Storia delle relazioni internazionali

Storia delle relazioni internazionali (1870-1941)
Testi:
Ottavio Bariè, Dal sistema europeo alla comunità mondiale, Celuc libri Milano.
Vol. 1: pagg. 325-441
Vol. 2: tomo 1 pagg. 313-409; tomo 2 pagg. 423-571
Aspetti generali
Storia delle relazioni internazionali: con una concezione ampia potrebbe essere definita come storia di
tutto ciò che ha attraversato un confine. È vero ma enormemente vasto. La definizione “storia delle
relazioni politiche internazionali” (o “storia diplomatica”) restringe il campo alle relazioni politiche tra i
soggetti dell’ordinamento internazionale. Quali sono questi soggetti? Fino all’Ottocento erano quasi
esclusivamente stati sovrani (= che non ammettono autorità al di sopra), nel corso del Novecento si
sviluppano centri di potere diversi dagli stati (organizzazioni internazionali governative e non, grandi
gruppi industriali ed energetici, confessioni religiose…). Da quando si parla di storia delle relazioni
internazionali? da quando nasce il sistema internazionale ovvero dalle paci di Westfalia (1648) che
pongono fine alla guerra dei trenta anni. Quali sono le conseguenze? La guerra era stata l’ultimo braccio
di ferro tra impero e papato al fine di estendere la propria egemonia sul continente europeo (con
Napoleone e Hitler non si può parlare di tentativi coerenti e organici ma di situazioni contingenti),
nessuno dei due raggiunge l’obiettivo perché ormai in Europa si è formata una pluralità di centri di potere
non riconducibili all’uno o all’altro. Viene adottata la formula cuis regio eius religio secondo cui spetta a
chi detiene il potere politico decidere la religione ufficiale (tollerando le minoranze). Ciò segna la fine
delle guerre di religione.
Altri sviluppi:
 nascita della diplomazia moderna: rapporti diplomatici esistevano anche prima ma occasionali e
discontinui (eccetto Venezia), dalla pace Westfalia divengono stabili e permanenti;
 è la prima conferenza internazionale (i negoziati durano 10 anni): ne consegue che è qui che nasce
la diplomazia multilaterale, inoltre ciò è importante perché quando le conferenze divengono
permanenti assumono la forma di organizzazioni internazionali;
 questioni linguistiche: fino a metà Seicento la lingua ufficiale dei trattati era il latino, cosa che ne
permetteva la comprensione in tutta Europa ma a un numero estremamente limitato di individui; le
paci di Westfalia saranno redatte in tutte le lingue parlate nei paesi firmatari avviando una prassi
che continua tuttora;
 cursus honorum: si sviluppa una prassi nel cerimoniale diplomatico soprattutto come risposta a
concrete esigenze;
 viene ufficializzata la figure del mediatore: un inviato di Venezia e uno dello stato della Chiesa
svolgono tale funzione;
 si iniziano a ordinare e catalogare metodicamente i documenti.
Concretamente in Storia delle relazioni internazionali si affronta il periodo dal 1870 al 1970.
Le Fonti
Per Fonti si intende il materiale su cui si basa la storia delle relazioni internazionali. Si può distinguere tra
fonti primarie e fonti secondarie. Le prime sono quelle prodotte da chi è direttamente coinvolto nelle
questioni e nelle scelte politiche (documenti, lettere, comunicazioni usate per gestire le varie situazioni, in
particolare scambi epistolari tra ministeri e sedi diplomatiche, tra ministeri e ministeri, tra ministeri e
governo), senza modifiche o interpretazioni. Le seconde sono fondate sulle fonti primarie (commenti,
sintesi, interpretazioni). Questa classificazione non implica assolutamente un ordine gerarchico di
importanza o valore. Per quanto riguarda le fonti primarie vi è un limite legato alla sicurezza e
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all’immagine dello stato per cui c’è un limite temporale alla loro divulgazione: ad esempio nella maggior
parte dei paesi europei sono accessibili dopo circa 30 anni, in Italia dopo 50 (salvo casi particolari in cui il
tempo si riduce a 30 anni), negli Usa dopo 25, il Vaticano rende disponibili i propri documenti fino al
1922 (con rare eccezioni), infine paesi non democratici possono evitare completamente di rendere
pubblici tali documenti. Tuttavia anche negli stati democratici esistono motivazioni per posporre la
disponibilità di certi documenti:
- sicurezza dello stato (es. basi militari);
- pericoli per l’immagine e la dignità di uno stato;
- pericolo per l’incolumità di singoli individui (in Italia la legge sulla privacy pone un limite di 70
anni).
È inoltre norma di buon comportamento nelle relazioni fra stati la reciprocità nella chiusura dei
documenti qualora la loro pubblicazione potesse arrecare danno ad altri.
I documenti dei servizi di informazione e sicurezza sottostanno alle stesse norme, evidentemente i
contenuti della maggior parte di essi tendono però a farne posticipare la declassificazione. Ben diverso è il
caso di attori non statali: solitamente le organizzazioni internazionali non creano problemi ma gruppi
industriali o comunque privati sono liberi di concedere o meno i loro documenti (che sono appunto
privati).
Storia delle relazioni internazionali e altre discipline
La storia delle relazioni internazionali ha come obiettivo la ricostruzione della trama di un determinato
evento o di una serie di eventi sulla base delle fonti; uno studioso di relazioni internazionali (un
politologo) invece cercherà di inserire gli eventi all’interno di un più generale sistema cognitivo di regole
di comportamento (approccio normotetico); un giurista delle relazioni internazionali o un economista
internazionale studieranno l’aspetto giuridico o economico…
Periodizzazioni
È possibile individuare alcuni periodi facendo ricorso a “eventi periodizzanti”:
1815-1848: età della restaurazione.
1848: ondata rivoluzionaria.
1848-1871: realizzazione degli stati-nazione (Italia e Germania).
1871-1890: periodo bismarckiano
1890-1914: deriva delle alleanza, trasformazione degli equilibri di potenza.
1914-1918: prima guerra mondiale.
1918-1939: vent’anni fra due guerre. Possiamo individuare due sotto-periodi:
Anni ’20: età delle illusioni
Anni ’30: ritorno alla realtà
1939-1945: seconda guerra mondiale.
1945-1956: guerra fredda.
19456-1991: bipolarismo.
Quadro generale: i protagonisti principali di questa fase sono sostanzialmente Germania, Francia, AustriaUngheria, Russia, impero ottomano, Gran Bretagna e Italia.
La Germania unificata mira sostanzialmente al mantenimento dello status quo e degli equilibri europei
nonché all’isolamento della Francia. Questa è animata da un forte desiderio di rivincita verso i tedeschi,
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gode tradizionalmente di buoni rapporti con la Russia mentre ha relazioni negative o comunque non
positive con la Gran Bretagna per motivi coloniali e con l’Italia sia per motivi coloniali che per la
questione romana. Per quanto riguarda la Russia, oltre ai buoni rapporti con Parigi va segnalata una
crescente conflittualità sia con l’Austria-Ungheria per questioni balcaniche sia con la Gran Bretagna a
causa dei tentativi russi di aprirsi una via verso il Mediterraneo e di estendere la propria influenza
nell’Asia centrale. La Gran Bretagna manterrà una posizione cosiddetta di splendido isolamento:
continuerà ad avere proficui commerci con gli stati europei senza però intervenire nelle controversie del
continente, tranne ove queste compromettessero la sua posizione (sostiene l’impero ottomano in funzione
antirussa). I rapporti dell’Austria-Ungheria con gli altri attori europei sono caratterizzati da una buona
relazione con la Germania e da tensioni con Italia e Russia. L’Italia da parte sue aveva appunto tensioni
con l’Austria-Ungheria che fino a poco tempo prima ne dominava parte del territorio e ancora controllava
Trieste e Trento, successivamente emersero anche tensioni con la Francia per la Tunisia e per Roma.
L’impero ottomano era da tempo considerato il “malato d’Europa”, nel 1683 si era arrestata la sua
espansione e cominciò un lungo declino. Le pressioni Austro-Ungariche e Russe nei suoi confronti erano
controbilanciate dal sostegno inglese che vedeva nell’impero un ostacolo all’espansionismo russo.
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Capitolo 9. Sistema bismarckiano e avvento dell’imperialismo, 1871-1890.
Il 1870 rappresenta la data in cui i due grandi movimenti che caratterizzarono la politica internazionale
nella prima metà del secolo, liberalismo e nazionalità, si divisero. Punto cruciale di questa separazione è
proprio l’unificazione tedesca, i modi con cui è avvenuta e le sue conseguenze in Germania e in Europa.
Dal 1870 (o 1871, anno del Trattato di Francoforte) inizia il cosiddetto sistema bismarckiano, un
ventennio in cui Ottone di Bismarck si adopererà per tenere ferma e in pace l’Europa attraverso un
sistema di alleanze estremamente agile. Chabod ritiene che non vi fu una fase della storia contemporanea
così tanto dominata dalla diplomazia. Il sistema bismarckiano durerà dal 1871 al 1890, si può anche
parlare di due sistemi uno successivo all’altro. Il primo durerà fino al 1878 (Congresso di Berlino), il
secondo si concretizzerà nell’arco di 8 anni con il Trattato di contro-assicurazione con la Russia nel 1887.
L’obiettivo sarà sempre la stabilizzazione dell’Europa. Perché? Bismarck voleva evitare nuove guerre in
Europa, non perché contrario ad esse ma perché consapevole che la Germania non avrebbe avuto nulla da
guadagnare, anzi avrebbe potuto risentirne negativamente. Egli era consapevole del fatto che la Germania
aveva ottenuto tutto ciò che voleva e poteva ottenere (compresa l’Alsazia-Lorena) ed ogni alterazione
degli equilibri esistenti avrebbe potuto essere a suo discapito. Tale periodo rappresenta la fase di maggior
spinta imperialistica, in particolare per quanto riguarda la spartizione dell’Africa: spesso si è affermato
che Bismarck non si interessò all’espansione coloniale, in realtà la Germania costituirà un impero di
rilievo ma Bismarck sarà sempre attento a fare in modo che ciò non portasse conflittualità in Europa:
l’espansione coloniale era dunque subordinata al mantenimento della stabilità sul continente Europeo.
1. Le grandi potenze dinanzi all’unificazione tedesca: Secondo Reich e Terza Repubblica.
La Germania unificata assunse la forma di uno stato federale entro cui esistevano diversi stati regionali
(sebbene non dotati dei poteri tipici degli stati sovrani): si tratta in particolar modo delle monarchie
tendenzialmente antiprussiane della zona meridionale (Baviera, Wurtemberg…). In questo stato il potere,
specialmente per quanto concerne la politica estera e le forze armate, risiedeva nel meccanismo (creato
dalla Confederazione tedesca del Nord ed ereditato dal Reich) per cui spettavano poteri determinanti ma
non esclusivi al ministero di stato e soprattutto al cancelliere mentre i capi militari e l’imperatore
Guglielmo I controllavano le forze armate e i loro bilanci. In questo modo l’Alto comando militare ebbe
un peso significativo nella politica estera tedesca, peso che solo Bismarck riuscì a controllare. Oltre a
questo sistema e alla tradizione militare dello stato prussiano la Germania aveva altri vantaggi: estensione
geografica cospicua, popolazione più numerosa in Europa (eccetto la Russia), istruzione media
soddisfacente, livello di ricerca scientifica eccellente, produzione industriale in pieno decollo. Va poi
considerata come variabile della politica estera tedesca una situazione geopolitica che espone il paese
all’invasione da parte di altri stati: questa consapevolezza stava alla base sia dell’idea per cui la Germania
doveva contare almeno sull’appoggio di due potenze su cinque che dell’”incubo delle coalizioni” spesso
attribuito a Bismarck. Ad alimentare queste due idee furono anche alcune convinzioni del cancelliere
tedesco:
1) forze ostili interne allo stato tedesco avrebbero potuto collegarsi a forze ostili esterne minandone
la stabilità;
2) la necessità di isolare diplomaticamente la Francia che mirava alla revanche;
3) la Germania avrebbe avuto un margine di sicurezza finché la Francia avesse mantenuto istituzioni
repubblicane, considerate da Bismarck come fonte di debolezza.
A ciò vanno aggiunte le eccezionali capacità di diplomatico e statista di Bismarck che saranno
determinanti nella politica estere tedesca di questo periodo.
La Francia nel 1870 perse per sempre il ruolo di preminenza che in alcune fasi aveva avuto nel contesto
europeo. Inoltre si trovava ad affrontare alcuni elementi contraddittori: da un lato la fuga in avanti della
Comune di Parigi, dall’altro un’Assemblea nazionale con una maggioranza di deputati monarchici,
benché fedeli a tre diverse dinastie. In ogni caso la Francia era un paese ricco e produttivo il cui sviluppo
capitalistico era secondo solo a quello inglese e tedesco. L’espansione coloniale riprese fornendo le basi
della costruzione un grande impero, col favore tedesco al fine di distogliere i francesi dalla situazione
europea e con l’idea di risollevare su questo terreno il patriottismo colpito dalla sconfitta del 1870. Oltre
che in questo campo le conseguenze della sconfitta si fecero sentire nell’attenzione alla forza militare a
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cui il Trattato franco-tedesco di Francoforte (10 maggio 1871) non poneva restrizioni. Patriottismo e
militarismo si diffusero anche nelle forze politiche tradizionalmente pacifiste consentendo all’esercito,
che continuava ad essere il secondo al mondo, di assumere un ruolo di grande rilievo. Il principale
problema francese era uscire dalla condizione di isolamento verso cui la Germania la spingeva. A ciò si
aggiungeva una conflittualità con l’Italia sia per la questione romana che per le rispettive ambizioni
coloniali mentre godeva tradizionalmente di buone relazioni con la Russia, cosa che sarà una delle
principali preoccupazioni del cancelliere tedesco.
2. Le grandi potenze di fronte all’unificazione tedesca: Austria, Russia, Inghilterra.
L’Austria è la potenza che dopo la Francia risentì maggiormente dell’unificazione tedesca ma si riprese
facilmente. Vienna non aveva saputo opporsi alle ambizioni germaniche e questo va letto nel contesto di
altre crisi quali la Crimea, il 1859 e il 1866 (sconfitta di Sadowa). La svolta positiva venne invece dalla
ristrutturazione dello stato attraverso l’istituzione della Duplice Monarchia Austroungarica (1867): il
pareggio tra le due nazionalità dominanti ovviamente non rappresentò la soluzione al problema della
multinazionalità che caratterizzava l’impero ma solo un passo avanti, solo la risoluzione del principale di
questi problemi: quello ungherese. Tuttavia fornì una classe politica determinata e con idee chiare e
precise che permetterà all’impero di trovare un appoggio essenziale nella Germania in funzione della sua
politica balcanica: unico spazio rimasto aperto. Due linee caratterizzeranno la politica austriaca:
l’opposizione all’azione russa nei Balcani e l’avvicinamento e l’alleanza con la Germania.
La Russia fu probabilmente dopo Francia e Germania l’attore più importante del periodo successivo al
1870. L’espansione in Asia continuò con successo facendo sentire sotto pressione gli inglesi per il
controllo di Persia e Afghanistan e penetrando nei territori della Cina. L’unificazione tedesca coincise con
l’esplosione letteraria e politica del movimento panslavista in chiave russa (non più su basi linguisticoculturali ma sul programma politico dell’indipendenza di tutti i popoli slavi riuniti in una grande
confederazione religiosa, razziale e politica). Fondamentali erano quindi il contenimento della politica
austriaca nei Balcani e il dominio sul Mar Nero. A tale scopo il governo russo annunciò, dopo la sconfitta
francese, che lo zar non avrebbe più accettato la clausola del trattato di Parigi che limitava la sovranità
russa sul Mar Nero; questo evento e l’annessione tedesca dell’Asazia-Lorena furono due fatti che
segnarono una svolta nel sistema internazionale. Il governo britannico di Gladstone (liberale) protestò
vivacemente per queste violazioni del diritto pubblico europeo e fu indicativo il fatto che fu Bismarck a
convocare una conferenza a Londra che all’inizio del 1871 abrogò la clausola del Mar Nero. Ciò permise
all’impero zarista di sfruttare l’onda panslavista per mantenere un certo consenso interno, mentre veniva
ribadito il buon rapporto con la Germania.
È facilmente rilevabile una quasi completa astensione della Gran Bretagna dagli eventi successivi al 1870
o meglio dall’avvio del sistema Bismarckiano. Il governo Gladstone era impegnato in importanti riforme
interne, probabilmente le riforme liberali più importanti di tutto il secolo, d’altra parte il liberalismo
inglese aveva pochi punti di contatto con la realpolitik tedesca. Ampliando tuttavia la prospettiva lo
“splendido isolamento inglese” appare una scelta politica bipartisan, seguita anche dai governi
conservatori e comunque non tanto come un non-agire ma come un agire soprattutto in un contesto
diverso da quello dell’Europa di Bismarck: la Federazione imperiale, l’impero anglo-indiano, l’azione in
africa, il “grande gioco” in Asia sono gli esempi più eclatanti dell’azione inglese in ambito extra-europeo.
Sono gli anni in cui l’Inghilterra anticipa il fenomeno denominato poi neoimperialismo. Pur mantenendo
rapporti commerciali con gli altri attori europei la Gran Bretagna evita di farsi coinvolgere nelle
controversie continentali. Ma sono anche gli anni in cui la Gran Bretagna conclude il suo ciclo di grande
potenza aprendo una fase di transizione di qualche decennio prima di cedere il posto agli Usa.
3. L’Italia, sesta grande potenza.
Nel decennio precedente al 1870 la politica estera italiana aveva avuto due temi ricorrenti: farsi accettare
nel sistema europeo e portare a termine l’unità nazionale (Roma, il Veneto, Trento e Trieste). L’alleanza
italo-prussiana dal 1866 aveva permesso di annettere il Veneto. La questione romana fu più complessa:
Cavour aveva iniziato le trattative con Napoleone III per un ritiro delle truppe francesi da Roma, tuttavia
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dopo la morte dello statista italiano (6 giugno 1861) la Francia aveva abbandonato i negoziati. Il tentativo
di Garibaldi venne fermato con la forza nell’agosto 1862 dagli italiani, nel 1863 il governo Minghetti
giunse con la Francia alla Convenzione di settembre con cui l’Italia si impegnava a non attaccare il
territorio pontificio a fronte del ritiro delle truppe francesi. Nel novembre 1867 si assistette ad un nuovo
tentativo di Garibaldi fermato però dai francesi. Il raffreddamento dei rapporti italo-francesi influì
negativamente sulla disponibilità italiana ad unirsi all’alleanza franco-austriaca contro la Prussia. Quando
i francesi furono sconfitti e cadde il Secondo impero (4 settembre 1870) l’Italia denunciò la Convezione
di settembre e occupò Roma (20 settembre 1870). L’Italia si trovava di fronte alla necessità di esprimere
ora una propria politica estera, alcuni elementi vanno presi in considerazione: l’ostilità dei paesi vicini
(Austria e Francia); una posizione strategica sia al nord verso l’Europa continentale che al sud nel
Mediterraneo, una posizione che poteva anche rivelarsi pericolosa e scomoda; la debolezza economica e
finanziaria si traduceva in debolezza militare. In ogni caso, se non da grande potenza, l’Italia agiva da
membro attivo del sistema europeo, d’altra parte la questione romana non era conclusa e si presentava la
possibilità di un tentativo di restaurazione del Pontefice ad opera delle potenze cattoliche: la politica
italiana sarà orientata soprattutto in tal senso al fine di uscire dall’isolamento.
4. La prima fase del sistema bismarckiano e la crisi d’Oriente del 1875-1878.
L’isolamento della Francia è dunque la prima preoccupazione del cancelliere tedesco. Per fare ciò è
necessario tener presente i buoni rapporti diplomatici tra Francia e Russia: era dunque necessario agire in
modo tale che la Russia non sentisse la Germania come una minaccia tale da ritenere utile
l’avvicinamento alla Francia. Diveniva fondamentale dare sicurezza alla Russia. Che cosa poteva essere
percepito da questa come una minaccia? Non tanto le azioni tedesche ma piuttosto con il conflitto con
l’Austria-Ungheria. Quest’ultima controllava la maggior parte della popolazione slava non russa e
soprattutto con la creazione della duplica monarchia si assiste ad una linea particolarmente dura adottata
soprattutto dagli ungheresi contro gli slavi (cha aspiravano a vedersi riconoscere la parità con austriaci e
ungheresi) ciò non poteva non indisporre la Russia che si era fatta portavoce delle istanze pan-slavistiche
mentre le politiche balcaniche dei due paesi spesso entravano in contrasto. Questo avrebbe potuto
spingere la Russia a cercare l’appoggio francese, Bismarck operò quindi al fine di creare una certa
cooperazione tra Germania, Austria-Ungheria e Russia. Fin dal 1870 era mutato l’atteggiamento di
Vienna verso Berlino e durante la missione di riconciliazione austroungarica (giugno 1871) Bismarck
ebbe l’occasione di esplicitare che nessun trattato tra i due paesi avrebbe dovuto contenere riferimenti
ostili alla Russia. La riconciliazione austro-tedesca continuò per tutto il 1872 e nel settembre lo zar
incontrò gli altri due imperatori, si ponevano così le basi del passo successivo che porterà nell’ottobre del
1873 all’intesa dei tre imperatori presentata da Bismarck come una riconferma della solidarietà
monarchica, una sorta di Santa Alleanza contro la rivoluzione. Tale intesa si articolò in tre diversi
documenti:
1) un trattato militare russo-tedesco che stabiliva che se una delle due potenze fosse stata attaccata
l’altra sarebbe intervenuta in suo aiuto con 200.000 uomini (24 aprile 1873);
2) una convenzione russo-austriaca meno vincolante che prevedeva l’obbligo di consultazione tra i
due paesi in caso di crisi ed eventualmente la stipulazione di un trattato militare (6 giugno 1873);
3) un atto di accettazione della Germania della convenzione russo-austriaca (22 ottobre 1873).
