad una apposita commissione. Tuttavia si era formato un governo nazionalista guidato da Kemal e sostenuto dai militari che inizia una guerra contro i greci fino ad espellerli dal paese nel settembre 1922. Segue la proclamazione di una repubblica laica (quindi viene abolito il califfato) e una revisione del trattato che porta al nuovo Trattato di Losanna (24 luglio 1923) con cui vengono abolite le capitolazioni e i limiti sulle forze armate, tolto l’obbligo ad un Kurdistan autonomo (mentre lo stato armeno era già stato smantellato) e attenuate le misure sugli stretti (sui quali la Turchia riacquisterà la piena sovranità 13 anni dopo). 4. Nasce il problema del Medio Oriente. Fin dal febbraio 1919 venne considerato il problema del Medio Oriente arabo con Feisal che manifesta le aspirazioni arabe all’unità (eventualmente un unico mandato per tutti i territori arabi), tornato in Siria viene proclamato re. Tuttavia la conferenza interalleata di San Remo (19-26 aprile 1920) sancisce la suddivisione in sfere d’influenza tra Gran Bretagna (Palestina e Irak) e Francia (Libano e Siria). Da questi mandati nasceranno l’Irak, la Transgiordania, la Repubblica di Libano e la Repubblica di Siria. La situazione della Palestina sarà più complessa anche a seguito di quella che era stata la dichiarazione Balfour (2 novembre 19179), poi ripresa dalla SdN nell’assegnare il mandato britannico sulla regione, e dell’inasprimento dei rapporti tra arabi ed ebrei. 5. L’Italia fra i quattro grandi. Tre elementi vanno considerati al fine di comprendere la posizione italiana alla Conferenza di pace: - interventismo democratico: guidati dal principio di nazionalità e dall’intenzione di collaborare con i paesi vicini secondo i principi della nuova diplomazia wilsoniana, ritengono che l’Italia debba mantenere Fiume ma in cambio cedere delle aree di Dalmazia non italiane. 2 3 nazionalisti: vogliono il controllo italiano sulla sponda orientale dell’Adriatico, lo slogan che esprime il malcontento di questa parte per la mancata realizzazione di tale prospettiva diverrà quello della “vittoria mutilata” ispirato da D’Annunzio. - governo Orlando-Sonnino: si trovano a negoziare in una condizione difficile in quanto il fronte italiano non era molto conosciuto e l’Italia non poteva certo presentarsi come paese aggredito; inoltre i contenuti del Patto di Londra incontrarono su diversi punti l’opposizione del presidente Wilson. Ne conseguì un certo isolamento per la delegazione italiana, con Fiume che anziché essere considerata possibile oggetto di scambio divenne un simbolo e con la presentazione del memorandum Barzilai (in cui l’Italia elencava le proprie rivendicazioni e cercava di motivarle dal punto di vista storico, culturale e strategico) che non ebbe effetti positivi sulla delegazione americana. - 6. Il problema adriatico, 1919-1920. L’azione della delegazione italiana fu particolarmente intensa per quanto riguarda la questione adriatica: le aspirazioni espresse dal memorandum Barzilai in cui oltre a quanto previsto dal Patto di Londra si aggiungevano le pretese su Fiume e altri territori si scontravano con le posizioni americane secondo cui se le modifiche territoriali sul confine italiano settentrionale erano accettabili, quelle sul confine orientale violavano palesemente il principio di nazionalità e peraltro non erano più motivate da ragioni di sicurezza legate all’Austria-Ungheria. Francia e Gran Bretagna assunsero una posizione intermedia, talora manifestando l’intendo di tener fede agli impegni presi verso l’Italia e talora cercando di convincere il governo di Roma a scendere a compromessi. Nell’aprile 1919 l’Italia si dichiara disponibile ad uno scambio tra territori dalmati non italiani e Fiume, ma visto il rifiuto inizia a maturare l’idea di ritirarsi dai negoziati cosa che avviene poi fino al 7 maggio. Dopo il rientro italiano ancora una volta non fu raggiunto un accordo e nel giugno la coppia Orlando-Sonnino fu sostituita da Nitti-Tittoni. Una delle linee d’azione di Tittoni fu quella di un accordo con la Grecia (luglio 1919) e di una nuova proposta che accettata da Francia e Gran Bretagna che prevedeva la creazione dello stato libero di Fiume, tuttavia la posizione italiana fu complicata dall’azione di D’Annunzio. Dopo le dimissioni Tittoni venne sostituito da Scialoja e poi si arrivò al governo Giolitti-Sforza mentre prendevano corpo negoziati bilaterali tra Italia e Jugoslavia, negoziati che dal febbraio 1920 divennero la sede in cui risolvere il problema adriatico. L’Italia godette della sua posizione di maggior forza dovuta a diversi fattori: il ruolo internazionale, il maggiore disinteresse americano, la fretta di francesi e britannici per risolvere la questione, l’isolamento diplomatico jugoslavo… e si giunse al trattato di Rapallo (12 novembre 1920), secondo cui: - la frontiera con l’Istria ricalcava quella del patto di Londra con una leggere variante verso est; - Zara e il territorio circostante per un raggio di 7 km venivano assegnati all’Italia; - alcune isole del golfo del Quarnaro e dell’Adriatico erano assegnate all’Italia; - veniva creato lo stato libero di Fiume. In questo modo mezzo milione di slavi erano passati all’Italia. 2 4 Capitolo 17. Vent’anni fra due guerre. 1. Le due “superpotenze dietro le quinte”. La mancata ratifica da parte del senato americano del trattato di pace contenente il Patto della SdN (marzo 1920, gli Usa stipuleranno poi una pace separata con la Germania nel 1921) e la vittoria dei repubblicani alle elezioni (novembre 1920) sono i punti cruciali di un ritorno da parte degli Usa ad una politica di isolazionismo, dovuta anche alle “disillusione” rispetto alla politica europea e alla questione dei debiti. Gli Stati Uniti porteranno avanti una politica mirante a risolvere il complesso intreccio creatosi tra riparazioni di guerra e debiti interalleati (senza per altro raggiungere i risultati sperati) e una politica relativa all’Asia orientale e al disarmo navale. In quest’ultimo ambito giunsero alla Conferenza di Washington (novembre 1921-febbraio 1922) in cui si stabilì un sistema dell’Asia orientale basato si tre atti: - trattato delle quattro potenze (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Giappone): decade l’alleanza anglo-giapponese e le parti si impegnano a rispettare i reciproci diritti sui rispettivi possedimenti insulari nel pacifico (una sorta di trattato di non aggressione); - trattato delle nove potenze (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Italia, Olanda, Belgio, Portogallo, Cina e Giappone): sancisce la garanzia internazionale della sovranità, dell’indipendenza e dell’integrità territoriale della Cina confermando la dottrina americana della “porta aperta” in contrasto con le sfere d’influenza delle singole potenze; - trattato cino-giapponese: rinuncia giapponese ai privilegi ottenuti in Cina durante la guerra. Tutti e tre i trattati quindi affrontano la questione dell’espansionismo giapponese e tale questione permea anche l’ultimo trattato, quello sul disarmo navale che fissava proporzioni tra le principali potenze: 5 per Usa e Gran Bretagna, 3 per Giappone, 1,75 per Francia e Italia. Altro tratto distintivo di questa fase fu l’attenzione all’America latina ponendo termine agli aspetti più eclatanti dell’egemonia statunitense in america centrale, rinunciando al sistema dell’intervento ma assicurandosi il controllo sui prestiti ai paesi latinoamericani. I rapporti della Russia sovietica con le altre potenze sono fin dall’inizio segnati dalla dura pace di BrestLitovsk e dall’intervento delle potenze dell’Intesa a favore delle forze controrivoluzionarie. La Russia sarà esclusa dal sistema elaborato a Parigi. In questa situazione si assiste all’avvio di rapporti tra le due principali potenze uscite sconfitte dalla guerra e di una fase di esportazione della rivoluzione verso i paesi che sono usciti più in difficoltà dalla guerra (Germania, Ungheria, Italia…). Tuttavia il nuovo regime è diviso tra la linea dell’esportazione della rivoluzione e quella del “socialismo in un solo paese” che alla fine prevale. Da qui si dirama una duplice politica: da un lato appoggiare le forze rivoluzionarie all’interno degli stati capitalisti, dall’altro normalizzare le relazioni diplomatiche con questi stati. Sul primo versante nel marzo 1919 viene