interazionismo simbolico

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INTERAZIONISMO SIMBOLICO
George Herbert Mead (1863-1931)
Il nome di George Herber Mead è legato più al campo della psicologia sociale che a quello
della sociologia tuttavia, in quest’ultimo ambito, egli è considerato il fondatore di una
scuola sociopsicologica denominata
“interazionismo simbolico” anche se questa
espressione non è di Mead ma di Herbert Blumer che se ne servì in un saggio del 1937.
La sua opera più famosa è Mente, sé e società, che è una raccolta delle sue lezioni curata
da alcuni suoi studenti e pubblicata postuma in un volume nel 1934.
Legato (come Veblen) a presupposti evoluzionistici, Mead è condizionato soprattutto e più
direttamente dal comportamentismo in psicologia e dal pragmatismo in filosofia.
Per il pragmatismo di Charles Pierce, William James e John Dewey, la verità non è una
corrispondenza tra le idee soggettive e gli oggetti esistenti nel mondo esterno; la verità non
è affatto una relazione ma un criterio pratico dell’agire. Le idee sono vere se le loro
conseguenze sono tali da consentire a una persona di eseguire una certa azione con
successo. Questa considerazione delle idee in termini delle loro conseguenze è riecheggiata
nel teorema di Thomas (“le idee sono reali nelle loro conseguenze”). Comunque, l’ottica
dei pragmatisti poneva l’accento sull’individuo. Thomas giunse a sottolineare che le
situazioni sono socialmente definite. Questo interesse per le definizioni sociali della realtà
venne inserito in una teoria su vasta scala del pensiero e dell’interazione dell’uomo
elaborata da Mead e poi ripresa da Blumer.
Comportamentismo è un orientamento della psicologia (Watson, Skinner, Dewis) (che
abbandona i concetti di io e coscienza e restringe la psicologia allo studio del
comportamento: essa pretende di spiegare i fenomeni psichici solo sulla base di ciò che è
effettivamente osservabile e, in linea di principio, misurabile.
Mead muove da una critica “interna” al comportamentismo il quale rifiutava di studiare il
privato, che non è espresso esplicitamente e quindi non può essere constatato
empiricamente. Mead, invece, era convinto che il comportamentismo poteva superare tale
limite e studiare anche il mondo psichico interiore dell’individuo per il fatto che questo (il
privato) non è un a priori indipendente dal comportamento ma viene anch’esso a formarsi
tramite l’interazione, nel comportamento: il mondo psichico cosciente è possibile solo
tramite l’interazione, la comunicazione, il linguaggio.
Secondo Mead, l’azione significativa di un organismo sorge come reazione all’azione di un
altro organismo. Nell’uomo soltanto, tuttavia, il significato ha la possibilità di diventare
cosciente, è pensato, e in questo caso il gesto non ha più un significato diretto ma assume un
significato simbolico, diventa cioè un simbolo significativo. Questo processo ha la sua
espressione più evidente e completa nel linguaggio. Tramite il processo di simbolizzazione,
in particolare tramite il linguaggio, si costituisce una serie di oggetti dotati di “senso
comune”. La mente si sviluppa in questo processo di interazione, cioè nella società, la quale
altro non è che un insieme di significati condivisi. Nell’azione, nel comportamento, si ha
quindi l’origine della vita psichica cosciente così che anche il privato si spiega risalendo al
sociale.
Pertanto, i principi fondamentali (spiegati da Blumer) di questa scuola sono che
l’interazionismo simbolico si basa su tre premesse:
1) gli essere umani agiscono nei confronti delle cose sulla base dei significati che tali
cose hanno per loro (tali cose possono essere oggetti fisici, idee, attività degli altri,
situazioni, ecc);
2) il significato di tali cose è derivato dall’interazione sociale che il singolo ha con i
suoi simili o sorge da essa;
3) questi significati sono elaborati e trasformati in un processo interpretativo messo in
atto da una persona nell’affrontare le cose in cui si imbatte.
Tramite il linguaggio sorgono significati comuni non solo a coloro che interagiscono
direttamente ma a un intero universo sociale. L’origine di questi significati va tuttavia
sempre ricercata nell’interazione e nella simbolizzazione.
