fisica-quanti - Sezione di Fisica

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Dall’ipotesi di Planck alla nascita
della meccanica quantistica
23 marzo 2015
Corpo nero (Planck)
Effetto fotoelettrico (Einstein)
L’atomo di Bohr
Effetto Compton
Dualismo onda-particella, relazione di de Broglie
Heisenberg e Schroedinger
1
Corpo nero
• Il corpo nero è una idealizzazione fisica e rappresenta
un corpo che assorbe perfettamente tutta la
radiazione e.m. incidente, indipendentemente
dall’angolo di incidenza e dalla lunghezza d’onda
• Un corpo nero in equilibrio termico, cioè a
temperatura costante, emette radiazione e.m. detta
radiazione di corpo nero
• Lo spettro di emissione è determinato soltanto dalla
temperatura, non dalla forma o dalla composizione
del corpo (teorema di Kirchhoff)
2
Corpo nero
• Un modello molto usato, anche se non perfetto, di corpo
nero è un piccolo foro in un corpo cavo le cui pareti siano
opache alla radiazione
• Il corpo cavo sia mantenuto ad una temperatura T e la
radiazione al suo interno sia in equilibrio termico con le
pareti
• Il forellino permetterà alla radiazione e.m. di entrare e
uscire dal corpo, ma se è abbastanza piccolo, l’effetto
sull’equilibrio termico della radiazione all’interno della
cavità sarà trascurabile
• La radiazione uscente sarà allora, con buona
approssimazione, radiazione di corpo nero
3
Corpo nero
• Anche se inizialmente la radiazione non è in
equilibrio termico con le pareti, l’equilibrio è
raggiunto per assorbimento e reemissione continui
della radiazione da parte del materiale delle pareti
•
NOTA: La radiazione di corpo nero è la massima radiazione che un corpo
all’equilibrio termico possa emettere, qualunque sia la sua composizione chimica o
la sua struttura superficiale
4
Radianza spettrale
• Consideriamo un punto Q sulla superficie del corpo nero
• Una quantità infinitesima di potenza dP sia irraggiata in
direzione q rispetto alla normale alla superficie del corpo
da un elemento di area dA nell’angolo solido dW in una
banda di frequenza dn
• La quantità, introdotta da G. Kirchhoff
dP
Bn (n , T) 
dA cosq dW dn
• è detta radianza spettrale
• É questa la grandezza misurabile sperimentalmente
5
Radianza e densità di energia
• Si può dimostrare che la radianza spettrale
uscente dal corpo nero e la densità spettrale di
energia e.m. presente all’interno del corpo nero
sono legate da una semplice relazione di
proporzionalità
4
uv n , T  
c
Bv n , T 
• Per cui invece di è Bn possibile determinare un
• È questa la grandezza che Planck analizzò
teoricamente
6
Legge di Planck
• Planck mise insieme due formule per la radianza del
corpo nero, proposte da Wien e da Rayleigh, verificate
sperimentalmente rispettivamente per alte e basse
frequenze e ricavò la formula
an 3
uv n , T  
 bn 
exp 
 1
T 
• Con a e b due costanti da determinare empiricamente
• Siccome un è indipendente dal materiale di cui è fatta la
cavità, le due costanti sono costanti universali
• Come vedremo sono legate alla costante di Boltzmann
ed a quella che è divenuta nota come costante di Planck
7
Giustificazione della legge
• Dato che la formula si adattava bene ai dati
sperimentali per tutte le frequenze, Planck la
pubblicò (19 ottobre 1900 )
• A questo punto Planck cercò una giustificazione
teorica della sua formula
• Immaginò che la cavità contenesse un numero
grande ma finito di oscillatori meccanici, ciascuno
con una sua propria frequenza di risonanza
• Gli oscillatori erano dotati di carica elettrica, in modo
da poter scambiare energia con la radiazione e.m.
della cavità
8
Giustificazione della legge
• Per Planck non era necessario che questi oscillatori
risonanti esistessero davvero, questa era un’ipotesi
teorica, uno strumento per calcolare l’espressione della
radianza spettrale
• Oggi questi oscillatori sono identificati con qualcosa di
reale, gli atomi delle pareti della cavità
• Planck ricorse ai metodi sviluppati da Boltzmann in
meccanica statistica, per trovare come l’energia e.m. si
distribuisse sui diversi modi dinamici degli oscillatori
9
Meccanica statistica
• Per trovare l’energia che compete ai modi della
radiazione e.m. di frequenza compresa tra n e n +d n,
bisogna moltiplicare il numero di questi modi per
l’energia media del modo
• Per l’ipotesi dell’equilibrio termico, l’energia di un modo
e.m. è uguale all’energia dell’oscillatore di ugual
frequenza
 n   En 
• Classicamente l’energia media dell’oscillatore vale
E  kT ed è indipendente dalla frequenza
• Se dN e` il numero di modi e.m. di frequenza compresa
tra n e n +dn, l’energia corrispondente dU sara`
dU   n dN  E dN
10
Meccanica statistica
• Si può dimostrare che dN per una cavità di volume V
all’equilibrio termico è dato da
8V 2
dN 
c
3
n dn
• Quindi l’energia e.m. dovuta a questi modi all’interno
della cavita` e`
8V 2
dU  E dN  kT 3 n dn