Si formava così la prima Intesa (o Lega) dei tre imperatori, tuttavia emersero presto le prime difficoltà.
Fra il 1873 e il 1875 il problema dei rapporti franco-tedeschi dominò la scena politica europea arrivando
ad intaccare le basi dell’Intesa. L’elezione a presidente della Repubblica del maresciallo Mac Mahon,
espressione della volontà di restaurazione della monarchia e la ripresa del partito clericale da parte
francese e il kulturkampf condotto da Bismarck per motivi interni ma anche per timore di ingerenze
francesi portarono ad un clima di tensione e al diffondersi dell’idea che fosse possibile un attacco tedesco
alla Francia. La crisi fu aggravata da articoli di giornale, da voci sulla salute di Bismarck, dai tentativi di
francesi di uscire dall’isolamento… e si protrasse fino alla primavera del 1875 quando Gran Bretagna e
Russia si adoperarono per allentare la tensione. La soluzione della “crisi della paura della guerra” fu quasi
imposta dalle altre potenze europee e rappresentò uno smacco personale al cancelliere tedesco, ma
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soprattutto dimostrava che l’Intesa non era sufficiente a mantenere la stabilità in Europa. Inoltre Bismarck
aveva sottovalutato la possibilità che una Russia almeno in parte tranquillizzata relativamente ai rapporti
con l’Austria-Ungheria avrebbe potuto spingersi verso il Mediterraneo e quindi contro l’impero ottomano
che controllava il Bosforo e i Dardanelli consapevole del fatto che se non avesse urtato gli interessi
tedeschi e austroungarici non avrebbe incontrato opposizioni. Nell’estate del 1875 la situazione nei
Balcani si infiamma: Bosnia-Herzegovina, Bulgaria, Serbia e Montenegro insorgono contro il dominio
ottomano; entro la fine dell’anno la crisi ha assunto un rilievo internazionale e tre grandi potenze sono
coinvolte: la Russia e l’Austria-Ungheria, nonostante la reciproca diffidenza, inclini a politiche di
compromesso che favorissero il rafforzamento delle loro posizioni, la Gran Bretagna invece si impegnava
a favore del mantenimento dello status quo e quindi in sostegno dell’impero ottomano. Bismarck da parte
sua iniziava ad avvicinarsi con prudenza alla crisi, avvicinamento che poi avrebbe portato al Congresso di
Berlino. Ben presto la crisi assume i connotati di una guerra russo-turca (aprile 1877-gennaio 1878) che
vide le forze zariste arrivare con grande difficoltà ad Adrianopoli (gennaio 1978), ma la situazione inizia
a preoccupare parecchio Londra e non solo. Per altro giungono all’opinione pubblica le notizie di varie
crudeltà commesse ai danni della popolazione civile. In questo periodo si segnalano inoltre le
conversazioni segrete tra Austria e Russia (luglio 1876) e la Conferenza di Costantinopoli (dicembre
1876-gennaio 1877) al fine di stabilire delle tutele per le popolazioni balcaniche a cui però l’impero
ottomano non da applicazione. La guerra giunge ad una soluzione autonoma con il trattato di Santo
Stefano (3 marzo 1878) tra Russia e impero ottomano che riconosce la vittoria della prima. Il trattato
prevedeva la creazione di una Grande Bulgaria (con l’annessione di una parte della Tracia e una parte
della Macedonia), aumenti territoriali a Serbia e Montenegro, un regime di autonomia per la BosniaHerzegovina e alcune cessioni territoriali a favore della Russia. Era chiaro che la Grande Bulgaria si
sarebbe configurata come uno stato satellite russo e in virtù della sua estensione territoriale avrebbe
consentito alla Russia uno sbocco sul Mediterraneo. Ciò preoccupava enormemente la Gran Bretagna ma
anche gli altri paesi rivieraschi. Da parte sua la Russia si rendeva conto di non poter pretendere una pace
mal vista da tutta Europa.
5. Il Congresso di Berlino.
In questo contesto il cancelliere tedesco indice il Congresso di Berlino (giugno-luglio 1978) come una
libera discussione sui contenuti del trattato russo-turco. L’esito sarà una modifica del trattato di Santo
Stefano che ridurrà i vantaggi per la Russia a favore dell’Austria-Ungheria, riducendo al contempo il
controllo ottomano sui Balcani. In particolare si ebbero:
1) la riduzione della Bulgaria (che perde lo sbocco sul Mediterraneo) che viene configurata come un
principato autonomo nell’ambito dell’impero ottomano, il cui principe cristiano però sarebbe stato
nominato dalle potenze europee; inoltre il principato venne dotato di una propria milizia;
2) l’amministrazione della Bosnia-Herzegovina viene affidata all’Austria-Ungheria mentre il paese
rimane formalmente sotto la sovranità ottomana. Ciò rispondeva alle esigenze austroungariche di
avere una zona cuscinetto tra la Serbia (ortodossa e culla del nazionalismo slavo) e l’attuale
Croazia (cattolica);
3) la riduzione degli aumenti territoriali a Serbia e Montenegro a favore della Grecia, lo stato in cui
era più forte l’influenza britannica;
4) la cessione alla Russia delle province ottomane di Kars e Batum.
Al di là degli incontri ufficiali, Bismarck approfittò della situazione per attizzare la rivalità tra Francia e
Italia, promettendo ai rappresentanti dei due stati, che avevano partecipato al Congresso con un ruolo di
secondo piano, pieno appoggio alle rispettive mire espansionistiche in Tunisia (nominalmente sotto la
sovranità ottomana). Quando tre anni dopo la Francia occuperà la Tunisia emergerà chiaramente l’ostilità
tra questa e l’Italia. Il Reich diverrà quindi arbitro delle ostilità europee (Gran Bretagna-Russia, RussiaAustria-Ungheria, Italia-Francia).
È chiaro come la Germania fosse poco interessata alla questione d’Oriente di per se, ma è altrettanto
chiaro come il suo intervento sia motivato dall’esigenza di mantenere la stabilità in Europa ed impedire
una troppo accesa conflittualità tra Russia e Austria-Ungheria
Da parte britannica l’esito significava aver arrestato l’espansione russa ma allo stesso tempo non essere
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riusciti a impedire un’ulteriore riduzione della potenza turca. Diveniva quindi chiaro che l’impero
ottomano non era più in grado di reggersi da solo e il sostegno britannico sarebbe divenuto via via sempre
più determinante. Il Congresso aveva dimostrato che l’Intesa dei tre imperatori non bastava da sola a
garantire la stabilità europea: Bismarck aveva tralasciato il ruolo dell’impero ottomano. Con il Congresso
di Berlino il cancelliere dimostra nuovamente la sua abilità (tiene sotto controllo l’ostilità russoaustroungarica, puntella l’impero ottomano, da un nuovo assetto ai Balcani) ma si poneva la necessità di
costruire un secondo sistema in grado di garantire la stabilità europea.
6. La ricostruzione del sistema bismarckiano: dall’alleanza austro-tedesca all’Alleanza dei tre imperatori,
1879-1881.
Nella costruzione di un nuovo sistema in grado di mantenere la stabilità europea Bismarck continuò a
vedere come obiettivo principale l’isolamento della Francia e l’impedimento di un’eventuale alleanza
franco-russa. Due evoluzioni vanno considerate per comprendere il nuovo sistema orchestrato dal
cancelliere: i rapporti tra Germania e Austria-Ungheria e il ruolo dell’Italia. L’Austria-Ungheria e la
Germania avevano costantemente e progressivamente migliorato i loro rapporti dopo la battaglia di
Sadowa, e questioni economiche, culturali, valoriali facevano della prima lo stato ideale con cui stringere
una salda alleanza che poi durerà fino alla prima guerra mondiale. Questo rapporto inizialmente
paritetico, o quasi, conoscerà poi uno slittamento a favore della Germania che vedrà aumentare
considerevolmente il suo peso in rapporto all’Austria. Il trattato di alleanza austro-tedesco venne concluso
il 7 ottobre 1879 e impegnava le due parti a prestarsi reciproco soccorso con tutte le proprie forze in caso
di aggressione. Ovviamente il trattato va interpretato in chiave antirussa poiché dalla Russia ci si
potevano aspettare azioni che destabilizzassero l’ordine europeo, la cosa comporterà un’iniziale
contrarietà del kaiser Guglielmo. Quest’alleanza duratura sarebbe divenuta il perno del sistema
bismarckiano. Da essa si diramano due strade una verso la Russia e l’altra verso l’Italia.
Tuttavia era necessario anche impedire un ritorno della crisi nei Balcani: in questo senso va letta la
creazione dell’alleanza dei tre imperatori (18 giugno 1881) che non solo riproponeva l’Intesa del 1873 ma
poneva la collaborazione su basi più precise e organiche. Si trattò di un solo documento, non un trattato
militare ma un trattato di cooperazione politica che risulta più efficace in quanto prevede la questione
dell’impero ottomano. Il trattato dispone che nel caso in cui una delle tre potenze si trovi in guerra, le
altre due manterranno una benevola neutralità e cercheranno di localizzare il conflitto, ciò vale anche nel
caso di guerra con l’impero ottomano purché nessuna delle tre potenze lo aggredisca senza prima
consultare le altre due ed esplicitare i propri obiettivi. Venne riconosciuta la situazione creatasi nei
Balcani con il congresso di Berlino. Le tre potenze assumevano l’impegno a rispettare la chiusura degli
stretti turchi alle navi militari: la Russia non sarebbe arrivata al Mediterraneo ma neanche flotte ostili
(britanniche) sarebbero arrivate nel Mar Nero (cosa che per la Russia aveva una certa importanza).
7. Un complemento del sistema: la Triplice Alleanza.
L’Italia si poneva sulla scena europea non certo come una grande potenza al pari delle altre ma comunque
come un attore di rilievo, il suo isolamento e rapporti sostanzialmente ostili con Francia e AustriaUngheria la spingevano a cercare appoggio verso qualche altra potenza, in particolare verso la Germania.
Bismarck vedeva l’Italia in modo ambivalente: da un lato essa aveva un contenzioso con l’AustriaUngheria e la cosa non era certo favorevole alle intenzioni del cancelliere, dall’altro le sue relazioni con
la Francia erano negative e ciò poteva contribuire all’isolamento di Parigi. Sulle relazioni italo-francesi
gravano la questione romana, la competizione commerciale e l’espansione coloniale: quando nel maggio
1881 con il trattato del Bardo venne istituito il protettorato francese sulla Tunisia la reazione in Italia fu
molto decisa. Inoltre il fatto che al governo ci fosse Francesco Crispi (filotedesco e antifrancese)
rappresentava un ulteriore motivo di avvicinamento al secondo Reich tuttavia era necessario evitare che i
rapporti italo-austriaci degenerassero. Bismarck si dimostrò disponibile ad un’intesa con l’Italia a patto
che questa comprendesse anche l’Austria-Ungheria. D’altra parte il cancellerie si impegnò a far capire a
Vienna che un’alleanza con l’Italia era più conveniente di un’ostilità permanente, convinto per altro che
la ripresa del panslavismo avrebbe influito negativamente sui rapporti austro-russi e che quindi Vienna
avrebbe fatto bene a garantirsi una certa sicurezza nei rapporti con l’Italia. Gli austroungarici da parte loro
8
ritenevano importante la creazione di un’alleanza (oltre a quella dei tre imperatori) basata sulla
comunanza di intenti conservatori. Il 20 maggio 1882 veniva concluso il trattato della Triplice Alleanza
allargando all’Italia l’alleanza austro-tedesca. In questo caso non vi è un esplicito riferimento antirusso,
ma antifrancese. L’obiettivo era rafforzare il principio monarchico e ed evitare i pericoli che potevano
minacciare la sicurezza e la pace. L’art. 1 impegnava i tre stati a non entrare in nessuna alleanza diretta
contro uno di essi e a consultarsi e appoggiarsi in caso di crisi; l’art. 2 sanciva che in caso di aggressione
francese all’Italia, Austria-Ungheria e Germania sarebbero intervenute in suo aiuto mentre l’Italia sarebbe
intervenuta a fianco della Germania (in questo caso l’Austria avrebbe mantenuto un atteggiamento di
benevola neutralità); l’art. 3 riguardava la possibilità di una coalizione contro la Triplice alleanza ma vi
era anche la cosiddetta clausola Mancini che escludeva la valenza antibritannica dell’alleanza.
La Russia non era nominata esplicitamente ma faceva parte dell’Alleanza dei tre imperatori e inoltre le
clausole del trattato garantivano all’Austria-Ungheria la benevola neutralità dell’Italia nel caso di guerra
con i russi. Il trattato era segreto e aveva la validità di cinque anni. L’alleanza con l’Austria-Ungheria
rappresentò una svolta cruciale per la politica estera italiana, la fine delle tensioni con quella che era stata
la principale antagonista nel processo di unificazione nazionale garantiva ora la neutralizzazione dei
principali pericoli che avevano preoccupato l’Italia. Bismarck riusciva così a congelare il contenzioso tra
Austria-Ungheria e Italia e al tempo stesso ad accentuare l’isolamento francese.
8. Premesse e sviluppi della diplomazia dell’imperialismo.
Nel ventennio 1870-1890, mentre Bismarck costruiva un sistema essenzialmente europeo, le relazioni
internazionali si dilatarono dall’Europa agli altri continenti, tanto che per alcune potenze le crisi principali
nascono al di fuori del continente europeo. Alcuni elementi vanno considerati:
1) fin dagli anni ’70 Francia e Inghilterra diedero crescente importanza all’impegno extraeuropeo che
diviene in qualche modo alternativo a quello europeo, ovviamente per motivi differenti;
2) la crisi d’Oriente (1875-78) fu la cerniera tra la contrapposizione anglo-russa in Asia e in Europa;
il compenso offerto alla Francia e all’Italia (la Tunisia) rappresentò uno degli sviluppi che meglio
indicano il passaggio dall’Europa al Mediterraneo e dal Mediterraneo al mondo extraeuropeo;
3) per quanto riguarda le date dell’imperialismo possono essere considerati diversi anni: nel 1870
l’Europa viene a trovarsi nelle condizioni politiche, sociali, economiche e culturali per un
impegno e un’estensione extraeuropei che non trova precedenti in passato, nel 1876 si ha l’inizio
dell’attività colonialistica di Leopoldo II di Belgio, nel 1882 l’intervento britannico in Egitto
contro Arabi Pascià.
Due furono i principali sviluppi di questa fase:
1) il “grande gioco” con cui si confrontano Russia e Gran Bretagna. Fin dal 1869 il governo inglese
dell’India aveva raccomandato a Londra di evitare di interferire negli affari afgani e di procedere
ad un chiarimento con San Pietroburgo. Nel corso degli anni ’70 tuttavia la Gran Bretagna era
comunque intervenuta in Afghanistan (area strategica per proteggere l’impero britannico in Asia)
mentre la Russia portava avanti operazioni di conquista in Asia centrale. La tensione tra i due
paesi crebbe significativamente. Dopo il congresso di Berlino i britannici occuparono Kabul.
Negli anni ’80, nonostante il governo del liberale Gladstone e le incertezze dei russi, la politica
asiatica rimase il principale motivo di contrasto tra le due potenze, fino a giungere sull’orlo di un
conflitto. Infine una commissione anglo-russa definì la frontiera tra l’Afghanistan (come stato
protetto e rappresentato dalla Gran Bretagna) e l’Asia centrale russa. Il conflitto in Asia venne
definitivamente ricomposto nel 1907.
2) Lo “scramble for Africa”. All’inizio degli anni ’80 si ha una situazione confusa e conflittuale di
accaparramento di territori e di supremazie commerciali nelle regioni del Congo e del Niger.
Bismarck, dopo aver constato la resistenza opposta dai britannici alla stabilimento di un
insediamento commerciale tedesco nell’area, convocò una conferenza che ebbe luogo a Berlino tra
il novembre 1884 e il febbraio 1885: venne stabilita la libertà di commercio nell’area dei bacini
del Congo e del Niger (con i rispettivi affluenti). La Germania contemporaneamente o subito dopo
acquisiva le colonie del Camerun e del Togo e stabiliva un protettorato sul territorio compreso tra
l’Angola portoghese e la Colonia del Capo britannica.
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9. L’ultima fase del sistema bismarckiano: trattato di contro-assicurazione e “seconda Triplice”.
Nel corso degli anni ’80 in Francia si riaccese il sentimento di revanche, nel 1886 si formò il movimento
boulangista (dal mone del generale Boulanger) e la prospettiva di una restaurazione monarchica o di una
deriva bonapartista preoccupava il cancelliere tedesco. A oriente si profilava una nuova crisi nei rapporti
austro-russi: infatti Vienna aveva sconfitto più volte la diplomazia di San Pietroburgo (trattato segreto
austro-serbo del 1881, alleanza austro-rumena del 1884, aumento dell’influenza in Bulgaria) e ne
conseguiva un senso di insicurezza russo che poteva favorire un avvicinamento alla Francia. Bismarck
cercò quindi da un lato di rassicurare la Russia e di impedire un suo avvicinamento alla Francia e
dall’altro di rafforzare la Triplice. Il 18 giugno 1887 venne concluso il trattato di contro-assicurazione
russo-tedesco con cui la Germania dava garanzie alla Russia nel caso fosse stata attaccata dall’AustriaUngheria (benevola neutralità) e allo stesso tempo la disincentiva dall’attaccare a sua volta la rivale: in
particolare le due potenze si assicuravano la reciproca neutralità tranne nel caso in cui la Germania avesse
attaccato la Francia o la Russia avesse attaccato l'Austria-Ungheria. Si tratta di un accordo che si situa al
limite della confliggenza giuridica, che ancora una volta dimostra la grande spregiudicatezza e il genio
politico di Bismarck.
Nel 1887 avvicinandosi alla scadenza della Triplice si assiste alla fase di maggior intensità dell’alleanza
con il ruolo dell’Italia che diviene via via più importante agli occhi del cancelliere tedesco: è il momento
di coinvolgere ancor di più l’Italia nel sistema ideato da Bismarck e l’Italia saprà abilmente sfruttare
questo contesto. A proposito di questo particolare rapporto si parla di sottosistema di Robilant (dal nome
del ministro degli esteri italiano) che presentò alcune condizioni relative alla salvaguardia degli interessi
italiani nei Balcani e alla garanzia dello status quo in Cirenaica e in Tripolitania. Il 12 febbraio Italia e
Gran Bretagna concludono gli accordi mediterranei (Corti-Salisbury): sostanzialmente una dichiarazione
di buoni intenti che conferma i buoni rapporti tra i due paesi ed esclude qualunque conflittualità nel
Mediterraneo. A tali accordi aderiranno poi anche l’Austria-Ungheria (24 marzo) e la Spagna (4 maggio).
È possibile notare una certa fretta a rinnovare la Triplice alleanza, cosa che avvenne il 20 febbraio dello
stesso anno: la clausola Mancini venne eliminata perché ormai inutile e vi furono aggiunte due
integrazioni che diverranno parte integrante del trattato dal secondo rinnovo. Entrambe le due integrazioni
hanno al centro l’Italia:
- la prima riguardava Italia e Austria-Ungheria e affermava che qualsiasi mutamento dello status
quo nei Balcani a favore della seconda sarebbe stato subordinato a due condizioni:
a)
consultazioni tra Vienna e Roma
b)
applicazione del principio dei compensi per cui anche l’Italia avrebbe tratto dei
vantaggi non meglio precisati. La clausola dei compensi comprendeva anche l’espansione
italiana in nord Africa.
- la seconda riguardava invece Germania e Italia estendendo l’intervento tedesco a favore dell’Italia
anche nel caso fosse stata quest’ultima a scatenare una guerra.