La teoria del pensiero di Mead deriva dall’opera del filosofo pragmatista Charles Peirce
secondo il quale il linguaggio o qualsiasi tipo di significato sciente, implica tre elementi:
1) un segno, che può essere un gesto o un suono della voce o anche un emblema visivo
come nella scrittura o nell’arte;
2) l’oggetto chi si riferisce il segno: nel caso più semplice può essere un oggetto fisico
(la parola sedia si riferisce all’oggetto sedia);
3) l’idea che il segno evoca: questo è un significato interno alla mente. In una
comunicazione riuscita il segno evoca la stessa idea nella mente sia del parlante che
dell’ascoltatore, dell’emittente e del ricevente della comunicazione. Il significato,
dunque, deve essere socialmente condiviso per essere veramente tale.
Gli stessi segni non sono mai isolati ma si evocano sempre a vicenda e i segni son collegati
gli uni agli altri secondo parecchie dimensioni:
a) semanticamente: ogni parola evoca altre parole della lingua;
b) sintatticamente: le relazioni grammaticali tra le parole sono tali che ci si
aspetta che ad un certo tipo di parola ne segua un’altra di un certo tipo;
c) pragmaticamente: le parole isolate fanno sempre parte di un contesto di
pensiero e azione.
E’ il contesto più ampio che mette in evidenza la parola che si deve usare in quel particolare
momento. Il corso del pensiero è più importante della singola parole e del suo significato:
questo flusso di pensiero o di azione, questo contesto dinamico, può essere in larga misura
inconscio.
I segni (o le parole dette) possono significare la stessa cosa sia per il parlante che per
l’ascoltatore soltanto perché entrambi sono capaci di assumere il ruolo dell’altro.
Ora, tutta la struttura sociale può essere considerata come consistente di vari “self” in forma
di ruoli e questi ruoli sono caratterizzati sia dal loro reciproco coordinamento sia da tensioni
e conflitti. Il modo in cui si vede gli altri e anche noi stessi è determinato da aspettative
concernenti il modo in cui le persone si comporteranno in questi ruoli
Mead distingue nel self tre sue componenti che ha chiamato “io”, “me” e “altro
generalizzato”.
Il self non è una entità privata o personale e neppure in senso stretto il corpo umano: è una
combinazione di almeno due punti di vista: un self che sta facendo l’osservatore e un self
che è osservato. Gli individui tendono a definire il loro self attraverso la posizione sociale
che per loro è più rilevante. Il “sé” è l’essere oggetto a se stesso dell’individuo (ognuno di
noi “si vede” nel proprio pensiero perché nell’interazione l’individuo impara a vedersi e a
considerarsi come lo vedono e lo considerano gli altri); attraverso il sé, attraverso la
comunicazione con gli altri, l’individuo impara a comunicare con sé stesso. Il sé non si
manifesta in un unico modo in ogni rapporto ma tende a presentarsi in modi diversi a
seconda delle persone e delle situazioni in cui si trova, a seconda, cioè, dei ruoli che di volta
in volta esercita.
Il “me” è il self in quanto visto dal punto di vista degli altri, è il self sociale: è un concetto
che implica passitivà, essendo un oggetto; l’”io” rappresenta la parte più intima, vera,
creativa dell’individuo (sono io che guardo me allo specchio). Cade così la critica che anche
gli è stata mossa di aver risolto completamento l’individuo nella società.
“L’altro generalizzato” è prodotto dalla interiorizzazione dei ruoli sociali, cioè dei compiti
che la società prescrive ai singoli in base alla loro posizione sociale (ad esempio, le figure
del poliziotto, del panettiere, del professore sono altrettanti “altro generalizzato” dai quali
noi ci aspettiamo che abbiano certi atteggiamenti e verso i quali teniamo certi
comportamenti). I simboli possono essere compresi perché in tutti noi vi è “l’altro
generalizzato”, attraverso il quale siamo capaci di metterci al posto dell’altro e quindi di
vedere o sentire ciò a cui il segno si riferisce. Senza l’altro generalizzato i segni non
comunicherebbero nulla.
