Istituto Di Psichiatria E Psicologia Università Cattolica Del Sacro Cuore, Roma
Approccio
dimensionale
alla depressione
Prof. Luigi Janiri
Dr Riccardo Guglielmo
Dr.ssa Ida Gualtieri
“I pensieri senza contenuto sono vuoti,
le intuizioni senza concetti sono cieche”
Kant, «Critica della ragion pura»
Cos’è una dimensione
• Una dimensione psicopatologica è definita
come un’area di funzionamento alterata che
è descritta da un insieme di sintomi che
concorrono alla sua identificazione con un
peso differenziale;
Approccio dimensionale
• È per definizione anti-nosologico: isola, nel contesto
dei diversi disturbi, delle dimensioni autonome,
indipendenti le une dalle altre, ciascuna delle quali
può essere presente in entità nosologiche diverse;
• L’analisi dimensionale ideale è quella che riesce a
“sezionare” un disturbo psichico in tutte le sue
dimensioni fondamentali e a definirle in maniera
quanto più specifica possibile;
• Naturalmente per ogni disturbo può essere identificata
una dimensione fondamentale che, generalmente, si
associa con un numero variabile di altre dimensioni di
vario tipo;
Approcci dimensionali
• Nel caso della schizofrenia tale approccio è stato
particolarmente fecondo;
• Dicotomia dimensionale:
1) sintomi positivi;
2) sintomi negativi
• Indicata per ognuna delle due “dimensioni” un diverso tipo
di decorso, di esiti e di risposta alle terapie farmacologiche,
nonché differenti meccanismi fisiopatologici;
• Oggi questa dicotomia è un fatto acquisito e rappresenta
un punto di riferimento soprattutto nella valutazione
dell’efficacia di nuovi farmaci.
Ricerca dimensionale
• La teoria e la ricerca sulle dimensioni psicopatologiche è
nata con lo scopo di tentare di individuare profili
sintomatologici dimensionali omogenei, anche per poter
meglio correlare i disturbi osservati clinicamente a
specifiche alterazioni fisiopatologiche;
• Si ritiene, infatti, che esista un legame specifico tra
alterazioni neurobiologiche e dimensione sintomatologica
osservata;
• Le vie patogenetiche sottese alle dimensioni potrebbero
costituire potenziali bersagli di interventi terapeutici mirati,
non più alla categoria diagnostica, ma a un gruppo di
sintomi prevalenti.
Categorie & Dimensioni
• Al momento non è giustificato eliminare
l’approccio categoriale (es. utile ai clinici);
del
tutto
• L’esistenza di forme intermedie tra un disturbo e l’altro e la
“normalità” nemmeno ne giustifica la cancellazione
(accade lo stesso in altre branche mediche  Ipertensione,
Iperglicemia, Colon Irritabile, in cui un «continuum» tra
completa assenza di sintomi, manifestazioni sotto-soglia e
malattia è considerato un dato di fatto e non mette in
dubbio la validità della diagnosi).
Categorie & Dimensioni (1)
• La più valida alternativa all’approccio categoriale pare
essere l’integrazione con l’approccio dimensionale;
• L’approccio dimensionale consente una classificazione più
aderente alla complessità clinica, è in grado di predire
meglio la risposta alla terapia ed è più in linea con i più
recenti dati della ricerca (genetica, marker biologici, brain
imaging);
• Si tratta di un modello diagnostico di tipo probabilistico
permette di determinare non tanto la presenza/assenza di
un disturbo, ma la maggiore o minore probabilità che quel
disturbo sia presente e il suo livello di gravità.
Diagnosi di Spettro….
• Concetto di «spettro» originariamente introdotto in
fisica per indicare l’esistenza di un continuum
quantitativo tra fenomeni che mostrano una differenza
qualitativa  prisma – serie di colori;
• In psichiatria è impiegato per correlare disturbi distinti
sul piano clinico – sintomatologico, ma che
potrebbero essere sottesi da elementi comuni;
• Esempi sono: alcolismo e depressione con una
patogenesi comune, disturbi dello spettro schizofrenico
e dello spettro dell’umore.
