I TRE GRANDI PARADIGMI: COMPORTAMENTISMO (E

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I TRE GRANDI PARADIGMI: COMPORTAMENTISMO (E COGNITIVISMO); PSICOLOGIA
SOCIALE; PSICANALISI.
CENNI GENERALI
 Quando, nel 1913, lo psicologo di Chicago John Watson pubblica un articolo, destinato a
diventare celebre, su Come vede la psicologia uno psicologo comportamentista, il punto di
riferimento psicologico più diffuso è ancora quello fornito dalla teoria strutturalista e dal suo
metodo introspettivo. Watson afferma subito di voler limitare l’àmbito delle sue indagini
alla previsione e al controllo del comportamento. Per lui il comportamento non è però
l’atto intenzionale, ma ciò che è direttamente osservabile, ovvero l’esito dell’azione.
Obiettivo di Watson è dunque prevedere quali fattori osservabili determinino il
comportamento al fine così di modificarli. Se ne deduce che per lui il metodo
dell’introspezione non è scientifico, perché si espone a una gamma troppo vasta di
situazioni difficili da osservare e quantificare. Watson va dunque in cerca di leggi di
regolarità, ossia schemi di comportamento, che trova nel modello di stimolo e risposta: il
comportamento è sempre la risposta specifica a un determinato stimolo dato.
L’apprendimento è dunque lo strumento con cui l’individuo – coerentemente con le
premesse della teoria evoluzionistica – si adatta alle esigenze imposte dall’ambiente.
Troviamo qui una prima, chiarissima applicazione della nozione di riduzionismo della
coscienza: per la psicologia comportamentista, infatti, una volta che si sia capito il
comportamento, la coscienza, come oggetto di studio, non serve e non interessa più.
L’attenzione dello psicologo si sposta così dalla natura della coscienza ai processi adattivi
che essa esibisce. Riprendendo alcuni principi basilari del comportamentismo, ma
rivisitandoli in una visione nuova ed autonoma, il cognitivismo si applicherà allo studio dei
processi mentali, cognitivi, che presiedono alla elaborazione dei meccanismi di risposta a
uno stimolo dato. Il metodo sperimentale utilizzato dagli psicologi cognitivisti è quello della
simulazione al computer dei processi mentali umani.
 La psicologia sociale studia le interrelazioni tra individuo e società, prestando particolare
attenzione ai meccanismi di influenza sociale che l’ambiente innesca sul comportamento e
sugli stili di vita e di pensiero del singolo individuo. Capofila di questo orientamento è
George Mead (1863 – 1931) che fonda la scuola dell’interazionismo simbolico. Per Mead,
l’individuo, nel suo processo di crescita, apprende, nell’interazione con l’ambiente e con i
suoi simboli (= l’insieme dei linguaggi che l’ambiente utilizza per dare forma a determinati
segnali) una serie di ruoli. Il ruolo è ciò che costituisce ciascun individuo come elemento
dotato di un significato all’interno di un sistema di interazionismo sociale. Il ruolo
sociale, quindi, non è il giudizio morale che formulo su un’altra persona, ma è sapere che da
quella persona mi aspetto una serie di atti conseguenti. Il concetto di ruolo richiama
quello di aspettativa. Per Mead, il ruolo rende prevedibile ciò che altrimenti sarebbe
imprevedibile. Nessuno, uomo o donna, può esistere senza gli altri, tutti abbiamo bisogno di
specchiarci nello sguardo degli altri. Tutti chiediamo cioè una conferma del nostro modo
di essere e temiamo la disconferma. Il ruolo è un meccanismo di difesa dal timore della
disconferma, ma può al tempo stesso diventare costrittivo: il ruolo può imprigionare. La
modalità specifica che Mead individua per l’adattamento all’ambiente è data dal gioco dei
ruoli = ricoprire ruoli diversi a seconda dei vari contesti di vita. L’accettazione degli altri
non è mai incondizionata. In ogni interazione ha luogo una costruzione dell’identità
personale, del sé: la relazione con gli altri rafforza e conferma certi tratti del nostro essere e
ne indebolisce o disconferma altri. Il gioco dei ruoli è sempre un riflesso di una serie di
mediazioni.
 Il terzo grande paradigma della psicologia come disciplina scientifica è la psicanalisi.
Anch’essa, al pari della psicologia sociale, può essere descritta nei termini di una teoria
della personalità, ossia della costruzione di modelli interpretativi del Sé individuale. Il
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termine “psicanalisi” compare per la prima volta in uno scritto di Sigmund Freud intitolato
L’eredità e l’eziologia della nevrosi e può essere inteso sia come un metodo rivolto
all’indagine del modo in cui si svolgono e si manifestano i processi psichici e basato
sull’assunto che la nostra vita psichica è interessata e condizionata da processi inconsci, sia
come una tecnica terapeutica che intende analizzare il tipo di difese e di resistenze che il
soggetto instaura nei confronti dei propri desideri, pensieri e tendenze inconsce , aiutando
così il paziente a “guarire” dai suoi disturbi. Si vede così che la psicanalisi non nasce come
gli altri paradigmi psicologici da una tradizione di pensiero filosofico (l’idea di individuo,
che la psicologia scientifica si premura di scomporre nelle sue parti empiricamente
studiabili), ma dall’esperienza della follia, della malattia mentale. L’idea attorno a cui
ruota tutto l’universo di pensiero psicanalitico è quella di pulsione. A determinare il nostro
essere vi sono una serie di spinte, di pulsioni, appunto, che hanno un carattere di eccesso e di
imprevedibilità. Da questo punto di vista, si potrebbe persino affermare che, dal versante
culturale, la “follia” è per la psicanalisi il corrispettivo contrario di ciò che per la psicologia
sociale è il concetto di “ruolo”: la malattia mentale rappresenta in tal senso il venir meno di
un sistema di controllo sulla propria identità e di contenimento delle proprie passioni.
L’elemento fondante della psicanalisi è quindi la contrapposizione tra natura e cultura,
tra pulsioni e adattamento (in Freud: conflitto tra Es e Io).