La prima delle due integrazioni poi porterà al deterioramento delle relazioni italo-austriache, la seconda
rappresenta il modo con cui Bismarck forniva una totale sicurezza all’Italia consapevole che in quella
situazione essa non aveva interesse a muover guerra alla Francia ne ad altri.
In conclusione si crea un sistema che vede la Germania in posizione centrale, strettamente legata ad essa
vi è l’Austria-Ungheria; la Russia è stata bloccata nei confronti dell’impero ottomano e rassicurata per
quanto riguarda la minaccia austroungarica: non ha quindi la necessità di avvicinarsi alla Francia; l’Italia
risulta liberata dalla preoccupazione rappresentata da Francia e Austria-Ungheria e strettamente legata
alla Germania. La Francia è isolata. Nessuna potenza ha l’interesse o la capacità di alterare il sistema
creato dal cancelliere tedesco, tuttavia tale sistema è strettamente legato alla figura di Bismarck e dopo le
sue dimissioni (marzo 1890) si sfalderà fino a giungere agli schieramenti della prima guerra mondiale.
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Capitolo 10. Potenze “mondiali”, alleanze e blocchi contrapposti, 1890-1914.
Dalle dimissioni del cancelliere tedesco nel marzo del 1890 il sistema che egli aveva creato inizia a
sfaldarsi fino ad arrivare alle due alleanze contrapposte che si scontreranno durante la prima guerra
mondiale. In realtà solo la Triplice alleanza rappresenterà un’alleanza realmente tale in senso giuridico
anche se si svuoterà sempre più di significato soprattutto per quanto concerne l’Italia; l’Intesa invece non
è tale: l’unica vera alleanza è quella franco-russa mentre la Gran Bretagna non è vincolata alle altre due
potenze da nessun trattato, solo a guerra iniziata la cooperazione tra le potenze dell’Intesa verrà sancita
ufficialmente.
1. L’Europa dopo il congedo di Bismarck: l’alleanza franco-russa.
Gli ultimi tre anni del periodo bismarckiano furono caratterizzati da problemi interni, gli stessi che
portarono Bismarck a dimettersi il 18 marzo 1890. In altre parole il nuovo imperatore Guglielmo II
spingeva verso un neoassolutismo che Bismarck non poteva accettare e che faceva in modo che i
cancellieri divenissero sostanzialmente uomini dell’imperatore e i militari avessero ampi poteri in politica
estera. L’alleanza franco-russa tanto temuta da Bismarck fu provocata dalla nuova politica tedesca? In
gran parte si ma dipende anche da fattori convergenti sia francesi (i militari, parte dei politici e il mercato
finanziario) che russi (i militari e lo zar nonostante la sua ripugnanza per le istituzioni repubblicane). La
Germania ritenne che il trattato di contro-assicurazione russo-tedesco non dovesse essere rinnovato e già
nell’agosto del 1890 i contatti franco-russi iniziarono a muoversi verso una certa cooperazione militare.
Nell’anno successivo alcuni eventi avvicinarono i due paesi: un processo a rivoluzionari russi tenuto in
Francia, l’apertura del mercato finanziario di Parigi ai titoli russi e la visita di navi militari francesi in un
porto russo. Il 27 agosto 1891 uno scambio di lettere tra ambasciatore russo e ministro degli esteri
francese diede vita ad un’intesa preliminare secondo cui:
- i due governi si sarebbero accordati su tutte le questioni relative alla pace internazionale;
- nel caso in cui la pace fosse messa effettivamente in pericolo o una delle due potenze fosse
attaccata, esse avrebbero adottato misure comuni.
Era solo un’intesa ma due sono i punti cruciali:
- rompeva l’isolamento in cui Bismarck aveva costretto per vent’anni la Francia;
- forniva la base per trattative successive che si sarebbero caratterizzate per l’importanza
dell’elemento militare (ne sarebbe poi nata un’alleanza basata su una convenzione militare fra stati
maggiori).
La convenzione militare vera e propria fu approntata nel corso del 1892 e fu firmata il 18 agosto. Essa
prevedeva l’aiuto russo alla Francia con 7-800.000 uomini qualora questa fosse stata attaccata dalla
Germania o dall’Italia aiutata dalla Germania e l’aiuto francese alla Russia con 1.300.000 uomini qualora
questa attaccata dalla Germania o dall’Austria-Ungheria con l’aiuto della Germania. Lo zar accettò con
diversi mesi di ritardo l’accordo, incerto se diffidare di più del Kaiser e della Terza Repubblica. Un’altra
visita di navi militari (russe in Francia) e alcuni eventi (nuova legge militare tedesca, l’accentuarsi dei
contrasti della Russia e della Francia con la Gran Bretagna) spinse lo zar ad accettare il 27 dicembre
1893, qualche giorno dopo seguì la risposta francese. L’alleanza franco-russa si basa quindi su tre atti:
- lo scambio di lettere nel 1891;
- la convenzione militare nel 1892;
- lo scambio di lettere relative alla convenzione tra i due governi (1893-94).
2. L’Italia e il secondo rinnovamento della Triplice alleanza.
Il secondo rinnovamento della Triplice nel 1891 presenta alcuni aspetti cruciali;
- avviene con un anno di anticipo, su iniziativa di Crispi, e la Germania accoglie la proposta
dimostrando di accettare questa parte dell’eredità bismarckiana;
- il rinnovamento influisce sull’alleanza franco-russa in quanto da l’immagine di un’alleanzablocco;
- anche se Crispi non è più al governo al momento del rinnovo, tale atto segue le linee avviate dallo
statista (e quindi l’elemento antifrancese e l’intento di appoggiarsi ad altre potenze per realizzare
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le aspirazioni extraeuropee dell’Italia).
Il rinnovamento avviene a Berlino il 6 maggio 1891 e fa si che la Triplice torni ad essere un solo trattato
come nel 1882 ma che conservi i contenuti dei tre documenti del 1887. L’art. 2 conferma il casus foederis
fra Germania e Italia in una guerra contro la Francia; l’art. 3 che riguarda la guerra contro altre potenze e
coinvolge tutte e tre le alleate diviene più significativo dopo l’avvicinamento franco-russo; l’art. 7
conferma la clausola dei compensi: Italia e Austria-Ungheria dopo essersi impegnate ad evitare modifiche
territoriali che si arrechino danno a vicenda si impegnano a informarsi reciprocamente sulle questioni
relative a tale ambito e infine viene ribadito il principio dei compensi; la Germania riconosceva le
aspirazioni italiane su Cirenaica e Tripolitania. Veniva infine introdotto il rinnovamento automatico dopo
sei anni, salvo l’espressione di intenzioni contrarie un anno prima della scadenza.
3. Crisi extraeuropee e tensioni europee all’apogeo dell’imperialismo. La crisi armena.
Oltre che in Europa anche al di fuori di essa si avviano alcuni sviluppi che caratterizzeranno la fase postbismarckiana. Alcuni elementi sono significativi:
- l’avvio della Weltpolitik (politica mondiale) con cui la Germania voleva acquisire a livello
extraeuropeo un peso simile a quello che aveva sul continente; è proprio con la svolta di
Guglielmo II che si può tracciare una linea di confine: ora la Germania vuole colmare il divario
con le altre potenze in campo coloniale;
- estensione dell’impero britannico: Russia, Francia e Germania si trovano inevitabilmente a
scontrarsi con esso;
- comparsa di due nuovi attori: Stati Uniti e Giappone che si confrontano soprattutto in Asia
orientale;
- l’espansione coloniale italiana contribuisce ad aumentare la tensione; l’Italia mira ad appoggiarsi
alla Triplice per realizzare le sue ambizioni; con la battaglia di Adua (1 marzo 1896) da il via ad
una serie di sconfitte europee ad opera di paesi extraeuropei; tra il 1895 e il 1902 si assiste ad un
miglioramento dei rapporti con la Francia e a un progressivo distaccamento dalla Triplice.
Questione armena: questione dell’identità e dello sviluppo autonomo di un popolo stanziato in parte
nell’impero russo, in parte in quello ottomano e in parte in quello persiano, che subisce la dura
repressione dei turchi. Il partito armeno rivoluzionario agisce provocando forte reazioni da parte turca, si
forma una “Triplice del Vicino Oriente” fra Gran Bretagna, Francia e Russia a cui poi si aggiungono
Germania, Austria-Ungheria e Italia al fine di imporre al sultano una serie di riforme (ottobre 1895) che
poi rimarrà non attuata.
È emblematica della situazione di incertezza la posizione di Gran Bretagna e Russia, che quasi invertono i
ruoli. Lord Salisbury (tornato al governo nel 1895) formula un progetto di spartizione dell’impero
ottomano, ma le altre potenze lo lasciano cadere: la Francia ha grandi investimenti finanziari nell’impero
ottomano, l’Austria-Ungheria teme una situazione di alta conflittualità con Russia e Italia nell’area
balcanica e adriatica, ma il fatto che la Russia non ne approfitti è chiaramente dovuto ad una situazione di
incertezza riguardo alla politica estera (oltre al fatto che la Russia era impegnata in estremo oriente).
4. Questioni extraeuropee e tensioni europee all’apogeo dell’imperialismo. Le questioni egizianosudanese, sudafricana e dell’Asia orientale.
Questione egiziano-sudanese: penetrazione concorrenziale di Francia e Gran Bretagna in Africa a partire
dal sec XVIII, la prima lungo una direttrice est-ovest e la seconda lungo una direttrice nord-sud. Nel 1882
la situazione in Egitto (problemi di amministrazione, movimento nazionalista e disordini su vasta scala)
spinse la Gran Bretagna ad intervenire. L’impero ottomano, la Francia e l’Italia avevano rifiutato di
intervenire. L’azione britannica si trasformò di anno in anno in protettorato. Si pose poi il problema della
rivolta nel Sudan ove le forze britanniche ristabilirono il controllo solo negli anni ’90 dopo il ritorno al
governo di Salisbury. Mentre le forze britanniche procedevano verso sud si incontrarono con quelle
francesi provenienti dall’africa centrale a Fascioda il 25 settembre 1898. Ne nacque il più grave episodio
di rivalità e tensione fra le due potenze. Il governo britannico si dimostrò intransigente e alla fine i
francesi annunciarono il ritiro delle loro forze.
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Questione sudafricana: la penetrazione inglese nella regione già nei decenni precedenti si era scontrata sia
con le popolazioni autoctone che con le repubbliche boere (Transval e stato Libero d’Orange). La Gran
Bretagna aveva annesso il Transval, ma i boeri riuscirono a ottenere una certa indipendenza. Tuttavia il
contrasto aumentò quando si scoprirono grandi giacimenti di diamanti. Alla fine del 1895 i britannici
tentarono un colpo di mano respinto dai boeri. Il governo tedesco intervenne manifestando il suo sostegno
al Transval nei primi giorni del 1896. L’azione tedesca è più che altro dovuta al tentativo di mettersi in
concorrenza con la Gran Bretagna nella regione o comunque di ricavarne dei compensi coloniali in un
contesto generale in cui la politica tedesca ondeggiava tra la creazione di un blocco continentale
antibritannico e un’alleanza con la Gran Bretagna non prima di averla messa in difficoltà. Il governo
britannico non reagì ma l’opinione pubblica si infiammò. La questione con i boeri sfociò in una guerra tra
il 1899 e il 1902 che portò alla Gran Bretagna più difficoltà del previsto.
Questione d’Estremo Oriente: tra la prima guerra sino-giapponese (1894-95) e l’alleanza anglogiapponese. Gran Bretagna, Francia e Germania seguirono ciascuna la propria via per arrivare alla Cina.
La Russia aveva stabilito la base di Vladivostock e poi si era spinta nei territori cinesi, la Francia aveva
premuto da sud. In questo contesto intervengono due fattori:
- la Germania pur non disponendo di basi commerciali e/o strategiche in Asia orientale voleva
affermare la propria presenza nell’area;
- il Giappone entra in azione militarmente e con intenti espansivi verso la Cina.
La pace imposta dal Giappone alla Cina prevedeva il controllo nipponico su Corea, Formosa, isole
Pescadores, penisola di Liaotung. Di conseguenza nacque una Triplice d’Estremo Oriente (Germania,
Francia, Russia) con lo scopo di costringere il Giappone a rinunciare ai vantaggi della vittoria e di
assumere un ruolo di protezione della Cina come preludio alla richiesta di particolari concessioni. La
prima a chiedere queste concessioni fu la Germania (l’unica sprovvista di basi nella regione) che mirava
ad agire in Asia orientale per indebolire l’alleanza franco-russa e grazie all’appoggio russo rafforzare le
proprie posizioni in Estremo Oriente. A partire dal giugno 1897 le varie potenze europee iniziano ad
ottenere concessioni e territori dalla Cina. Altri due sviluppi completano il quadro:
- l’intervento degli Usa nel azione durante la rivolta dei boxers.
- la stipulazione nel 1902 del trattato di alleanza anglo-giapponese.
5. L’evoluzione della situazione europea. L’Italia “fra alleanze e amicizie”.
Il 1896 può essere considerato l’anno in l’Italia inizia a staccarsi dalla Triplice intesa. La sconfitta di
Adua segna l’inizio della crisi della politica di Crispi, colonialista e antifrancese. Per il successivo
governo, presieduto da Rudinì, il problema principale è porre fine alla guerra con l’Etiopia, obiettivo che
venne raggiunto il 23 ottobre 1896 con un trattato che stabiliva un confine provvisorio con l’Eritrea reso
poi definitivo. Si chiudeva così la prima fase di espansione italiana in Africa. Contemporaneamente il
nuovo ministro degli esteri Emilio Visconti Venosta avviava una politica di normalizzazione nei rapporti
con la Francia. Il 30 settembre 1896 Italia e Tunisia firmarono tre convenzioni relative alla posizione
giuridica, economica e culturale della comunità italiana in Tunisia. Il 21 novembre 1898 un accordo
commerciale pose fine alla “guerra doganale” con la Francia. L’Italia intendeva ora ottenere l’avvallo
francese per le sue aspirazioni in Cirenaica e Tripolitania. Il 14-16 dicembre 1900 in uno scambio di
lettere tra Visconti Venosta e l’ambasciatore francese Barrerè la Francia si impegnava a considerare
Cirenaica e Tripolitania al di fuori della sua sfera d’influenza mentre l’Italia faceva altrettanto con il
Marocco. Tale accordo svuotava in parte di senso la Triplice Alleanza (pur non essendovi una
confliggenza giuridica) in quanto veniva meno quell’ostilità franco-italiana che era stata alla base
dell’adesione italiana alla Triplice ma allo stesso tempo rappresentava un importante passo avanti per
l’Italia. Contemporaneamente la situazione mutava anche a oriente: l’8 maggio 1897 Austria-Ungheria e
Russia giunsero ad un intesa secondo cui in caso di impossibilità di mantenere lo status quo la Russia
avrebbe accettato l’annessione austroungarica di Bosnia-Herzegovina e Novi Bazar; entrambe le potenze
si impegnavano a creare un Principato d’Albania escluso da qualsiasi dominazione straniera. Ciò
sembrava chiudere la strada alle iniziative italiane, tuttavia tra il 1897 e il 1901 Visconti Venosta riuscì ad
ottenere qualche risultato: in uno scambio di note tra la fine del 1900 e l’inizio del 1901 si stabiliva che
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Italia e Austria-Ungheria dovessero agire affinché le modifiche allo status quo avvenissero nel senso
dell’autonomia e intendendosi affinché queste tenessero conto dei rispettivi interessi. Il ministro degli
esteri del governo Zanardelli (1901) fu Giulio Prinetti (con orientamenti simili a Visconti Venosta), il
quale fece un altro passo dell’avvicinamento alla Francia sempre avendo come interlocutore Barrerè, il
quale mirava a far rimuovere eventuali clausole antifrancesi dalla Triplice. Prinetti lasciò credere che
l’Italia volesse uscire dalla Triplice, poi dopo aver ricevuto l’avvertimento del cancelliere tedesco Bulow
accettò il rinnovo con l’aggiunta di una dichiarazione secondo cui l’Austria-Ungheria non avrebbe
ostacolato l’azione italiana in Cirenaica e Tripolitania (28-30 giugno 1902). Pochi giorni prima l’Italia
aveva ottenuto anche l’assenso britannico (11-12 marzo 1902). Il 10-11 luglio un nuovo scambio di note
impegnava Francia e Italia non solo a riconoscersi mano libera nei rispettivi territori di interesse in Africa
settentrionale, ma sanciva anche una stretta neutralità nel caso che una delle due potenze fosse attaccata o
si trovasse costretta a muovere guerra per questioni di sicurezza o di onore e impegnava le parti a
comunicarsi preventivamente le rispettive decisioni. Due risultati:
- assenso tiepido degli alleati della Triplice e della Gran Bretagna e assenso più impegnativo della
Francia per le aspirazioni italiane in nord Africa;
- sistema del 1902: un sistema difensivo, conservatore e pacifico.
6. L’evoluzione della politica europea. L’intesa cordiale anglo-francese e il completamento dei blocchi.
All’inizio del Novecento la situazione della Gran Bretagna era questa:
- si esaurivano gli sforzi politici e diplomatici britannici e tedeschi per stabilire un’intesa tra i due
paesi; la proposta di alleanza antifrancese di Lord Lansdowne nel 1901 venne lasciata cadere;
- nel 1901 moriva la regina Vittoria e con lei un’epoca di affinità con la Germania;
- il governo di Londra stava per stabilire un’alleanza con il Giappone;
- la Gran Bretagna cercava di uscire dall’isolamento ma non era riuscita a prevedere il pericolo
tedesco in Europa.
L’avvicinamento anglo-francese deriva ovviamente sia dalla volontà britannica di uscire dall’isolamento
sia da un analogo desiderio francese unito all’idea di una coalizione che sopperisca sul piano diplomatico
all’inferiorità di forze e di risorse della Francia nei confronti della Germania. L’accordo del 21 marzo
1899 aveva definito le aree d’influenza in Africa dopo l’incidente di Fascioda. Se l’iniziativa e la
direzione dell’avvicinamento erano state francesi, con l’importante ruolo del ministro degli esteri
Delcassè, Edoardo VII con le sue simpatie per la Francia ebbe a sua volta una certa importanza. L’8 aprile
1904 si giunse alla firma dell’intesa cordiale: l’Egitto veniva riconosciuto come appartenente alla sfera
britannica e il Marocco a quella francese; vi erano poi alcuni articoli segreti relativi all’Impero
marocchino della Spagna. Una clausola risolveva poi un altro motivo di tensione rappresentato dalla
pesca al largo di Terranova. L’Intesa cordiale rappresentò un evento storico cruciale in quanto:
- elemento fondamentale del rovesciamento del sistema creato da Bismarck contro la Francia;
- la Francia era ora al centro del sistema di Delcassè e poteva fronteggiare la Germania avendo
un’alleanza con la Russia e un’intesa con la Gran Bretagna;
- ciò avveniva con un atto diverso dagli altri in quanto si trattava di un limitato accordo coloniale e
non di un’alleanza ma in questo caso l’accordo sulle colonie significava anche andare d’accordo
in Europa.
Per altro l’avvicinamento anglo-francese fu favorito dai tentativi fallimentari tedeschi di impedirlo ma si
crearono anche una serie di crisi in cui l’Intesa venne messa a dura prova.
Guerra russo-giapponese (1904-05): i due belligeranti sono alleati rispettivamente con Francia e Gran
Bretagna, la tensione sale quando navi russe attaccano per errore mercantili inglesi. Guglielmo II cerca
un’alleanza con la Russia nel caso uno dei due imperi fosse stato attaccato, è l’ultimo tentativo di
rimediare all’errore commesso con il mancato rinnovo del trattato di contro-assicurazione ma il primo
ministro russo lascia cadere la proposta.
Crisi marocchina (1905-06): Delcassè aveva ottenuto l’assenso per la preminenza francese in Marocco da
parte di Italia, Gran Bretagna e Spagna, ma non da parte tedesca. La Germania sfrutta tale aspetto, si
schiera a favore dell’indipendenza del Marocco e propone una conferenza delle grandi potenze. Francia e
Gran Bretagna si oppongono, la Germania sferra un’imponente offensiva diplomatica e Delcassè,
accusato di voler trascinare in guerra il suo paese, è costretto alle dimissioni. La conferenza si tiene ad
1
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Algesiras con la Germania che calcolava di poter contare sull’appoggio di tutta la Triplice, della Russia e
degli Usa, tuttavia ottiene solo l’appoggio dell’Austria-Ungheria. La conferenza sanciva quindi la
preminenza francese in Marocco ma la Germania era riuscita a stabilire che la questione era di pertinenza
di tutte le potenze, cosa che le permetterà di tener viva la questione e riaprire la crisi nel 1911. La crisi
rappresentò la prima e più importante prova di forza tra i blocchi che dominarono il decennio precedente
alla prima guerra mondiale.