L’altro generalizzato non fa parte del self nello stesso modo in cui lo sono l’io e il me, non è
neppure un oggetto: è invisibile e senza qualità; è una capacità di assumere un punto di
vista, di essere pubblico, di leggere significati a partire dai segni dal punto di vista di
quell’altra persona.
Mead si dedica anche alla spiegazione delle istituzioni ed afferma che si può parlare di
istituzioni quando, di fronte a determinate situazioni, si hanno reazioni comuni da parte di
tutti i membri di una società. Ciò non significa ovviamente che il comportamento di tutti è
identico ma semplicemente che essi devono tutti, in questo loro comportamento, tenere
presente un certo tipo di organizzazione sociale. Egli però è criticato per non aver sviluppato
un concetto adeguato di struttura sociale anche se non dobbiamo dimenticare che egli è uno
psicologo e che quindi la sua influenza sulla sociologia, pure importantissima, rimane
indiretta.
Altre critiche vengono mosse a Mead:
-
perché egli sembra aver trascurato l’influenza dei fattori del sistema di produzione e
di potere di una società sul comportamento sociale degli individui
-
perché egli sembra aver preso in considerazione solo i fattori comunicativi e non
anche quelli di conflitto
Ad entrambe queste critiche, dal punto di vista dell’interazionismo simbolico, però, non è
difficile rispondere che il sistema di produzione e il sistema di potere così come anche il
conflitto, semplicemente non possono sorgere se non attraverso l’interazione, il linguaggio,
i simboli significativi.
Un limite evidente di Mead appare nel tentativo di applicare i principi della sua psicologia
sociale all’ambito della politica in quanto egli è convinto che lo stesso processo di
interiorizzazione simbolica porti a una democrazia universale (interiorizzando gli
atteggiamenti democratici degli altri il sé diventa morale, oltre che sociale): la sua teoria,
però, essendo concepita in termini astratti da contenuti specifici non si presta a usi politici di
alcun tipo.
Mead ha semplicemente cercato di individuare i fattori minimi necessari per il sorgere del
sociale, indipendentemente dai contenuti specifici dei rapporti perciò le sue idee sono state
riprese da quei sociologi (come Parsons) che della ricerca di tali fattori minimi hanno fatto il
centro della loro sociologia.
Charles Horton Cooley (1864-1929)
Questo autore ha fortemente influenzato il pensiero di Mead, sebbene più piccolo di un
anno, in quanto autore di opere sistematiche pubblicate durante la sua vita e non postume,
come quella di Mead.
Cooley è fermo assertore dell’idea secondo cui l’io e la società sono scindibili sono
virtualmente, in concreto no potendosi dare né io senza società né società senza io.
Nel volume Natura umana e ordine sociale (1902), ritroviamo la sua idea fondamentale
secondo la quale l’io si sviluppa attraverso la comunicazione e giunge a vedersi così come
lo vedono gli altri, o meglio, così come pensa che gli altri lo vedano: è la famosissima idea
dell’”io-specchio”. Noi ci vediamo come gli altri ci vedono o, meglio, come pensiamo che
gli altri ci vedono. Noi immaginiamo sempre il modo in cui appariamo agli altri, i giudizi
che ne ricavano e da ciò deriviamo un senso di orgoglio o di mortificazione. In questo
processo reciproco consiste la società, che, dunque è l’intrecciarsi delle idee che gli uni
hanno degli altri e in cui sorge l’io stesso. Inoltre, aggiunge Cooley, riprendendo alcune idee
già espresse dal filosofo pragmatista William Jamse, un uomo ha tanti sé sociali quanti sono
gli individui che lo riconoscono e portano nella loro mente un’immagine di lui.
L’idea veramente originale ed importante, dal punto di vista sociologico, di Cooley è la
distinzione tra “gruppo primario” e “l’istituzione”.
Il gruppo primario è quella caratterizzato da una intima associazione e cooperazione, essi
svolgono una funzione fondamentale nella formazione della natura sociale e degli ideali
degli individui. Gruppi primari sono la famiglia, il gruppo dei pari, il vicinato, o il gruppo
di comunità degli adulti. Sono detti primari perché nel loro ambito avviene il processo di
socializzazione primaria che è quel processo attraverso il quale vengono interiorizzate le
norme più importanti, fondamentali, per il formarsi dell’essere sociale.
