L’imperialismo Imperialismo. Il colonialismo, come sappiamo, è un fenomeno nato nel Cinquecento, che ha poi assunto caratteri più intensi nell’Ottocento. Frutto della seconda rivoluzione industriale e del capitalismo monopolistico e invece quello che prese il nome di imperialismo. Diverso rispetto al colonialismo, l’imperialismo ebbe origine dal bisogno degli Stati industrializzati di acquistare nuovi e più vasti mercati al fine di assicurarsi il rifornimento delle materie prime necessarie alla produzione, lo smercio dei manufatti e lo sbocco per gli investimenti. Gara per l’egemonia. Con il passare degli anni, l’imperialismo non implicò solo conquista di territori, ma soprattutto la volontà delle nazioni di rafforzare, attraverso una politica di potenza, le proprie posizioni nel mondo. Infatti, assieme a motivi economici legati alla nuova fase del processo di industrializzazione e alla pressione dei gruppi più interessati a politiche espansionistiche (a cominciare da quelli siderurgici), l’imperialismo comporto anche motivazioni di carattere politico e ideologico: la nuova forma di aggressività era strettamente legata al nazionalismo e ai miti di superiorità che si stavano diffondendo a fine Ottocento sulla base della convinzione che – come affermava uno dei fondatori del movimento nazionalista in Italia, Enrico Corradini, citando un verso di Dante della Divina Commedia – «una gente impera e l’altra langue…». Il futuro sarebbe stato quindi dominato dalle potenze più forti, mentre quelle più deboli erano destinate a soccombere. Qui rientravano non solo questioni di maggiori capacità economiche e politiche, ma anche l’idea dell’esistenza di civiltà e di razze superiori. Contrasti tra nazioni. In una prima fase, la gara per la conquista di nuovi mercati non creò rivalità fra gli Stati: le maggiori potenze, fra cui gli Stati Uniti, si riunirono in una apposita Conferenza a Berlino (1884-1885) per progettare insieme la spartizione dell’Africa. Via via, però, che gli spazi da conquistare si riducevano, le mire imperialiste divennero motivo di contrasto, fino a costituire – come vedremo – una delle cause principali della rottura dell’equilibrio faticosamente costruito da Bismarck. Il fenomeno acquistò un’entità quantitativa assai rilevante: negli anni Settanta dell’Ottocento, ad esempio, le nazioni colonizzatrici controllavano l’11% dell’Africa, ai primi del nuovo secolo il 90%. Nel 1876 la Gran Bretagna possedeva un impero di 22 milioni km2 e la Francia di 900.000, mentre nel 1914 arrivarono a possedere rispettivamente 33 milioni km2 e 10 milioni km2. Gran Bretagna. A meta dell’Ottocento la Gran Bretagna era la nazione più progredita d’Europa, con un tasso di analfabetismo fra i più bassi al mondo. Questa fase, durante la quale divenne la massima potenza mondiale, fu segnata dal lungo regno della regina Vittoria (1837-1901) (età vittoriana). In politica interna si alternarono fino agli anni Novanta i governi del Partito conservatore (tory), guidati da Benjamin Disraeli, e del Partito liberale (whig), guidati da William Gladstone, che introdussero la riforma elettorale (1868), migliorarono il sistema scolastico, concessero il riconoscimento alle Trade Unions. Disraeli fu anche l’artefice dei successi che portarono ad ampliare l’egemonia britannica nel Mediterraneo: l’acquisizione del controllo della Compagnia del canale di Suez (1875), il possesso di Cipro e il contenimento dell’espansionismo russo nei Balcani in occasione del Congresso di Berlino (1878). Gladstone tentò di risolvere la questione irlandese, ma non riuscì a far approvare la legge sull’autonomia, che venne bocciata alla Camera dei Lord. L’impero. La Gran Bretagna possedeva un vasto impero. Le colonie popolate a maggioranza da bianchi ottennero l’autonomia politica con propri Parlamenti, rimanendo legate alla Corona britannica come dominion per quanto riguardava la politica estera: Canada (1867), Australia (1901), Nuova Zelanda (1907). In Asia (dove gli inglesi possedevano anche Ceylon, Hong Kong, Singapore), fu portata a compimento la piena sottomissione dell’India, la cui conquista era stata avviata nel Seicento per iniziativa della Compagnia delle Indie orientali. Nella seconda metà dell’Ottocento, dopo le rivolte degli anni Cinquanta, il paese passo sotto la diretta dominazione della Corona britannica, rappresentata da un viceré: nel 1876, per volontà di Disraeli, fu istituito l’Impero britannico delle Indie, di cui la regina Vittoria fu incoronata imperatrice. All’interno del paese, nel quale a fianco del viceré furono nominati anche alcuni consiglieri indiani, cominciò a formarsi una classe dirigente aperta al contatto con gli inglesi e orientata ad avere un sempre maggior peso politico ed economico: nel 1885 nacque il Partito del Congresso nazionale indiano che, nel corso dei primi anni del nuovo secolo, assunse una politica maggiormente nazionalista. Nuova