c
• Questa energia puo` anche essere espressa in termini di
densita` di energia e.m. dentro la cavita`:
dU  Vun dn
11
Densità di energia classica
• Dalla teoria e.m. di Maxwell e dalla meccanica
classica si otterrebbe quindi la densità di energia
d U V  du
8

 un  3 kTn 2
dn
dn
c
• Questa formula non è però fisicamente
possibile, in quanto prevede un aumento
indefinito di un con n
12
13
Relazione di Planck (1901)
• Planck suppose che
– l’energia degli oscillatori non fosse distribuita con
continuità, ma fosse costituita da quantità minime
indivisibili o quanti
– la quantità di energia di un quanto fosse
proporzionale alla frequenza di risonanza
dell’oscillatore e  hn
– l’energia di un oscillatore fosse un multiplo intero di e
En  ne  nhn
•
NB: Planck non propose che l’energia e.m. fosse quantizzata, questo fu
fatto da Einstein nel 1905
14
Densità di energia di Planck (Nobel 1918)
hn
• Ora l’energia media dell’oscillatore è E 
 hn 
exp 
 1
 kT 
• E l’espressione della densità di energia dei modi e.m.
con frequenza compresa tra n e n +dn
du
8h
n3
 un  3
dn
c
 hn 
exp 
 1
 kT 
• Questa l’espressione si adatta ai dati sperimentali su
tutto lo spettro di frequenza
• h è una nuova costante universale, la costante di Planck,
con le dimensioni di energia volte tempo cioè di azione:
h  6.626 1034 Js
15
Satyendra Nath Bose
• Fu solo nel 1924 che il fisico indiano Bose
sviluppò la teoria statistica quantistica dei fotoni,
che permise una derivazione teorica
quantisticamente corretta della legge di Planck
16
17
Limite per basse frequenze
• Per basse frequenze l’esponenziale a denominatore si
può espandere in serie
8h
un  3
c
n3
 hn 
8h
n3
8 2
 3
 3 n kT
c 1  hn  1 c
exp 
 1
kT
 kT 
• Riottenendo la distribuzione classica di Rayleigh-Jeans
• Notare che la costante di Planck sparisce
18
Limite per alte frequenze
• Per alte frequenze l’esponenziale al denominatore
diventa dominante rispetto a 1
8h
un  3
c
n3
 hn 
exp 
 1
 kT 
8h 3
 hn 
 3 n exp  