L’istituzione (gruppo secondario è coniato da altri) è la parte specializzata e relativamente
rigida della struttura sociale in cui ognuno entra con una parte preparata e particolare di se
stesso: mentre al gruppo primario si partecipa in modo totale e trasformando completamente
se stessi nel fluire dei rapporti, all’istituzione si partecipa solo svolgendo specifiche funzioni
rigorosamente previste.
Questa definizione dell’istituzione richiama alla mente alcuni autori europei (Toennies con
la distinzione tra comunità e società) però occorre tener presente che mentre gli autori
europei considerano con preoccupazione, nella società industriale, gli effetti formali,
istituzionalizzati, della vita di relazione a scapito di quelli più intimi, Cooley sostiene invece
che i rapporti istituzionalizzati sono un fenomeno che lascia sempre più spazio ai rapporti
meno vincolanti.
Anche Cooley, come Mead, punta sulla comunicazione: soltanto il recente straordinario
perfezionamento dei mezzi di comunicazione rende concepibile di diffusione su larga scala
dello spirito libero. Eventuali condizioni di confusione e di ingiustizia sono imputate da
Cooley ad incapacità dell’energia mentale e morale a soddisfare le crescenti richieste della
vita moderna.
Herbert Blumer
E’ ad Herbert Blumer che dobbiamo la definizione di “interazionismo simbolico” che se ne
servì in un suo lavoro pubblicato nel 1937.
Egli riprende ed approfondisce i concetti già proposti da Mead e, in qualche modo, sposta il
fulcro dell’analisi di Mead da un campo più prettamente psicologico e filosofico ad uno
tipicamente sociologico e, per questo, la sua figura è importante. Blumer affermava di
essere semplicemente un discepolo di Mead e di sottolinearne semplicemente le idee, allora,
in che cosa si differenzia Blumer da Mead? Possiamo dire che Blumer sottolinea
principalmente l’Io, l’aspetto emergente e creativo del self mentre l’interpretazione di Mead
sottolinea il Me, le parti relativamente fisse del slf che sono interiorizzate a partire dai ruoli
sociali. Poi, c’è da dire che gli interessi di Mead erano filosofici ed egli usava una
concezione sociale solo al fine di rispondere a interrogativi filosofici: la sociologia si stava
distaccando dalla biologia, spingendosi quindi “al di sopra” verso il livello simbolico
autonomo. Nella filosofica Mead stava combattendo l’idealismo religioso in mome del
naturalismo scientifico in quanto mostrava come la mente e le sue proprietà emergenti e
riflessive, provenisse dal mondo fisico. All’inizio Blumer voleva usare le idee di Mead per
trattare temi sollevati da Thomas e Znaniechi, tant’è che la prima importante pubblicazione
di Blumer fu una analisi estensiva della ricerca di Thomas e Znaniechi sui contadini
polacchi, in cui si indicavano i limiti e il bisogno di superarre quest’opera.
Egli, in particolare, riprende l’analisi del self di Mead secondo la quale il self consiste
dell’io (self attivo), del me e dell’altro generalizzato. Nella versione di Blumer, l’Io, il self
attivo, nell’immaginazione sottopone a prova i vari Me, le immagini del self, in quanto
impegnati in differenti azioni possibili mentre l’Altro Generalizzato, in veste di testimone
internalizzato, agisce da pubblico cosciente di queste recite immaginarie all’interno della
mente. Il sé implica che l’uomo può diventare oggetto a sé stesso: egli si vede agire, si
giudica, ha idee su di se, comunica con se e si risponde. Il sé è concepito non come una
entità statica, una struttura data una volta per tutte ma come un processo, un continuo
dialogo con se stessi da cu si esce continuamente trasformati perché tanti Me differenti
possono essere immaginati e sottoposti a prova.
Il self è un principio attivo che interpreta la realtà in cui si imbatte e agisce in base a tale
interpretazione. Si arriva così all’atto. L’uomo agisce in quanto stabilisce per se stessa una
meta da raggiungere, in quanto dà indicazioni a se stesso e prende in considerazione
nell’azione le indicazioni che si è dato. Ovviamente può commettere degli errori ma ciò che
conta è che egli costruisce da sé la sua azione.
