LA PRIMA GUERRA MONDIALE 1914-1919 1914 L’inizio delle ostilità L’assassinio dell’arciduca d’Austria-Ungheria Francesco Ferdinando a Sarajevo (capitale della Bosnia-Erzegovina, dal 1908 annessa all’Impero asburgico) per mano di un nazionalista serbo provocò nell’estate del 1914 un’esplosiva crisi internazionale. L’Austria-Ungheria, sostenuta dalla Germania, dichiarò infatti guerra alla Serbia, pensando a un conflitto circoscritto ai Balcani. Si scatenò invece una reazione a catena da parte delle altre potenze, secondo il meccanismo delle alleanze, in cui ciascun popolo fu chiamato a unirsi attorno ai propri governi in nome dell’“unione sacrée”; la guerra, stimolando il sentimento dell’unità nazionale, sembrava cancellare il sentimento di disagio verso la moderna civiltà industriale e le divisioni sociali, offrendo una via di uscita dalla routine dell’esistenza quotidiana. Si fronteggiarono due schieramenti contrapposti: gli Imperi centrali (Germania e Austria-Ungheria) e l’Impero ottomano da un lato; le potenze della Triplice Intesa (Francia, Gran Bretagna e Russia), Serbia, Belgio e Giappone (dal 1902 alleato della Gran Bretagna) dall’altro. Tentando di attuare il piano Schlieffen, che prevedeva una guerra lampo (in sei settimane la Francia avrebbe dovuto essere annientata, così da poter concentrare in seguito le forze contro la Russia), i tedeschi, invaso il Belgio, puntarono al cuore della Francia, venendo però fermati nella battaglia della Marna. Fallito anche il tentativo di occupare i porti sulla Manica (“corsa al mare”), il fronte si stabilizzò e iniziò una lunga guerra di posizione che ebbe nella trincea la sua più tragica e simbolica manifestazione. Poco dopo l’invasione tedesca del Belgio la Russia penetrò nella Prussia orientale. Gli Imperi centrali si trovarono così impegnati su due fronti. 1915 L’intervento italiano Allo scoppio del conflitto l’Italia si mantenne neutrale, vista la natura difensiva del trattato della Triplice Alleanza (che obbligava inoltre ad offrire all’alleato compensi come contropartita a qualsiasi alterazione dell’equilibrio esistente nei Balcani). Tuttavia le aspirazioni sulle terre irredente soggette all’Impero asburgico, le mire espansionistiche nell’Adriatico e nei Balcani e i legami economici con la Francia e la Gran Bretagna spingevano l’Italia verso l’Intesa. Nel frattempo si erano formati gli schieramenti dei neutralisti e degli interventisti: i neutralisti, a cui appartenevano i liberali di Giolitti, i socialisti e i cattolici, comprendevano la maggioranza dei cittadini e degli stessi dirigenti politici; il fronte degli interventisti era costituito da nazionalisti, liberali di destra, democratici e rivoluzionari (Mussolini). Il governo Salandra, forte della fiducia del re e del sostegno della piazza, si accordò segretamente con le potenze dell’Intesa, che gli fecero notevoli concessioni territoriali (Trentino, Istria, Gorizia, Trieste, Dalmazia, prospettive di espansione in Africa), e, scavalcando un Parlamento rassegnato, entrò in guerra, nell’ipotesi che, dirottando i conflitti sociali verso il nemico esterno, la guerra avrebbe consolidato le istituzioni monarchiche. 1916 La mobilitazione totale Quella che si era trasformata in una lunga guerra di logoramento sul fronte occidentale e orientale costrinse gli Stati belligeranti a militarizzare, intensificare e razionalizzare tutta la produzione e a rinsaldare la coesione morale della popolazione: di qui la pianificazione statale dell’economia, l’impiego massiccio di manodopera femminile e lo stretto controllo dei mezzi di comunicazione in chiave propagandistica (“economia di guerra”). Le conquiste tecnologiche che avevano caratterizzato la seconda Rivoluzione industriale furono impiegate per la produzione in massa di nuove armi: con i primi attacchi aerei si affermò l’idea che la guerra oscurava il limite tra fronte e retrovie, tra spazio del pericolo e spazio della sicurezza (“guerra totale”). 1917 L’intervento degli Stati Uniti La decisione tedesca di condurre una guerra sottomarina totale (in seguito al blocco navale attuato dagli anglo-francesi) spinse gli Stati Uniti, che erano i principali fornitori dell’Intesa e che miravano a salvaguardare il loro traffico mercantile verso la Gran Bretagna e la Francia, all’intervento diretto nel conflitto come potenza “associata” (non “alleata”). La guerra fu concepita dagli americani come una crociata in difesa dei principi liberali e democratici contro il dispotismo e il militarismo dei reazionari Imperi centrali. La rivoluzione russa Il regime zarista, inetto, corrotto e colpito da una grave crisi economica e sociale (carestia e scioperi), non riuscì a sostenere il peso della guerra e venne rovesciato da una prima rivoluzione in febbraio guidata dal soviet degli operai e dei soldati di Pietrogrado. Iniziò un breve periodo caratterizzato da tre governi liberal-democratici, che non possedevano un potere reale visto il dualismo di potere esistente tra governo e soviet. Nel frattempo, il precipitare degli eventi spinse Lenin a rientrare in