creata la Terza internazionale (Comintern) che divenne lo strumento con cui l’Urss manteneva i collegamenti con i partiti comunisti nazionali. Sull’altro versante tra il 1920 e il 1921 verranno firmati una serie di trattati con i paesi confinanti (Estonia, Lituania, Finlandia, Turchia e Polonia con le ultime due che ottengono cessioni territoriali) che definiscono le frontiere, successivamente inizia una fase volta alla riorganizzazione interna e alla normalizzazione dei rapporti (soprattutto sul piano economico) con i paesi occidentali: il trattato commerciale anglo-sovietico del 16 marzo 1921 segna il riconoscimento de facto da parte di Londra. La conferenza economica internazionale di Genova (10 aprile-19 maggio 1922) non fu un successo in questo settore ma fornì l’occasione per concludere il trattato di Rapallo tra Germania e Urss (16 aprile 1922) che liquidava il contenzioso economico tra i due paesi e ristabiliva relazioni diplomatiche rappresentando il primo riconoscimento de jure dell’Urss. In realtà già da tempo si era avviata una cooperazione tedesco-sovietica in campo militare che permetteva alla Germania di sperimentare nuovi armi in Urss e a quest’ultima di modernizzare le proprie forze armate. È riscontrabile quindi l’avvicinamento tra i due principali perdenti della guerra. A metà degli anni Venti l’Urss aveva ottenuto il riconoscimento delle principali potenze europee (quello formale degli Usa arriverà nel 1933). Altro aspetto della politica estera sovietica era il tentativo di procurarsi consenso e influenza dove poteva: in Asia, e in particolare in Cina. Il 31 maggio 1924 un trattato con Pechino normalizza le relazioni diplomatiche, riconosce la Mongolia interna come parte della Cina, e sancisce la rinuncia da parte di Mosca ai trattati ineguali imposti alla Cina nel secolo precedente. 2 5 Tuttavia l’Urss di diresse anche verso il governo di Canton, puntando sul Kuomintang e spingendo il partito comunista cinese a collaborare con esso. 2. Le potenze occidentali e il problema della sicurezza europea. Riparazione di guerra tedesche e “sistema francese”. Il trattato di Locarno. La Gran Bretagna nel periodo successivo alla prima guerra mondiale anziché tornare alla sua storica politica di distaccata vigilanza si impegnò sul continente in maniera alquanto discontinua. Ciò era dovuto sia al suo ruolo internazionale e globale che stava cambiando che a un assetto di pace caratterizzato da molte difficoltà. Inoltre con la prima metà degli anni Venti si assiste ad un allentamento tra Gran Bretagna e Francia. La Germania si trovava a gestire una situazione interna particolarmente difficile: la repubblica di Weimar a prevalenza socialdemocratica doveva infatti confrontarsi con forze rivoluzionarie venendo per forza a patto con forze conservatrici-militariste. Si poneva poi il problema di uscire dalla condizione in cui il trattato di Versailles l’aveva confinata e in particolare la questione delle riparazioni di guerra. L’Italia da un lato è assorbita nei suoi avvenimenti interni, dall’altro è spinta a una politica di ambiguità derivante dal fatto di essere una potenza vincitrice ma insoddisfatta. La Francia si pone (per la sua posizione, per il ruolo avuto nella guerra, per i suoi interessi) come garante del sistema di Versailles, inasprendo l’ostilità dei tedeschi e suscitando diffidenza negli alleati. La questione delle riparazioni fu uno dei temi dominanti degli anni Venti. Il trattato di Versailles stabiliva che la Germania dovesse pagare innanzitutto la somma forfetaria di 20 miliardi di marchi oro mentre un’apposita commissione avrebbe calcolato l’ammontare totale. Tale questione si collegò però a quella dei debiti interalleati: in particolare i paesi debitori subordinarono l’estinzione del debito al pagamento delle riparazioni da parte degli sconfitti, e ciò spiega l’azione statunitense in merito alla questione delle riparazioni. Già in questa fase però la Germania si trova in difficoltà con i pagamenti finora stabiliti e vengono scoperti macchinari per la produzione di artiglieria pesante e si era quindi proceduto all’occupazione da parte delle forze dell’intesa della città di Dusseldorf, Duisburg e Rhurort (marzo 1920). Nel luglio del 1920 la conferenza di Spa aveva fissato le percentuali di riparazioni spettanti a ciascun paese nel seguente modo: Francia 52%, Gran Bretagna 22%, Italia 10%, Belgio 8%... all’inizio di maggio venne resa noto l’ammontare complessivo delle riparazioni: 140 miliardi di marchi oro a cui si sottraevano quelli già pagati arrivando così a 132 miliardi con un sistema di rate annuali che la Germania inizialmente accetta ma già nell’autunno del 1922 dichiara di non essere in grado di continuare a pagare. Si sviluppano una serie di negoziati con i britannici che sostengono un sistema di pagamento meno rigoroso, tale da non prostrare completamente l’economia tedesca. L’11 gennaio del 1923 forze francesi e belghe occupano la Rhur (politica del pegno produttivo) malgrado le proteste britanniche e italiane. L’azione fece precipitare la già grave situazione inflazionistica tedesca, il governo tedesco spinge i lavoratori alla resistenza passiva (che culmina in sabotaggi e nell’introduzione da parte francese della legge marziale). I governi di Gran Bretagna e Usa proposero nel mese di ottobre un’inchiesta internazionale che accertasse le capacità di pagamento della Germania, la proposta venne accettata dalla Francia e vennero creati due comitati: uno per studiare il problema dell’inflazione e l’altro per studiare le modalità di pagamento. Lo statunitense Dawes presiedette il secondo comitato che nell’aprile del 1924 presentò il cosiddetto “piano Dawes” che regolò i pagamenti fino al 1929 con un sistema basato su una rata fissa ed una eventuale (a seconda delle possibilità tedesche). Successivamente un altro statunitense Young lo sostituì. Il governo tedesco accetta e la situazione sembra normalizzarsi. Fallito il tentativo di una rigorosa applicazione del trattato di Versailles, la Francia cercò parallelamente di creare una rete di accordi con medie e piccole potenze. Nel settembre del 1920 uno scambio di lettere e un accordo segreto portarono ad un alleanza franco-belga. Tuttavia la Francia cercava appoggio soprattutto a est (ove non poteva più fare affidamento sulla Russia) e si diresse verso la Polonia con cui giunse ad un’alleanza nel febbraio del 1921. Precedentemente però vi era stato un accordo con l’Ungheria (21 giugno 1920) che iniziò a portare avanti una serie di rivendicazioni sui suoi antichi territori: ciò da un lato rischiava di trascinare la Francia verso una contraddittoria politica di revisionismo e dall’altro privava la stessa Francia della possibilità di alleanza con Jugoslavia, Romania e Cecoslovacchia. Inoltre ciò comportò le preoccupazioni italiane sia per l’azione francese nei Balcani che per le possibilità di una restaurazione asburgica in Ungheria. La Cecoslovacchia prese l’iniziativa contro questa prospettiva 2 6 portando alla creazione della Piccola Intesa (trattato ceco-jugoslavo del 14 agosto 1920 e adesione romena il 19 agosto), anche l’Italia in occasione del trattato di Rapallo (12 novembre 1920) concluse una convenzione antiasburgica con la Jugoslavia, e convenzioni di questo tipo vennero poi firmate tra Romania e Cecoslovacchia e tra Romania e Jugoslavia (1921). In questa situazione la Francia abbandonò la linea ungherese per sostenere invece la Piccola Intesa stipulando trattati con Cecoslovacchia, Romania e Jugoslavia (rispettivamente nel 1924, 1926 e 1927). Fino a che punto questo sistema poteva garantire la sicurezza francese? All’inizio del 1925 l’ambasciatore britannico a Berlino propose la possibilità di un patto di garanzia dei confini occidentali della Germania e trova come interlocutore il ministro degli esteri Streseman, un capace e deciso sostenitore di una revisione pacifica del trattato di Versailles. La proposta viene accolta e si sviluppa, la Francia prima cauta dimostra poi maggiore entusiasmo con Briand ministro degli esteri. Il trattato di Locarno viene concluso il 16 ottobre 1925 e comprendeva diversi atti: - patto sulla Renania: Francia, Belgio e Germania si impegnavano ad accettare le frontiere stabilite a Versailles, Gran Bretagna e Italia si ponevano come garanti; - quattro convenzioni di arbitrato tra Germania e rispettivamente Francia, Belgio, Polonia e Cecoslovachia; - una nota relativa all’adempimento degli obblighi previsti dall’art. 16 del patto dalla SdN in relazione alla situazione di disarmo della Germania; - due trattati tra Francia e Polonia e tra Francia e Cecoslovacchia con cui la prima si impegnava a intervenire in aiuto delle altre qualora fossero state attaccate dalla Germania; - un protocollo finale firmato da Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Belgio, Cecoslovacchia e Polonia. Il trattato segnò un epoca, si parlò di “spirito di Locarno”, la prospettiva della pace sembrava più vicina. In realtà il trattato non prendeva in considerazione quello che era il vero problema dell’Europa, ovvero i confini orientali della Germania. Tuttavia lo spirito di Locarno continuò ad aleggiare sull’Europa anche grazie al Patto Kellog-Briand del 27 agosto 1928, una generica dichiarazione di intenti contro la guerra a cui aderiscono tutti gli stati. 