Spettro disturbi dell’umore
• Depressione unipolare, disturbo bipolare I e II;
• Forme a frequenza sporadica, ciclicità rapida e ultrarapida;
• Stati misti;
• Disturbi bipolari e schizofrenia;
• Disturbi bipolari e disturbi di personalità (es. borderline);
L’approccio categoriale dà un immagine parziale e limitata nel
tempo; i fenotipi clinici sono molto più complessi e alla loro definizione
contribuisce un ampio numero di dimensioni che si alternano e
seguono l’individuo nella sua evoluzione nell’arco della vita
Orientamenti nosografici della depressione
•
Se alcuni Autori hanno considerato la depressione come
categoria diagnostica unica (Lewis, 1934; Kendell, 1968), altri
l’hanno ritenuta “un gruppo eterogeneo di disturbi sottesi da
meccanmi fisiopatologici distinti” (Rush, 1986);
•
In accordo con il modello pluralistico sono fiorite molteplici
proposte classificative, basate su aspetti antinomici:
o
Cronologici: depressione primaria vs secondaria;
o
o
o
o
o
Eziopatogenetici: depressione endogena vs reattiva;
Evolutivi: depressione unipolare vs bipolare, episodica vs cronica;
Fenomenici: depressione psicotica vs nevrotica, inibita vs agitata;
Biologici: depressione noradrenergica, serotoninergica o dopaminergica;
Prognostici o Terapeutici;
(Sarteschi, Cassano, Maggini,1982)
Orientamenti nosografici della depressione
CLASSIFICAZIONE CATEGORIALE
• Criteri qualitativi in grado di stabilire il
confine tra forme di rilevanza clinica e
condizioni affettive non patologiche;
• Diversi quadri depressivi che, pur
con
manifestazioni apparentemente differenti e
differente prognosi e risposta ai trattamenti,
sono stati inclusi a costituire l’espressione di
un’unica patologia primaria dell’umore.
Inquadramento nosografico della depressione
•
Principali problematiche:
1. Necessità di integrare un approccio dimensionale con
l’impostazione diagnostica di tipo categoriale del DSM-IV;
2. La frequente associazione tra depressione e altri disturbi
psichiatrici (comorbilità);
3. L’eterogeneità e la variabilità dei sintomi depressivi  possono
presentare caratteristiche opposte da individuo a individuo;
4. Il problema della distinzione tra forme di depressione unipolari e
forme bipolari;
5. I sintomi sottosoglia.
Orientamenti nosografici della depressione
•
Attualmente si va sempre di più affermando il tentativo di
individuare le dimensioni psicopatologiche principali della
depressione;
•
La dimensione (un concetto intermedio tra il semplice
sintomo e la malattia) potrebbe trovare, rispetto alla
diagnosi tradizionale, corrispondenze abbastanza solide
con specifiche alterazioni neurobiologiche
Dimensioni della depressione
• Negli ultimi anni c’è stato un crescente interesse per
l’identificazione, all’interno di questa ampia categoria
diagnostica, di fenotipi omogenei di depressione;
(Hasler et al., 2004)
• Esempi sono:
o la depressione anedonica
o
(Pizzagalli et al., 2005)
o la depressione rallentata
(Laventhal et al., 2008)
• Vari autori classici hanno cercato di cogliere i sintomi nucleari
della malattia depressiva;
Dimensioni della depressione (1)
• Una dimensione costante è la flessione dell’umore, variamente definita;
• Un’altra dimensione fondamentale è il binomio inibizione/rallentamento,
a sua volta distinguibile nelle sue componenti ideativa e motoria;
(Kraepelin)
• L’attuale ricerca sullo spettro dell’umore tenda ad individuare tre domini
che sembrano presentare una buona sovrapposizione con i tre domini
nucleari di Kraepelin, ossia:
1. Umore;
2. Energia;
3. Funzioni cognitive.
• Introduzione recente di un 4° dominio:
Ritmicità  particolare tendenza a variazioni di stato a periodicità
variabile (giornaliera o annuale).
Sintomi nucleari della depressione
Kraepelin
Shneider
• Umore depresso;
• Inibizione ideativa;
• Inibizione psicomotoria.
• Tristezza vitale;
• Rallentamento.
Bini-Bazzi
Ey
• Tristezza;
• Inibizione;
• Autoaccusa.
• Tristezza:
• Inibizione;
• Dolore morale
(autoaccusa, colpa).