c
 kT 
• Riottenendo la distribuzione di Wien
19
Energia media dell’oscillatore
• Per la distribuzione classica l’energia media degli
oscillatori 1-D è indipendente dalla frequenza
E n   kT
• Questa caratteristica è responsabile della divergenza
della densità di energia ad alte frequenze e del
conseguente carattere non fisico della distribuzione
classica
20
Energia media dell’oscillatore
• Per la distribuzione di Planck l’energia media dipende
invece dalla frequenza e per alte frequenze è molto piccola
hn
 hn 
E n  
 hn exp  

 hn 
 kT 
exp 

1

 kT 
• Questo significa che la probabiltà che un oscillatore di alta
frequenza sia attivo è molto bassa (‘congelamento’ dei
gradi di libertà)
• Qualcosa di analogo succede per gli oscillatori 3-D (reali,
stavolta) costituiti dagli atomi del reticolo in un cristallo
21
Effetto fotoelettrico
• Scoperto nel 1887 da H. Hertz
• è il fenomeno per cui in opportune condizioni, la
superficie di una sostanza, generalmente un metallo,
esposta a radiazione e.m., assorbe la radiazione ed
emette elettroni
•
Nota: l’elettrone fu scoperto da J. J. Thomson nel 1897
• Affacciando una seconda
superficie alla prima e
imponendo una ddp tra le due,
è possibile raccogliere la
corrente di elettroni e studiarne
le proprietà
22
Effetto fotoelettrico
• Se la ddp è positiva, gli elettroni vengono accelerati
verso il secondo elettrodo
• Se questa ddp è abbastanza elevata, tutti gli
elettroni vengono raccolti e ogni ulteriore aumento
della ddp non porta ad alcun aumento della corrente
• Con una ddp negativa, è possibile rallentare gli
elettroni, fino a annullare la corrente quando venga
raggiunto il potenziale di blocco Vb
• In tal modo, imponendo la conservazione
dell’energia, è possibile risalire alla massima
energia cinetica Kmax degli elettroni
K max  eVb
23
Caratteristiche sperimentali
• Per una data sostanza:
1) La radiazione deve avere una frequenza maggiore di
una frequenza di soglia (corrispondente a luce visibile o
ultravioletta) affinché il fenomeno si verifichi
2) L’intensità della corrente è proporzionale all’intensità
della luce incidente
3) Vb (ovvero l’energia cinetica massima degli elettroni)
non dipende dall’intensità della radiazione
4) Vb aumenta con la frequenza della radiazione
5) Il tempo intercorrente tra l’arrivo della radiazione e
l’emissione di elettroni è molto piccolo e indipendente
dall’intensità della luce
24
Difficoltà della teoria e.m. classica
• Il fenomeno è importante perché esso non è
spiegabile con la teoria ondulatoria della luce
• Il fatto che
– l’energia cinetica degli elettroni non aumenti con l’intensità
della luce
– non ci sia addirittura emissione di elettroni per frequenze