3. Continuità e revisionismo nella politica estera dell’Italia fascista. La conciliazione con la Santa Sede. Nell’affrontare il tema della politica estera italiana tra le due guerre vanno fatte alcune precisazioni. Si può anche parlare di politica estera fascista ma tenendo sempre presente che si tratta comunque di politica estera italiana. Ciò significa che se la politica interna del ventennio assume caratteri chiaramente impressi dal fascismo, la politica estera lo fa molto meno e mantiene molti degli aspetti del periodo prefascista. Questo per diversi motivi: - la politica estera pone dei limiti (rappresentati dagli altri stati); - il contesto geopolitico rimane ovviamente lo stesso e gli ambiti della politica estera italiana continuano ad essere principalmente quello balcanico e quello mediterraneo; - il corpo diplomatico rappresenta un importante fattore di continuità (v. l’influente figura di Contarini). La politica estera italiana diviene spesso uno strumento per ottenere il consenso, soprattutto nella prima fase, quando il fascismo ha bisogno di consolidarsi. In particolar modo i patti lateranensi rappresentano il superamento dell’ostacolo rappresentato dalla Chiesa che si opponeva non al fascismo di per sé ma allo stato italiano in quanto tale. Gli esempi di come la politica estera sia anche un mezzo per ottenere consenso sono molti: - l’incidente di Corfù nel 1923; - il ruolo dell’Italia nei trattati di Locarno (garante della situazione al pari della Gran Bretagna); - l’annessione di Fiume nel 1924. Anche negli anni Trenta è poi presente questa dimensione ma in misura senza dubbio più ridotta. In questa fase diviene centrale la politica del “peso determinante”: con ciò si intendeva il fatto che esistendo due schieramenti sullo scenario internazionale (soddisfatti e insoddisfatti), l’Italia, vincitrice della prima guerra mondiale ma insoddisfatta, poteva schierarsi dall’una o dall’altra parte risultando così appunto “peso determinante”. In altre parole l’Italia non si schiera a priori con nessuno e anche quando si 2 7 avvicinerà sempre più alla Germania manterrà una certa libertà d’azione che le consentirà di entrare in guerra solo nel giugno del 1940 dopo aver attentamente valutato le varie opzioni disponibili. Infine possiamo rilevare come Mussolini assuma su di se la carica di ministro degli esteri ogni volta che si presentano situazioni cruciali: - 1922-29: Mussolini è ministro degli esteri per tutta la fase in cui il regime si afferma; - 1929-32: Dino Grandi ministro degli esteri; - 1932-36: Mussolini riassume la carica in vista della guerra in Etiopia e della sua preparazione, Dino Grandi diviene ambasciatore a Londra; - 1936-43: Galeazzo Ciano ministro degli esteri. Quando nell’ottobre 1922 Mussolini diviene primo ministro assume su di se la carica di ministro degli esteri, tre sono i problemi fondamentali: - politica verso gli ex nemici e verso gli alleati: stare con la Francia, con la Gran Bretagna o tentare di mediare; - definire la politica verso i paesi dell’altra sponda del Adriatico, in particolare la Jugoslavia; - ottenere l’adempimento delle promesse alleate in campo coloniale. Visti tali obiettivi Mussolini procedette ricorrendo a collaboratori tratti dalla diplomazia professionale (ad es. Contarini). Nell’estate del 1923 l’incidente di Corfù con il conseguente ultimatum italiano alla Grecia, il bombardamento e l’occupazione dell’isola si risolse con i metodi della diplomazia pre-fascista; l’episodio non fu seguito da altri elementi che facessero pensare ad un nuovo corso della politica estera italiana. Anzi Mussolini tentò già dalla fine del 1922 di mediare tra Francia e Gran Bretagna, arrivando ad un intesa con quest’ultima per poi partecipare al trattato di Locarno in veste di garante. In questa fase si assiste anche alla conclusione del problema adriatico con la Jugoslavia: con il Trattato di Roma del 27 gennaio 1924 Fiume cessa di essere una città libera e viene annesso all’Italia. La svolta del 1925-26 risponde soprattutto a esigenze interne della fase di transizione verso la dittatura: si assiste ad una fascistizzazione del personale diplomatico (es. Grandi diviene sottosegretario agli esteri) e a proclami audaci più che a iniziative concrete. Ciò non toglie che l’Italia si impegni in questa fase in settori tradizionali quali l’Africa e i Balcani. Viene riconquistata la Libia (lasciata senza controllo militare durante la guerra), si ottiene l’ampliamento della Somalia, l’ammissione nel 1923 dell’Etiopia alla SdN. Il 2 agosto 1928 si giunge con quest’ultima ad un trattato di amicizia e arbitrato. E il 26 novembre 1926 si era giunti ad un trattato di amicizia e sicurezza che stabiliva di fatto un protettorato italiano sull’Albania. L’espansione italiana a Fiume e in Albania però accesero le preoccupazione di Belgrado comportando il raffreddamento dei rapporti italo-jugoslavi e quindi italo-francesi dato che la Francia si era posta come protettrice della Piccola Intesa. Si può parlare di un primo revisionismo fascista che ha caratteristiche particolari: - l’attenzione a porre l’Italia in posizioni di autorevolezza; - il tentativo di arrivare ad una parziale revisione per via pacifica; - la volontà di mantenersi comunque legati alle potenze vincitrici e in particolare alla Gran Bretagna; - i limiti dell’azione in Europa all’area danubiano-balcanica; - non rappresenta un avvicinamento alla Germania (maggiore potenza revisionista); - non è una politica di solidarietà ideologica. Infine gli anni Venti sono chiusi dalla normalizzazione dei rapporti con la Santa Sede, da parte italiana si trattava di un importante risultato di politica interna (ma anche un miglioramento dell’immagine del regime presso i cattolici all’estero) e di concludere una questione che gli altri governi non avevano saputo affrontare. Per la Santa Sede si trattava di regolamentare la sua posizione nello stato in cui risiedeva. Si giunge quindi ai patti lateranensi dell’11 febbraio 1929 (Mussolini-Gasparri) con cui l’Italia riconosceva la sovranità della Santa Sede e la religione cattolica come unica religione di stato. 