Dimensioni della depressione
• Gli studi sulle basi biologiche della depressione hanno
trovato una stretta associazione tra specifiche disfunzioni
biologiche e certe dimensioni depressive piuttosto che con
la presenza o assenza di un episodio depressivo così come
riportato dal DSM-IV;
• Sintomi quali i deficit cognitivi, la ruminazione, il
rallentamento psicomotorio, l’anedonia e l’abbattimento
dell’umore sono stati associati con specifiche focali
anormalità del flusso ematico cerebrale.
(Mayberg et al, 1999; Drevets, 2000)
Fattori che sottendono le dimensioni
• Nelson e Charney (1981) hanno individuato, mediante
analisi fattoriali, che i sintomi che meglio caratterizzano la
condizione depressiva sono: l’umore deflesso, l’anedonia e
le alterazioni della psico-motricità;
• Brugnoli et al. (2001) hanno individuato quattro fattori:
impoverimento
affettivo,
distorsione
della
realtà,
depressione e ansia;
• Biondi (2005) ha descritto, invece, un fattore attivazione
(impulsività, rabbia, aggressività) spesso sottovalutato nelle
depressioni unipolari.
Materiali e metodi
•
Campione:
102 pazienti (M/F: 36/66; età media: 48,47±11,73) affetti da un Disturbo
Depressivo Maggiore (DDM) con un Episodio Depressivo Maggiore (EDM)
in corso, in accordo ai criteri del DSM-IV-TR;
•
Criteri di esclusione:
Comorbilità psichiatrica (in particolare disturbi psicotici, disturbi d’ansia,
disturbi di personalità,, disturbi del comportamento alimentare, disturbi
mentali secondari a condizioni mediche generali, dipendenza da
sostanze o abuso di sostanze nei precedenti tre mesi);
•
Trattamento Farmacologico:
-
Monoterapia antidepressiva (SSRI; SNRI) (N = 65);
-
Associazione con altri farmaci (timostabilizzanti, antipsicotici
atipici, etc.), secondo il giudizio clinico (N =37);
Risultati
• Mediante l’analisi fattoriale delle dimensioni valutate, sono
stati estratti due fattori, che insieme rendono conto di una
varianza totale del 57%;
Fattore 1
Fattore 2
Insonnia
,151
,720
Ansia somatica
,725
,109
Ansia psichica
,792
,302
Rallentamento
,294
,623
Anedonia
,687
,005
Aggressivita’
,496
-,642
Risultati (1)
(Camardese et al, 2012)
Risultati (2)
• Il punteggio di regressione calcolato nell’analisi fattoriale relativo
al fattore Anedonia-Ansia, è apparso direttamente correlato
all’outcome clinico, assumendo una rilevanza significativa come
indicatore
prognostico
e
predittore
clinico
di
risposta
al
trattamento (O.R. :2,71; Intervallo di Confidenza 95% compreso
tra 1,34 e 5,50; p=0,006)
Anedonia
Da studi di neuroimaging è emerso che la gravità
dell’anedonia nei pz depressi è correlata a:
• Deficit di attività dello striato ventrale (che riflette una
ridotta
funzionalità
del
nucleus
accumbens,
probabilmente come evento primario);
• Incremento dell’attività della regione ventrale della
corteccia prefrontale (probabilmente come fenomeno
secondario).
(McClure et al., 2004; Elliott et al., 2000)
Anedonia (1)
•
Nucleo accumbens:
risposte comportamentali di anticipazione e/o di monitoraggio degli
errori nella previsione della ricompensa, in accordo a studi sia su animali
che uomini
• Corteccia prefrontale ventromediale:
rappresentazione astratta del valore di uno stimolo gratificante e
capacità di distinguere il valore incentivo di uno stimolo appetitivo
(Kupfer DJ et al. 2011)
Ansia
•
Il 50-60% dei pazienti con Depressione Maggiore
riporta almeno un Disturbo d’Ansia in comorbidità
nell’arco della vita;
•
Mentre la risposta rapida di paura è correlabile
all’amigdala, l’apprendimento cognitivo (mnemonico
e attentivo) delle esperienze di paura potrebbe
coinvolgere le strutture corticali prefrontali, a cui
giungono proiezioni provenienti dall’amigdala.