Per quanto riguarda l’interazione sociale, Blumer ricorda che Mead ha distinto l’interazione
non simbolica (nella quale si agisce direttamente in risposta al gesto altrui) da quella
simbolica nella quale, invece, si interpreta tale gesto o azione. Anche l’interazione
simbolica, come il sé, va concepita come un processo: un continuo interpretare le azioni
degli altri e agire sulla base di tale interpretazione. Qualsiasi cosa, interna ed esterna, deve
essere interpretata affinché l’azione possa aver luogo; ogni cosa è soggetta al processo
predominante della definizione- Anche le realtà sociali che appaiono più rigidamente
codificate, sono sempre dovute al continuo processo di interpretazione e di definizione per
cui possono sempre mutare, anzi, nessuna espressione della vita sociale è mai identica a se
stessa. Ciò riguarda tanto i rapporti consensuali e pacifici quanto i rapporti conflittuali
Oggetto è per Mead, afferma Blumer, tutto ciò che gli essere umani indicano e cui essi
fanno riferimento. Oggetto è una sedia come pure uno spettro. Ritroviamo in questo
concetto l’idea di William James circa la pluralità dei mondi, poi ripresa da Alfred Schutz
con l’espressione “province finite di significato”. Blumer afferma, in proposito, che “il
mondo è socialmente prodotto in quanto i significati sono costituiti attraverso il processo di
interazione sociale. Così, gruppi diversi giungono a sviluppare mondi diversi e questi mondi
cambiano quando gli oggetti che li compongono cambiano di significato”.
Poi, Blumer passa a considerare un altro aspetto ritenuto fondamentale nel pensiero di
Mead: l’atto sociale, che egli però chiama azione congiunta. Questa azione congiunta è
costituita dal confluire d dall’intrecciarsi delle linee di comportamento di soggetti diversi
che partecipano alla stessa azione. Essa si differenzia dall’interazione sociale in quanto dà
vita a un’unità più ampia: mentre l’interazione sociale descrive il processo di formazione
dei significati comuni, nell’azione congiunta si indica il processo di collaborazione tra più
parti che così creano un insieme di attività che si intrecciano.
La società è formata dalla molteplice varietà di queste azioni congiunte.
Blumer critica fortemente i concetti più comuni della teoria sociologica (status, ruolo,
norme, valori, modelli culturali) non perché questi modelli non hanno un corrispettivo nella
realtà sociale ma per l’uso che se ne fa: per Blumer essi sono importanti solo perché aiutano
ad entrare nel processo di interpretazione e di definizione dal quale derivano le azioni
congiunte.
Per quanto concerne il problema dell’organizzazione, Blumer scrive che dal punto di vista
dell’interazionismo simbolico l’organizzazione di una società umana è la cornice entro la
quale ha luogo l’azione sociale e non la determinante dell’azione e, in secondo luogo, tale
organizzazione ed i suoi mutamenti sono il risultato dell’attività dei soggetti agenti e non
quello di “forze” che ignorano tali unità. Caratteristiche strutturali quali la cultura, il sistema
sociale, la stratificazione sociale o i ruoli sociali, pongono le condizioni per l’azione ma non
la determinano.
Blumer, poi, in riferimento alle uniformità che si riscontrano nell’azione afferma che per
mezzo di precedenti interazioni gli uomini sviluppano e acquistano convincimenti o
definizioni comuni circa il modo di agire in questa o quella situazione cosicchè essi possono
agire in maniera uniforme.
Blumer non trascura di considerare anche questioni relative alle società attuali: l’elemento
più importante di cui deve tener conto un’unità agente nelle diverse situazioni è dato dalle
azioni di altre unità agenti; ora, nelle società moderne, ove le linee di azione si intersecano
sempre di più, è frequente che sorgano situazioni in cui le azioni dei partecipanti non sono
regolate e standardizzate in precedenza.
