Il mondo come rappresentazione - Digilander

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Schopenhauer
(il mondo come rappresentazione)
prof. Michele de Pasquale
“Che ogni felicità sia di natura soltanto negativa, e non
positiva; che non possa quindi esser mai durevole
appagamento, ma sia sempre nient'altro che liberazione da
un dolore o bisogno, al quale o un nuovo dolore oppur
languore, vuota nostalgia e noia deve seguire; è provato
anche in quel fedele specchio dell'essenza del mondo e
della vita, che è l'arte, e soprattutto nella poesia. Ché ogni
poesia epica o drammatica ha soltanto capacità di
rappresentare uno sforzo, un'aspirazione attiva, una lotta
per la conquista della felicità, e non mai la felicità stessa
durevole e compiuta. Conduce il suo eroe attraverso mille
traversie e pericoli fino alla mèta: appena questa è
raggiunta, lascia tosto cadere il sipario. Ché altro non le
resterebbe, se non mostrare che la luminosa meta, in cui
l'eroe sognava di trovare la felicità, era una beffa; e quando
l'ha toccata, egli non si trova meglio di prima.”
(Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione parag. 58)
“Gli uomini somigliano a orologi, che vengono caricati e camminano, senza sapere il
perché; ed ogni volta, che un uomo viene generato e partorito, è l'orologio della vita
umana di nuovo caricato, per ancora una volta ripetere, frase per frase, battuta per
battuta, con variazioni insignificanti, la stessa musica già infinite volte suonata.
Ciascun individuo, ciascun volto umano e ciascuna vita non è che un nuovo breve
sogno dell'infinito spirito naturale. della permanente volontà di vivere; non è che una
nuova immagine fuggitiva, che la volontà traccia per gioco sul foglio infinito dello
spazio e del tempo, lasciandola durare un attimo appena percettibile di fronte
all'immensità di quelli, e poi cancellandola, per dar luogo ad altre. Nondimeno, e in
ciò è l'aspetto grave della vita, ognuna di tali immagini fugaci, ognuno di tali insipidi
capricci dev'essere pagato dalla intera volontà di vivere, in tutta la sua violenza, con
molti e profondi dolori, e in ultimo con un'amara morte, a lungo temuta, finalmente
venuta... La vita d'ogni singolo, se la si guarda nel suo complesso, rilevandone solo i
tratti significanti, è sempre invero una tragedia; ma, esaminata nei particolari, ha il
carattere della commedia. Imperocché l'agitazione e il tormento della giornata,
l'incessante ironia dell'attimo, il volere e il temere della settimana, gli accidenti
sgradevoli d'ogni ora, per virtù del caso ognora intento a brutti tiri, sono vere scene di
commedia. Ma i desideri sempre inappagati, il vano aspirare, le speranze calpestate
senza pietà dal destino, i funesti errori di tutta la vita, con accrescimento di dolore e
con morte alla fine, costituiscono ognora una tragedia. Così, quasi il destino avesse
voluto aggiungere lo scherno al travaglio della nostra esistenza, deve la vita nostra
contenere tutti i mali della tragedia, mentre noi non riusciamo neppure a conservar la
gravità di personaggi tragici, e siamo invece inevitabilmente, nei molti casi particolari
della vita, goffi tipi da commedia.”
(Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione parag. 59)
la filosofia non deve idealizzare la realtà, ma deve
comprendere e spiegare il reale per scoprire il senso
dell’esistenza umana
“ Nessun essere, eccettuato l'uomo, si stupisce della propria esistenza essa è per tutti
cosí naturale, che nessuno ci bada. E la sua meraviglia è tanto piú seria in quanto
essa si trova per la prima volta consapevolmente di fronte alla morte, e comprende
con maggiore o minore chiarezza che data la limitatezza di ogni esistenza, ogni
aspirazione è vana. Da questa riflessione e da questa meraviglia nasce il bisogno
metafisico, che è proprio soltanto dell'uomo; l'uomo è un animal metaphisicum.
Anche la vera disposizione filosofica consiste anzitutto nell'esser capaci di
meravigliarsi delle cose comuni e quotidiane e nell'esser cosí indotto a porsi come
problema ciò che vi è di generale nel fenomeno. Quanto piú un uomo è inferiore
per intelligenza, tantomeno misteriosa appare a lui l'esistenza: il come e il perché
delle cose gli sembrano di per sé comprensibili. Invece la meraviglia filosofica... è
condizionata da un maggior sviluppo dell'intelligenza; ma non da questo soltanto,
poiché indubbiamente è anche consapevolezza della morte e considerazione del
dolore e delle miserie della vita.”
(Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione)
il mondo quale si presenta nell'attività conoscitiva dell'uomo è
rappresentazione di molteplici dati sensibili ordinati
secondo le forme trascendentali del soggetto conoscente:
spazio, tempo e causalità.
«Il mondo è la mia rappresentazione»: questa è una verità che vale in rapporto ad ogni
essere vivente e conoscente, ma che soltanto l'uomo è capace di portare alla
conoscenza riflessa astratta. Egli vede allora chiaramente e sicuramente che il mondo da
cui è circondato esiste solo come rappresentazione, cioè solo in rapporto ad un altro che
se lo rappresenta, e cioè lui stesso. Nessuna verità è dunque piú certa, piú assoluta, piú
evidente di questa: che tutto ciò che esiste per la conoscenza, cioè questo mondo intero,
è solo oggetto in rapporto al soggetto, intuizione di uno che intuisce. Tutto ciò che
appartiene o può appartenere al mondo deve inevitabilmente subordinarsi al soggetto e
non esiste che per il soggetto. Il mondo come rappresentazione comprende dunque due
metà essenziali, necessarie e inseparabili. L'una è l'oggetto, l'altra è il soggetto. Queste
due metà sono perciò inseparabili anche nel pensiero, ciascuna di esse è reale e
intelligibile soltanto con l'altra e per l'altra; ciascuna sussiste con l'altra e cessa con l'altra.
Esse si limitano reciprocamente: dove l'oggetto comincia, il soggetto finisce. La
comunanza di questi limiti si mostra in questo: che le forme essenziali e perciò universali
di ogni oggetto, le quali sono tempo, spazio e causalità, possono, partendo dal soggetto,
venir trovate e pienamente conosciute anche senza la conoscenza dell'oggetto, e ciò
significa, nel linguaggio di Kant, che esse sono apriori nella nostra coscienza.
(Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione)
il mondo come rappresentazione è la dimensione esteriore
che l’individuo conosce applicando le categorie di spazio,
tempo e causalità:
è illusione, dimensione onirica, velo di Maya
“ È Maya, il velo ingannatore, che avvolge gli occhi dei mortali e fa loro vedere un mondo
del quale non può dirsi né che esista, né che non esista; perché ella rassomiglia al
sogno, rassomiglia al riflesso del sole sulla sabbia, che il pellegrino da lontano scambia
per acqua; o anche rassomiglia alla corda gettata a terra, che egli prende per un
serpente ". […] Ma ciò che tutti costoro pensavano, e di cui parlano, non è altro se non
quel che anche noi ora, appunto, consideriamo: il mondo come rappresentazione,
sottomesso al principio della ragione.”
(Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione , dal parag. 1-3)
Schopenhauer paragona le tre forme a priori (spazio, tempo e causalità) a dei vetri
sfaccettati attraverso cui la visione delle cose si deforma:
la rappresentazione è perciò considerata una fantasmagoria ingannevole e la vita
qualcosa di simile ad una dimensione onirica
il mondo, in quanto conosciuto, non è che un'immagine,
costituita nel soggetto e dal soggetto, esterna alla realtà:
l'aspirazione dell'uomo è sapere che cosa e come esso è in
se stesso, scoprire come lo spirito possa andare oltre le
rappresentazioni
“ Ciò che ora ci spinge all'indagine è il fatto che non ci basta sapere che abbiamo
rappresentazioni, che le rappresentazioni sono cosí e cosí, e che si connettono
secondo queste o quelle leggi. Noi vogliamo sapere altresí il significato delle
rappresentazioni: noi chiediamo se questo mondo sia soltanto rappresentazione nel qual caso esso dovrebbe scorrere davanti ai nostri occhi come un sogno
inconsistente, o come una visione fantastica, indegna della nostra attenzione -, o
se invece non sia qualcosa d'altro, qualcosa di piú, e che cosa sia. Si capisce
subito che questo a cui miriamo è una cosa sostanzialmente diversa dalle
rappresentazioni, e che devono esserle del tutto estranee le forme e le leggi della
rappresentazione. Sin d'ora vediamo che all'essenza delle cose non si potrà mai
arrivare dal di fuori; per quanto si cerchi, non si troverà nient'altro che immagini e
nomi.”
(Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione)
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