espansione. L’espansione britannica proseguì anche in Africa, dove, oltre ai territori già colonizzati, a partire dagli anni Ottanta furono occupati Egitto, Sudan, Somalia britannica, Nigeria, Kenia, Rhodesia. Nell’Africa australe dall’inizio dell’Ottocento la Gran Bretagna possedeva Colonia del Capo, strappata ai boeri (i coloni di origine olandese), che erano emigrati nelle zone più interne, dove avevano fondato le repubbliche del Transvaal e d’Orange: proprio per il controllo di questi territori, all’indomani della scoperta di ricchi giacimenti d’oro e diamanti, la Gran Bretagna ingaggiò una sanguinosa guerra con i boeri (1899-1902), che furono sconfitti, ma non assoggettati. In seguito, Colonia del Capo, Transvaal e Orange formarono l’Unione Sudafricana, che nel 1910 acquisto lo status di dominion. Francia. Nella Francia della Terza Repubblica, ripresasi dalla sconfitta con la Germania grazie a una solida economia, le correnti repubblicane, maggioritarie, dovettero far fronte agli attacchi della destra clericale-monarchica, ma riuscirono a portare avanti la laicizzazione della società e dell’insegnamento scolastico. Prima dell’affare Dreyfus, un pericoloso segnale del crescente revanscismo fu costituito dal tentativo di sovvertire la Repubblica ad opera del generale GeorgesErnest Boulanger, che però, nonostante l’ampiezza del movimento reazionario da lui guidato, fallì (1889). Colonie francesi. Anche la Francia possedeva un discreto numero di colonie, che furono ampliate dagli anni Settanta in poi: in Asia, riunendo le varie regioni conquistate nel Sud-Est, nel 1887 costituì l’Unione Indocinese; in Africa, avendo avuto mano libera al Congresso di Berlino, procedette con la conquista della Tunisia (1881) e poi della Costa d’Avorio, del Congo occidentale, del Sudan occidentale che formarono l’Africa occidentale francese. L’obiettivo era di giungere all’altra parte del continente, ma in tal modo la Francia rischiava di entrare in rotta di collisione con gli interessi britannici, come effettivamente accadde quando nel villaggio di Fascioda in Sudan una colonna francese in marcia verso il Mar Rosso si fronteggiò con un corpo di spedizione inglese (settembre 1898). L’incidente non degenerò, grazie all’intervento delle diplomazie dei due paesi, ma stava a significare quanto la conquista di nuove terre avesse assunto un ruolo di primo piano nelle politiche delle potenze. Germania. Già ai tempi di Bismarck il Reich tedesco aveva avviato una politica coloniale, con la creazione dell’Africa tedesca del Sud-Ovest, del protettorato sul Togo e sul Camerun e dell’Africa orientale tedesca. Con il nuovo corso questa politica prosegui con l’occupazione della Nuova Guinea e l’acquisto dalla Spagna di alcuni arcipelaghi nel Pacifico (1899). Furono pero soprattutto l’intensa politica di armamento navale e le ripetute dichiarazioni di Guglielmo II sugli obiettivi imperialisti della nuova Germania a metterla in contrasto con le altre potenze, in primo luogo con la Gran Bretagna. La volontà di potenza, di ricerca di nuovi mercati per l’industria e di impiego di capitali tedeschi in attività redditizie aveva poi spinto la Germania nell’impresa per la costruzione della ferrovia di Baghdad, di cui la Deutsche Bank (la principale Banca tedesca) ebbe dal sultano ottomano la concessione: iniziata a costruire nell’ultimo decennio dell’Ottocento, la ferrovia, che doveva congiungere Istanbul con Bassora sul Golfo Persico, passando per Baghdad, suscitò la preoccupazione, oltre che della Gran Bretagna, anche di Francia e Russia contrarie alla penetrazione economica tedesca nel Medio Oriente. Con la Francia, a sua volta, si determinarono contrasti a seguito dei due tentativi tedeschi di impedire che il Marocco divenisse protettorato francese, come vedremo in seguito. Per quanto riguardava la presenza delle altre nazioni in Africa, il Portogallo conservo Angola e Mozambico, il Belgio entrò in possesso del Congo e anche l’Italia, come vedremo, si inserì nella gara imperialista. Russia. In altra direzione si volse l’imperialismo della Russia, arrivata più in ritardo delle altre potenze all’industrializzazione. Nel periodo dello zar Alessandro II (1855-1881), furono introdotte importanti riforme, a cominciare dall’abolizione della servitù della gleba (1861) e dalla formazione di consigli provinciali elettivi per le amministrazioni locali. La forma di opposizione all’aristocrazia zarista era costituita – prima della nascita del Partito socialdemocratico cui abbiamo accennato – dal populismo. In questo ambito maturò una tendenza che riteneva il terrorismo come l’unico modo possibile di combattere il regime: lo stesso Alessandro II fu ucciso in un attentato (13 marzo 1881). I suoi successori, Alessandro III (1881-1894) e Nicola II (1894-1917), ridimensionando le novità introdotte, accentuarono la politica reazionaria, la repressione nei confronti delle