4. La Grande Crisi e le sue conseguenze economiche e politiche. La crisi economica pone fine a quello che era stato chiamato “spirito di Locarno” e alle illusioni di pace ad esso collegate. Il 24 ottobre 1929 il crollo della borsa di New York scatenò una serie di effetti che si propagheranno in tutti gli Usa e poi nel mondo intero inserendosi in contesti già caratterizzati da problemi 2 8 politici e debolezze economico-sociali. In Gran Bretagna le conseguenze della crisi giunsero in un periodo di trasformazione dell’impero in cui la Gran Bretagna deve cedere alcuni importanti vantaggi nei confronti dei Dominions. Nel 1931 essa deve rinunciare a due elementi importanti: il libero scambio e il gold standard. In Germania le ripercussioni furono disastrose in quanto colpirono un paese in già gravi difficoltà. La crisi coincide con la morte di Streseman (e la fine della politica di revisione pacifica) e la svolta del partito nazional-socialista che raccoglie e incanala il malcontento della popolazione raggiungendo una serie di successi elettorali notevoli: nel settembre 1930 conquista 107 seggi (il secondo partito dopo i socialdemocratici), nel luglio 1932 ottiene 230 seggi (divenendo il primo partito), nel novembre del 1932 subisce una leggera flessione con 196 seggi. Nei mesi successivi Hitler supera le resistenze e Hindenburg lo nomina cancelliere, il suo governo entra in carica il 30 gennaio 1933, il 28 febbraio si fa conferire pieni poteri. In Italia Mussolini volle mantenere la parità aurea della lira per ragioni di prestigio e dovette quindi ricorrere a una serie di interventi governativi, il problema più rilevante fu comunque quello della disoccupazione. La crisi ebbe effetti diversi in Germania, Giappone e Italia: nel primo caso fu un fattore cruciale del passaggio dalla repubblica di Weimar al Terzo Reich, nel secondo comportò l’esautorazione dei moderati da parte dei militari e l’avvio di una decisa politica di espansione, nel terzo il regime era già affermato e le politiche da esso adottate nel far fronte alla crisi misero in luce i vantaggi di un regime autoritario rispetto alle democrazie. La Francia risentì in ritardo della crisi e in modo più duraturo, l’anno più critico fu il 1933 ed ebbe forti ripercussioni sul piano politico. Tra la fine degli anni Venti e l’inizio del decennio successivo si assiste anche agli ultimi tentativi di prolungare l’illusione della pace, soprattutto per quanto riguarda la questione delle riparazioni. Il piano Young definito il 7 giungo 1929 prevedeva un sistema di pagamenti che iniziato nel 1930 sarebbe finito nel 1988. Dopo l’inizio della crisi la Germania esplicitò le sue difficoltà e il presidente americano Hoover propose una moratoria dei pagamenti per un anno (1 luglio 1931-30 giugno 1932), nel frattempo però una commissione di esperti concluse che il pagamento completo delle riparazioni avrebbe compromesso la stabilità finanziaria della Germania a tal punto da avere effetti negativi anche per gli altri paesi industrializzati. La Francia si disse disponibile ad una abolizione delle riparazione a condizione che fossero aboliti anche i debiti interalleati, cosa che venne rifiutata dal congresso statunitense nel dicembre del 1931. Alla conferenza di Losanna del 16 giugno-9 luglio 1932 si decise che la Germania avrebbe dovuto pagare solamente un saldo di tre miliardi di marchi (cosa che per altro non avvenne). Gli Usa riconfermarono la richiesta della restituzione dei prestiti ma la richiesta fu seguita solo dalla Finlandia. Ciò segnava l’inizio di una fase di scontento e di indignazione da parte degli Usa nel momento in cui si profilavano crisi e prove di forza. Due altre conferenze cercarono di operare a favore della pace: tra il gennaio e l’aprile del 1930 a Londra si discusse di armamenti navali; dal febbraio 1931 (formalmente fino all’aprile 1935) a Ginevra si discusse sul problema generale della riduzione degli armamenti e sulla questione del riarmo tedesco. 5. L’espansione delle potenze nazionaliste totalitarie. Il Giappone in Asia orientale. Il Giappone fu la prima potenza nazionalista totalitaria a iniziare una decisa politica di espansione. Una politica iniziata nei decenni precedenti che aveva poi visto il paese uscire vittorioso dalla prima guerra mondiale e quindi stabilire il proprio controllo sulle posizione tedesche in Cina e la propria amministrazione mandataria su alcune isole del pacifico. Tale linea politica per altro è condizionata dalla crescita demografica e dai limiti posti dalla carenza di materie prime allo sviluppo giapponese, nel primo dopoguerra comunque il Giappone non riesce a superare alcuni limiti come l’inadeguatezza del sistema bancario, costi di produzione troppo alti (una volta ritornati ad una normale condizione di concorrenza) e la povertà dei piccoli proprietari agricoli. Nella seconda metà degli anni Venti gruppi di militari nazionalisti (portavoce di tendenze autoritarie e antiparlamentari) accrescono il loro potere fino ad esautorare gli esponenti politici più moderati anche a seguito della grande crisi economica. Il 18 settembre 1931 una bomba contro la ferrovia gestita dai Giapponesi in Manciuria porta le forze armate nipponiche a prendere l’iniziativa e a occupare le regione. Il governo cinese si appella alla SdN che si rivolge al Giappone e poi nomina una commissione d’inchiesta (9 dicembre 1931). Il Giappone nel frattempo crea in Manciuria lo stato del Manciukuò con a capo l’ultimo imperatore cinese. Il 2 ottobre 1932 il rapporto della commissione condanna l’azione giapponese, mesi dopo (24 febbraio 1933) la SdN non riconosce lo stato del Manciukuò e impone il ritiro delle truppe giapponesi, il 27 marzo 1933 il 2 9 Giappone lascia la SdN. Dal punto di vista americano gli effetti della grande crisi rendevano il presidente Hoover restio a impegnarsi in Asia Orienatale ne conseguirà la dottrina Stimson secondo cui gli Usa non riconosceranno la legalità di qualsiasi azione militare in Cina ne considereranno valido alcun trattato in contrasto con la politica della porta aperta. Tale posizione di disimpegno incoraggia il Giappone a proseguire, nel frattempo prosegue la politica di riarmo sia per supportare l’espansione che per far fronte alla crisi economica. Permane la difficoltà del paese nel reperire materie prime e la necessità di ingenti importazioni da paesi con i quali i rapporti si vanno raffreddando. Sul piano interno esistono due posizioni: l’esercito che vuole prepararsi ad una guerra contro l’Urss e la marina che invece guarda verso uno scontro con gli Usa, il primo prevale inizialmente mentre la seconda si afferma in un momento successivo. Per tutti gli anni Trenta la penetrazione in Cina prosegue, con una tregua tra il 1933 e il 1935 e la svolta del 1937. Dal 1937 inizia una vera e propria guerra non dichiarata verso la Cina sulla quale il Giappone vuole stabilire un proprio protettorato, nel mese di luglio le truppe giapponesi entrano a Nanchino e si spingono all’interno del paese. Un impegno consistente per il Giappone (700.000 uomini in Cina) a cui poi si aggiungono la direttrice antisovietica (con il patto anticomintern con la Germania) e quella di espansione nel Pacifico facendo della politica di Tokyo la più azzardata tra quelle delle potenze totalitarie. 6. L’espansione delle potenze nazionaliste totalitarie. L’Italia fra Africa orientale e Mediterraneo. In Italia dopo la grande crisi si posero le basi dell’avvicinamento alla Germania e di una effettiva svolta che portava il paese da un revisionismo/espansionismo verbale ad uno politico e militare. Nei primi anni Trenta il regime si è ormai consolidato e Mussolini dirige la politica estera italiana verso due direttrici: l’area balcanici e l’espansione coloniale in Africa. Nel primo settore l’Italia si mostra particolarmente attiva verso l’Ungheria, cerca di destabilizzare la Jugoslavia sostenendo il movimento croato ustascia, controlla di fatto l’Albania (trattati del 1926-27) e fino ad un certo punto ha anche un ruolo non secondario nel garantire l’indipendenza dell’Austria. Nel luglio 1932 Mussolini assume la carica di ministro degli esteri, inviando Dino Grandi come ambasciatore a Londra. Nell’ottobre del 1932 in due discorsi a Torino e Milano il duce espone la prospettiva di un’Europa fascista (mentre prima riteneva il fascismo non esportabile): l’affermarsi del nazionalsocialismo in Germania rendeva preoccupanti le affermazioni di Mussolini in quanto si configurava una situazione per cui una delle potenze vincitrici era animata da intenti revisionistici proprio quando nella principale potenza sconfitta si affermava un regime fortemente revisionista e aggressivo. Tuttavia in una prima fase Mussolini si dimostrò favorevole ad una politica di equilibrio. Il 14 marzo 1933 l’ambasciatore italiano consegnò al ministro degli esteri tedesco un progetto di accordo e collaborazione tra Italia, Germania, Francia e Gran Bretagna che prevedeva una revisione graduale dei trattati di pace e una politica comune nelle questioni europee e coloniali. L’Italia inoltre comunicò la propria disponibilità nelle questioni relative alla parità degli armamenti e alla Prussia orientale. L’Italia così mirava a rafforzare il suo ruolo in Europa e ad accrescere i suoi possedimenti al di fuori di essa. Dopo che Hitler accettò il progetto, lo stesso venne presentato a Parigi e Londra, i britannici presentarono poi un loro testo che però svuotava la proposta italiana dei suoi contenuti principali. Infine nel mese di giugno si arrivò ad un