al di sotto di quella di soglia
– l’energia cinetica degli elettroni aumenti con la frequenza
della luce
• risultava inspiegabile dalla teoria di Maxwell
• Un altro fatto inspiegabile è che il ritardo di
emissione degli elettroni è indipendente
dall’intensità della luce
25
26
La soluzione di Einstein (1905,
Nobel 1921)
• Suppone che
1) l’energia della luce non sia distribuita con
continuità nell’onda e.m., ma sia concentrata in
‘pacchetti discreti’ o quanti
2) l’energia di un quanto sia proporzionale alla
frequenza n della luce, secondo la costante di
Planck E  hn
3) un elettrone del metallo assorba un quanto di
luce, aumentando la propria energia a tal punto
da poter sfuggire dalla superficie
4) questo possa avvenire se l’energia assorbita è
maggiore del lavoro di estrazione W che deve
compiere per superare l’attrazione del metallo
27
La soluzione di Einstein (1905)
• Supponendo che l’energia si conservi, possiamo
scrivere K max  hn  W , ove W dipende dal metallo
usato
• Questa formula spiega i seguenti fatti:
– Kmax aumenta con la frequenza della radiazione (inoltre
predice che l’aumento sia lineare)
– Kmax non dipende dall’intensità della radiazione
– l’esistenza di una frequenza di soglia: n  W h  n s
(l’elettrone può essere emesso solo se K è positiva)
– l’intensità della corrente di elettroni emessi è
proporzionale al numero di quanti assorbiti nell’unità di
tempo e quindi all’intensità della radiazione luminosa
– l’indipendenza dall’intensità della luce dell’intervallo di
tempo tra irraggiamento e emissione: l’elettrone è
emesso subito dopo aver assorbito il quanto
28
W  hn s
29
K max  hn  W
30
La formula di Rydberg (1888)
• Negli anni 80 del XIX secolo J. Balmer prima e J. Rydberg poi
scoprirono due relazioni tra le lunghezze d’onda delle linee
spettrali dell’atomo di idrogeno misurate dagli spettroscopisti
• Rydberg notò che tali linee potevano essere raggruppate in
serie e che i calcoli si semplificavano se si usava il numero
d’onde, 1/l cioè l’inverso di l, ovvero il numero di onde
presenti nell’unità di lunghezza (un metro)
1 1
1
• La formula è
 R 2  2 
l
 n1 n2 
• Ove R è la costante Rydberg (pari a 1.097 x 107 m-1 ) e n1 < n2
sono due numeri interi
31
La formula di Rydberg
• Fissato n1 , e facendo variare n2 si potevano riprodurre le serie
di linee spettrali misurate
1 1 
 R  2 
l
 1 n2 
1 1
1
 R 2  2 
l
 2 n2 
1
1 1
 R 2  2 
l
 3 n2 
1 1
1
 R 2  2 
l
 4 n2 
1
n1
n2
1
2→∞
serie di Lyman
2
3→∞
serie di Balmer
l=364.5 nm (visibile)
3
4→∞
serie di Paschen
l=820.1 nm (IR)
4
5→∞
serie di Brackett
nome
converge verso
l=91.1 nm (UV)
l=1458.0 nm (lontano IR)
1
l
1
l
R