popolazioni non russe presenti nell’impero (polacchi, ucraini, finlandesi, georgiani, armeni), sottoposte a processi di russificazione forzata, e la persecuzione degli ebrei. La società russa, le sue contraddizioni e le profonde disparita fra l’aristocrazia e le masse contadine, furono conosciute nel resto dell’Europa attraverso i grandi romanzieri dell’Ottocento: Lev Tolstoj, Fedor Dostoevskij, Nicolaj Gogol, Ivan Turgenev, autori di alcuni dei piu grandi capolavori della letteratura mondiale. Guerra ispano-americana. Gli Stati Uniti, divenuti nel corso dell’Ottocento una nazione economicamente molto forte e avanzata, con la seconda rivoluzione industriale si inserirono tra le potenze più forti con grande celerità e apportando il loro innovativo contributo tecnologico. Sul finire del secolo, sotto l’impulso delle nuove forze economiche, anche gli USA entrarono nella gara imperialista, concentrandosi nel versante centro e sud-americano, sulla base di quella “dottrina Monroe” (1823) («l’America agli americani») che aveva stabilito che questi erano territori di competenza statunitense, nei quali non vi doveva essere alcuna interferenza europea. Fu nel 1898 che, in seguito al loro intervento a sostegno dell’insurrezione antispagnola scoppiata a Cuba, gli Stati Uniti ampliarono le proprie zone di influenza: la Spagna, sconfitta, fu costretta non solo a riconoscere l’indipendenza di Cuba, ma anche a cedere l’isola di Portorico e nel Pacifico le isole Filippine e Guam. Conquistata la propria indipendenza, Cuba di fatto divenne terra di sfruttamento americano e dovette riconoscere agli Stati Uniti il diritto di installare una base militare nella baia di Guantanamo e di intervenire, anche militarmente, nella propria politica interna. Nello stesso periodo, inoltre, gli USA procedettero all’annessione delle isole Hawaii (1898), già loro protettorato, dove avevano stabilito a Pearl Harbor una base navale (successivamente, nel 1959, le Hawaii diventeranno il 50° Stato americano). Espansione USA. La guerra ispano-americana ha avuto un importante ruolo periodizzante nella storia internazionale: in primo luogo, da un punto di vista simbolico, poiché un paese relativamente giovane, ma economicamente avanzato, aveva vinto il più antico degli imperi europei; in secondo luogo perche da questo momento gli Stati Uniti conquistarono una posizione predominante nei Caraibi e nel Pacifico. In America Latina, invece, alla conquista territoriale cominciarono ad affiancare il dominio indiretto, attraverso i diritti di sfruttamento delle risorse da parte delle compagnie americane, ottenuti in cambio di prestiti ai governi locali. Presidenza T. Roosevelt. Una successiva svolta verso l’affermazione degli Stati Uniti come potenza egemone a livello internazionale avvenne con il repubblicano Theodore Roosevelt (1858-1919), divenuto presidente dopo l’uccisione di McKinley nel settembre 1901. Se all’interno si impegno a rafforzare il governo federale, a dare inizio a una legislazione sociale e a combattere il potere dei trust, in politica estera Roosevelt fu fautore di un programma imperialista. Per fare degli Stati Uniti una grande potenza realizzo un vasto programma di costruzioni navali, che porto il paese a sopravanzare la Gran Bretagna, che – come si e visto – in Europa veniva superata dalla Germania. Riprendendo la dottrina Monroe, elaboro il cosiddetto “corollario Roosevelt” in base al quale gli Stati Uniti si riservarono il diritto di intervenire direttamente nei paesi dell’America Latina se ci fosse stato bisogno. Intervento a Panama. Cosi avvenne in occasione del taglio dell’istmo di Panama, territorio posto sotto la sovranità della Colombia. Roosevelt fu autorizzato nel 1902 dal Congresso a stabilire un trattato con la Colombia per portare a termine la costruzione del canale, iniziata da una compagnia francese, e averne la gestione per cento anni. Poiché il Parlamento colombiano sconfesso l’operazione, gli Stati Uniti intervennero sostenendo le rivolte della popolazione per l’indipendenza, che sfociarono nella costituzione della Repubblica autonoma di Panama: in cambio degli aiuti, gli USA ebbero la cessione della fascia di territorio dove sarebbe stato costruito il canale e da allora mantennero il controllo politico e militare sul paese attraverso governi autoritari. “Porta aperta”. Oltre a consolidare l’influenza statunitense nei Caraibi, Roosevelt coinvolse gli Stati Uniti nella politica mondiale, intervenendo nelle contese tra le nazioni, con un’opera di mediazione che gli valse nel 1906 il premio Nobel per la pace. La politica americana sul versante asiatico e nel mercato cinese in particolare, infatti, fu volta soprattutto a evitare che i contrasti portassero alla formazione di aree economiche chiuse che avrebbero limitato il commercio internazionale, divenendo di conseguenza inaccessibili per le merci americane (politica della “porta aperta”).