(Baxter et al., 2000; Quirk et al., 2000)
Ansia (1)
•
Diverse aree della corteccia prefrontale (PFC) mediale e
orbitale sembrano giocare un ruolo nella modulazione
dell’ansia e di altri stati emozionali: queste strutture si
pensa che partecipino nell’interpretare il significato più
ampio di stimoli esperienziali;
•
Queste aree condividono ampie proiezioni reciproche
con l’amigdala, non solo afferenti ma anche efferenti
attraverso le quali la PFC può modulare le risposte agli
stimoli emotivamente significativi.
(Baxter et al., 2000; Quirk et al., 2000)
Fattore Anedonia/Ansia
•
Accanto all’interessamento di specifiche aree cerebrali sottocorticali,
entrambe le dimensioni prevedono un intervento più “sofisticato” di aree
cerebrali corticali, per lo più a carico delle regioni prefrontali;
•
E’ come se i vissuti ansiosi e anedonici rappresentassero delle modalità
più “evolute” di realizzare un “adattamento” depressivo (che non si
esaurisce in un vissuto esperienziale basico);
•
«Sintomi core» di quegli stati depressivi che si sviluppano in modo più
indipendente rispetto ad un terreno biologico di predisposizione e forse
più strettamente in relazione a situazioni ambientali sfavorevoli che
inciderebbero su strutture neuronali più “formate”.
“Fattore Depressivo Corticale
Non-Melanconico/Nevrotico”
Rallentamento e Insonnia
•
Le principali teorie delle alterazioni motorie dei disturbi dell’umore coinvolgono i
circuiti dopaminergici dei gangli della base (elevata incidenza di disturbi dell’
Umore in Morbo di Parkinson, Malattia di Huntington o calcificazioni idiopatiche a
livello di tali nuclei);
(Cummings, 1992; Jeste et al.,1984; Trautner et al., 1988)
•
Più del 90% dei pazienti depressi ha delle alterazioni della qualità del sonno : i dati
attualmente disponibili sui correlati cerebrali dell’insonnia sono limitati. Regioni
sottocorticali, incluse le aree limbiche e paralimbiche, sono risultate essere più
attive durante il passaggio dalla veglia al sonno (iperarousal);
(Milak et al., 2005)
•
Recentemente: coinvolgimento nella regolazione del sonno, in particolare del
sonno REM, del sistema dopaminergico dei neuroni della Substantia Nigra Pars
Compacta, gli stessi coinvolti nella genesi del Morbo di Parkinson.
(Lima et al., 2008)
Rallentamento e Insonnia
• Centralità del ruolo di aree cerebrali sottocorticali;
• Non è escluso un possibile intervento di aree corticali (per lo più corteccia
prefrontale), ma l’aspetto cardine dell’esperienza ha prevalentemente a
che vedere con qualcosa di più basico e poco soggetto ad una
“sofisticazione” superiore;
• Rallentamento e Insonnia caratterizzerebbero un sottogruppo di pazienti
in cui il terreno biologico potrebbe svolgere un ruolo preminente, quasi
svincolato
dall’ambiente
esprimendosi
mediante
modalità
filogeneticamente più antiche;
• E questa potrebbe essere la ragione per cui la depressione forse è l’unico
fenomeno psicopatologico che non sia limitato ai soli esseri umani.
“Fattore Depressivo Sottocorticale Melanconico/Endogeno”
Il continuum depressivo
•
La correlazione significativa tra l’anedonia ed il rallentamento e
la successiva differenziazione delle due dimensioni in due cluster
autonomi ci fa ipotizzare che le due componenti, pur
proponendosi come indipendenti ed in grado di caratterizzare
aspetti distinti e specifici, si pongano in un continuum che può
presentare livelli differenti di intersezione, potendo concomitare in
uno stesso paziente;
•
I due fattori differenziatisi si collocherebbero, estremizzando, ad
un polo e all’altro del “continuum depressivo”;
•
Nel mezzo vi sarebbe una serie di stati di transizione.
Conclusioni
Quando osserviamo pazienti con Depressione
Maggiore secondo i criteri del DSM-IV-TR,
probabilmente ci troviamo di fronte a varietà
cliniche differenti di depressione, alcune delle quali
presenterebbero omogenee caratteristiche
fenomeniche e modalità autonome di espressione,
in cui specifiche dimensioni psicopatologiche
possono divenire dei validi indicatori di diagnosi e di
risposta al trattamento.
Grazie per l’attenzione…