La guida dell`automobile

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AZIENDA
SANITARIA
LOCALE
BRESCIA
grg
gruppo di ricerca geriatrica
ALZHEIMER RICERCHE BRESCIA - AIMA
Le demenze
Una guida per i famigliari
Angelo Bianchetti
Carmelo Scarcella
Marco Trabucchi
Orazio Zanetti
Brescia, 1998
Questo volumetto è stato scritto per aiutare le persone che assistono un famigliare affetto
da demenza.
Una lunga esperienza ci suggerisce che la solitudine, l'abbandono e la mancanza di
informazioni precise sono i fattori che più rendono difficile e pesante la vita di chi è vicino
ad un ammalato; per questo abbiamo cercato di presentare in maniera chiara -ma non
superficiale- gli aspetti più importanti dell'assistenza e la risposta agli interrogativi che più
frequentemente vengono posti.
Il medico saggio sa che la cura del paziente demente deve estendersi anche alla sua
famiglia, per accompagnarla in un lungo itinerario.
La scienza medica ha fatto negli anni recenti grandi progressi, facendoci intravedere
possibile terapie; questa speranza impone ancor più l'impegno per migliorare oggi la
qualità della vita dei pazienti e delle loro famiglie.
Gli Autori
Chi volesse approfondire sul piano clinico il problema delle demenze consulti il recente
volume: M.Trabucchi - Le demenze. UTET, 1998.
Angelo Bianchetti
Primario Dipartimento Malattia di Alzheimer IRCCS San Giovanni di Dio, Brescia
Carmelo Scarcella
Direttore Sanitario ASL di Brescia
Marco Trabucchi
Professore Ordinario Università di Roma "Tor Vergata"
e Direttore Scientifico
Gruppo di Ricerca Geriatrica, Brescia
Orazio Zanetti
Aiuto Dipartimento Malattia di Alzheimer IRCCS San Giovanni di Dio, Brescia
PRESENTAZIONE
L'azienda Sanitaria di Brescia ha voluto questa nuova edizione del volume per chi assiste
le persone affette da demenza partendo da una scelta di fondo: gli ammalati cronici sono
al centro dell'interesse delle istituzioni sanitarie moderne e qualsiasi intervento che
permetta una buona qualità della vita di queste persone ha un grande significato civile
prima ancora che sanitario.
Nella ASL di Brescia vivono diverse migliaia di persone affette da demenza con varie
espressioni cliniche; il problema è destinato a diventare ancora più grave come
conseguenza dell'aumento degli anziani e della sopravvivenza di persone ammalate.
Molti sono i servizi già attivi per questa popolazione, sia a livello istituzionale che
territoriale; la ASL però ritiene particolarmente importante sviluppare in maniera specifica
programmi che consentano il mantenimento a domicilio della persona ammalata. Però, per
evitare che la famiglia senta su di sé un carico insostenibile (è stata descritta "una
giornata di 36 ore"), l'impegno del servizio sanitario deve essere molto chiaro e preciso:
assistenza domiciliare qualificata e specifica, centri diurni, temporanee soluzioni di
sollievo.
Senza scrivere un libro dei sogni, perché purtroppo i limiti economici sono pesantissimi,
questa è la strada che l'ASL di Brescia, che ho l'onore di dirigere, vuole perseguire. E la
pubblicazione di questo volume è un primo segnale, piccolo ma significativo.
Ezio Lodetti
Direttore Generale ASL Brescia
SOMMARIO
-E' possibile un invecchiamento in salute?
-L'anziano e la memoria
-Le demenze
-La malattia di Alzheimer
-La diagnosi e la prognosi
-Demenza ed ereditarietà
-I fattori di rischio
I problemi ed il loro trattamento
-Come affrontare i problemi assistenziali quotidiani
-La comunicazione
-L'abbigliamento e la cura della persona
-L'alimentazione
-Le piaghe da decubito
-Le cadute
-L'incontinenza
-Le malattie concomitanti
-La confusione
-I disturbi comportamentali
-Il disorientamento
-La depressione
-L'aggressività e l'agitazione
-Il vagabondaggio e l'insonnia
-I deliri e le allucinazioni
La famiglia, l'ambiente ed i servizi
-La famiglia
-L'ambiente e gli ausili per le attività quotidiane
-I servizi per la gestione del paziente demente
-Gli interventi riabilitativi
-I farmaci
-I problemi etici
-Gli aspetti legali
E' POSSIBILE UN INVECCHIAMENTO IN SALUTE?
È diffusa l'opinione che l'invecchiamento si accompagni inesorabilmente alla perdita di
numerose funzioni sia fisiche che mentali. Col trascorrere degli anni udito, vista, memoria,
intelligenza, agilità, equilibrio e così via subirebbero un declino inevitabile. Secondo
questa visione negativa della vecchiaia sono tuttora validi l'antico aforisma "senectus ipsa
morbus" ed la più recente, ed ugualmente insopportabile, immagine di Shakespeare
secondo il quale sono numerosi i tributi che si devono pagare alla vecchiaia: "senza
memoria, senza denti, senza occhi, senza tutto".
Il deterioramento delle capacità mentali -che una cultura obsoleta continua a considerare
"naturale"- è in realtà causato, pi spesso di quanto non si creda, oltre che da numerose
malattie, alcune delle quali curabili, dall'abbandono, dall'emarginazione sociale, dalla
perdita di relazioni affettive, nonché dalla carenza di esercizio mentale e fisico. La ricerca
scientifica sempre più spesso documenta come molte delle perdite attribuite alla macina
del tempo sono provocate da un cattivo stile di vita, da abitudini alimentari errate e dallo
scarso esercizio. Va sottolineato fin da ora che la grande maggioranza delle persone
anziane -oltre i 65 anni- conserva un cervello in grado di funzionare in modo corretto.