testo che sostanzialmente si rifaceva allo statuto della SdN. L’altra questione cruciale di questo periodo è la preparazione della guerra contro l’Etiopia. Dal punto di vista italiano la conquista del paese africano significava un’enorme disponibilità di terreni coltivabili, oltre poi a questioni di prestigio e di potenza a livello internazionale. Il fatto che l’Etiopia fosse uno stato sovrano membro della SdN e che un’eventuale conquista italiana avrebbe fortemente modificato gli equilibri di potere in Africa rendevano la questione particolarmente delicata. Nel luglio del 1933 Mussolini assume anche la carica di ministro della guerra e poi di ministro della marina e dell’aeronautica. Da qui alla guerra in Africa i rapporti italo-tedeschi non furono basati su una forte collaborazione a causa di due motivi principali: - differenze ideologiche e dottrinali (questioni razziali) e rivalità di partito (il fascismo che si era posto come guida ideologica di altri movimenti era in difficoltà di fronte al nazionalsocialismo); - interessi contrastanti: l’Austria. La Germania aveva iniziato una politica volta a favorire l’affermarsi di un regime nazista in Austria, primo passo di una eventuale annessione: tra il 1933 e il 1934 la propaganda della Germania in Austria aumentò notevolmente spingendo il cancelliere tedesco Dollfuss ad appellarsi alle altre potenze. Il 17 3 0 gennaio 1934 Gran Bretagna, Francia e Italia emanarono tre comunicati al fine di affermare l’indipendenza austriaca; il giugno successivo un incontro tra Mussolini e Hitler non portò ad alcun chiarimento, così quando il 25 luglio 1934 un tentato colpo di stato dei nazisti fu sventato ma portò alla morte di Dollfuss le forze italiane si mobilitarono e l’opinione pubblica si infiammò. A livello diplomatico in settembre una dichiarazione congiunta italo-franco-britannica confermò l’intento di mantenere l’indipendenza e l’integrità austriaca. La collaborazione tra Italia e le altre potenze occidentali fu portata avanti ancora per circa un anno, mentre la Germania riacquisiva il controllo della Saar e avviava il riarmo: Mussolini voleva così veder riconoscere le aspirazioni italiane in Etiopia da parte di Francia e Gran Bretagna. Per tutto il 1934 l’Italia aveva protestato per presunte violazione del confine da parte delle forze etiopiche fino all’incidente di Ual-Ual del 5 dicembre, il 13 il duce rivolgendosi alle più alte autorità del regime affermava la necessità di un intervento militare e della conquista del paese africano. Il 6-7 gennaio del 1935 a Roma Mussolini incontra il ministro degli esteri francese Laval per definire la soluzione di un contenzioso con la Francia: l’Italia rinunciava a qualsiasi diritto in Tunisia, vi erano poi una serie di rettifiche territoriali e veniva trattato il problema dell’Etiopia. Rimane però controverso l’esito dell’incontro su quest’ultimo punto: Mussolini asserì sempre di aver ottenuto in via informale l’assenso francese ad un’azione in Africa orientale, Laval non negò di aver considerato l’argomento ma sostenne di essersi limitato a concedere che in futuro la cosa fosse trattata. Principalmente per lo stesso motivo l’Italia nel mese di aprile partecipò alla conferenza di Stresa, ultima dimostrazione di solidarietà tra gli ex alleati della prima guerra mondiale, in cui in particolare i britannici evitarono di sollevare la questione africana per non alienarsi l’appoggio italiano e ciò fu percepito da Mussolini come un tacito assenso. La Gran Bretagna cercò di risolvere il contrasto italo-etiopico sia tramite rapporti bilaterali che in seno alla SdN. Nella seconda metà di giugno 1935 il ministro per la SdN Eden propose un primo compromesso con cui la Gran Bretagna avrebbe garantito l’accesso al mare per l’Etiopia, un secondo compromesso prevedeva invece un mandato italo-franco-britannico con preminenza italiana sul paese. Mussolini respinse le proposte mentre l’opposizione all’Italia nell’ambito della SdN andava crescendo. La SdN propose infine un comitato incaricato di riorganizzare l’impero etiopico. Il 5 ottobre 1935 l’Italia iniziò la guerra e la SdN approvò una serie di sanzioni piuttosto circoscritte, su questa linea continuò la politica franco-britannica del compromesso con la presentazione del piano LavalHoare l’11 dicembre 1935 in base al quale l’Italia avrebbe ottenuto alcune regioni e il diritto di colonizzarne altre: un piano estremamente favorevole a Roma, Mussolini fu tentato di accettare ma il piano cadde e i due ministri furono sconfessati dai rispettivi governi, quando l’idea venne scoperta dalla stampa. In questo contesto si poneva la possibilità di un avvicinamento italiano alla Germania (per alcuni come mossa momentanea, per altri come una vera e propria svolta alla politica italiana): lo stesso Mussolini era stato contrariato dall’azione tedesca in Renania e solo dopo che i tedeschi fecero presente l’importanza della loro azione al fine di distrarre Francia e Gran Bretagna dall’operato italiano il duce si impegnò a non prendere posizione contro la Germania, unico paese ad aver sostenuto l’Italia nella guerra in Africa. Era il primo segno dell’avvicinamento italo-tedesco. Nel frattempo le truppe italiane completavano l’azione in Africa e il 9 maggio 1936 veniva proclamato l’Impero italiano d’Etiopia. Il 18 giugno la Gran Bretagna si disse favorevole all’abolizione delle sanzioni verso l’Italia, cosa che avvenne effettivamente il 15 luglio 1936. Intanto era cominciata la guerra civile spagnola e per la prima volta si poneva all’Italia la possibilità di realizzare le proprie ambizioni a ovest. Diversi fattori (geopolitica, ideologico, di prestigio) spinsero l’Italia a sostenere attivamente il fronte nazionalista. Sostegno che ebbe due conseguenze negative: il consumo di importanti risorse e il mancato compenso da parte del regime di Franco. Il 7 aprile 1939 l’Italia fa l’ultimo tentativo di rafforzare la sua posizione occupando l’Albania. Tuttavia allo scoppio della seconda guerra mondiale la posizione italiana nell’area non risultava particolarmente rafforzata. 7. L’espansione delle potenze nazionaliste totalitarie. La Germanica in Europa. Le premesse dell’espansionismo tedesco risalgono al trattato di Versailles e al peso delle riparazioni di guerra; più recentemente tra gli anni Venti e Trenta va considerato il modo in cui il partito nazionalsocialista sfrutta la grande crisi per arrivare al potere, i suoi successi economici e di politica estera come elementi fondamentali del consenso, il clima di tensione interna (verso gli ebrei) ed esterna (contro la pace di Versailles) che caratterizza la Germania dopo il 1933. La prima fase della politica 3 1 estera nazista corre su due strade: da un lato il tentativo di tranquillizzare le altre nazioni e dall’altro un insieme di minacce e azioni di sorpresa. Così Hitler aderisce al Patto delle quattro potenze (in quanto ciò significava il riconoscimento della Germania tra le grandi potenze) ma poco dopo si ritira dalla conferenza sul disarmo e dalla SdN (19 ottobre 1933): quest’ultima decisione in particolare segna la definitiva rottura con la linea di revisionismo moderato e graduale di Stresemann e pone la base di una nuova fase ben più aggressiva. Due sono le direttrici della politica hitleriana in questa fase: la Polonia e l’Austria. Il 26 gennaio 1934 la Germania firmò un patto di non aggressione della durata di dieci anni con la Polonia, liberandosi così della minaccia rappresentata dall’appoggio polacco alla Francia e promettendo in cambio di non cercare di risolvere con la forza (non di rinunciare a risolvere) il problema del corridoio di Danzica. Per quanto concerne l’Austria è chiaro come una serie di fattori culturali, politici ed economici spingessero verso l’avvicinamento dei due paesi, l’annessione dell’Austria da parte della Germania era però proibita dai trattati di Versailles e di Saint Germain per ovvi motivi strategici. Nei primi anni Venti i due paesi sconfitti sono deboli ed il problema non emerge, anzi l’Austria cerca di sfruttare la situazione dichiarando nel 1921 che non avrebbe avuto alcun interesse ad avvicinarsi alla Germania se le potenze vincitrici si fossero impegnate a fornirle un certo sostegno economico. La crisi del ’29 però ripone il problema: entrambi i paesi ne risentono fortemente e un