1
1
R
4
1
 R
l 9
1 1
 R
l 16
32
Serie spettrali
Serie di Lyman
Serie di Balmer
• Nessuno però sapeva dare una spiegazione teorica della
formula o del valore di R
33
L’atomo di Rutherford (1911)
• All’inizio del XX secolo E. Rutherford stabilì sperimentalmente
che gli atomi consistono di una nube diffusa di elettroni carichi
negativamente che circonda un piccolo nucleo massiccio carico
positivamente
• Rutherford considerò un modello atomico planetario, cioè
elettroni in orbita attorno al nucleo
• Tale modello era però in contrasto con le leggi
dell’elettromagnetismo: un elettrone orbitante avrebbe
emesso radiazione e.m., perdendo continuamente energia,
spiraleggiando a raggi sempre più piccoli per cadere infine sul
nucleo
• I calcoli prevedevano per l’atomo una vita di circa 16 ps
34
L’atomo di Rutherford
• Inoltre se l’elettrone spiraleggiasse verso il nucleo, la frequenza
della radiazione emessa andrebbe crescendo continuamente
• Questo era in contrasto con le misure spettroscopiche, secondo
cui gli atomi emettono radiazione solo a frequenze discrete
ben definite
35
L’atomo di Bohr (1913, Nobel 1922)
• Per superare queste difficoltà Bohr propose un modello per
l’atomo di idrogeno con le seguenti proprietà:
– Gli elettroni si muovono su orbite circolari (in seguito generalizzate a
orbite ellittiche) attorno al nucleo a distanze definite da esso
– Solo alcune delle orbite classicamente possibili sono permesse
– In queste orbite gli elettroni si muovono stabilmente senza emettere
radiazione e.m. (come invece richiesto dall’elettromagnetismo classico)
– Queste orbite possiedono energie definite e sono perciò anche dette
livelli energetici
– Gli elettroni possono acquistare o perdere energia saltando (salto
quantico) da un’orbita all’altra, assorbendo o emettendo radiazione
e.m. di frequenza n determinata dalla differenza di energia tra i livelli
secondo la relazione di Planck
E  E2  E1  hn
36
L’atomo di Bohr
L’elettrone passa da uno stato atomico a
energia maggiore ad uno a energia minore,
con emissione della differenza sotto forma di
energia e.m.
L’elettrone assorbe energia e.m. e passa da
uno stato atomico a energia minore ad uno a
energia maggiore
• Per semplicità supporremo dapprima che la massa del
protone sia infinitamente maggiore di quella dell’elettrone
• In tal modo il protone rimane fermo e l’elettrone orbita
attorno ad esso
37
L’atomo di Bohr (1913)
• In questo modello gli elettroni seguono le leggi della
meccanica classica, ma solo alcune orbite sono permesse,
quelle che soddisfano una restrizione detta regola quantica
• La regola è che il momento angolare L dell’orbita dev’essere un
multiplo intero, n, di una quantità fissa pari alla costante di
Planck divisa per 2 (ovvero la costante di Planck ridotta)
h
Ln
 n
2
• n è detto numero quantico principale e può assumere valori
interi positivi (n>0)
38
L’atomo di Bohr (1913)
• Il modello di Bohr prevede che durante un salto quantico
dell’elettrone venga irraggiata una quantità discreta di energia
• Ciononostante Bohr riteneva che questa quantizzazione non
fosse da attribuire al campo e.m., ma fosse dovuta al fatto che
i livelli energetici dell’atomo sono discreti
• In altri termini, all’epoca, Bohr non credeva all’esistenza dei
quanti di luce
39
L’atomo di Bohr (1913)
• Il modello permette di ottenere soluzioni quasi
esatte per sistemi a due corpi
–
–
–
–
–
Atomo di idrogeno (p-e-)
Atomi ionizzati con un solo elettrone (He+, Li++, ecc.)
Positronio (e+-e-)
Stati di Rydberg di un atomo qualunque (nocciolo- e-)
Mesoni formati da quark pesanti (bu)
40
Caratteristiche delle orbite circolari
• Vogliamo trovare l’espressione del momento angolare per
imporre la regola quantica
• Questo ci permetterà di esprimere tutte le grandezze fisiche
di interesse in termini del numero quantico principale
• Partiamo dalla legge di Newton per l’elettrone nell’atomo
mv 2
Ze 2
 rˆ   k 2  rˆ 
r
r
• Ove k è la costante di Coulomb, Ze è la carica del nucleo, m,
-e, v e r sono la massa, la carica, la velocità e il raggio orbitale
dell’elettrone
41
Caratteristiche delle orbite circolari
• Da questa eq. si può ricavare la velocità in funzione del
raggio:
Ze 2
v k
mr
• Inseriamo ora la velocità nell’espressione del momento
angolare:
L  rmv  kZe 2 mr
• Imponendo la regola quantica, ci permette di esprimere il
raggio in termini di n:
n2 2
r
kZe 2 m
• e quindi la velocità:
Ze 2
vk
n
42
Caratteristiche delle orbite circolari
• Infine l’energia totale dell’elettrone, data dalla somma
dell’energia cinetica e potenziale:
1 2
Ze 2
E  K  U  mv  k