La crisi aveva poi fatto emergere il preoccupante dinamismo tedesco agevolando così la risoluzione di un
altro contenzioso extra-europeo. Durante la conferenza il ministro degli esteri britannico aveva suggerito
l’idea di un memorandum franco-russo-britannico nell’eventualità di una guerra con la Germania. Il
ministro degli esteri russo Isvolski e l’ambasciatore britannico Nicolson furono tra i protagonisti delle
trattative che portarono alla soluzione del contenzioso russo-britannico, tale contenzioso riguardava le
posizioni delle due potenze in Asia dall’Afghanistan, alla Persia, al Tibet, al destino dell’impero
ottomano. In questo contesto erano intervenuti anche l’alleanza anglo-giapponese e gli esiti della guerra
russo-giapponese. Il 31 agosto 1907 si giunse alla firma di una convenzione contenente tre accordi (per
dare vitalità separata a ciascuno dei tre) relativi all’integrità territoriale di tre paesi asiatici:
- Persia: venivano stabilite due zone d’influenza, una settentrionale e più vasta per la Russia e una
minore sul Golfo Persico per la Gran Bretagna;
- Afghanistan: la Russia accettava di considerarlo fuori dalla sua sfera d’influenza e la Gran
Bretagna si impegnava a non modificarne lo stato politico;
- Tibet: veniva riconosciuta la sovranità cinese e le due potenze si impegnavano a non prendervi
iniziative diplomatiche o economiche.
Dopo l’alleanza franco-russa e la soluzione del contenzioso franco-britannico, la soluzione del
contenzioso russo-britannico rappresenta il terzo tassello della Triplice Intesa.
7. La politica dei blocchi: l’annessione della Bosnia-Herzegovina e l’accordo italo-russo del 1909.
Intesa anglo-francese del 1904 e convenzione anglo-russa del 1907: il quadro europeo inizia a delinearsi.
Da ora i campi rivali non faranno più tentativi significativi per rompere gli schieramenti anche se da parte
dell’Intesa manca ancora la volontà di creare una coalizione (con la parziale eccezione francese). La
Germania diviene il fattore determinante, ma in una posizione di minor influenza e sicurezza rispetto al
periodo bismarckiano, per diversi motivi:
- gli errori della politica guglielmina tendente a ricercare continuamente occasioni in cui imporsi e
pronta ad andare oltre la diplomazia e verso l’uso della forza militare;
- la tendenza tedesca a compattare il blocco mitteleuropeo, pilotando l’unica alleata e rimanendo a
sua volta condizionata;
- i tentativi tedeschi di recuperare i vantaggi concessi alla Francia.
Più precisamente la situazione vede un’Intesa anglo-franco-russa (nei fatti più che nei vincoli giuridici
formali) e un blocco degli imperi centrali alleati a determinate condizioni con l’Italia. L’Italia aveva
infatti motivi di dissenso:
- con la Germania per quanto riguarda i rapporti con la Francia;
- con l’Austria-Ungheria a causa del suo intento di agire nei Balcani in contrasto con il principio dei
compensi; Vienna continuò in questo ambito su una linea di intesa esclusiva con la Russia, linea
iniziata con l’accordo del 1897 e poi proseguita con altri due accordi nell’ottobre 1903 e
nell’ottobre 1904 che prevedevano la neutralità di una delle due parti qualora l’altra si fosse
trovata sola e senza provocazione in guerra con una terza potenza (per Vienna questa poteva
essere l’Italia).
Questa situazione non aveva comunque impedito il rinnovo automatico della Triplice alleanza l’8 luglio
1907. In questo contesto si colloca la decisione Austroungherese di annettere la Bosnia-Herzegovina che
avrebbe portato un accrescimento formale della duplice monarchia e una riduzione formale dei territori
ottomani (essendo quella regione già amministrata da Vienna) e a un inasprimento del contrasto austroserbo. Tale decisione rispondeva all’esigenza di controllare più direttamente la Serbia che stava
divenendo sempre più l’epicentro del nazionalismo slavo. Furono tuttavia i metodi di Aehrenthal,
ministro degli esteri austroungarico, e gli equivoci a scatenare le conseguenze più significative. In due
incontri con Tittoni e Isvolski, Aehrenthal sembrò ottenere l’assenso di Italia e Russia, poco dopo
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nell’incontro tra Tittoni e Isvolski il ministro italiano capì che il russo aveva acconsentito alle pretese di
Vienna e tentò di correre ai ripari proponendo un’intesa italo-russo-austriaca da cui anche Italia e Russia
traessero dei compensi o dei vantaggi. Il 6 ottobre 1908 l’Austria-Ungheria annunciò l’annessione. Le
proteste furono forti, serbe in primo luogo; il primo ministro russo Stolypin dichiarò che non poteva
accettare un tale atto, l’Italia ritenne violata la clausola della Triplice secondo cui il mutamento di status
quo doveva essere concordato e doveva portare a compensi. Lo stesso Guglielmo II si irritò per non
essere stato informato in tempo delle intenzioni di Vienna e per le possibili ripercussioni sull’influenza
tedesca in Turchia. Il cancelliere Bulow convinse il Kaiser che non si poteva abbandonare l’AustriaUngheria in quanto questa avrebbe potuto perdere la fiducia nella Germania (cosa da evitare) e a sua volta
trovarsi in difficoltà. Veniva riconfermato il saldo vincolo tra gli imperi centrali. Il 21 marzo 1909 la
Germania chiese alla Russia l’esplicito riconoscimento dell’annessione altrimenti Berlino avrebbe
lasciato che le cose seguissero il loro corso: la Russia, umiliata ma militarmente debole, accettò. In Italia
ciò rappresentò la terza scossa alla triplice dopo la visita del presidente francese nel 1904 e la conferenza
di Algesiras. La conseguenza principale fu l’accordo firmato a Racconigi il 24 ottobre 1909 in occasione
della visita dello zar in Italia. Le due parti si impegnavano, nel caso che il mutamento di status quo nei
Balcani fosse inevitabile, a seguire il principio di nazionalità per creare stati indipendenti dal dominio
straniero; a una coordinata azione diplomatica comune; a non stipulare accordi con potenze terze senza
coinvolgere l’altra parte; a considerare reciprocamente i rispettivi interessi in Africa settentrionale e sulla
regione degli stretti.
8. La politica dei blocchi: la seconda crisi marocchina, la guerra di Libia e le guerre balcaniche.
Le crisi che si verificano all’inizio del secondo decennio del Novecento confermano gli schieramenti che
si erano formati nel primo. Il 9 febbraio 1909 la Germania riconosce la preminenza politica francese in
Marocco e la Francia promette di non ostacolare gli interessi economici tedeschi. Quando truppe francesi
occupano Fez invitate dal sultano al fine di contrastare una rivolta, la Germania a fronte di questa
ulteriore penetrazione francese in Marocco chiede compensi e invia nella zona un proprio incrociatore.
Tra Francia e Germania iniziano trattative che però si estendono presto ad altri stati: la Russia preme per
una soluzione negoziale ma il governo britannico è diviso tra chi preferisce la via del negoziato e chi
inizia a malsopportare la condotta tedesca. Berlino comunica che intende garantire con qualsiasi mezzo il
rispetto della conferenza di Algesiras. Alla fine la Francia offrì una parte considerevole del Congo alla
Germania a fronte di una porzione del Camerum tedesco e la crisi rientrò, ma il contenzioso coloniale si
era trasformato in una prova di prestigio. La conquista italiana della Tripolitania e Cirenaica coincise con
l’ultima fase della crisi marocchina al fine di approfittare di una situazione internazionale in movimento.
L’azione era la conclusione di una lunga preparazione diplomatica (1891 consenso tedesco - 1909
consenso russo) e portò l’Italia in guerra con l’impero ottomano: il governo italiano dopo una protesta per
il trattamento degli italiani in Libia inviò un ultimatum e iniziò le operazioni militari il 29 settembre. Il
15 ottobre 1912 il Trattato di Losanna vedeva la Libia assegnata all’Italia e il diritto per quest’ultima di
occupare Rodi e il Dodecanneso fino a che funzionari e soldati turchi avessero abbandonato la Libia. Gli
esiti sulla Triplice alleanza furono discordanti. Negativi per quanto concerne i rapporti con l’AustriaUngheria (il cui capo di stato maggiore Conrad elaborò un piano contro l’Italia approfittando del suo
impegno in Libia); positivi invece per quanto concerne i rapporti con la Germania, che giocò un ruolo di
sostegno al fine di mantenere l’Italia nella Triplice permettendole di portare avanti la guerra navale anche
al di fuori delle acque libiche. Ciò rilanciò durante e dopo la guerra la Triplice alleanza. Ciò fu dovuto
anche all’atteggiamento francese: la Russia era favorevole all’azione italiana, la Gran Bretagna era
anch’essa favorevole (benché con più interessi nell’area) ma la Francia, soprattutto dopo che Poincaré era
divenuto primo ministro, si dimostrò particolarmente preoccupata dalle aspirazioni italiane nel
Mediterraneo. Il primo ministro infatti riteneva ormai inutile ogni tentativo di alterare gli equilibri
esistenti ponendosi quindi in contrasto con la politica dell’ambasciatore Barrerè. La guerra indebolendo la
Turchia spinse gli stati balcanici all’azione e in tale contesto con detti stati mobilitati prima contro la
Turchia poi tra loro si apriva la possibilità di un’azione russa dopo lo smacco dovuto all’annessione della
Bosnia-Herzegovina. È la Russia a favorire l’alleanza al fine di riprendere il ruolo di guida degli stati
slavi: si giunge così ad una serie di trattati sulla base dei quali Serbia, Montenegro, Bulgaria e Grecia
muovono guerra all’impero ottomano per privarlo della Macedonia. La guerra iniziò il 17 ottobre 1912 e
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vide subito il prevalere degli stati balcanici, il 30 maggio 1913 con la pace di Londra l’impero cedette
tutti i rimanenti territori in Europa tranne una parte di Tracia. Venne così meno il principale motivo di
coordinamento tra gli stati dei Balcani ed emersero problemi relativi al complesso intreccio di etnie
diverse. La spartizione della Macedonia dette inizio alla seconda guerra balcanica che vide la Bulgaria
scontrarsi con gli alleati di prima a cui si aggiunsero anche Romania e Turchia. La sconfitta bulgara fu
sancita dal Trattato di Bucarest, il 10 agosto 1913, che assegnava la Dobrugia bulgara alla Romania, gran
parte della Macedonia alla Serbia, la regione di Salonicco alla Grecia e Adrianopoli alla Turchia. La crisi
balcanica del 1912-13 determinò importanti sviluppi:
- la rivincita della Russia dopo l’annessione austroungarica della Bosnia-Herzegovina;
- la fine dell’epoca in cui i movimenti nazionali dell’area balcanica erano diretti contro l’impero
ottomano e l’inizio della fase in cui la storia della regione è dominata dai contrasti tra i vari stati;
- la predisposizione di tali rivalità rispetto alla collocazione che gli stati balcanici avrebbero assunto
nella prima guerra mondiale (Serbia e Romania con l’Intesa, Bulgaria con gli imperi centrali).
Alla fine di luglio del 1913 una conferenza delle grandi potenze decise l’autonomia dell’Albania
rimandando il suo assetto al futuro.
9. Il Giappone grande potenza in Asia orientale.
Il Giappone rimase chiuso al mondo esterno durante l’età moderna e anche dopo la guerra dell’oppio che
aveva portato all’apertura della Cina. Nel 1853 una squadra navale americana impose la prima apertura e
nel 1857-58 Usa e Giappone conclusero due trattati relativi ai loro rapporti economici e commerciali,
aprendo così la strada agli altri stati europei. Dopo l’avvento al potere dell’imperatore Mutsuhito (1868) il
paese iniziò un rapido processo di modernizzazione e industrializzazione senza abbandonare la mentalità
tradizionale. Dotato di un esercito e di una flotta moderni il Giappone diede inizio ad una politica
espansiva vincendo la prima guerra sino-giapponese (1894-95): ciò rivelò l’esistenza di una potenza
extra-europea e le potenze europee continentali si coalizzarono per opporsi al Giappone e acquisire aree
d’influenza in Cina. Ciò spinse il Giappone a cercare un’alleanza che ne impedisse l’isolamento: il 30
gennaio 1902 si concluse l’alleanza anglo-giapponese. Vi si stabiliva il riconoscimento dei reciproci
interessi nell’area, si garantiva a ciascuna parte il diritto di salvaguardare quegli interessi qualora
minacciati e infine si sanciva la neutralità di una parte qualora l’altra fosse in guerra con una terza
potenza e l’intervento se fosse in guerra contro due avversari. Dopo due anni ripresero i tentativi
giapponesi di affermarsi in Corea, questa volta contro la Russia. La vittoria giapponese nella guerra del
1904-05 (5 settembre 1905, pace di Portsmouth) sancì il ruolo del paese come principale potenza
dell’Asia orientale, ruolo rafforzato dallo stabilimento del protettorato sulla Corea nel 1910. Il governo
giapponese era consapevole che tali successi derivavano in buona parte da circostanze favorevoli, ma con
la prima guerra mondiale, il logorio e la perdita di centralità dell’Europa, porranno le basi per un decisivo
balzo in avanti.
10. La crisi del luglio 1914 e lo scoppio della prima guerra mondiale.
Mentre si verificarono le varie crisi che coinvolsero le potenze europee Germania e Gran Bretagna si
impegnarono in una gara degli armamenti navali che rappresentò una delle massime espressioni della
tensione internazionale. Nell’autunno del 1912 fallisce la missione del ministro della guerra britannico
Haldane mirante a stabilire un’intesa con la Germania; la Gran Bretagna aveva da un lato avviato un
programma navale tale da mantenere un certo vantaggio sulla Germania, dall’altro si accordava con la
Francia sulla distribuzione delle flotte con una convenzione navale (marzo 1913). La situazione è
caratterizzata quindi dal contrasto anglo-tedesco, da quello franco-tedesco e da quello austro-russo ma
non c’è nessun contrasto tra Austria-Ungheria e Francia, tra Austria-Ungheria e Gran Bretagna, ne fra
Germania e Russia. L’Italia fu saltuariamente in contrasto con la Francia, ma mai con la Gran Bretagna e
nemmeno con la Russia, sarà via via sempre più in contrasto con l’Austria-Ungheria ma non avrà motivi
di contrasto diretti con la Germania. Il 28 giugno 1914 a Sarajevo viene assassinato l’arciduca Francesco
Ferdinando erede al trono d’Austria-Ungheria da un nazionalista serbo. Vienna vede nello stato serbo un
pericolo sempre maggiore e ritiene che sia il momento di risolvere il problema con il sostegno tedesco. In
effetti la Germania sostiene l’Austria-Ungheria per tenere legata a se l’alleata, per evitare che si sgretoli
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sotto la spinta dei nazionalismi e per evitare che la crisi superi l’ambito locale. Il 23 luglio l’AustriaUngheria presenta al governo serbo una nota che suona come un duro ultimatum, sembra che si voglia
causare una guerra da mantenere localizzata e concludere battendo sul tempo la Russia. Quest’ultima non
poteva permettersi ancora uno scacco nei Balcani (soprattutto dopo che aveva ricostruito la sua potenza
militare, con un ministro degli esteri del temperamento di Sazonov e con l’esplicita solidarietà francese
offerta in quei giorni, seguita poi da inviti alla prudenza). I serbi risposero proponendo di sottoporre la
questione al tribunale internazionale dell’Aja o alle grandi potenze. Il 25 luglio il ministro degli esteri
britannico Grey propose che le quattro potenze non coinvolte (Germania, Italia, Gran Bretagna e Francia)
mediassero tra Russia e Austria-Ungheria, ma ciò favoriva Vienna, si doveva infatti mediare tra Serbia e
Austria-Ungheria più che tra Russia e Austria-Ungheria. La Germania aderì pro forma visto che aveva
appena incitato gli austroungarici a non perdere tempo nell’azione contro la Serbia (28 luglio 1914), il 29
la Russia decretò la mobilitazione parziale contro l’Austria-Ungheria (che il giorno seguente divenne
mobilitazione generale): ciò rappresentava una minaccia per la Germania che il 31 luglio ordinò a sua
volta la mobilitazione generale e indirizzò un ultimatum a Russia e Francia. Il 1 agosto la Francia iniziò la
mobilitazione generale. Il 2 agosto la Germania inviò un ultimatum al Belgio in cui si chiedeva il
permesso di far passare le truppe tedesche attraverso il paese. Il 3 agosto il Belgio rispose negativamente
e l’Italia proclamò la sua neutralità. Il 4 agosto le forze tedesche entravano in Belgio. Il 5 agosto la Gran
Bretagna dichiarava guerra alla Germania.
Nello scoppio della prima guerra mondiale i Balcani fornirono solo la situazione iniziale, l’elemento
scatenante per un conflitto determinato da molti altri fattori, tra cui:
- la logica dei blocchi di potenza che si svilupparono e si irrigidirono fino a contrapporre stati che
non avevano motivi di contrasto;
- la gara degli armamenti;
- l’irresponsabilità degli uomini di governo;
- il modo in cui i generali avevano condizionato la diplomazia;
- atteggiamenti di rassegnata aspettativa o di nazionalismo violento che animavano le opinioni
pubbliche dei paesi coinvolti.
La Gran Bretagna non era vincolata ad entrare in guerra da nessun accordo ma lo fa come risposta
all’aggressione tedesca del Belgio (che era uno stato neutrale): il che rappresenta allo stesso tempo una
violazione del diritto internazionale e un pericolo per gli interessi britannici. Il 3 settembre 1914 Russia,
Gran Bretagna e Francia concludono un’alleanza vera e propria.
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Capitolo 15. La diplomazia della Grande guerra.
1. 1914-1918: cinque anni di trasformazioni internazionali inaspettate e rivoluzionarie.
Diversi elementi e mutamenti concorrono a creare il quadro entro cui si sviluppa la diplomazia della
prima guerra mondiale:
- L’atteggiamento di governi e popoli di fronte al conflitto bellico: la tendenza a non ritenere
possibile che il mondo occidentale con la sua civiltà precipitasse nella guerra, il fatalismo dei
governi di fronte alle ricorrenti prove di forza, la forza degli ambienti nazionalisti.
- La previsione che la guerra fosse di breve durata.
- La disponibilità di un numero enorme di soldati.
- La trasformazione dello sforzo produttivo e del contesto socio-economico: lo sviluppo industriale
e tecnologico, l’impiego su vasta scala di manodopera femminile…
- Gli Stati Uniti che divengono il “banchiere del mondo” subentrando all’Europa.
- La nascita di una forte opposizione alla guerra.
- La guerra che inizia come europea e finisce come mondiale.
2. Problemi e sviluppi della diplomazia di guerra: “trattati imperialistici”, scopi di guerra e iniziative di
pace. La politica delle nazionalità.
La fase dei trattati imperialistici (così definiti dal regime bolscevico) va dall’inizio del 1915 alla
primavera del 1917 e riguarda Francia, Gran Bretagna, Russia e Italia.
Trattato di Costantinopoli e degli stretti (marzo-aprile 1915): tra Russia, Francia e Gran Bretagna e
assegna alla Russia Costantinopoli e gli stretti (di cruciale importanza strategica), la Gran Bretagna
avrebbe ottenuto il controllo dell’Egitto ed esteso la sua area di influenza in Persia, la Francia avrebbe
ottenuto tre aree d’influenza in Cilicia, Siria e Palestina. Tale accordo nasce soprattutto al fine di
trattenere l’impero zarista da una pace separata con gli imperi centrali ma anche al fine di bilanciare le
concessioni che sarebbero state fatte all’Italia nel Patto di Londra.
Accordo Sykes-Picot (maggio 1916): Francia e Gran Bretagna stabiliscono l’assetto del Medio Oriente
dopo la fine della guerra.
All’inizio del 1917 la Francia ancora decisa a sfruttare al meglio la partecipazione russa alla guerra e
nell’intento di non farla uscire propone alla Russia Costantinopoli e gli stretti in cambio dell’appoggio
all’annessione dell’Alsazia-Lorena, ma ovviamente il governo russo non vuole pagare per ciò che ha già
ricevuto. La Francia allora propone l’annessione dell’Alsazia-Lorena e le miniere di carbone della Saar in
cambio della libertà per la Russia di stabilire le sue frontiere occidentali.
Accordi di San Giovanni di Moriana (17 aprile 1917): le tre potenze dell’Intesa assegnano all’Italia
compensi nella parte meridionale e orientale della penisola anatolica.
Tra la fine del 1916 e l’inizio del 1917 il presidente Wilson chiese alle potenze belligeranti quali intenti si
proponessero di ottenere con la vittoria militare al fine di avviare una politica verso una “pace senza
vittoria”: le risposte però non dettero esiti incoraggianti per la linea del presidente americano.
Nel corso del 1917 prese piede quella che venne definita la “politica delle nazionalità”: strettamente
legata alla propaganda, scelse l’Austria-Ungheria come bersaglio principale e la condizione dei popoli
oppressi come leva per scardinare l’impero multietnico.