patria, agevolato in questo dal governo tedesco; egli pronunciò le “Tesi di aprile”, che comprendevano la pace immediata, l’abbattimento del potere provvisorio, l’assegnazione di tutto il potere ai soviet e la liquidazione della grande proprietà terriera attraverso una “dittatura del proletariato”. La debolezza dei governi provvisori consentirono ai bolscevichi di guadagnare sempre più ampi consensi e in ottobre, dopo aver conquistato il Palazzo d’Inverno, Lenin giunse con un colpo di stato a proclamare l’instaurazione del nuovo potere dei soviet dei deputati degli operai e dei contadini. Questo evento determinò l’uscita della Russia dalla guerra (pace di Brest-Litovsk, 1918). Le truppe degli Imperi centrali, sfondato il fronte dell’Isonzo a Caporetto, costrinsero l’esercito italiano a ripiegare disordinatamente fino al Piave. Tra la popolazione il malcontento accumulato negli anni culminò, in quasi tutti i paesi belligeranti, in scioperi e disordini di piazza. 1918 I 14 punti di Wilson In gennaio il presidente degli Stati Uniti Wilson annunciò i 14 punti su cui avrebbe dovuto basarsi l’ordine internazionale una volta ultimata la guerra. Loro fondamento era il rispetto del principio di nazionalità, secondo il quale ogni popolo poteva disporre liberamente e autonomamente di se stesso. Ciò implicava: una nuova sistemazione delle colonie da realizzarsi considerando le rivendicazioni dei popoli coloniali; il riassetto dell’Europa e dei territori dell’Impero ottomano; la creazione di un’associazione generale delle nazioni, con lo scopo di garantire l’indipendenza politica e l’integrità territoriale degli Stati e promuovere la pace tra i popoli. La conclusione della guerra Con l’uscita della Russia dalla guerra, si prospettava per gli Imperi centrali la possibilità di scatenare un’offensiva risolutrice sul fronte occidentale. Sconfitti tuttavia nella seconda battaglia sulla Marna, gli Imperi 2 centrali, in difficoltà nel reperimento di uomini, armi, viveri e materie prime e scossi al loro interno da agitazioni sociali e rivendicazioni nazionaliste disgregatrici, finirono con il soccombere. Crollarono così la Germania, dove fu proclamata la Repubblica, e l’Impero austro-ungarico, che fu sconfitto dall’Italia a Vittorio Veneto e che si disintegrò in seguito al distacco delle diverse nazionalità che si costituirono in Stati indipendenti. Stessa sorte subì l’Impero ottomano, i cui territori arabi in Medio Oriente furono assegnati nel 1920 in mandato parte alla Gran Bretagna (Palestina) e parte alla Francia. L’inizio di una nuova epoca Dalla guerra, che costò circa 10 milioni di morti, uscirono indeboliti tutti i paesi europei (la Francia e la Germania persero rispettivamente il 20 e il 15 % della popolazione maschile compresa tra i 20 e i 44 anni); al contrario, emerse grandemente rafforzata la potenza statunitense, verso la quale tutti gli alleati europei erano debitori. Si assistette al declino della centralità dell’Europa nel mondo a vantaggio degli Stati Uniti e alla costituzione del primo Stato socialista, che ambiva a porsi come modello alternativo al sistema capitalista dominante nel mondo (si ricordi che la Russia non partecipò ai negoziati di Parigi del 1919!). La Grande Guerra fu inoltre un potente fattore di accelerazione dello sviluppo della moderna società di massa, distruggendo le forme residue della società liberale ottocentesca, sia sul piano economico (pianificazione statale dell’economia) sia su quello politico-istituzionale (le masse si inserirono nei sistemi politici nazionali). 1919 La Conferenza di Parigi La Conferenza, che doveva preparare i trattati di pace, si ispirò ai 14 punti di Wilson. Apertasi tra grandi speranze, essa condusse i propri lavori con crescente difficoltà, giungendo infine a conclusioni che generarono risentimenti negli Stati sconfitti. Anche l’Italia, che pure apparteneva allo schieramento vincitore, si sentì inappagata nelle sue rivendicazioni (“vittoria mutilata”: il caso di Fiume). Divenuto cavallo di battaglia di coloro che si erano battuti per l’intervento in guerra, il mito della vittoria mutilata sarà presto fatto proprio dal nascente Fascismo, che se ne servirà per giustificare la propria propaganda per un’Italia forte e decisa a imporsi con le armi. Il Trattato di Versailles Il più importante dei trattati di pace scaturiti dalla Conferenza di Parigi fu quello di Versailles, firmato tra gli Stati vincitori e la Germania. Esso impose a quest’ultima condizioni eccezionalmente dure sul piano militare, economico e territoriale (“pace selvaggia”), tali da provocare tra i tedeschi diffuse reazioni emotive di rifiuto. Il trattato istituì inoltre la Società delle Nazioni, un organismo, fortemente voluto da Wilson, a garanzia di un nuovo pacifico ordine internazionale. I trattati di pace non riuscirono tuttavia a porre le premesse per un duraturo ordine internazionale, creando così pericolosi focolai per nuove contese e rivendicazioni nazionali (emblematico è il caso dei Sudeti, in cui 3 milioni di tedeschi furono incorporati nel nuovo Stato cecoslovacco). 3