2
r
1
Ze 2
Ze 2
1 Ze 2
 mk
k
 k

2
mr
r
2 r
2 2
1 kZe  m
Z2

  RE 2
2 2
2 n
n
• Ove RE è una costante
43
L’atomo di Bohr come sistema a
due corpi
• Quel che cambia è che elettrone e protone si muovono
entrambi attorno al comune centro di massa
• Come è stato dimostrato in meccanica, il sistema a due corpi è
equivalente al sistema semplificato, in cui una particella fittizia
di massa pari alla massa ridotta delle due particelle
Mm

M m
• orbita attorno ad un centro immobile di forza a distanza r,
uguale alla distanza tra elettrone e protone
• Inoltre l’energia totale E=K+U e il momento angolare

dell’atomo sono uguali all’energia e al MA della particella fittizia
• In pratica basta interpretare la massa m, il raggio r e la velocità
v nelle formule ricavate, come quelli della particella fittizia
anziché dell’elettone
44
Livelli energetici dell’atomo di
1
idrogeno E   R n
E
0
2
1
2
3
4
5
6
7
2
8
d (a0)
0
-2
ENERGIA
CLASSICA
ENERGIA
POTENZIALE
E (eV)
-4
stato fondamentale
-6
1° stato eccitato
2° stato eccitato
-8
-10
3° stato eccitato
4° stato eccitato
-12
-14
-16
d è la distanza tra elettrone e protone, espressa
in unità a0 =53 pm, il raggio di Bohr, che è
il raggio della più piccola orbita permessa
Successo del modello di Bohr
• Il successo fu duplice, perché riuscì a spiegare la formula di
Rydberg e a calcolare il valore della costante R
• Infatti mettendo insieme la formula dell’energia di un livello
1
(con Z=1 per l’idrogeno)
E n   RE 2
n
• con quella dell’energia della radiazione emessa
E  En 2  En1  hn
• si ottiene, passando dalla frequenza alla lunghezza d’onda
1 1
hc


En 2  En1  RE  2  2   hn 
l
 n1 n2 
46
Successo del modello di Bohr
RE  1 1 
RE



 2  ove
R
• Ovvero
2

l hc  n1 n2 
hc
1
• è la costante di Rydberg, ora calcolata in base a costanti
fondamentali
2
RE 1 ke 2  m 2 2 k 2 me 4
R


2
hc 2  hc
h 3c
• Per quanto riguarda l’energia, considerata alla luce del
sistema a due corpi, la massa dell’elettrone dev’essere
sostituita con la massa ridotta
47
Serie spettrali - Lyman
0
1
2
3
4
5
6
7
8 d (a0)
2
0
-2
-4
-6
E (eV)
-8
-10
-12
-14
-16
• Le serie spettrali si possono interpretare
come le lunghezze d’onda della
radiazione emessa dagli atomi quando
un elettrone salta da un livello più alto
ad un livello più basso
• Per la serie di Lyman da un livello
eccitato a quello fondamentale
Serie spettrali - Balmer
0
1
2
3
4
5
6
7
2
0
-2
-4
-6
E (eV)
-8
-10
-12
-14
-16
• Per la serie di Balmer da un livello
eccitato superiore al primo livello
eccitato
8 d (a0)
Produzione di raggi X
50
Produzione di raggi X
• Un altro modo di produrre raggi X si basa sulla rimozione
di elettroni negli strati più interni degli atomi
• La rimozione può avvenire per urto con elettroni o con
fotoni (mediante effetto Compton) inviati contro l’atomo
• Questi elettroni (o fotoni) scalzano gli elettroni
dell’atomo creando un posto vacante nel livello atomico
corrispondente
• Un elettrone dei livelli superiori può saltare al livello
inferiore e occupare questa lacuna, accompagnato
dall’emissione di un quanto X
51
Raggi X caratteristici
• Questi quanti (raggi X
caratteristici), a
differenza di quelli
prodotti per
bremsstrahlung hanno
un’energia di valore
definito precisamente
dalla differrenza di
energia dei livelli
atomici coinvolti
52
Effetto Compton
• È la diffusione di raggi X da parte di elettroni (o atomi
o altre particelle) in cui la lunghezza d’onda della luce
diffusa (o la sua frequenza) è diversa da quella
incidente
• Un fotone g di lunghezza d’onda l collide con un
elettrone (considerato a riposo per semplicità)
• L’elettrone rincula ed un nuovo fotone g’ di
lunghezza d’onda l’ emerge ad un angolo q rispetto
alla direzione di incidenza
53
Effetto Compton
• La teoria e.m. classica non riesce a spiegare questo
cambiamento di lunghezza d’onda
• L’effetto è quindi importante perché dimostra che la
luce non può essere interpretata compiutamente da
una teoria ondulatoria
• Per spiegare questo effetto la luce deve comportarsi
come se fosse costituita di particelle (quanti)
54
La soluzione di Compton (Nobel
1927)
• Nel 1923 Compton spiegò il fenomeno
E hn h