3. L’intervento italiano.
Dopo l’ultimatum austroungarico alla Serbia (23 luglio 1914), il ministro degli esteri italiano Antonio di
San Giuliano comunica che se Vienna avesse proceduto a occupazioni territoriali senza consenso italiano
avrebbe violato la Triplice e l’Italia avrebbe agito in concordanza con le potenze che avevano interesse a
impedire ingrandimenti austrounarici nei Balcani. Il 27 luglio il ministro propone che l’ultimatum alla
Serbia non sia imposto da Vienna ma dalle potenze europee (la proposta trova alcuni pareri favorevoli ma
non viene attuata) e avvisa la Germania sul possibile intervento britannico. Il 31 luglio l’Austria-Ungheria
tentò invano di mantenere l’Italia dalla parte della Triplice con la promessa di Valona come compenso:
l’Italia dichiara la sua neutralità. Si crea così una sorta di gara delle due coalizioni per attirare l’Italia, da
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parte della Triplice alleanza per mantenerla almeno neutrale, da parte dell’Intesa per farla scendere in
guerra. La situazione interna italiana vedeva diversi schieramenti:
- i nazionalisti propendono per un intervento a favore della Triplice intesa, la guerra serve a fare
dell’Italia una grande potenza; successivamente questo schieramento, mantenendo inalterata la
motivazione sosterrà l’intervento a fianco dell’Intesa.
- interventismo democratico (repubblicani, socialisti usciti dal partito al tempo della guerra in Libia,
parte dei liberali e parte dei cattolici): comunanza con le democrazie occidentali e completamento
dell’unificazione nazionale.
- neutralisti: socialisti, gran parte dei cattolici e parte dei liberali.
San Giuliano compì un primo passo verso l’Intesa (agosto) e inviò in Russia (settembre) un piano che
tracciava a grandi linee lo schema del successivo Patto di Londra. Dopo la sua morte (ottobre) alcuni
avvenimenti come l’ingresso della Turchia nella guerra, il blocco degli stretti e il rafforzamento
austroungarico nei Balcani spinsero Sonnino a muoversi verso gli imperi centrali, un passo che Vienna, a
differenza di Berlino, non seppe cogliere: nonostante le pressioni tedesche gli austroungarici arriveranno
ad offrire solo il Trentino (marzo) e per di più ad una serie di condizioni, le richieste italiane erano ben
superiori e nel frattempo Sonnino aveva già ripreso il dialogo con l’Intesa e lo portò avanti nonostante i
tentativi tedeschi di offrire compensi altrove. Favorevoli alle richieste italiane erano sia i francesi che i
britannici, i russi nettamente più tiepidi furono convinti grazie alle pressioni dei due alleati e al Trattato su
Costantinopoli e gli Stretti. Il 26 aprile 1915 venne firmato il Patto di Londra, secondo cui l’Italia avrebbe
ottenuto:
- il Trentino e l’Alto-Adige con il confine al Brennero;
- Trieste, Gorizia, Gradisca, la Carniola occidentale e l’Istria fino al golfo del Quarnaro con le isole
di fronte;
- la Dalmazia e una serie di isole;
- la sovranità sul Dodecanneso;
- Valona e l’incarico di rappresentare l’Albania nelle sue relazioni con l’estero;
- eventuali compensi in Africa in caso di conquista delle colonie tedesche;
- un credito immediato di 30 milioni di Sterline;
- la garanzia che gli alleati non avrebbero firmato paci separate.
Il 5 maggio l’Italia denuncia la Triplice, il 23 maggio dichiara guerra all’Austria-Ungheria.
4. L’intervento degli Stati Uniti.
Il 4 agosto Wilson aveva proclamato la neutralità degli Usa, nel paese emergevano posizioni differenti
(filo-Intesa, neutrali, disinteressate/più interessate alla situazione nel Pacifico…). La rigorosa neutralità
venne però meno a causa di diversi fattori:
- gli Usa iniziano a esportare forniture verso i paesi dell’Intesa per un valore stimabile intorno ai 17
miliardi di dollari, se l’Intesa fosse stata sconfitta…
- guerra sottomarina indiscriminata da parte dei tedeschi al fine di bloccare i rifornimenti americani;
si riteneva che se anche ciò avesse provocato l’intervento americano questo sarebbe arrivato
troppo tardi.
- il telegramma Zimmermann con cui gli imperi centrali cercarono di indurre il Messico e
indirettamente il Giappone a dichiarare guerra agli Usa.
Il 2 aprile gli Usa entrano in guerra. Nei primi mesi l’intervento non incise sull’andamento della guerra e
divenne realmente consistente solo nel corso del 1918. Dal punto di vista diplomatico gli Usa evitano di
stringere alleanze vincolanti salvando il principio isolazionista ed evitando di impegnarsi nei “trattati
imperialistici”.
5. I quattordici punti di Wilson e la nuova diplomazia.
Il presidente Wilson annuncia gli scopi di guerra degli Usa in 14 punti. I primi 5 riguardano i problemi
generali della comunità internazionale: diplomazia aperta, libertà dei mari, soppressione delle barriere
economiche, riduzione degli armamenti e problema delle colonie. Gli altri punti riguardano:
- il futuro della Russia;
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la liberazione del Belgio, della Francia settentrionale e la restituzione dell’Alsazia-Lorena;
la liberazione di Serbia, Montenegro e Romania e lo stabilimento di relazioni pacifiche tra gli stati
balcanici;
- la creazione di uno stato polacco;
- il futuro degli imperi multietnici in base al principio di autodeterminazione;
- l’istituzione della Società delle Nazioni (SdN).
Quando la Germania chiederà l’armistizio lo farà sulla base di questo programma: completamente diversa
sarà la pace impostagli con l’umiliante trattato di Versailles. La nuova diplomazia avrebbe dovuto essere
non segreta, basata su principi piuttosto che interessi, sul concetto di autodeterminazione, sul rifiuto delle
annessioni territoriali…
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6. Le conseguenze strategiche e diplomatiche della Rivoluzione Russa.
Dopo l’abdicazione dello zar (17 marzo 1917) si formò un governo liberaldemocratico guidato prima da
Lvov e poi da Kerensky che assicurò agli alleati che la Russia avrebbe continuato la guerra nonostante le
enormi difficoltà interne. L’uscita di scena russa provocò una serie di scompensi. Il venir meno del fronte
orientale comportò la possibilità per gli imperi centrali di concentrarsi sugli altri due fronti (su quello
italiano il 24 ottobre del 1917 si assiste alla rotta di Caporetto). La Russia arrivò dopo la presa del potere
da parte dei bolscevichi ad un armistizio con la Germania (5 dicembre) e poi alla pace di Brest-Litovsk (3
marzo 1918) con cui la Russia perse una serie di territori dalla Finlandia, alla Polonia, alla Lituania… Ma
gli effetti si fecero sentire anche nei paesi dell’Intesa con diserzioni, scioperi, contestazioni contro quella
che era divenuta la “guerra dei padroni” provocando un irrigidimento in tali paesi e l’avvio di una serie di
governi di unione nazionale.
7. La vittoria dell’Intesa.
Sul fronte occidentale, nonostante l’Intesa avesse fermato l’avanzata tedesca, la guerra continuava come
sempre a essere combattuta sul territorio francese. Nei Balcani si assiste all’armistizio con la Bulgaria (29
settembre 1918) a cui segue quello con la Turchia (30 ottobre 1918): gli alleati degli imperi centrali
cedettero soprattutto per questioni militari. In Austria-Ungheria è il fenomeno delle nazionalità, già forte
prima del 1914, a far crollare l’impero sotto spinte centrifughe sempre più forti. Anche in Germania il
fattore è interno: il crollo economico e le difficoltà politiche spingono le autorità tedesche a chiedere al
presidente Wilson un armistizio sulla base dei 14 punti, a sua volta il presidente pretende di trattare con
un governo democratico: viene proclamata la repubblica (9 novembre 1918) e si crea un governo a guida
socialdemocratica. L’11 novembre 1918 la Germania firma l’armistizio. Punto cruciale è che la Germania
non venne sconfitta sui campi di battaglia (e la sua popolazione e i suoi politici erano consapevoli di ciò):
il successivo trattato di pace di Versailles non aveva nulla a che fare con l’armistizio del novembre 1918 e
fu alla base di un sentimento di rivincita e di rabbia che caratterizzerà la Germania del primo dopoguerra.
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Capitolo 16. L’assetto internazionale del primo dopoguerra.
1. La conferenza della Pace.
La Conferenza di Pace inizia a Parigi il 18 gennaio 1919: vi partecipano i rappresentanti di tutti i paesi
belligeranti nonché dei nuovi stati che andavano formandosi ma gli aspetti fondamentali furono di
competenza delle potenze vincitrici. In particolare venne esclusa la Russia e la Germania ebbe un ruolo
tanto marginale da non partecipare nemmeno ai negoziati relativi al trattato di pace (a differenza di
quanto era avvenuto nel 1815 con la Francia al congresso di Vienna). In questa prima fase, circa fino
all’estate due furono le questioni principali affrontate: la Società delle Nazioni e il trattato di pace con la
Germania. In generale i trattati con i paesi vinti sono 5 ognuno tra ciascun vinto e tutte le potenze alleate e
associate.
2. Il Trattato di Versailles.
Le tre potenze assunsero atteggiamenti diversi di fronte alla Germania:
- Francia: posizione più intransigente con la creazione di un sistema difensivo sulla sponda ovest
del Reno da realizzare anche con la decurtazione di importanti territori alla Germania;
- Gran Bretagna: pace giusta per la Germania tenendo conto delle possibilità di espansione della
Rivoluzione russa, trattato di garanzia Francia-Gran Bretagna-Usa;
- Usa: restituzione dell’Alsazia-Lorena, creazione di uno stato polacco e principi di nazionalità e
autodeterminazione;
Tre furono i problemi da affrontare: le riparazioni di guerra; i confini del nuovo stato tedesco, i limiti alla
sua forza militare. Il Trattato venne firmato il 28 giugno 1919 ed era formato di 440 articoli di cui i primi
26 costituivano il covenant della Società delle Nazioni. Nucleo del trattato sono gli articoli 227-232 ove si
afferma la responsabilità totale della Germania nello scoppio della guerra. Perché?
- stabilire almeno sul piano teorico un punizione per i capi tedeschi (ma tale tentativo non ha
seguito);
- introduzione del principio delle riparazioni;
Per quanto riguarda le riparazioni il Trattato fissa solo la responsabilità tedesca e l’obbligo a pagare, il
calcolo della cifra totale che diviene oggetto di diverse discussioni viene affidato ad una commissione che
deve portare ad un risultato entro il maggio 1921 (nel frattempo si decide un acconto di 20 miliardi di
marchi oro).
In totale la Germania perde tra un sesto e un settimo del suo territorio: l’Alsazia-Lorena viene restituita
alla Francia, il Belgio ottiene dopo plebiscito i distretti di Eupen e Malmedy, la Danimarca sempre a
seguito di plebiscito lo Schleswig settentrionale. A est parte della Posnania e della Pomerania vengono
cedute alla neonata Polonia il cui accesso al mare è rappresentato dal corridoio di Danzica, la quale
diviene città libera ma di fatto è amministrata dai polacchi. Alcuni territori tedeschi (la Prussia orientale)
risultano quindi staccati dal resto del paese. Anche Memel viene proclamata città libera ma nel 1923 è
annessa dalla Lituania. Le colonie tedesche vengono assegnate alla Francia, alla Gran Bretagna e ai suoi
Dominions e in Asia orientale al Giappone in contrasto con quanto previsto dai 14 punti.
Sempre lungo il confine con la Francia alla Germania viene vietato di mantenere ed erigere fortificazioni
sulla riva occidentale del Reno e, dove il fiume fa da confine, su quella orientale per una profondità di 50
km. Il bacino carbosiderurgico della Saar viene posto per 15 anni sotto tutela internazionale (ma con i
proventi destinati alla Francia) e poi il suo destino sarebbe stato deciso da un plebiscito. Viene impedita
l’annessione dell’Austria. Le clausole militari sono altrettanto pesanti: l’esercito può al massimo essere
composto di 100.000 uomini con 4000 ufficiali e viene abolita la coscrizione obbligatoria, vengono
proibiti l’aviazione, l’artiglieria pesante, i carri armati e i sottomarini, per le forze navali il limite è a
10.000 tonnellate di stazza. A titolo di Garanzia poi le forze alleate occupano le città di Colonia,
Coblenza e Magonza con l’intento di procedere ad un ritiro progressivo in 5, 10 e 15 anni qualora la
Germania avesse adempiuto alle clausole del Trattato, d’altra parte si dispone che in caso di necessità le
forze alleate possano estendere l’occupazione.
È evidente che il Trattato di Versailles ha poco a che vedere con i 14 punti di Wilson (territorio,
autodeterminazione, colonie, disarmo generale…), le note presentate dai delegati tedeschi verranno
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scarsamente considerate e il governo della neonata e fragile repubblica di Weimar si trova a dover firmare
il Trattato da subito percepito come un’imposizione e un tradimento.
3. I Trattati con gli alleati della Germania.
Per quando riguarda l’impero austroungarico esso si è dissolto lasciando spazio a due stati: la Repubblica
Austriaca e il Regno d’Ungheria.
Trattato di Saint Germain-en-Laye (10 settembre 1919): la Repubblica austriaca viene ridotta ad un
piccolo stato etnicamente omogeneo a cui veniva fatto divieto di unirsi alla Germania e alle cui forze
armate venivano imposti dei limiti. Le cessioni territoriali riguardavano: Boemia e Moravia alla neonata
Cecoslovacchia (i Sudeti erano austrungarici), parte della Slesia e Galizia austriaca alla Polonia, Bucovina
settentrionale alla Romania, Bosnia-Herzegovina, Dalmazia, Stiria meridionale alla Jugoslavia e infine
Trentino, Altro Adige, Trieste, Gorizia, Carniola occidentale all’Italia. Il problema principale sorge tra
Italia e Jugoslavia (v. oltre).
Trattato del Trianon: (4 giugno 1920): il Regno d’Ungheria rimaneva uno stato magiaro cedendo
Slovacchia e Rutenia subcarpatica alla Cecoslovacchia, Transilvania alla Romania, Backa e Banato
occidentale alla Jugoslavia. Un terzo della popolazione ungherese si trova a vivere in altri stati ponendo le
basi di uno dei problemi del primo dopoguerra.
Trattato di Neully (27 novembre 1919): la Bulgaria cede la Dobrugia meridionale alla Romania, alcuni
distretti alla Jugoslavia e altri alla Grecia.
Trattato di Sevres (10 agosto 1920): l’impero ottomano durante la guerra si sgretola e i territori arabi sono
occupati dalle forze dell’Intesa. L’Italia vuol far valere gli accordi di San Giovanni di Moriana ma Gran
Bretagna e Francia si oppongono, nascono così gli accordi italo-greci Tittoni-Venizelos del luglio 1919
con cui l’Italia scambia le sue pretese in Turchia con il consenso greco agli interessi italiani in Albania.
Gli accordi vengono resi pubblici suscitando grande scalpore, segue una conferenza che decide che
l’Italia avrà un ruolo di una certa importanza in Albania. I Greci inviano le loro truppe in Turchia ma
dopo la firma del Trattato di Sevres le truppe dell’Intesa si ritirano. Le clausole del trattato sono dure:
amministrazione greca di Smirne e di altri territori per cinque anni, mantenimento della capitolazioni,
stato armeno, Kurdistan autonomo, riduzione delle forze armate, mentre la questione degli stretti viene
affidata ad una apposita commissione. Tuttavia si era formato un governo nazionalista guidato da Kemal
e sostenuto dai militari che inizia una guerra contro i greci fino ad espellerli dal paese nel settembre 1922.
Segue la proclamazione di una repubblica laica (quindi viene abolito il califfato) e una revisione del
trattato che porta al nuovo Trattato di Losanna (24 luglio 1923) con cui vengono abolite le capitolazioni e
i limiti sulle forze armate, tolto l’obbligo ad un Kurdistan autonomo (mentre lo stato armeno era già stato
smantellato) e attenuate le misure sugli stretti (sui quali la Turchia riacquisterà la piena sovranità 13 anni
dopo).
4. Nasce il problema del Medio Oriente.
Fin dal febbraio 1919 venne considerato il problema del Medio Oriente arabo con Feisal che manifesta le
aspirazioni arabe all’unità (eventualmente un unico mandato per tutti i territori arabi), tornato in Siria
viene proclamato re. Tuttavia la conferenza interalleata di San Remo (19-26 aprile 1920) sancisce la
suddivisione in sfere d’influenza tra Gran Bretagna (Palestina e Irak) e Francia (Libano e Siria). Da questi
mandati nasceranno l’Irak, la Transgiordania, la Repubblica di Libano e la Repubblica di Siria. La
situazione della Palestina sarà più complessa anche a seguito di quella che era stata la dichiarazione
Balfour (2 novembre 19179), poi ripresa dalla SdN nell’assegnare il mandato britannico sulla regione, e
dell’inasprimento dei rapporti tra arabi ed ebrei.
5. L’Italia fra i quattro grandi.
Tre elementi vanno considerati al fine di comprendere la posizione italiana alla Conferenza di pace:
- interventismo democratico: guidati dal principio di nazionalità e dall’intenzione di collaborare con
i paesi vicini secondo i principi della nuova diplomazia wilsoniana, ritengono che l’Italia debba
mantenere Fiume ma in cambio cedere delle aree di Dalmazia non italiane.
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nazionalisti: vogliono il controllo italiano sulla sponda orientale dell’Adriatico, lo slogan che
esprime il malcontento di questa parte per la mancata realizzazione di tale prospettiva diverrà
quello della “vittoria mutilata” ispirato da D’Annunzio.
- governo Orlando-Sonnino: si trovano a negoziare in una condizione difficile in quanto il fronte
italiano non era molto conosciuto e l’Italia non poteva certo presentarsi come paese aggredito;
inoltre i contenuti del Patto di Londra incontrarono su diversi punti l’opposizione del presidente
Wilson.
Ne conseguì un certo isolamento per la delegazione italiana, con Fiume che anziché essere considerata
possibile oggetto di scambio divenne un simbolo e con la presentazione del memorandum Barzilai (in cui
l’Italia elencava le proprie rivendicazioni e cercava di motivarle dal punto di vista storico, culturale e
strategico) che non ebbe effetti positivi sulla delegazione americana.
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6. Il problema adriatico, 1919-1920.
L’azione della delegazione italiana fu particolarmente intensa per quanto riguarda la questione adriatica:
le aspirazioni espresse dal memorandum Barzilai in cui oltre a quanto previsto dal Patto di Londra si
aggiungevano le pretese su Fiume e altri territori si scontravano con le posizioni americane secondo cui se
le modifiche territoriali sul confine italiano settentrionale erano accettabili, quelle sul confine orientale
violavano palesemente il principio di nazionalità e peraltro non erano più motivate da ragioni di sicurezza
legate all’Austria-Ungheria. Francia e Gran Bretagna assunsero una posizione intermedia, talora
manifestando l’intendo di tener fede agli impegni presi verso l’Italia e talora cercando di convincere il
governo di Roma a scendere a compromessi. Nell’aprile 1919 l’Italia si dichiara disponibile ad uno
scambio tra territori dalmati non italiani e Fiume, ma visto il rifiuto inizia a maturare l’idea di ritirarsi dai
negoziati cosa che avviene poi fino al 7 maggio. Dopo il rientro italiano ancora una volta non fu
raggiunto un accordo e nel giugno la coppia Orlando-Sonnino fu sostituita da Nitti-Tittoni. Una delle
linee d’azione di Tittoni fu quella di un accordo con la Grecia (luglio 1919) e di una nuova proposta che
accettata da Francia e Gran Bretagna che prevedeva la creazione dello stato libero di Fiume, tuttavia la
posizione italiana fu complicata dall’azione di D’Annunzio. Dopo le dimissioni Tittoni venne sostituito
da Scialoja e poi si arrivò al governo Giolitti-Sforza mentre prendevano corpo negoziati bilaterali tra
Italia e Jugoslavia, negoziati che dal febbraio 1920 divennero la sede in cui risolvere il problema
adriatico. L’Italia godette della sua posizione di maggior forza dovuta a diversi fattori: il ruolo
internazionale, il maggiore disinteresse americano, la fretta di francesi e britannici per risolvere la
questione, l’isolamento diplomatico jugoslavo… e si giunse al trattato di Rapallo (12 novembre 1920),
secondo cui:
- la frontiera con l’Istria ricalcava quella del patto di Londra con una leggere variante verso est;
- Zara e il territorio circostante per un raggio di 7 km venivano assegnati all’Italia;
- alcune isole del golfo del Quarnaro e dell’Adriatico erano assegnate all’Italia;
- veniva creato lo stato libero di Fiume.