Quindi, anche le situazioni più standardizzate, sono riportate all’interpretazione della
situazione da parte delle unità agenti, il che, da un lato denota un orientamento fortemente
antideterministico, dall’altro comporta la necessità di precisazioni dal punto di vista
metodologico. Blumer afferma che la sociologia convenzionale comporta sempre delle
generalizzazioni che non possono non condurre a forzature: occorre dunque considerare i
concetti della teoria sociologia non delle categorie predeterminate entro le quali forzare le
attività dei soggetti agenti da studiare ma come “concetti sensibilizzanti” che hanno il
compito di guidare il ricercatore in determinate situazioni. La sociologia convenzionale dice
cosa vedere, i concetti sensibilizzanti suggeriscono delle direzioni verso cui guardare.
Nell’ambito dell’interazionismo simbolico si sono formati orientamenti diversi tra i quali
distinguiamo la Scuola di Chicago (che fa capo a Blumer e della quale fanno parte John
Dewey, William Thomas, Florian Zaniecki, Robert Park, William James, Charles Cooley,
Louis Wirth ed altri) e la Scuola di Iowa, che fa capo a Kuhn.
La Scuola di Chicago insiste sul carattere indeterminato in quanto intenzionale dell’attività
degli esseri umani, il che rende impresa destinata al fallimento la ricerca fondata su
strumenti tradizionali, così che Blumer e la sua scuola si affida all’osservazione
partecipante, alle storie di vita, a interviste non fondate su schemi stabiliti in precedenza.
La scuola di Iowa, pur riconoscendo l’origine della vita sociale nell’interazione simbolica,
insiste nell’affermare che attraverso il processo di socializzazione gli individui vengono ad
assumere posizioni dotate di una certa stabilità e ciò consente l’uso di strumenti tradizionali
della sociologia e della ricerca (tests, questionari, ecc.).
CRITICA
1) Blumer ha affermato che la sociologia non ha raggiunto “il rigore” delle scienze
fisiche e biologiche egli, così, non sembra prendere atto che è lo stesso carattere
indeterminabile ed intenzionale dell’azione umana a non consentire alla sociologia
interazionista questo rigore anche se egli rifiuta i concetti della sociologia
convenzionale preferendo i più aperti concetti sensibilizzanti.
2) La principale critica che viene rivolta all’interazionismo simbolico, però è quella di
ridurre tutto a rapporto significativo tra unità agenti lasciando al di fuori del suo
ambito problematico quegli aspetti della società che pur avendo avuto anch’essi
origine nell’interazione, hanno poi assunto carattere di autonomia rispetto ai singoli e
alle loro scelte. La sociologia rischia così di scivolare nella psicologia sociale.
3) Per l’interazionismo simbolico la vita psichica si riduce alla vita cosciente ed il
problema dell’inconscio rischia di rimanere trascurato.
4) L’interazionismo simbolico non sembra preoccuparsi dei condizionamenti storicosociali anche se esso stesso, come ogni altra corrente di pensiero, va colto
nell’ambito di problemi e contesti storicamente speficici. In particolare,
l’interazionismo ha avuto due momenti di auge in periodi diversi: il primo, con Mead
e gli altri autori appartenenti alla Scuola di Chicago (primi decenni del ‘900 - in
quanto la prospettiva da esso resa era particolarmente idonea allo studio dei problemi
che travagliavano Chicago in quel periodo); il secondo, negli ultimi decenni del
secolo, in corrispondenza alla crisi della teoria funzionalistica, e sotto l’influenza
dello stato del benessere che richiedeva alle scienze sociali di sottolineare
l’importanza del “mondo privato”. Ciò dimostra, seppur come ipotesi, che anche
l’interazionismo, nonostante il suo carattere formale e astorico, si pone al di fuori dei
condizionamenti storico-sociali.
Può essere utile notare che proprio il fare riferimento al soggetto ed ai significati sempre
diversi che si creano nell’interazione e alla pluralità dei mondi che sorgono dalle molteplici
interpretazioni delle situazioni, può essere alla base del fatto che le più recenti tendenze
dell’interazionismo si siano dedicate ai gruppi convenzionalmente chiamati “devianti” (es.
teoria dell’etichettamento) o marginali mettendone in rilievo non tanto la differenza rispetto
al comportamento sociale più conformista quanto l’autonomia e la pari dignità.
All’interazionismo sono collegate diverse scuole anticonformiste della sociologia attuale
quali l’etnometodologia di Garfinkel e la drammaturgia di Goffman.
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