– attribuendo ai fotoni quantità di moto
c
c
l
– usando la fisica relativistica, in quanto le velocità acquisite dagli
elettroni sono paragonabili a quella della luce
– imponendo la conservazione dell’energia e della quantità di moto
p
• La formula trovata da Compton esprime la relazione tra il
cambiamento di lunghezza d’onda e l’angolo di diffusione
dei raggi X
h
l 'l 
me c
1  cosq 
• ove h è la costante di Planck e me la massa dell’elettrone
• h me c è detta lunghezza d’onda Compton dell’elettrone
55
Derivazione della legge
p’
• Con riferimento alla
figura, diciamo p e P=0
le qdm del fotone e
dell’elettrone prima
dell’urto e p’, P’ quelle
dopo l’urto
• Similmente siano ,
E=mc2 le energie prima
dell’urto e ’, E’ quelle
dopo l’urto
p
f
P’
• Imponiamo la
conservazione della qdm
longitudinale e trasversale
• Imponiamo la
conservazione dell’energia
56
Derivazione della legge
p’
• Avremo quindi
  
p  p' P'
  mc 2   ' E '
• Esplicitiamo le due
componenti della qdm
 p  p' cosq  P' cosf

0  p' sin q  P' sin f
p
f
P’
• Isoliamo il termine
dell’elettrone, eleviamo al
quadrato e sommiamo
membro a membro,
otteniamo
P'2  p 2  2 pp' cosq  p'2
57
Derivazione della legge
p’
• Riscriviamo l’energia in
termini di qdm
p
f
pc  mc 2  p' c  P'2 c 2  m2 c 4
• Isoliamo la radice,
eleviamo al quadrato
 p  p' mc 
2
 P'  m c
2
2
2
• Sostituiamo il valore
della qdm dell’elettrone
trovata in precedenza
• Troviamo
P’
mc p  p'  pp' 1  cosq 
• ovvero
mcp
p' 
mc  p1  cosq 
58
Derivazione della legge
• Se ora sostituiamo la relazione tra qdm e lunghezza
d’onda del fotone
E hn h
p 