avvicinamento nella forma di un’unione doganale viene visto come un fattore positivo, questa convinzione porta al protocollo Kurtius-Schoeber (primavera 1931). Ciò non può che preoccupare le altre potenze europee: l’unione doganale del 1834 era stata il primo passo verso l’unificazione della Germania, ora potrebbe essere il primo passo verso l’annessione dell’Austria. Il caso viene affidato alla Corte internazionale di giustizia della SdN ma prima che questa si pronunci Germania e Austria ritirano la loro iniziativa. Il 30 gennaio 1933 Hitler diviene cancelliere imprimendo una forte svolta alla politica tedesca e ponendo come obiettivo l’unificazione di tutti i tedeschi e quindi l’Anchluss. A tale scopo si avvia una politica di sostegno al partito nazista austriaco, il quale una volta giunto al potere faciliterebbe senza dubbio l’annessione. Nel luglio del 1934 viene ucciso il cancelliere austriaco Dollfuss con l’intento di far nominare al suo posto il ministro nazista Seyss-Inquart che avrebbe chiesto l’intervento tedesco. Tuttavia Dollfuss prima di morire riesce a gestire la successione. In Italia le reazioni sono forti sia a livello di opinione pubblica che dello stesso Mussolini, amico personale di Dollfuss, che in quei giorni ospitava la famiglia del cancelliere austriaco: l’Italia avvia quindi una serie di manovre militari come monito per la Germania. A livello internazionale nel settembre 1934 Francia, Gran Bretagna e Italia affermarono congiuntamente l’indipendenza dell’Austria. Tuttavia Hitler superò questa battuta d’arresto soprattutto grazie all’esito del plebiscito che il (13 gennaio 1935) sanciva il ritorno della Saar alla Germania, il nuovo anno poi vedeva anche l’avvio del riarmo tedesco. Quella che era stato chiamato il fronte di Stresa iniziò a manifestare la sua debolezza quando la Gran Bretagna si dichiarò disponibile ad accettare il riarmo tedesco, arrivando il 18 giugno 1935 ad un trattato anglo-tedesco che permetteva alla Germania di ricostruire una marina da guerra. La rottura fra potenze occidentali e Italia in occasione della guerra d’Etiopia poi fornì a Hilter l’occasione per un avvicinamento all’Italia e allo stesso tempo nella situazione di caos internazionale il 7 marzo 1936 annunciò l’inizio dell’occupazione della Renania. Nell’estate del 1936 i partiti nazionalsocialisti di Germania e Austria dichiarano di non volere l’Anchluss e Berlino si impegna a riconoscere la sovranità e l’indipendenza dell’Austria: in questo modo è possibile abolire i limiti alla propaganda nazista in Austria e rimettere in liberà un certo numero di attivisti politici condannati dopo il tentativo di colpo di stato del 1934. Poco dopo veniva meno un altro elemento del sistema francese, il Belgio, che al fine di salvaguardare la propria posizione in una eventuale guerra si dichiarò neutrale. Il 23 ottobre 1936 Italia e Germania concludevano una convenzione in cui le due potenze si impegnavano nella lotta contro il bolscevismo e riconoscevano le reciproche sfere d’influenza (mitteleuropea per la Germania, mediterranea per l’Italia), il 1 novembre Mussolini annunciava l’asse Roma-Berlino (non un trattato ma un concetto, l’idea appunto di un collegamento, di un’asse attorno a cui ruotasse la politica dell’Europa). Il 6 novembre 1937 l’Italia aderiva al patto anticomintern. Per il regime nazista ai successi internazionali si univano quelli interni soprattutto sul piano economico. L’asse RomaBerlino, la Francia che stava affrontando una difficile situazione di politica interna, la linea di appeasement seguita dalla Gran Bretagna rendevano la situazione adatta a procedere verso l’Anchluss. Il 12 febbraio 1938 la Germania cercò di imporre all’Austria di accettare Seyss-Inquart come capo della polizia, il governo di Vienna cercò di resistere e ne nascono tensione e disordini: è il pretesto giusto per intervenire. Il 12 marzo 1938, dopo che lo stesso Seyss-Inquart aveva preso il controllo della cancelleria e 3 2 chiesto l’aiuto della Germania, le truppe tedesche entrano in Austria. Gran Bretagna e Francia non reagirono, l’Italia accettò la cosa e nel 1939 un accordo con la Germania la portò a disciplinare la condizione degli abitanti della provincia di Bolzano e a confermare il confine al Brennero. La politica hitleriana non si fermò all’Austria: il fronte patriottico dei Sudeti a partire dal 1937 aveva condotta una dura campagna revisionistica che mirava all’annessione al Reich delle popolazioni tedesche che si trovavano in Cecoslovacchia. La situazione diventò presto molto tesa e di fronte al mobilitarsi delle forze tedesche e cecoslovacche la Gran Bretagna cercò di mediare mentre la Francia proponeva di assumere una garanzia comune a favore della Cecoslovacchia, tuttavia questa rientrava anche negli interessi di Mosca (Cecoslovacchia e Urss avevano stipulato un patto di reciproca assistenza nel 1935) e quindi la crisi tendeva ad estendersi a diversi attori. Il 12 settembre 1938 Hitler manifestò pubblicamente la possibilità di una guerra, il 15 Chamberlain lo incontrò e riuscì ad ottenere che si cercasse di risolvere la questione con un plebiscito nei Sudeti. Tuttavia quando il governo britannico, quello francese e quello cecoslovacco furono convinti, la Germania alzò il livello dello scontro con un memorandum estremamente durò, la Gran Bretagna dichiarò che sarebbe scesa in guerra a fianco della Francia nel caso questa lo avesse fatto. Il 27 settembre 1938 Hilter dava ordine di procedere militarmente contro la Cecoslovacchia, tuttavia fu convinto da Mussolini a partecipare ad una conferenza a quattro a Monaco (29-30 settembre). In quest’occasione Hilter ottenne di poter occupare i Sudeti garantendo al contempo le nuove frontiere della Cecoslovacchia (anche se egli avrebbe preferito procedere dando prova della forza militare tedesca). La tregua di Monaco fu illusoria dato che tre settimane dopo Hilter ordinò di procedere in tutta la Cecoslovacchia cercando allo stesso tempo di confondere gli interlocutori e sostenendo le richieste dei nazionalisti slovacchi. Nei primi mesi del 1939 questi, fallite le trattative col governo di Praga costituiscono un governo autonomo guidato da monsignor Tiso, Hilter minaccia Tiso di abbandonare il suo governo qualora la Slovacchia non si fosse separata dal resto del paese. Il 14 marzo 1939 Hitler pone il governo Cecoslovacco di fronte a due possibilità: la guerra o l’ingresso pacifico delle truppe tedesche nel paese: Praga viene occupata e il 18 marzo 1939 viene creato il protettorato di Boemia e Moravia, la Slovacchia diviene uno stato indipendente e la Rutenia subcarpatica restituita all’Ungheria. È la prima volta che la Germania nazista assoggetta un popolo non tedesco. Ora Hitler deve affrontare la questione di Danzica e della Polonia. 8. Le alleanze delle potenze nazionaliste totalitarie. La guerra di Spagna e il patto di non aggressione tedesco-sovietico. Le politiche espansionistiche di Germania, Italia e Giappone si sviluppano in modo indipendente e separato per buona parte degli anni Trenta, anche la divisione di sfere d’influenza tra Roma e Berlino è sostanzialmente qualcosa che resta sulla carta. Il fatto che ad un certo punto tali linee politiche convergano fino alla stipulazione del Patto tripartito nel 1940 è dovuto a diverse ragioni: la Germania vuole approfittare dell’isolamento italiano per porre fine in modo definitivo al vecchio fronte dell’Intesa e per beneficiare del sostegno italiano nella sua politica aggressiva, l’Italia vuole uscire a sua volta dall’isolamento e ciò porta al Patto d’acciaio del 22 maggio1939; l’altro patto è quello anticomintern stipulato tra Germania e Giappone nel 1936 (a cui poi aderiscono anche Italia, Ungheria, Spagna) che comunque non rappresenta un deciso impegno comune tra Berlino e Tokyo. In questo contesto va inserita la guerra civile spagnola. Le elezioni del febbraio 1936 vedono la vittoria del Fronte popolare, il governo si trova in una situazione di tensione, disordini e violenze e nel luglio dello stesso anno parte delle forze armate insorge sotto la guida di Francisco Franco dando il via a tre anni di guerra che videro contrapporsi repubblicani e nazionalisti. Perché questa guerra fu così importante? Senza dubbio per la posizione occupata dalla Spagna nel Mediterraneo, alcuni vi videro anche