Arthur Schopenhauer

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Arthur Schopenhauer
(1788- 1861)
Si pone come punto di incontro di esperienze filosofiche eterogenee:
• Platone: lo attrae la teoria delle idee, forme eterne sottratte alla caducità dolorosa del nostro
mondo.
• Kant: deriva l’impostazione soggettivistica della gnoseologia.
• L’illuminismo: lo interessano il filone materialistico e quello dell’ideologia.
• Il romanticismo: trae alcuni temi di fondo come l’irrazionalismo, la grande importanza
attribuita all’arte e alla musica e il tema dell’infinito e del dolore.
• L’idealismo: in forte antitesi, nega identità tra realtà e razionalità; la realtà è un continuo
processo irrazionale, privo di meta finale.
• La spiritualità indiana: ha desunto da essa un repertorio prezioso di immagini ed espressioni,
ed è stato un ammiratore della sapienza orientale.
Il punto di partenza della filosofia di S. è la distinzione kantiana tra fenomeno e cosa in sé.
Ma per Kant il fenomeno è la realtà, l’unica realtà accessibile alla mente umana, mentre il noumeno è ciò
che serve a rammentarci i limiti della conoscenza.
Per Schopenhauer il fenomeno è pura parvenza,illusione, sogno ovvero ciò che nella antica sapienza
indiana è detto “Velo di Maya”; mentre il noumeno è una realtà che si nasconde dietro l’ingannevole
trama del fenomeno.
Per il criticismo il fenomeno è l’oggetto della rappresentazione,che esiste fuori della coscienza.Per
Schopenhauer è una rappresentazione che esiste solo dentro la coscienza. L’oggetto esiste solo dentro
al soggetto.
“Il mondo è la mia rappresentazione”.
Soggetto e oggetto esistono solo all’interno della rappresentazione: non può esistere oggetto senza
soggetto.
Il materialismo è falso perché nega il soggetto riducendolo all’oggetto o alla materia.
L’idealismo (di Fiche) è errato poiché compie il tentativo opposto.
Schopenhauer ritiene che la nostra mente risulti corredata di una serie di forme a priori (le categorie
di Kant). Più precisamente ne ammette tre: spazio, tempo, causalità.
Ma la causalità è l’unica categoria in quanto tutte le altre sono riconducibili a essa.
Egli identifica la vita con un sogno, cioè un tessuto di apparenze.
Noi siamo non solo rappresentazione ma anche corpo: non ci limitiamo a “vederci” dal di fuori, bensì ci
“viviamo” anche dal di dentro, godendo e soffrendo.
Ci rendiamo conto che l’essenza profonda del nostro io, o meglio, la cosa in sé del nostro essere
globalmente considerato, è la “volontà di vivere”.
Noi siamo quindi vita e volontà di vivere. E l’intero mondo fenomenico non è altro che la maniera
attraverso cui la volontà si manifesta o si rende visibile a se stessa nella rappresentazione spaziotemporale.
Nell’universo doloroso di S. non può esistere un dio, e l’unico Assoluto è la volontà stessa. La volontà di
S. è il corrispettivo dell’Infinito hegeliano.
La volontà,essendo al di là del fenomeno, presenta caratteri contrapposti a quelli del mondo della
rappresentazione, in quanto si sottrae alle forme proprie di quest’ultimo:spazio, tempo,causalità. È
inconscia, è unica,è eterna, senza scopo se non quello di perpetuare se stessa, è irrazionale.
Da ciò il titolo del capolavoro di Schopenhauer: “Il mondo come volontà e rappresentazione”.
Considerata nella sua essenza metafisica la natura si rivela un unico, complesso e stratificato fenomeno
della volontà.
Ritiene che la volontà si manifesti nel mondo fenomenico attraverso due fasi:
Idee: la volontà si “oggettiva” in un sistema di forme immutabili, aspaziali e atemporali, le idee,
che egli considera alla stregua di archetipi del mondo.
Cose: si oggettiva nei vari individui del mondo naturale, che non sono nient’altro che la
moltiplicazione delle idee. Fra gli individui e le idee esiste un rapporto di copia- modello, per i
quali i singoli esseri risultano semplici riproduzioni di quell’unico prototipo originario che è l’idea.
S. studia la filosofia orientale. Per S. la tappa finale per eliminare il dolore è il nirvana, l’ascesi.
La volontà come radice dell’universo, nell’uomo si dimostra in modo più drammatico: quanto più l’uomo ha
la capacità di sentire, tanto più soffrirà, cioè quanto più non sa quanto più non soffre, l’uomo ignorante
soffre di meno.
Affermare che l’essere è la manifestazione di una volontà infinità equivale a dire che la vita è dolore
per essenza: volere = desiderare, desiderare = stato di tensione per la mancanza di qualcosa che non si
ha e si vorrebbe avere. Desiderio = assenza, vuoto = dolore.
Il piacere è solo una momentanea cessazione del dolore. Mentre il dolore non deriva da una cessazione
di piacere (“non vi è rosa senza spine, ma vi sono parecchie spine senza rose!).
Accanto al dolore e al piacere S. pone la noia, la quale subentra quando vien meno l’aculeo del desiderio.
La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente fra il dolore e la noia, passando attraverso
l’intervallo fugace, e per di più illusorio, del piacere e della gioia.
Per S. inoltre il dolore è universale : tutto soffre.
S. è contrario al suicidio perché in quel modo non si elimina la volontà, anzi proprio nel suicidio vi è
l’affermazione forte della volontà: quindi per eliminare la sofferenza bisogna eliminare la volontà e non
la vita e perché il suicidio sopprime unicamente l’individuo, ossia una manifestazione fenomenica della
volontà di vivere, lasciando intatta la cosa in sé, che pur morendo in un individuo rinasce in mille altri.
In S. si trovano i limiti della sua filosofia se lo si colloca all’interno del periodo storico.
In lui vi è l’insufficienza di una ricerca scientifica, infatti l’unico modo per acquietare il dolore della
realtà è la via dell’ascesi in cui si cerca di appagare la volontà.
Vi sono tre vie:
Contemplazione estetica: arte. Analizzando la storia vede l’esempio di uomini che hanno
utilizzato modi diversi per diminuire il dolore e costoro li individua nei genii artistici. Ritiene
che l’arte sia uno degli strumenti che fa venir meno la volontà. L’artista riesce ad elevarsi dal
mondo fenomenico e riesce a cogliere l’Amore, la Bellezza, cioè riesce a cogliere gli archetipi
universali che gli permettono di sentire meno la volontà e il dolore che essa manifesta nella vita.
Però la dimensione dell’arte non dà una risoluzione definitiva. L’arte non garantisce l’esperienza
del nulla.
Attività morale: etica. Se riusciamo a condividere il nostro dolore e fare in modo di contribuire
agli altri, la vita etica si realizza con la giustizia e con la carità. Si considera l’umanità in un
medesimo destino e quindi passando dalla giustizia (non nuocere agli altri) e dalla carità (per gli
altri).
Ascesi (l’eliminazione della volontà è totale). non è un’ascesi cristiana, ma atea. Il primo passo
dell’ascesi è la castità perfetta. Il cammino nella salvezza mette capo al nirvana, che è
l’esperienza del nulla. Un nulla che non è il niente, bensì è un nulla relativo al mondo, una
negazione del mondo stesso.
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