c
c
l
• Otteniamo la formula di Compton
h
1  cosq 
l 'l 
mc
59
L’esperimento di Compton usava
raggi X Ka del molibdeno, che hanno
lunghezza d’onda di 0.0709 nm.
Questi erano diffusi da un blocco di
grafite e osservati a diversi angoli
con uno spettrometro di Bragg
Lo spettrometro consiste di una
struttura rotante con un cristallo di
calcite per diffrangere i raggi X e di
una camera a ionizzazione per
rivelare i raggi X
Poiché la spaziatura dei piani
cristallini nella calcite è nota,
l’angolo di diffrazione dà una misura
accurata della lunghezza d’onda
La formula di Compton prevede che la lunghezza d’onda diffusa dipende dall’angolo
di diffusione e dalla massa del diffusore
Per diffusione da elettroni fermi, in direzione 90°, la formula dà una lunghezza
d’onda di 0.0731 nm, consistente con il picco di destra nella figura
Il picco che sta vicino
alla lunghezza d’onda
originale è interpretato
come diffusione dagli
elettroni interni degli
atomi di carbonio, che
sono legati più
strettamente al nucleo
di carbonio
Ciò causa il rinculo di tutto l’atomo contro il fotone X, e la maggior massa efficace di
diffusione riduce in proporzione lo spostamento in lunghezza d’onda dei fotoni diffusi
Inserendo la massa di tutto l’atomo di carbonio nell’equazione di diffusione,
otteniamo uno spostamento in lunghezza d’onda quasi 22000 volte minore che per
un elettrone esterno, e di conseguenza la lunghezza d’onda di questi fotoni diffusi
non è apprezzabilmente variata
La visione di de Broglie (Nobel
1929)
• “Quando concepii le prime idee base della
meccanica ondulatoria nel 1923-24, fui guidato
dal desiderio di una reale sintesi fisica, valida
per tutte le particelle, della coesistenza degli
aspetti ondulatori e corpuscolari che Einstein
aveva introdotto per i fotoni nella sua teoria dei
quanti di luce nel 1905”
63
Onde di materia
• Il concetto di onde di materia, o onde di de Broglie riflette
la dualità onda-particella della materia
• La teoria fu proposta da de Broglie nel 1924 e stabilisce
che ad un oggetto materiale è associata una lunghezza
d’onda, inversamente proporzionale alla quantità di moto
dell’oggetto
h
l
p
• Inoltre alle onde di materia è associata una frequenza
direttamente proporzionale all’energia dell’oggetto
E

n
h
64
Diffrazione di elettroni
• Se gli elettroni hanno natura ondulatoria, è
pensabile di eseguire un esperimento simile a
quello utilizzato per indagare la struttura di un
cristallo con i raggi X
• Si può applicare la condizione di Bragg per
l’interferenza costruttiva
l
sin q  n
2d

65
Condizione di Bragg
sin q  n
l
2d
• Ove d è la distanza tra i piani cristallografici,

supposta nota da precedenti misure
con i raggi
X, q la direzione in cui si ha un massimo
d’intensità, n è l’ordine di diffrazione e l è la
lunghezza d’onda di de Broglie
h 1
sin q  n
2d p

66
L’esperimento di Davisson e
Germer
• Nel 1927 C. Davisson e L. Germer usarono elettroni lenti
per studiare la struttura cristallina del nichel
• La dipendenza angolare degli elettroni riflessi risultò
avere lo stesso andamento di quello predetto per la
diffrazione di raggi X
• Per la prima volta era stato provato che particelle
materiali (gli elettroni) mostravano diffrazione, e quindi
che la materia aveva natura ondulatoria
• L’esperimento confermò l’ipotesi di de Broglie per gli
elettroni
• Esperimenti successivi hanno mostrato che questa
ipotesi è vera anche per atomi e molecole
67
Diffrazione di elettroni
68
Interferenza di elettroni
• Nella figura è riportato il risultato dell’esperimento
di A. Tonomura, et al. (1989) sull’interferenza da
doppia fenditura a singolo elettrone
• La sequenza si riferisce all’accumulo di elettroni
sul rivelatore al passare del tempo
69
Heisenberg (1925)
• Pubblica un articolo nel settembre 1925 che segna
la nascita della meccanica quantistica moderna
• La sua formulazione della teoria è nota come
meccanica matriciale
• Nel 1927 propose il principio di indeterminazione
• Nel 1932 gli fu assegnato il premio Nobel per la
creazione della meccanica quantistica
70
Schroedinger (1926)
• In un articolo comparso nel gennaio 1926, formulò
una diversa versione della meccanica quantistica, la
meccanica ondulatoria, secondo cui un sistema
fisico è rappresentato da una funzione d’onda che
può essere determinata risolvendo un’equazione
d’onda
• In seguito dimostrò che la sua versione era
equivalente alla meccanica matriciale di Heisenberg
• Nel 1933 gli fu assegnato il premio Nobel per la
scoperta di una nuova forma di teoria atomica
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