un’anticipazione di un’eventuale guerra tra democrazie e totalitarismo (anche se così non si tiene conto ne dell’Urss ne delle posizioni conservatrici ma comunque antifasciste e antinaziste. Il 1 agosto del 1936 il governo francese propone l’adozione di un accordo per il non intervento, subito accolto dagli altri paesi. Gli interventi in realtà ci furono: - Italia: è il paese che interviene più intensamente in Spagna per motivi strategici e di eventuali vantaggi nel mediterraneo occidentale, per evitare che un governo di Fronte popolare in Spagna alteri gli equilibri europei, per motivi ideologici… - Germania: interviene in modo più limitato, sa che la guerra mantiene l’attenzione degli altri paesi 3 3 distante dalle sue azioni in Europa centrale, vi è poi la speranza di poter accedere a risorse minerarie a condizioni vantaggiose, la necessità di sperimentare armamenti e tecniche e infine la simpatia politica verso il franchismo. - Urss: manifesta con decisione il proprio sostegno al governo repubblicano ma l’intervento effettivo è molto limitato, è la prima volta che interviene in questioni relative all’Europa occidentale e lo fa per mantenere la tensione lontano dalle sue frontiere e per motivi ideologici. - Francia: emergono posizioni favorevoli a entrambe le parti contrapposte, il governo invia in segreto forniture ai repubblicani. - Gran Bretagna: è l’unica potenza europea a rispettare l’accordo di non intervento, vede in una rapida conclusione della guerra la soluzione migliore. In Gran Bretagna e in Francia le divisioni interne rispetto alla guerra in Spagna ebbero un certo peso nel posticipare le realizzazione di quell’unità nazionale che avrebbe poi permesso di andare oltre il semplice allineamento diplomatico e le manifestazioni verbali. In ogni caso tra il marzo e l’aprile del 1939 le due potenze manifestano la loro opposizione all’aggressiva politica tedesca: il 23 marzo dichiarano di essere pronte a intervenire qualora fosse stata messa a rischio l’incolumità di Olanda, Belgio e Svizzera, il 31 la Gran Bretagna assicura il suo aiuto alla Polonia in caso di aggressione tedesca (seguita da un’analoga dichiarazione della Francia) e il 13 aprile lo stesso viene fatto con la Grecia minacciata dall’azione italiana in Albania. L’Urss da parte sua vide con preoccupazione la denuncia da parte tedesca del patto con la Polonia (28 aprile 1939) e le richieste tedesche di un passaggio attraverso il corridoio polacco. La Germania ormai si stava concentrando sulla questione di Danzica e dello spazio vitale verso oriente, ma anche nel rinsaldare il legame con l’Italia che aveva attraversato una fase di difficoltà dato che Hitler non aveva gradito il ruolo di Mussolini a Monaco e a sua volta non lo aveva avvisato prima di procedere contro Praga. Mussolini da parte sua cercò di equilibrare il rapporto con la Germania occupando l’Albania (aprile 1939). Il 22 maggio 1939 Italia e Germania stipulavano il Patto d’acciaio con cui si impegnavano ad agire congiuntamente per la reciproca sicurezza, a intervenire in aiuto l’una dell’altra con tutte le forze disponibili qualora una delle due si fosse trovata in guerra, a non concludere paci separate senza l’accordo di entrambe. Poco dopo però lo stesso Mussolini affermava che l’Italia sarebbe stata in grado di scendere in guerra solo dopo tre anni. Ma altre riserve gravavano sul Patto: l’avversione di alcuni esponenti del fascismo a legarsi alla Germania e la tendenza tedesca a vedere l’alleata non su un piano di parità ma di subordinazione, inoltre come fa notare De Felice fino al giugno 1940 Mussolini è deciso a portare avanti la politica del “peso determinante”. Tornando alla Polonia, la Gran Bretagna cerca di coinvolgere l’Urss in un accordo di garanzia, Mosca è favorevole ma a patto che questo riguardi l’area dalla Romania ai paesi baltici. Le potenze occidentali sono d’accordo ma non i paesi direttamente interessati ne la Polonia accetta di far transitare le truppe sovietiche sul suo territorio. Il 21 agosto 1939 i sovietici informano i francesi di non essere interessati ad un accordo di garanzia. In questa situazione l’Urss, pur con la sua avversità sia verso le potenze nazifasciste che verso le democrazie occidentali, si trova nella vantaggiosa posizione di poter trattare con entrambi gli schieramenti. Il 23 agosto 1939 il Germania e Urss conclusero il patto di non aggressione Ribbentrop-Molotv con cui sostanzialmente si stabiliva la neutralità di una delle due parti qualora l’altra si fosse trovata in guerra, un protocollo segreto poi disciplinava la ripartizione tra le due potenze degli stati baltici e della Polonia (una sorta di compenso accordato da Hitler alla Russia in cambio della non aggressione). Praticamente la Germania aveva mano libera nell’attaccare la Polonia, Hitler fissò l’attacco per il 25 agosto, ma prima avanzò la proposta di un accordo alla Gran Bretagna relativo alla spartizione del mondo in sfere d’influenza. Hitler sperava che la notizia del patto tedesco-sovietico facesse cadere Chamberlain e la garanzia alla Polonia: ciò non avvenne anzi la Gran Bretagna sostituì la garanzia con un più vincolante patto anglo-polacco di assistenza. Infine la Germania cercò di convincere l’Italia a prender parte all’impresa ma quest’ultima si dichiarò impreparata per sostenere lo sforzo bellico. Il 1 settembre 1939 la Germania attaccava la Polonia, il 3 Francia e Gran Bretagna dichiaravano guerra alla Germania. 3 4 La Società delle Nazioni. Il quattordicesimo punto del manifesto di guerra degli Stati Uniti prevedeva la creazione di un’organizzazione che, istituzionalizzando i conflitti internazionali, rendesse più facile una loro soluzione pacifica o una risposta collettiva tale da scoraggiare o sconfiggere gli aggressori. Il Covenant (documento istitutivo della Società delle Nazioni) era composto di 26 articoli e venne inserito all’inizio di ogni trattato di pace tra ciascun paese vinto e le varie potenze alleate e associate. Gli organi della SdN erano: l’Assemblea: formata dai rappresentanti di tutti i paesi membri, non aveva poteri chiaramente delimitati; il Consiglio: composto dalle principali potenze alleate e associate e dai rappresentanti di quattro altri stati membri scelti dall’Assemblea; era l’organo di governo dell’organizzazione; il Segretariato: aveva compiti di coordinamento organizzativo. Il Consiglio e l’Assemblea deliberavano con voto unanime (con l’esclusione delle parti coinvolte nella controversia). Per quanto riguarda il mantenimento della pace erano previste sia misure preventive (arbitrato, mediazione, ricorso alla Corte internazionale permanente di giustizia…) che sanzioni che potevano andare dalle misure economiche fino all’uso della forza. Inoltre gli stati membri si impegnavano a non stipulare trattati segreti, a rivedere trattati divenuti inattuali, al disarmo… Per quanto riguardava invece il problema delle colonie venne creato il metodo dei mandati (tre tipi di mandato A,B,C a seconda dello stato). Le debolezze della SdN emersero fin dall’inizio: - la mancata ratifica del trattato da parte degli Usa (marzo 1920), l’esclusione della Russia, la posizione della Germania e il sostanziale disinteresse del Giappone escludevano dalla SdN attori di primaria importanza segnando quindi un primo limite. - Il ruolo di Francia e Gran Bretagna, nonché il fatto che l’ingresso nella SdN fosse sostanzialmente imposto ai vinti, contribuirono a far apparire l’organizzazione come uno strumento delle potenze vincitrice piuttosto che come un’organizzazione universalistica. - Il sistema decisionale basato sull’unanimità garantiva di fatto un sistema di veto generalizzato che rischiava di paralizzare l’organizzazione in qualsiasi momento. 3 5 I rapporti tra Italia e Francia nel periodo tra le due guerre. Possiamo individuare quattro periodi: 1918-25, 1925-32, 1933-36 e 1936-40 Primo periodo. 