In questo modo mezzo milione di slavi erano passati all’Italia.
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Capitolo 17. Vent’anni fra due guerre.
1. Le due “superpotenze dietro le quinte”.
La mancata ratifica da parte del senato americano del trattato di pace contenente il Patto della SdN (marzo
1920, gli Usa stipuleranno poi una pace separata con la Germania nel 1921) e la vittoria dei repubblicani
alle elezioni (novembre 1920) sono i punti cruciali di un ritorno da parte degli Usa ad una politica di
isolazionismo, dovuta anche alle “disillusione” rispetto alla politica europea e alla questione dei debiti.
Gli Stati Uniti porteranno avanti una politica mirante a risolvere il complesso intreccio creatosi tra
riparazioni di guerra e debiti interalleati (senza per altro raggiungere i risultati sperati) e una politica
relativa all’Asia orientale e al disarmo navale. In quest’ultimo ambito giunsero alla Conferenza di
Washington (novembre 1921-febbraio 1922) in cui si stabilì un sistema dell’Asia orientale basato si tre
atti:
- trattato delle quattro potenze (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Giappone): decade l’alleanza
anglo-giapponese e le parti si impegnano a rispettare i reciproci diritti sui rispettivi possedimenti
insulari nel pacifico (una sorta di trattato di non aggressione);
- trattato delle nove potenze (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Italia, Olanda, Belgio, Portogallo,
Cina e Giappone): sancisce la garanzia internazionale della sovranità, dell’indipendenza e
dell’integrità territoriale della Cina confermando la dottrina americana della “porta aperta” in
contrasto con le sfere d’influenza delle singole potenze;
- trattato cino-giapponese: rinuncia giapponese ai privilegi ottenuti in Cina durante la guerra.
Tutti e tre i trattati quindi affrontano la questione dell’espansionismo giapponese e tale questione permea
anche l’ultimo trattato, quello sul disarmo navale che fissava proporzioni tra le principali potenze: 5 per
Usa e Gran Bretagna, 3 per Giappone, 1,75 per Francia e Italia. Altro tratto distintivo di questa fase fu
l’attenzione all’America latina ponendo termine agli aspetti più eclatanti dell’egemonia statunitense in
america centrale, rinunciando al sistema dell’intervento ma assicurandosi il controllo sui prestiti ai paesi
latinoamericani.
I rapporti della Russia sovietica con le altre potenze sono fin dall’inizio segnati dalla dura pace di BrestLitovsk e dall’intervento delle potenze dell’Intesa a favore delle forze controrivoluzionarie. La Russia
sarà esclusa dal sistema elaborato a Parigi. In questa situazione si assiste all’avvio di rapporti tra le due
principali potenze uscite sconfitte dalla guerra e di una fase di esportazione della rivoluzione verso i paesi
che sono usciti più in difficoltà dalla guerra (Germania, Ungheria, Italia…). Tuttavia il nuovo regime è
diviso tra la linea dell’esportazione della rivoluzione e quella del “socialismo in un solo paese” che alla
fine prevale. Da qui si dirama una duplice politica: da un lato appoggiare le forze rivoluzionarie
all’interno degli stati capitalisti, dall’altro normalizzare le relazioni diplomatiche con questi stati. Sul
primo versante nel marzo 1919 viene creata la Terza internazionale (Comintern) che divenne lo strumento
con cui l’Urss manteneva i collegamenti con i partiti comunisti nazionali. Sull’altro versante tra il 1920 e
il 1921 verranno firmati una serie di trattati con i paesi confinanti (Estonia, Lituania, Finlandia, Turchia e
Polonia con le ultime due che ottengono cessioni territoriali) che definiscono le frontiere,
successivamente inizia una fase volta alla riorganizzazione interna e alla normalizzazione dei rapporti
(soprattutto sul piano economico) con i paesi occidentali: il trattato commerciale anglo-sovietico del 16
marzo 1921 segna il riconoscimento de facto da parte di Londra. La conferenza economica internazionale
di Genova (10 aprile-19 maggio 1922) non fu un successo in questo settore ma fornì l’occasione per
concludere il trattato di Rapallo tra Germania e Urss (16 aprile 1922) che liquidava il contenzioso
economico tra i due paesi e ristabiliva relazioni diplomatiche rappresentando il primo riconoscimento de
jure dell’Urss. In realtà già da tempo si era avviata una cooperazione tedesco-sovietica in campo militare
che permetteva alla Germania di sperimentare nuovi armi in Urss e a quest’ultima di modernizzare le
proprie forze armate. È riscontrabile quindi l’avvicinamento tra i due principali perdenti della guerra. A
metà degli anni Venti l’Urss aveva ottenuto il riconoscimento delle principali potenze europee (quello
formale degli Usa arriverà nel 1933). Altro aspetto della politica estera sovietica era il tentativo di
procurarsi consenso e influenza dove poteva: in Asia, e in particolare in Cina. Il 31 maggio 1924 un
trattato con Pechino normalizza le relazioni diplomatiche, riconosce la Mongolia interna come parte della
Cina, e sancisce la rinuncia da parte di Mosca ai trattati ineguali imposti alla Cina nel secolo precedente.
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Tuttavia l’Urss di diresse anche verso il governo di Canton, puntando sul Kuomintang e spingendo il
partito comunista cinese a collaborare con esso.
2. Le potenze occidentali e il problema della sicurezza europea. Riparazione di guerra tedesche e “sistema
francese”. Il trattato di Locarno.
La Gran Bretagna nel periodo successivo alla prima guerra mondiale anziché tornare alla sua storica
politica di distaccata vigilanza si impegnò sul continente in maniera alquanto discontinua. Ciò era dovuto
sia al suo ruolo internazionale e globale che stava cambiando che a un assetto di pace caratterizzato da
molte difficoltà. Inoltre con la prima metà degli anni Venti si assiste ad un allentamento tra Gran
Bretagna e Francia. La Germania si trovava a gestire una situazione interna particolarmente difficile: la
repubblica di Weimar a prevalenza socialdemocratica doveva infatti confrontarsi con forze rivoluzionarie
venendo per forza a patto con forze conservatrici-militariste. Si poneva poi il problema di uscire dalla
condizione in cui il trattato di Versailles l’aveva confinata e in particolare la questione delle riparazioni di
guerra. L’Italia da un lato è assorbita nei suoi avvenimenti interni, dall’altro è spinta a una politica di
ambiguità derivante dal fatto di essere una potenza vincitrice ma insoddisfatta. La Francia si pone (per la
sua posizione, per il ruolo avuto nella guerra, per i suoi interessi) come garante del sistema di Versailles,
inasprendo l’ostilità dei tedeschi e suscitando diffidenza negli alleati.
La questione delle riparazioni fu uno dei temi dominanti degli anni Venti. Il trattato di Versailles stabiliva
che la Germania dovesse pagare innanzitutto la somma forfetaria di 20 miliardi di marchi oro mentre
un’apposita commissione avrebbe calcolato l’ammontare totale. Tale questione si collegò però a quella
dei debiti interalleati: in particolare i paesi debitori subordinarono l’estinzione del debito al pagamento
delle riparazioni da parte degli sconfitti, e ciò spiega l’azione statunitense in merito alla questione delle
riparazioni. Già in questa fase però la Germania si trova in difficoltà con i pagamenti finora stabiliti e
vengono scoperti macchinari per la produzione di artiglieria pesante e si era quindi proceduto
all’occupazione da parte delle forze dell’intesa della città di Dusseldorf, Duisburg e Rhurort (marzo
1920). Nel luglio del 1920 la conferenza di Spa aveva fissato le percentuali di riparazioni spettanti a
ciascun paese nel seguente modo: Francia 52%, Gran Bretagna 22%, Italia 10%, Belgio 8%... all’inizio
di maggio venne resa noto l’ammontare complessivo delle riparazioni: 140 miliardi di marchi oro a cui si
sottraevano quelli già pagati arrivando così a 132 miliardi con un sistema di rate annuali che la Germania
inizialmente accetta ma già nell’autunno del 1922 dichiara di non essere in grado di continuare a pagare.
Si sviluppano una serie di negoziati con i britannici che sostengono un sistema di pagamento meno
rigoroso, tale da non prostrare completamente l’economia tedesca. L’11 gennaio del 1923 forze francesi e
belghe occupano la Rhur (politica del pegno produttivo) malgrado le proteste britanniche e italiane.
L’azione fece precipitare la già grave situazione inflazionistica tedesca, il governo tedesco spinge i
lavoratori alla resistenza passiva (che culmina in sabotaggi e nell’introduzione da parte francese della
legge marziale). I governi di Gran Bretagna e Usa proposero nel mese di ottobre un’inchiesta
internazionale che accertasse le capacità di pagamento della Germania, la proposta venne accettata dalla
Francia e vennero creati due comitati: uno per studiare il problema dell’inflazione e l’altro per studiare le
modalità di pagamento. Lo statunitense Dawes presiedette il secondo comitato che nell’aprile del 1924
presentò il cosiddetto “piano Dawes” che regolò i pagamenti fino al 1929 con un sistema basato su una
rata fissa ed una eventuale (a seconda delle possibilità tedesche). Successivamente un altro statunitense
Young lo sostituì. Il governo tedesco accetta e la situazione sembra normalizzarsi.
Fallito il tentativo di una rigorosa applicazione del trattato di Versailles, la Francia cercò parallelamente
di creare una rete di accordi con medie e piccole potenze. Nel settembre del 1920 uno scambio di lettere e
un accordo segreto portarono ad un alleanza franco-belga. Tuttavia la Francia cercava appoggio
soprattutto a est (ove non poteva più fare affidamento sulla Russia) e si diresse verso la Polonia con cui
giunse ad un’alleanza nel febbraio del 1921. Precedentemente però vi era stato un accordo con l’Ungheria
(21 giugno 1920) che iniziò a portare avanti una serie di rivendicazioni sui suoi antichi territori: ciò da un
lato rischiava di trascinare la Francia verso una contraddittoria politica di revisionismo e dall’altro
privava la stessa Francia della possibilità di alleanza con Jugoslavia, Romania e Cecoslovacchia. Inoltre
ciò comportò le preoccupazioni italiane sia per l’azione francese nei Balcani che per le possibilità di una
restaurazione asburgica in Ungheria. La Cecoslovacchia prese l’iniziativa contro questa prospettiva
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portando alla creazione della Piccola Intesa (trattato ceco-jugoslavo del 14 agosto 1920 e adesione
romena il 19 agosto), anche l’Italia in occasione del trattato di Rapallo (12 novembre 1920) concluse una
convenzione antiasburgica con la Jugoslavia, e convenzioni di questo tipo vennero poi firmate tra
Romania e Cecoslovacchia e tra Romania e Jugoslavia (1921). In questa situazione la Francia abbandonò
la linea ungherese per sostenere invece la Piccola Intesa stipulando trattati con Cecoslovacchia, Romania
e Jugoslavia (rispettivamente nel 1924, 1926 e 1927). Fino a che punto questo sistema poteva garantire la
sicurezza francese?
All’inizio del 1925 l’ambasciatore britannico a Berlino propose la possibilità di un patto di garanzia dei
confini occidentali della Germania e trova come interlocutore il ministro degli esteri Streseman, un
capace e deciso sostenitore di una revisione pacifica del trattato di Versailles. La proposta viene accolta e
si sviluppa, la Francia prima cauta dimostra poi maggiore entusiasmo con Briand ministro degli esteri. Il
trattato di Locarno viene concluso il 16 ottobre 1925 e comprendeva diversi atti:
- patto sulla Renania: Francia, Belgio e Germania si impegnavano ad accettare le frontiere stabilite
a Versailles, Gran Bretagna e Italia si ponevano come garanti;
- quattro convenzioni di arbitrato tra Germania e rispettivamente Francia, Belgio, Polonia e
Cecoslovachia;
- una nota relativa all’adempimento degli obblighi previsti dall’art. 16 del patto dalla SdN in
relazione alla situazione di disarmo della Germania;
- due trattati tra Francia e Polonia e tra Francia e Cecoslovacchia con cui la prima si impegnava a
intervenire in aiuto delle altre qualora fossero state attaccate dalla Germania;
- un protocollo finale firmato da Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Belgio, Cecoslovacchia
e Polonia.
Il trattato segnò un epoca, si parlò di “spirito di Locarno”, la prospettiva della pace sembrava più vicina.
In realtà il trattato non prendeva in considerazione quello che era il vero problema dell’Europa, ovvero i
confini orientali della Germania. Tuttavia lo spirito di Locarno continuò ad aleggiare sull’Europa anche
grazie al Patto Kellog-Briand del 27 agosto 1928, una generica dichiarazione di intenti contro la guerra a
cui aderiscono tutti gli stati.
3. Continuità e revisionismo nella politica estera dell’Italia fascista. La conciliazione con la Santa Sede.
Nell’affrontare il tema della politica estera italiana tra le due guerre vanno fatte alcune precisazioni. Si
può anche parlare di politica estera fascista ma tenendo sempre presente che si tratta comunque di politica
estera italiana. Ciò significa che se la politica interna del ventennio assume caratteri chiaramente impressi
dal fascismo, la politica estera lo fa molto meno e mantiene molti degli aspetti del periodo prefascista.
Questo per diversi motivi:
- la politica estera pone dei limiti (rappresentati dagli altri stati);
- il contesto geopolitico rimane ovviamente lo stesso e gli ambiti della politica estera italiana
continuano ad essere principalmente quello balcanico e quello mediterraneo;
- il corpo diplomatico rappresenta un importante fattore di continuità (v. l’influente figura di
Contarini).
La politica estera italiana diviene spesso uno strumento per ottenere il consenso, soprattutto nella prima
fase, quando il fascismo ha bisogno di consolidarsi. In particolar modo i patti lateranensi rappresentano il
superamento dell’ostacolo rappresentato dalla Chiesa che si opponeva non al fascismo di per sé ma allo
stato italiano in quanto tale. Gli esempi di come la politica estera sia anche un mezzo per ottenere
consenso sono molti:
- l’incidente di Corfù nel 1923;
- il ruolo dell’Italia nei trattati di Locarno (garante della situazione al pari della Gran Bretagna);
- l’annessione di Fiume nel 1924.
Anche negli anni Trenta è poi presente questa dimensione ma in misura senza dubbio più ridotta. In
questa fase diviene centrale la politica del “peso determinante”: con ciò si intendeva il fatto che esistendo
due schieramenti sullo scenario internazionale (soddisfatti e insoddisfatti), l’Italia, vincitrice della prima
guerra mondiale ma insoddisfatta, poteva schierarsi dall’una o dall’altra parte risultando così appunto
“peso determinante”. In altre parole l’Italia non si schiera a priori con nessuno e anche quando si
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avvicinerà sempre più alla Germania manterrà una certa libertà d’azione che le consentirà di entrare in
guerra solo nel giugno del 1940 dopo aver attentamente valutato le varie opzioni disponibili. Infine
possiamo rilevare come Mussolini assuma su di se la carica di ministro degli esteri ogni volta che si
presentano situazioni cruciali:
- 1922-29: Mussolini è ministro degli esteri per tutta la fase in cui il regime si afferma;
- 1929-32: Dino Grandi ministro degli esteri;
- 1932-36: Mussolini riassume la carica in vista della guerra in Etiopia e della sua preparazione,
Dino Grandi diviene ambasciatore a Londra;
- 1936-43: Galeazzo Ciano ministro degli esteri.
Quando nell’ottobre 1922 Mussolini diviene primo ministro assume su di se la carica di ministro degli
esteri, tre sono i problemi fondamentali:
- politica verso gli ex nemici e verso gli alleati: stare con la Francia, con la Gran Bretagna o tentare
di mediare;
- definire la politica verso i paesi dell’altra sponda del Adriatico, in particolare la Jugoslavia;
- ottenere l’adempimento delle promesse alleate in campo coloniale.
Visti tali obiettivi Mussolini procedette ricorrendo a collaboratori tratti dalla diplomazia professionale (ad
es. Contarini). Nell’estate del 1923 l’incidente di Corfù con il conseguente ultimatum italiano alla Grecia,
il bombardamento e l’occupazione dell’isola si risolse con i metodi della diplomazia pre-fascista;
l’episodio non fu seguito da altri elementi che facessero pensare ad un nuovo corso della politica estera
italiana. Anzi Mussolini tentò già dalla fine del 1922 di mediare tra Francia e Gran Bretagna, arrivando ad
un intesa con quest’ultima per poi partecipare al trattato di Locarno in veste di garante. In questa fase si
assiste anche alla conclusione del problema adriatico con la Jugoslavia: con il Trattato di Roma del 27
gennaio 1924 Fiume cessa di essere una città libera e viene annesso all’Italia. La svolta del 1925-26
risponde soprattutto a esigenze interne della fase di transizione verso la dittatura: si assiste ad una
fascistizzazione del personale diplomatico (es. Grandi diviene sottosegretario agli esteri) e a proclami
audaci più che a iniziative concrete. Ciò non toglie che l’Italia si impegni in questa fase in settori
tradizionali quali l’Africa e i Balcani. Viene riconquistata la Libia (lasciata senza controllo militare
durante la guerra), si ottiene l’ampliamento della Somalia, l’ammissione nel 1923 dell’Etiopia alla SdN. Il
2 agosto 1928 si giunge con quest’ultima ad un trattato di amicizia e arbitrato. E il 26 novembre 1926 si
era giunti ad un trattato di amicizia e sicurezza che stabiliva di fatto un protettorato italiano sull’Albania.
L’espansione italiana a Fiume e in Albania però accesero le preoccupazione di Belgrado comportando il
raffreddamento dei rapporti italo-jugoslavi e quindi italo-francesi dato che la Francia si era posta come
protettrice della Piccola Intesa. Si può parlare di un primo revisionismo fascista che ha caratteristiche
particolari:
- l’attenzione a porre l’Italia in posizioni di autorevolezza;
- il tentativo di arrivare ad una parziale revisione per via pacifica;
- la volontà di mantenersi comunque legati alle potenze vincitrici e in particolare alla Gran
Bretagna;
- i limiti dell’azione in Europa all’area danubiano-balcanica;
- non rappresenta un avvicinamento alla Germania (maggiore potenza revisionista);
- non è una politica di solidarietà ideologica.
Infine gli anni Venti sono chiusi dalla normalizzazione dei rapporti con la Santa Sede, da parte italiana si
trattava di un importante risultato di politica interna (ma anche un miglioramento dell’immagine del
regime presso i cattolici all’estero) e di concludere una questione che gli altri governi non avevano saputo
affrontare. Per la Santa Sede si trattava di regolamentare la sua posizione nello stato in cui risiedeva. Si
giunge quindi ai patti lateranensi dell’11 febbraio 1929 (Mussolini-Gasparri) con cui l’Italia riconosceva
la sovranità della Santa Sede e la religione cattolica come unica religione di stato.
4. La Grande Crisi e le sue conseguenze economiche e politiche.
La crisi economica pone fine a quello che era stato chiamato “spirito di Locarno” e alle illusioni di pace
ad esso collegate. Il 24 ottobre 1929 il crollo della borsa di New York scatenò una serie di effetti che si
propagheranno in tutti gli Usa e poi nel mondo intero inserendosi in contesti già caratterizzati da problemi
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politici e debolezze economico-sociali. In Gran Bretagna le conseguenze della crisi giunsero in un
periodo di trasformazione dell’impero in cui la Gran Bretagna deve cedere alcuni importanti vantaggi nei
confronti dei Dominions. Nel 1931 essa deve rinunciare a due elementi importanti: il libero scambio e il
gold standard. In Germania le ripercussioni furono disastrose in quanto colpirono un paese in già gravi
difficoltà. La crisi coincide con la morte di Streseman (e la fine della politica di revisione pacifica) e la
svolta del partito nazional-socialista che raccoglie e incanala il malcontento della popolazione
raggiungendo una serie di successi elettorali notevoli: nel settembre 1930 conquista 107 seggi (il secondo
partito dopo i socialdemocratici), nel luglio 1932 ottiene 230 seggi (divenendo il primo partito), nel
novembre del 1932 subisce una leggera flessione con 196 seggi. Nei mesi successivi Hitler supera le
resistenze e Hindenburg lo nomina cancelliere, il suo governo entra in carica il 30 gennaio 1933, il 28
febbraio si fa conferire pieni poteri. In Italia Mussolini volle mantenere la parità aurea della lira per
ragioni di prestigio e dovette quindi ricorrere a una serie di interventi governativi, il problema più
rilevante fu comunque quello della disoccupazione. La crisi ebbe effetti diversi in Germania, Giappone e
Italia: nel primo caso fu un fattore cruciale del passaggio dalla repubblica di Weimar al Terzo Reich, nel
secondo comportò l’esautorazione dei moderati da parte dei militari e l’avvio di una decisa politica di
espansione, nel terzo il regime era già affermato e le politiche da esso adottate nel far fronte alla crisi
misero in luce i vantaggi di un regime autoritario rispetto alle democrazie. La Francia risentì in ritardo
della crisi e in modo più duraturo, l’anno più critico fu il 1933 ed ebbe forti ripercussioni sul piano
politico. Tra la fine degli anni Venti e l’inizio del decennio successivo si assiste anche agli ultimi tentativi
di prolungare l’illusione della pace, soprattutto per quanto riguarda la questione delle riparazioni. Il piano
Young definito il 7 giungo 1929 prevedeva un sistema di pagamenti che iniziato nel 1930 sarebbe finito
nel 1988. Dopo l’inizio della crisi la Germania esplicitò le sue difficoltà e il presidente americano Hoover
propose una moratoria dei pagamenti per un anno (1 luglio 1931-30 giugno 1932), nel frattempo però una
commissione di esperti concluse che il pagamento completo delle riparazioni avrebbe compromesso la
stabilità finanziaria della Germania a tal punto da avere effetti negativi anche per gli altri paesi
industrializzati. La Francia si disse disponibile ad una abolizione delle riparazione a condizione che
fossero aboliti anche i debiti interalleati, cosa che venne rifiutata dal congresso statunitense nel dicembre
del 1931. Alla conferenza di Losanna del 16 giugno-9 luglio 1932 si decise che la Germania avrebbe
dovuto pagare solamente un saldo di tre miliardi di marchi (cosa che per altro non avvenne). Gli Usa
riconfermarono la richiesta della restituzione dei prestiti ma la richiesta fu seguita solo dalla Finlandia.
Ciò segnava l’inizio di una fase di scontento e di indignazione da parte degli Usa nel momento in cui si
profilavano crisi e prove di forza. Due altre conferenze cercarono di operare a favore della pace: tra il
gennaio e l’aprile del 1930 a Londra si discusse di armamenti navali; dal febbraio 1931 (formalmente fino
all’aprile 1935) a Ginevra si discusse sul problema generale della riduzione degli armamenti e sulla
questione del riarmo tedesco.
5. L’espansione delle potenze nazionaliste totalitarie. Il Giappone in Asia orientale.
Il Giappone fu la prima potenza nazionalista totalitaria a iniziare una decisa politica di espansione. Una
politica iniziata nei decenni precedenti che aveva poi visto il paese uscire vittorioso dalla prima guerra
mondiale e quindi stabilire il proprio controllo sulle posizione tedesche in Cina e la propria
amministrazione mandataria su alcune isole del pacifico. Tale linea politica per altro è condizionata dalla
crescita demografica e dai limiti posti dalla carenza di materie prime allo sviluppo giapponese, nel primo
dopoguerra comunque il Giappone non riesce a superare alcuni limiti come l’inadeguatezza del sistema
bancario, costi di produzione troppo alti (una volta ritornati ad una normale condizione di concorrenza) e
la povertà dei piccoli proprietari agricoli. Nella seconda metà degli anni Venti gruppi di militari
nazionalisti (portavoce di tendenze autoritarie e antiparlamentari) accrescono il loro potere fino ad
esautorare gli esponenti politici più moderati anche a seguito della grande crisi economica. Il 18
settembre 1931 una bomba contro la ferrovia gestita dai Giapponesi in Manciuria porta le forze armate
nipponiche a prendere l’iniziativa e a occupare le regione. Il governo cinese si appella alla SdN che si
rivolge al Giappone e poi nomina una commissione d’inchiesta (9 dicembre 1931). Il Giappone nel
frattempo crea in Manciuria lo stato del Manciukuò con a capo l’ultimo imperatore cinese. Il 2 ottobre
1932 il rapporto della commissione condanna l’azione giapponese, mesi dopo (24 febbraio 1933) la SdN
non riconosce lo stato del Manciukuò e impone il ritiro delle truppe giapponesi, il 27 marzo 1933 il
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Giappone lascia la SdN. Dal punto di vista americano gli effetti della grande crisi rendevano il presidente
Hoover restio a impegnarsi in Asia Orienatale ne conseguirà la dottrina Stimson secondo cui gli Usa non
riconosceranno la legalità di qualsiasi azione militare in Cina ne considereranno valido alcun trattato in
contrasto con la politica della porta aperta. Tale posizione di disimpegno incoraggia il Giappone a
proseguire, nel frattempo prosegue la politica di riarmo sia per supportare l’espansione che per far fronte
alla crisi economica. Permane la difficoltà del paese nel reperire materie prime e la necessità di ingenti
importazioni da paesi con i quali i rapporti si vanno raffreddando. Sul piano interno esistono due
posizioni: l’esercito che vuole prepararsi ad una guerra contro l’Urss e la marina che invece guarda verso
uno scontro con gli Usa, il primo prevale inizialmente mentre la seconda si afferma in un momento
successivo. Per tutti gli anni Trenta la penetrazione in Cina prosegue, con una tregua tra il 1933 e il 1935
e la svolta del 1937. Dal 1937 inizia una vera e propria guerra non dichiarata verso la Cina sulla quale il
Giappone vuole stabilire un proprio protettorato, nel mese di luglio le truppe giapponesi entrano a
Nanchino e si spingono all’interno del paese. Un impegno consistente per il Giappone (700.000 uomini in
Cina) a cui poi si aggiungono la direttrice antisovietica (con il patto anticomintern con la Germania) e
quella di espansione nel Pacifico facendo della politica di Tokyo la più azzardata tra quelle delle potenze
totalitarie.
6. L’espansione delle potenze nazionaliste totalitarie. L’Italia fra Africa orientale e Mediterraneo.
In Italia dopo la grande crisi si posero le basi dell’avvicinamento alla Germania e di una effettiva svolta
che portava il paese da un revisionismo/espansionismo verbale ad uno politico e militare. Nei primi anni
Trenta il regime si è ormai consolidato e Mussolini dirige la politica estera italiana verso due direttrici:
l’area balcanici e l’espansione coloniale in Africa. Nel primo settore l’Italia si mostra particolarmente
attiva verso l’Ungheria, cerca di destabilizzare la Jugoslavia sostenendo il movimento croato ustascia,
controlla di fatto l’Albania (trattati del 1926-27) e fino ad un certo punto ha anche un ruolo non
secondario nel garantire l’indipendenza dell’Austria. Nel luglio 1932 Mussolini assume la carica di
ministro degli esteri, inviando Dino Grandi come ambasciatore a Londra. Nell’ottobre del 1932 in due
discorsi a Torino e Milano il duce espone la prospettiva di un’Europa fascista (mentre prima riteneva il
fascismo non esportabile): l’affermarsi del nazionalsocialismo in Germania rendeva preoccupanti le
affermazioni di Mussolini in quanto si configurava una situazione per cui una delle potenze vincitrici era
animata da intenti revisionistici proprio quando nella principale potenza sconfitta si affermava un regime
fortemente revisionista e aggressivo. Tuttavia in una prima fase Mussolini si dimostrò favorevole ad una
politica di equilibrio. Il 14 marzo 1933 l’ambasciatore italiano consegnò al ministro degli esteri tedesco
un progetto di accordo e collaborazione tra Italia, Germania, Francia e Gran Bretagna che prevedeva una
revisione graduale dei trattati di pace e una politica comune nelle questioni europee e coloniali. L’Italia
inoltre comunicò la propria disponibilità nelle questioni relative alla parità degli armamenti e alla Prussia
orientale. L’Italia così mirava a rafforzare il suo ruolo in Europa e ad accrescere i suoi possedimenti al di
fuori di essa. Dopo che Hitler accettò il progetto, lo stesso venne presentato a Parigi e Londra, i britannici
presentarono poi un loro testo che però svuotava la proposta italiana dei suoi contenuti principali. Infine
nel mese di giugno si arrivò ad un testo che sostanzialmente si rifaceva allo statuto della SdN.
L’altra questione cruciale di questo periodo è la preparazione della guerra contro l’Etiopia. Dal punto di
vista italiano la conquista del paese africano significava un’enorme disponibilità di terreni coltivabili,
oltre poi a questioni di prestigio e di potenza a livello internazionale. Il fatto che l’Etiopia fosse uno stato
sovrano membro della SdN e che un’eventuale conquista italiana avrebbe fortemente modificato gli
equilibri di potere in Africa rendevano la questione particolarmente delicata. Nel luglio del 1933
Mussolini assume anche la carica di ministro della guerra e poi di ministro della marina e
dell’aeronautica. Da qui alla guerra in Africa i rapporti italo-tedeschi non furono basati su una forte
collaborazione a causa di due motivi principali:
- differenze ideologiche e dottrinali (questioni razziali) e rivalità di partito (il fascismo che si era
posto come guida ideologica di altri movimenti era in difficoltà di fronte al nazionalsocialismo);
- interessi contrastanti: l’Austria.
La Germania aveva iniziato una politica volta a favorire l’affermarsi di un regime nazista in Austria,
primo passo di una eventuale annessione: tra il 1933 e il 1934 la propaganda della Germania in Austria
aumentò notevolmente spingendo il cancelliere tedesco Dollfuss ad appellarsi alle altre potenze. Il 17
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gennaio 1934 Gran Bretagna, Francia e Italia emanarono tre comunicati al fine di affermare
l’indipendenza austriaca; il giugno successivo un incontro tra Mussolini e Hitler non portò ad alcun
chiarimento, così quando il 25 luglio 1934 un tentato colpo di stato dei nazisti fu sventato ma portò alla
morte di Dollfuss le forze italiane si mobilitarono e l’opinione pubblica si infiammò. A livello
diplomatico in settembre una dichiarazione congiunta italo-franco-britannica confermò l’intento di
mantenere l’indipendenza e l’integrità austriaca. La collaborazione tra Italia e le altre potenze occidentali
fu portata avanti ancora per circa un anno, mentre la Germania riacquisiva il controllo della Saar e
avviava il riarmo: Mussolini voleva così veder riconoscere le aspirazioni italiane in Etiopia da parte di
Francia e Gran Bretagna. Per tutto il 1934 l’Italia aveva protestato per presunte violazione del confine da
parte delle forze etiopiche fino all’incidente di Ual-Ual del 5 dicembre, il 13 il duce rivolgendosi alle più
alte autorità del regime affermava la necessità di un intervento militare e della conquista del paese
africano. Il 6-7 gennaio del 1935 a Roma Mussolini incontra il ministro degli esteri francese Laval per
definire la soluzione di un contenzioso con la Francia: l’Italia rinunciava a qualsiasi diritto in Tunisia, vi
erano poi una serie di rettifiche territoriali e veniva trattato il problema dell’Etiopia. Rimane però
controverso l’esito dell’incontro su quest’ultimo punto: Mussolini asserì sempre di aver ottenuto in via
informale l’assenso francese ad un’azione in Africa orientale, Laval non negò di aver considerato
l’argomento ma sostenne di essersi limitato a concedere che in futuro la cosa fosse trattata.
Principalmente per lo stesso motivo l’Italia nel mese di aprile partecipò alla conferenza di Stresa, ultima
dimostrazione di solidarietà tra gli ex alleati della prima guerra mondiale, in cui in particolare i britannici
evitarono di sollevare la questione africana per non alienarsi l’appoggio italiano e ciò fu percepito da
Mussolini come un tacito assenso. La Gran Bretagna cercò di risolvere il contrasto italo-etiopico sia
tramite rapporti bilaterali che in seno alla SdN. Nella seconda metà di giugno 1935 il ministro per la SdN
Eden propose un primo compromesso con cui la Gran Bretagna avrebbe garantito l’accesso al mare per
l’Etiopia, un secondo compromesso prevedeva invece un mandato italo-franco-britannico con preminenza
italiana sul paese. Mussolini respinse le proposte mentre l’opposizione all’Italia nell’ambito della SdN
andava crescendo. La SdN propose infine un comitato incaricato di riorganizzare l’impero etiopico. Il 5
ottobre 1935 l’Italia iniziò la guerra e la SdN approvò una serie di sanzioni piuttosto circoscritte, su
questa linea continuò la politica franco-britannica del compromesso con la presentazione del piano LavalHoare l’11 dicembre 1935 in base al quale l’Italia avrebbe ottenuto alcune regioni e il diritto di
colonizzarne altre: un piano estremamente favorevole a Roma, Mussolini fu tentato di accettare ma il
piano cadde e i due ministri furono sconfessati dai rispettivi governi, quando l’idea venne scoperta dalla
stampa. In questo contesto si poneva la possibilità di un avvicinamento italiano alla Germania (per alcuni
come mossa momentanea, per altri come una vera e propria svolta alla politica italiana): lo stesso
Mussolini era stato contrariato dall’azione tedesca in Renania e solo dopo che i tedeschi fecero presente
l’importanza della loro azione al fine di distrarre Francia e Gran Bretagna dall’operato italiano il duce si
impegnò a non prendere posizione contro la Germania, unico paese ad aver sostenuto l’Italia nella guerra
in Africa. Era il primo segno dell’avvicinamento italo-tedesco. Nel frattempo le truppe italiane
completavano l’azione in Africa e il 9 maggio 1936 veniva proclamato l’Impero italiano d’Etiopia. Il 18
giugno la Gran Bretagna si disse favorevole all’abolizione delle sanzioni verso l’Italia, cosa che avvenne
effettivamente il 15 luglio 1936. Intanto era cominciata la guerra civile spagnola e per la prima volta si
poneva all’Italia la possibilità di realizzare le proprie ambizioni a ovest. Diversi fattori (geopolitica,
ideologico, di prestigio) spinsero l’Italia a sostenere attivamente il fronte nazionalista. Sostegno che ebbe
due conseguenze negative: il consumo di importanti risorse e il mancato compenso da parte del regime di
Franco. Il 7 aprile 1939 l’Italia fa l’ultimo tentativo di rafforzare la sua posizione occupando l’Albania.
Tuttavia allo scoppio della seconda guerra mondiale la posizione italiana nell’area non risultava
particolarmente rafforzata.
7. L’espansione delle potenze nazionaliste totalitarie. La Germanica in Europa.
Le premesse dell’espansionismo tedesco risalgono al trattato di Versailles e al peso delle riparazioni di
guerra; più recentemente tra gli anni Venti e Trenta va considerato il modo in cui il partito
nazionalsocialista sfrutta la grande crisi per arrivare al potere, i suoi successi economici e di politica
estera come elementi fondamentali del consenso, il clima di tensione interna (verso gli ebrei) ed esterna
(contro la pace di Versailles) che caratterizza la Germania dopo il 1933. La prima fase della politica
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estera nazista corre su due strade: da un lato il tentativo di tranquillizzare le altre nazioni e dall’altro un
insieme di minacce e azioni di sorpresa. Così Hitler aderisce al Patto delle quattro potenze (in quanto ciò
significava il riconoscimento della Germania tra le grandi potenze) ma poco dopo si ritira dalla
conferenza sul disarmo e dalla SdN (19 ottobre 1933): quest’ultima decisione in particolare segna la
definitiva rottura con la linea di revisionismo moderato e graduale di Stresemann e pone la base di una
nuova fase ben più aggressiva. Due sono le direttrici della politica hitleriana in questa fase: la Polonia e
l’Austria. Il 26 gennaio 1934 la Germania firmò un patto di non aggressione della durata di dieci anni con
la Polonia, liberandosi così della minaccia rappresentata dall’appoggio polacco alla Francia e
promettendo in cambio di non cercare di risolvere con la forza (non di rinunciare a risolvere) il problema
del corridoio di Danzica. Per quanto concerne l’Austria è chiaro come una serie di fattori culturali, politici
ed economici spingessero verso l’avvicinamento dei due paesi, l’annessione dell’Austria da parte della
Germania era però proibita dai trattati di Versailles e di Saint Germain per ovvi motivi strategici. Nei
primi anni Venti i due paesi sconfitti sono deboli ed il problema non emerge, anzi l’Austria cerca di
sfruttare la situazione dichiarando nel 1921 che non avrebbe avuto alcun interesse ad avvicinarsi alla
Germania se le potenze vincitrici si fossero impegnate a fornirle un certo sostegno economico. La crisi
del ’29 però ripone il problema: entrambi i paesi ne risentono fortemente e un avvicinamento nella forma
di un’unione doganale viene visto come un fattore positivo, questa convinzione porta al protocollo
Kurtius-Schoeber (primavera 1931). Ciò non può che preoccupare le altre potenze europee: l’unione
doganale del 1834 era stata il primo passo verso l’unificazione della Germania, ora potrebbe essere il
primo passo verso l’annessione dell’Austria. Il caso viene affidato alla Corte internazionale di giustizia
della SdN ma prima che questa si pronunci Germania e Austria ritirano la loro iniziativa. Il 30 gennaio
1933 Hitler diviene cancelliere imprimendo una forte svolta alla politica tedesca e ponendo come
obiettivo l’unificazione di tutti i tedeschi e quindi l’Anchluss. A tale scopo si avvia una politica di
sostegno al partito nazista austriaco, il quale una volta giunto al potere faciliterebbe senza dubbio
l’annessione. Nel luglio del 1934 viene ucciso il cancelliere austriaco Dollfuss con l’intento di far
nominare al suo posto il ministro nazista Seyss-Inquart che avrebbe chiesto l’intervento tedesco. Tuttavia
Dollfuss prima di morire riesce a gestire la successione. In Italia le reazioni sono forti sia a livello di
opinione pubblica che dello stesso Mussolini, amico personale di Dollfuss, che in quei giorni ospitava la
famiglia del cancelliere austriaco: l’Italia avvia quindi una serie di manovre militari come monito per la
Germania. A livello internazionale nel settembre 1934 Francia, Gran Bretagna e Italia affermarono
congiuntamente l’indipendenza dell’Austria. Tuttavia Hitler superò questa battuta d’arresto soprattutto
grazie all’esito del plebiscito che il (13 gennaio 1935) sanciva il ritorno della Saar alla Germania, il nuovo
anno poi vedeva anche l’avvio del riarmo tedesco. Quella che era stato chiamato il fronte di Stresa iniziò
a manifestare la sua debolezza quando la Gran Bretagna si dichiarò disponibile ad accettare il riarmo
tedesco, arrivando il 18 giugno 1935 ad un trattato anglo-tedesco che permetteva alla Germania di
ricostruire una marina da guerra. La rottura fra potenze occidentali e Italia in occasione della guerra
d’Etiopia poi fornì a Hilter l’occasione per un avvicinamento all’Italia e allo stesso tempo nella situazione
di caos internazionale il 7 marzo 1936 annunciò l’inizio dell’occupazione della Renania. Nell’estate del
1936 i partiti nazionalsocialisti di Germania e Austria dichiarano di non volere l’Anchluss e Berlino si
impegna a riconoscere la sovranità e l’indipendenza dell’Austria: in questo modo è possibile abolire i
limiti alla propaganda nazista in Austria e rimettere in liberà un certo numero di attivisti politici
condannati dopo il tentativo di colpo di stato del 1934. Poco dopo veniva meno un altro elemento del
sistema francese, il Belgio, che al fine di salvaguardare la propria posizione in una eventuale guerra si
dichiarò neutrale. Il 23 ottobre 1936 Italia e Germania concludevano una convenzione in cui le due
potenze si impegnavano nella lotta contro il bolscevismo e riconoscevano le reciproche sfere d’influenza
(mitteleuropea per la Germania, mediterranea per l’Italia), il 1 novembre Mussolini annunciava l’asse
Roma-Berlino (non un trattato ma un concetto, l’idea appunto di un collegamento, di un’asse attorno a cui
ruotasse la politica dell’Europa). Il 6 novembre 1937 l’Italia aderiva al patto anticomintern. Per il regime
nazista ai successi internazionali si univano quelli interni soprattutto sul piano economico. L’asse RomaBerlino, la Francia che stava affrontando una difficile situazione di politica interna, la linea di
appeasement seguita dalla Gran Bretagna rendevano la situazione adatta a procedere verso l’Anchluss. Il
12 febbraio 1938 la Germania cercò di imporre all’Austria di accettare Seyss-Inquart come capo della
polizia, il governo di Vienna cercò di resistere e ne nascono tensione e disordini: è il pretesto giusto per
intervenire. Il 12 marzo 1938, dopo che lo stesso Seyss-Inquart aveva preso il controllo della cancelleria e
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chiesto l’aiuto della Germania, le truppe tedesche entrano in Austria. Gran Bretagna e Francia non
reagirono, l’Italia accettò la cosa e nel 1939 un accordo con la Germania la portò a disciplinare la
condizione degli abitanti della provincia di Bolzano e a confermare il confine al Brennero. La politica
hitleriana non si fermò all’Austria: il fronte patriottico dei Sudeti a partire dal 1937 aveva condotta una
dura campagna revisionistica che mirava all’annessione al Reich delle popolazioni tedesche che si
trovavano in Cecoslovacchia. La situazione diventò presto molto tesa e di fronte al mobilitarsi delle forze
tedesche e cecoslovacche la Gran Bretagna cercò di mediare mentre la Francia proponeva di assumere
una garanzia comune a favore della Cecoslovacchia, tuttavia questa rientrava anche negli interessi di
Mosca (Cecoslovacchia e Urss avevano stipulato un patto di reciproca assistenza nel 1935) e quindi la
crisi tendeva ad estendersi a diversi attori. Il 12 settembre 1938 Hitler manifestò pubblicamente la
possibilità di una guerra, il 15 Chamberlain lo incontrò e riuscì ad ottenere che si cercasse di risolvere la
questione con un plebiscito nei Sudeti. Tuttavia quando il governo britannico, quello francese e quello
cecoslovacco furono convinti, la Germania alzò il livello dello scontro con un memorandum
estremamente durò, la Gran Bretagna dichiarò che sarebbe scesa in guerra a fianco della Francia nel caso
questa lo avesse fatto. Il 27 settembre 1938 Hilter dava ordine di procedere militarmente contro la
Cecoslovacchia, tuttavia fu convinto da Mussolini a partecipare ad una conferenza a quattro a Monaco
(29-30 settembre). In quest’occasione Hilter ottenne di poter occupare i Sudeti garantendo al contempo le
nuove frontiere della Cecoslovacchia (anche se egli avrebbe preferito procedere dando prova della forza
militare tedesca). La tregua di Monaco fu illusoria dato che tre settimane dopo Hilter ordinò di procedere
in tutta la Cecoslovacchia cercando allo stesso tempo di confondere gli interlocutori e sostenendo le
richieste dei nazionalisti slovacchi. Nei primi mesi del 1939 questi, fallite le trattative col governo di
Praga costituiscono un governo autonomo guidato da monsignor Tiso, Hilter minaccia Tiso di
abbandonare il suo governo qualora la Slovacchia non si fosse separata dal resto del paese. Il 14 marzo
1939 Hitler pone il governo Cecoslovacco di fronte a due possibilità: la guerra o l’ingresso pacifico delle
truppe tedesche nel paese: Praga viene occupata e il 18 marzo 1939 viene creato il protettorato di Boemia
e Moravia, la Slovacchia diviene uno stato indipendente e la Rutenia subcarpatica restituita all’Ungheria.