1918-25. L’Italia non vede realizzate completamente le proprie aspirazioni. La Francia alla conferenza di Parigi si concentra soprattutto sul problema di impedire un ritorno della minaccia tedesca e mantiene una posizione piuttosto defilata sulle altre questioni, cosa che viene percepita dall’Italia come un atteggiamento sfavorevole. L’Italia cerca quindi di muoversi sul piano bilaterale ottenendo qualche concessione dalla Francia lungo il confine libico. Quest’ultima a sua volta ha due priorità: la sicurezza (e quindi cerca di costruire un proprio sistema di sicurezza in Europa) e l’esecuzionismo (ovvero la volontà di far rispettare in tutto e per tutto le clausole del trattato di Versailles). La Francia si avvicina quindi alla Piccola Intesa (Jugoslavia, Romania e Cecoslovacchia) e alla Polonia. A tal fine, ma anche per quanto riguarda i collegamenti con l’impero coloniale, è utile un buon rapporto con l’Italia. L’ascesa del fascismo è vista come un evento positivo in quanto da stabilità all’Italia, nonostante i toni aggressivi di Mussolini che comunque hanno soprattutto la funzione di conquistare il consenso interno. Nel gennaio 1923 la Francia e il Belgio occupano la Rhur scontrandosi con la disapprovazione britannica e italiana, Parigi cercando di ottenere il consenso italiano appoggia l’Italia nella crisi di Corfù e nei rapporti con la Jugoslavia. Secondo periodo. 1925-32. Il trattato di Locarno (ottobre 1925) sembra aprire la prospettiva di una riconciliazione tra Francia e Germania e quindi fa venir meno quel contrasto che aveva favorito la politica estera italiana nella fase precedente, a ciò si aggiunge il governo socialista in Francia e l’omicidio di Matteotti. I rapporti italo-francesi attraversano una fase di raffreddamento. La Francia continua a sostenere i paesi non revisionisti, l’Italia si avvicina a quelli revisionisti, si riaccende la questione della Tunisia, la Francia offre asilo agli oppositori del fascismo. Comunque i contatti continuano: a livello di stati maggiori si cerca di favorire un accordo militare tra i due paesi in previsione di eventuali azioni tedesche, a livello di SdN si hanno una serie di rivendicazioni da cui emerge la volontà italiana di espandersi in Etiopia. Terzo periodo. 1933-36. Il progetto di unione doganale tra Austria e Germania preoccupa sia Francia che Italia, nonostante le divergenze in vari settori l’indipendenza dell’Austria è un elemento cruciale per entrambe le due potenze, soprattutto dopo che Hitler diviene cancelliere. Mussolini, che nel 1932 aveva riassunto la carica di ministro degli esteri, non risponde positivamente ai tentativi di avvicinamento da parte francese ma preferisce avanzare la proposta del Patto delle quattro potenze. In realtà alla fine la proposta di Mussolini viene svuotata del suo significato iniziale. Comunque l’azione diplomatica francese aveva stabilito dei rapporti con l’Italia e il ministro degli esteri francese Barthou avvia una politica basata sulla ricerca di più concrete alleanze bilaterali. Quest’ultimo però viene ucciso nel 1934 insieme al re di Jugoslavia, il suo successore Laval il 7 gennaio del 1935 si incontra con Mussolini, viene stabilito che le due potenze si impegnano a consultarsi in caso di crisi, la partecipazione dell’Italia alla ferrovia GibutiAdis Abeba e vengono fatte concessioni sul confine libico, si da poi una definitiva sistemazione alla questione degli italiani in Tunisia, infine vi è la questione dell’Etiopia. Nel giugno dello stesso anno si hanno accordi tra stati maggiori relativi ad eventuali azioni tedesche che però non entrano in vigore. Quarto periodo. 1936-40. Il governo del fronte popolare in Francia, l’azione italiana in Etiopia producono un raffreddamento nei rapporti italo-francesi. Nel periodo 1937-38 si assiste poi ad un avvicinamento tra Italia e Gran Bretagna con il conseguente isolamento francese. L’Italia comincia anche ad avvicinarsi alla Germina fino poi ad entrare in guerra al fianco di quest’ultima contro la Francia il 10 giugno 1940. 3 6 L’appeasement. Il termine appeasement indica la politica adottata dalla Gran Bretagna dalla metà degli anni Trenta e portata avanti dal governo Chamberlain (con Eden e poi Halifax come ministri degli esteri) fino alla fine di marzo del 1939. Si tratta di una linea politica di concessione di determinate aspettative alla Germania (e in misura minore e diversa all’Italia), piuttosto che questa le ottenesse con la forza. Si tratta di una politica estremamente realistica che ha come base la consapevolezza che la Gran Bretagna non è in grado di sostenere uno sforzo bellico di grandi proporzioni e che quindi deve porsi su una linea accomodante. Il punto è che l’interlocutore (Hitler) non è altrettanto razionale. Cos’è disposta a concedere la politica dell’appeasement? In linea generale concede la riunificazione dei tedeschi entro il Reich, l’appeasement viene meno quando la Germania aggredisce popolazioni non tedesche (la Cecoslovacchia nel marzo del 1939). In generale comunque si può riscontrare fin dall’immediato dopoguerra la consapevolezza britannica che la Germania è stata punita troppo duramente e quindi una politica più aperta al compromesso rispetto a quella francese. L’appeasement assume connotati diversi nei confronti della Germania e dell’Italia: è chiaro che Hitler rappresenta un pericolo molto maggiore rispetto a Mussolini e al tempo stesso non si vuole rafforzare l’idea di asse Roma-Berlino. Per quanto riguarda i rapporti con la Germania al Foreign office si assiste ad un prevalere della lobby filo-tedesca a scapito di quella filofrancese; nell’aprile 1937 Handerson diviene ambasciatore a Berlino con facoltà di riferire direttamente al primo ministro, stringe legami personali con Goering e Ribbentrop e spesso si espone in modo spregiudicato a sostegno della politica tedesca. Handerson sarà protagonista anche del tentativo di appeasement coloniale, ovvero del tentativo di trovare un compromesso con la Germania con la cessioni di territori coloniali da parte della Gran Bretagna. Nel 1938 si pone la questione dei Sudeti, la Cecoslovacchia dal 1935 è legata da due trattati a Francia e Urss. L’Urss dichiara di non intervenire in caso di aggressione a meno che non intervenga anche la Francia (e comunque la Polonia non vuole concedere il passaggio di truppe sovietiche sul suo territorio), la Francia non ha intenzione di agire senza la Gran Bretagna. Nel settembre del 1938 Chamberlain inizia a rendersi conto di come Hitler non sia un interlocutore attendibile. Il 30 settembre c’è l’incontro di Monaco con il quale si concedono a Hilter i Sudeti. È l’ultima concessione britannica, la politica estera del governo Chamberlain inizia a cambiare. La Germania non si arresta e il 18 marzo del 1939 le sue truppe entrano in Cecoslovacchia: è la fine definitiva dell’appeasement. Il 31 marzo Chamberlain di fronte al parlamento inglese afferma che il tentativo di attentare alla sovranità polacca (e quindi non il semplice tentativo di ridisegnarne i confini) sarà seguito dall’intervento della Gran Bretagna, poco dopo la Francia si schiera sulla stessa posizione. L’appeasement verso l’Italia assunse caratteri diversi. Dopo il discorso di Mussolini sull’asse RomaBerlino a Londra ci si interroga se non sia venuto il momento di considerare chiusa la questione dell’Etiopia e di cercare di riaprire il dialogo con l’Italia. L’Italia non può che essere favorevole a ciò in quanto sta continuando la sua politica del “peso determinante”. Il 2 gennaio 1937 Italia e Gran Bretagna arrivano ai gentelman agreements: non contengono clausole particolari se non quelle relative al rispetto dello status quo nel Mediterraneo ma sono significativi per la ripresa dei rapporti italo-britannici. Tuttavia nel corso dello stesso anno si va oltre a si arriva anche ad una serie di accordi commerciali e culturali mentre Dino Grandi lavoro ad un progetto ben più consistente. Nel febbraio 1938 una bozza di accordi italo-britannici vedrà la contrarietà di Eden e le sue dimissioni, Halifax diverrà il nuovo ministro degli esteri. Si giunge il 16 aprile 1938 agli accordi di Pasqua: otto trattati e uno scambio di lettere tra Galeazzo Ciano e lord Perth. I trattati riguardavano le più varie questioni (sicurezza, fortificazioni, manovre militari, acque del lago Tana, controlli sulla propaganda ostile, libertà di navigazione attraverso il canale di Suez…), lo scambio di lettere contiene gli elementi più significativi: la Gran Bretagna si impegna a considerare ormai chiusa la questione dell’Etiopia e a cercare di convincere gli altri paesi a fare lo stesso, l’Italia a non pretendere nel caso di vittoria dei franchisti una base alle isole Baleari. Gran Bretagna e Italia non hanno quindi alcun contenzioso. 3 7