È la prima volta che la Germania nazista assoggetta un popolo non tedesco. Ora Hitler deve affrontare la
questione di Danzica e della Polonia.
8. Le alleanze delle potenze nazionaliste totalitarie. La guerra di Spagna e il patto di non aggressione
tedesco-sovietico.
Le politiche espansionistiche di Germania, Italia e Giappone si sviluppano in modo indipendente e
separato per buona parte degli anni Trenta, anche la divisione di sfere d’influenza tra Roma e Berlino è
sostanzialmente qualcosa che resta sulla carta. Il fatto che ad un certo punto tali linee politiche
convergano fino alla stipulazione del Patto tripartito nel 1940 è dovuto a diverse ragioni: la Germania
vuole approfittare dell’isolamento italiano per porre fine in modo definitivo al vecchio fronte dell’Intesa e
per beneficiare del sostegno italiano nella sua politica aggressiva, l’Italia vuole uscire a sua volta
dall’isolamento e ciò porta al Patto d’acciaio del 22 maggio1939; l’altro patto è quello anticomintern
stipulato tra Germania e Giappone nel 1936 (a cui poi aderiscono anche Italia, Ungheria, Spagna) che
comunque non rappresenta un deciso impegno comune tra Berlino e Tokyo.
In questo contesto va inserita la guerra civile spagnola. Le elezioni del febbraio 1936 vedono la vittoria
del Fronte popolare, il governo si trova in una situazione di tensione, disordini e violenze e nel luglio
dello stesso anno parte delle forze armate insorge sotto la guida di Francisco Franco dando il via a tre
anni di guerra che videro contrapporsi repubblicani e nazionalisti. Perché questa guerra fu così
importante? Senza dubbio per la posizione occupata dalla Spagna nel Mediterraneo, alcuni vi videro
anche un’anticipazione di un’eventuale guerra tra democrazie e totalitarismo (anche se così non si tiene
conto ne dell’Urss ne delle posizioni conservatrici ma comunque antifasciste e antinaziste. Il 1 agosto del
1936 il governo francese propone l’adozione di un accordo per il non intervento, subito accolto dagli altri
paesi. Gli interventi in realtà ci furono:
- Italia: è il paese che interviene più intensamente in Spagna per motivi strategici e di eventuali
vantaggi nel mediterraneo occidentale, per evitare che un governo di Fronte popolare in Spagna
alteri gli equilibri europei, per motivi ideologici…
- Germania: interviene in modo più limitato, sa che la guerra mantiene l’attenzione degli altri paesi
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distante dalle sue azioni in Europa centrale, vi è poi la speranza di poter accedere a risorse
minerarie a condizioni vantaggiose, la necessità di sperimentare armamenti e tecniche e infine la
simpatia politica verso il franchismo.
- Urss: manifesta con decisione il proprio sostegno al governo repubblicano ma l’intervento
effettivo è molto limitato, è la prima volta che interviene in questioni relative all’Europa
occidentale e lo fa per mantenere la tensione lontano dalle sue frontiere e per motivi ideologici.
- Francia: emergono posizioni favorevoli a entrambe le parti contrapposte, il governo invia in
segreto forniture ai repubblicani.
- Gran Bretagna: è l’unica potenza europea a rispettare l’accordo di non intervento, vede in una
rapida conclusione della guerra la soluzione migliore.
In Gran Bretagna e in Francia le divisioni interne rispetto alla guerra in Spagna ebbero un certo peso nel
posticipare le realizzazione di quell’unità nazionale che avrebbe poi permesso di andare oltre il semplice
allineamento diplomatico e le manifestazioni verbali. In ogni caso tra il marzo e l’aprile del 1939 le due
potenze manifestano la loro opposizione all’aggressiva politica tedesca: il 23 marzo dichiarano di essere
pronte a intervenire qualora fosse stata messa a rischio l’incolumità di Olanda, Belgio e Svizzera, il 31 la
Gran Bretagna assicura il suo aiuto alla Polonia in caso di aggressione tedesca (seguita da un’analoga
dichiarazione della Francia) e il 13 aprile lo stesso viene fatto con la Grecia minacciata dall’azione
italiana in Albania. L’Urss da parte sua vide con preoccupazione la denuncia da parte tedesca del patto
con la Polonia (28 aprile 1939) e le richieste tedesche di un passaggio attraverso il corridoio polacco. La
Germania ormai si stava concentrando sulla questione di Danzica e dello spazio vitale verso oriente, ma
anche nel rinsaldare il legame con l’Italia che aveva attraversato una fase di difficoltà dato che Hitler non
aveva gradito il ruolo di Mussolini a Monaco e a sua volta non lo aveva avvisato prima di procedere
contro Praga. Mussolini da parte sua cercò di equilibrare il rapporto con la Germania occupando
l’Albania (aprile 1939). Il 22 maggio 1939 Italia e Germania stipulavano il Patto d’acciaio con cui si
impegnavano ad agire congiuntamente per la reciproca sicurezza, a intervenire in aiuto l’una dell’altra
con tutte le forze disponibili qualora una delle due si fosse trovata in guerra, a non concludere paci
separate senza l’accordo di entrambe. Poco dopo però lo stesso Mussolini affermava che l’Italia sarebbe
stata in grado di scendere in guerra solo dopo tre anni. Ma altre riserve gravavano sul Patto: l’avversione
di alcuni esponenti del fascismo a legarsi alla Germania e la tendenza tedesca a vedere l’alleata non su un
piano di parità ma di subordinazione, inoltre come fa notare De Felice fino al giugno 1940 Mussolini è
deciso a portare avanti la politica del “peso determinante”. Tornando alla Polonia, la Gran Bretagna cerca
di coinvolgere l’Urss in un accordo di garanzia, Mosca è favorevole ma a patto che questo riguardi l’area
dalla Romania ai paesi baltici. Le potenze occidentali sono d’accordo ma non i paesi direttamente
interessati ne la Polonia accetta di far transitare le truppe sovietiche sul suo territorio. Il 21 agosto 1939 i
sovietici informano i francesi di non essere interessati ad un accordo di garanzia. In questa situazione
l’Urss, pur con la sua avversità sia verso le potenze nazifasciste che verso le democrazie occidentali, si
trova nella vantaggiosa posizione di poter trattare con entrambi gli schieramenti. Il 23 agosto 1939 il
Germania e Urss conclusero il patto di non aggressione Ribbentrop-Molotv con cui sostanzialmente si
stabiliva la neutralità di una delle due parti qualora l’altra si fosse trovata in guerra, un protocollo segreto
poi disciplinava la ripartizione tra le due potenze degli stati baltici e della Polonia (una sorta di compenso
accordato da Hitler alla Russia in cambio della non aggressione). Praticamente la Germania aveva mano
libera nell’attaccare la Polonia, Hitler fissò l’attacco per il 25 agosto, ma prima avanzò la proposta di un
accordo alla Gran Bretagna relativo alla spartizione del mondo in sfere d’influenza. Hitler sperava che la
notizia del patto tedesco-sovietico facesse cadere Chamberlain e la garanzia alla Polonia: ciò non avvenne
anzi la Gran Bretagna sostituì la garanzia con un più vincolante patto anglo-polacco di assistenza. Infine
la Germania cercò di convincere l’Italia a prender parte all’impresa ma quest’ultima si dichiarò
impreparata per sostenere lo sforzo bellico. Il 1 settembre 1939 la Germania attaccava la Polonia, il 3
Francia e Gran Bretagna dichiaravano guerra alla Germania.
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La Società delle Nazioni.
Il quattordicesimo punto del manifesto di guerra degli Stati Uniti prevedeva la creazione di
un’organizzazione che, istituzionalizzando i conflitti internazionali, rendesse più facile una loro soluzione
pacifica o una risposta collettiva tale da scoraggiare o sconfiggere gli aggressori. Il Covenant (documento
istitutivo della Società delle Nazioni) era composto di 26 articoli e venne inserito all’inizio di ogni trattato
di pace tra ciascun paese vinto e le varie potenze alleate e associate. Gli organi della SdN erano:
 l’Assemblea: formata dai rappresentanti di tutti i paesi membri, non aveva poteri chiaramente
delimitati;
 il Consiglio: composto dalle principali potenze alleate e associate e dai rappresentanti di quattro
altri stati membri scelti dall’Assemblea; era l’organo di governo dell’organizzazione;
 il Segretariato: aveva compiti di coordinamento organizzativo.
Il Consiglio e l’Assemblea deliberavano con voto unanime (con l’esclusione delle parti coinvolte nella
controversia). Per quanto riguarda il mantenimento della pace erano previste sia misure preventive
(arbitrato, mediazione, ricorso alla Corte internazionale permanente di giustizia…) che sanzioni che
potevano andare dalle misure economiche fino all’uso della forza. Inoltre gli stati membri si impegnavano
a non stipulare trattati segreti, a rivedere trattati divenuti inattuali, al disarmo… Per quanto riguardava
invece il problema delle colonie venne creato il metodo dei mandati (tre tipi di mandato A,B,C a seconda
dello stato). Le debolezze della SdN emersero fin dall’inizio:
- la mancata ratifica del trattato da parte degli Usa (marzo 1920), l’esclusione della Russia, la
posizione della Germania e il sostanziale disinteresse del Giappone escludevano dalla SdN attori
di primaria importanza segnando quindi un primo limite.
- Il ruolo di Francia e Gran Bretagna, nonché il fatto che l’ingresso nella SdN fosse sostanzialmente
imposto ai vinti, contribuirono a far apparire l’organizzazione come uno strumento delle potenze
vincitrice piuttosto che come un’organizzazione universalistica.
- Il sistema decisionale basato sull’unanimità garantiva di fatto un sistema di veto generalizzato che
rischiava di paralizzare l’organizzazione in qualsiasi momento.
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I rapporti tra Italia e Francia nel periodo tra le due guerre.
Possiamo individuare quattro periodi: 1918-25, 1925-32, 1933-36 e 1936-40
Primo periodo. 1918-25. L’Italia non vede realizzate completamente le proprie aspirazioni. La Francia
alla conferenza di Parigi si concentra soprattutto sul problema di impedire un ritorno della minaccia
tedesca e mantiene una posizione piuttosto defilata sulle altre questioni, cosa che viene percepita
dall’Italia come un atteggiamento sfavorevole. L’Italia cerca quindi di muoversi sul piano bilaterale
ottenendo qualche concessione dalla Francia lungo il confine libico. Quest’ultima a sua volta ha due
priorità: la sicurezza (e quindi cerca di costruire un proprio sistema di sicurezza in Europa) e
l’esecuzionismo (ovvero la volontà di far rispettare in tutto e per tutto le clausole del trattato di
Versailles). La Francia si avvicina quindi alla Piccola Intesa (Jugoslavia, Romania e Cecoslovacchia) e
alla Polonia. A tal fine, ma anche per quanto riguarda i collegamenti con l’impero coloniale, è utile un
buon rapporto con l’Italia. L’ascesa del fascismo è vista come un evento positivo in quanto da stabilità
all’Italia, nonostante i toni aggressivi di Mussolini che comunque hanno soprattutto la funzione di
conquistare il consenso interno. Nel gennaio 1923 la Francia e il Belgio occupano la Rhur scontrandosi
con la disapprovazione britannica e italiana, Parigi cercando di ottenere il consenso italiano appoggia
l’Italia nella crisi di Corfù e nei rapporti con la Jugoslavia.
Secondo periodo. 1925-32. Il trattato di Locarno (ottobre 1925) sembra aprire la prospettiva di una
riconciliazione tra Francia e Germania e quindi fa venir meno quel contrasto che aveva favorito la politica
estera italiana nella fase precedente, a ciò si aggiunge il governo socialista in Francia e l’omicidio di
Matteotti. I rapporti italo-francesi attraversano una fase di raffreddamento. La Francia continua a
sostenere i paesi non revisionisti, l’Italia si avvicina a quelli revisionisti, si riaccende la questione della
Tunisia, la Francia offre asilo agli oppositori del fascismo. Comunque i contatti continuano: a livello di
stati maggiori si cerca di favorire un accordo militare tra i due paesi in previsione di eventuali azioni
tedesche, a livello di SdN si hanno una serie di rivendicazioni da cui emerge la volontà italiana di
espandersi in Etiopia.
Terzo periodo. 1933-36. Il progetto di unione doganale tra Austria e Germania preoccupa sia Francia che
Italia, nonostante le divergenze in vari settori l’indipendenza dell’Austria è un elemento cruciale per
entrambe le due potenze, soprattutto dopo che Hitler diviene cancelliere. Mussolini, che nel 1932 aveva
riassunto la carica di ministro degli esteri, non risponde positivamente ai tentativi di avvicinamento da
parte francese ma preferisce avanzare la proposta del Patto delle quattro potenze. In realtà alla fine la
proposta di Mussolini viene svuotata del suo significato iniziale. Comunque l’azione diplomatica francese
aveva stabilito dei rapporti con l’Italia e il ministro degli esteri francese Barthou avvia una politica basata
sulla ricerca di più concrete alleanze bilaterali. Quest’ultimo però viene ucciso nel 1934 insieme al re di
Jugoslavia, il suo successore Laval il 7 gennaio del 1935 si incontra con Mussolini, viene stabilito che le
due potenze si impegnano a consultarsi in caso di crisi, la partecipazione dell’Italia alla ferrovia GibutiAdis Abeba e vengono fatte concessioni sul confine libico, si da poi una definitiva sistemazione alla
questione degli italiani in Tunisia, infine vi è la questione dell’Etiopia. Nel giugno dello stesso anno si
hanno accordi tra stati maggiori relativi ad eventuali azioni tedesche che però non entrano in vigore.
Quarto periodo. 1936-40. Il governo del fronte popolare in Francia, l’azione italiana in Etiopia producono
un raffreddamento nei rapporti italo-francesi. Nel periodo 1937-38 si assiste poi ad un avvicinamento tra
Italia e Gran Bretagna con il conseguente isolamento francese. L’Italia comincia anche ad avvicinarsi alla
Germina fino poi ad entrare in guerra al fianco di quest’ultima contro la Francia il 10 giugno 1940.
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L’appeasement.
Il termine appeasement indica la politica adottata dalla Gran Bretagna dalla metà degli anni Trenta e
portata avanti dal governo Chamberlain (con Eden e poi Halifax come ministri degli esteri) fino alla fine
di marzo del 1939. Si tratta di una linea politica di concessione di determinate aspettative alla Germania
(e in misura minore e diversa all’Italia), piuttosto che questa le ottenesse con la forza. Si tratta di una
politica estremamente realistica che ha come base la consapevolezza che la Gran Bretagna non è in grado
di sostenere uno sforzo bellico di grandi proporzioni e che quindi deve porsi su una linea accomodante. Il
punto è che l’interlocutore (Hitler) non è altrettanto razionale. Cos’è disposta a concedere la politica
dell’appeasement? In linea generale concede la riunificazione dei tedeschi entro il Reich, l’appeasement
viene meno quando la Germania aggredisce popolazioni non tedesche (la Cecoslovacchia nel marzo del
1939). In generale comunque si può riscontrare fin dall’immediato dopoguerra la consapevolezza
britannica che la Germania è stata punita troppo duramente e quindi una politica più aperta al
compromesso rispetto a quella francese. L’appeasement assume connotati diversi nei confronti della
Germania e dell’Italia: è chiaro che Hitler rappresenta un pericolo molto maggiore rispetto a Mussolini e
al tempo stesso non si vuole rafforzare l’idea di asse Roma-Berlino. Per quanto riguarda i rapporti con la
Germania al Foreign office si assiste ad un prevalere della lobby filo-tedesca a scapito di quella filofrancese; nell’aprile 1937 Handerson diviene ambasciatore a Berlino con facoltà di riferire direttamente al
primo ministro, stringe legami personali con Goering e Ribbentrop e spesso si espone in modo
spregiudicato a sostegno della politica tedesca. Handerson sarà protagonista anche del tentativo di
appeasement coloniale, ovvero del tentativo di trovare un compromesso con la Germania con la cessioni
di territori coloniali da parte della Gran Bretagna. Nel 1938 si pone la questione dei Sudeti, la
Cecoslovacchia dal 1935 è legata da due trattati a Francia e Urss. L’Urss dichiara di non intervenire in
caso di aggressione a meno che non intervenga anche la Francia (e comunque la Polonia non vuole
concedere il passaggio di truppe sovietiche sul suo territorio), la Francia non ha intenzione di agire senza
la Gran Bretagna. Nel settembre del 1938 Chamberlain inizia a rendersi conto di come Hitler non sia un
interlocutore attendibile. Il 30 settembre c’è l’incontro di Monaco con il quale si concedono a Hilter i
Sudeti. È l’ultima concessione britannica, la politica estera del governo Chamberlain inizia a cambiare. La
Germania non si arresta e il 18 marzo del 1939 le sue truppe entrano in Cecoslovacchia: è la fine
definitiva dell’appeasement. Il 31 marzo Chamberlain di fronte al parlamento inglese afferma che il
tentativo di attentare alla sovranità polacca (e quindi non il semplice tentativo di ridisegnarne i confini)
sarà seguito dall’intervento della Gran Bretagna, poco dopo la Francia si schiera sulla stessa posizione.
L’appeasement verso l’Italia assunse caratteri diversi. Dopo il discorso di Mussolini sull’asse RomaBerlino a Londra ci si interroga se non sia venuto il momento di considerare chiusa la questione
dell’Etiopia e di cercare di riaprire il dialogo con l’Italia. L’Italia non può che essere favorevole a ciò in
quanto sta continuando la sua politica del “peso determinante”. Il 2 gennaio 1937 Italia e Gran Bretagna
arrivano ai gentelman agreements: non contengono clausole particolari se non quelle relative al rispetto
dello status quo nel Mediterraneo ma sono significativi per la ripresa dei rapporti italo-britannici. Tuttavia
nel corso dello stesso anno si va oltre a si arriva anche ad una serie di accordi commerciali e culturali
mentre Dino Grandi lavoro ad un progetto ben più consistente. Nel febbraio 1938 una bozza di accordi
italo-britannici vedrà la contrarietà di Eden e le sue dimissioni, Halifax diverrà il nuovo ministro degli
esteri. Si giunge il 16 aprile 1938 agli accordi di Pasqua: otto trattati e uno scambio di lettere tra Galeazzo
Ciano e lord Perth. I trattati riguardavano le più varie questioni (sicurezza, fortificazioni, manovre
militari, acque del lago Tana, controlli sulla propaganda ostile, libertà di navigazione attraverso il canale
di Suez…), lo scambio di lettere contiene gli elementi più significativi: la Gran Bretagna si impegna a
considerare ormai chiusa la questione dell’Etiopia e a cercare di convincere gli altri paesi a fare lo stesso,
l’Italia a non pretendere nel caso di vittoria dei franchisti una base alle isole Baleari. Gran Bretagna e
Italia non hanno quindi alcun contenzioso.
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