Nel corso delle frequenti conversazioni con gli anziani ci piace spesso usare la metafora
dell'orologio: ciascuno di noi, alla nascita, ha al proprio interno un orologio
(verosimilmente ubicato nel cervello) che scandirà il tempo dell'esistenza, la cui molla è
caricata in modo da consentire una sopravvivenza che nella grande maggioranza dei casi
è di 110-120 anni. Se nei nostri geni -la molla dell'orologio- è scritto, in parte, il nostro
destino, la possibilità di raggiungere l'età avanzata sarà condizionata dal modo in cui
conserviamo l'orologio, evitando con cura che si ammacchi, che si inceppi
prematuramente oppure che la molla possa arrugginirsi.
Recentemente inoltre è stato dimostrato che, accanto a fenomeni di perdita -di cellule e di
collegamenti- nel cervello senescente sono conservate capacità riparative, e rigenerative;
questa proprietà, nota col termine di plasticità neuronale, potremmo immaginarla come
quella di un orologiaio che interviene a riparare alcuni danni.
La plasticità è il meccanismo del cervello che ne regola la caratteristica di essere
continuamente modificato e modificabile dal prodotto della sua stessa attività.
L'invecchiamento cerebrale non è un processo monolitico, a senso unico, di logoramento,
dominato dalla perdita, ma è influenzato da variabili complesse che possono, al contrario,
nell'equilibrio instabile tra logoramento e plasticità, favorire un invecchiamento di
successo.
Proseguendo nella metafora, come possiamo aiutare l'orologiaio e come consentire un
buon funzionamento dell'orologio? In altri termini, com'è possibile conservare, ottimizzare
o amplificare la plasticità neuronale? L'attività mentale e fisica rappresentano potenti
mezzi per amplificare i meccanismi di difesa dell'organismo e del cervello.
È stato dimostrato che un ambiente stimolante e l'opportunità di un maggior esercizio
producono un aumento di spessore e peso del cervello, un aumento dei collegamenti tra
neuroni nonché un miglioramento delle performance generali.
Numerose osservazioni, ottenute prevalentemente in laboratorio, suggeriscono l'evidenza
di un effetto protettivo della stimolazione: "Usalo o lo perderai" titolava un recente articolo
riferendosi al cervello; dovrebbe essere il motto per tutta la vita.
Sono numerosi gli anziani che in età avanzata conservano la capacità di svolgere compiti
complessi (con l'esclusione naturalmente di quelli che comportano agilità o forza fisica,
che iniziano a declinare, per effetto dell'invecchiamento, attorno ai 30 anni) e di rivestire
incarichi sociali impegnativi. Numerosi sono gli artisti che nella vecchiaia hanno prodotto
capolavori; altrettanto numerosi sono i politici che in vecchiaia -pensiamo a Pertinimantengono un'intensa attività.
È stato dimostrato infine, in un gruppo di anziani che svolgevano regolarmente attività
fisica anche dopo il pensionamento, che la circolazione cerebrale e le funzioni mentali
erano meglio conservate rispetto a coloro che avevano ridotto o sospeso l'attività fisica.
Ciò che si vuole sottolineare è il fatto che gli esempi, numerosi, di invecchiamento di
successo, costituiscono un punto di riferimento per tutti quelli che invecchiano; sono la
prova, inequivocabile, che è possibile invecchiare, sia pure con qualche acciacco,
conservando la propria autonomia ed un cervello ben funzionante. Come quello della
nonna francese più vecchia del mondo che è deceduta all’età di 122 anni nell’estate del
’97; malgrado la cecità e la sordità, le sue funzioni cerebrali, oggetto di approfonditi studi
da parte dei ricercatori, erano ancora normali. Nelle numerose interviste rilasciate negli
ultimi anni manifestava una sincera gioia di vivere.
Queste osservazioni però non ci devono far dimenticare la realtà delle malattie; anzi, più
sono le persone che vivono in Salute la terza e quarta età, più forte diventa il nostro
impegno per "curare" le persone affette da malattie croniche quali la demenza.
L'ANZIANO E LA MEMORIA
I disturbi della memoria rappresentano uno dei motivi che più frequentemente inducono
l'anziano a rivolgersi ad un geriatra. Tuttavia spesso ciò avviene solo quando la
smemoratezza è tale da interferire pesantemente con la possibilità di una vita autonoma;
in questo caso, abitualmente, il paziente non è consapevole delle proprie disabilità e sono
i familiari a richiedere l'aiuto di un esperto. È ancora troppo diffusa, infatti, la convinzione
che l'età comporti, inesorabilmente, una riduzione più o meno evidente della memoria; è
così che disturbi lievi, ritenuti, erroneamente, inevitabili ed incurabili, vengono spesso
trascurati. È opportuno, a questo riguardo, chiarire fin d'ora una regola generale che si
applica a numerose malattie tipiche dell'anziano: l'efficacia di un intervento terapeutico, e
quindi la possibilità di ottenere una guarigione o comunque un controllo adeguato, è
condizionata dalla tempestività con la quale si riconosce una malattia. Anche nel caso dei
disturbi di memoria vale questa regola.
Cos'è la memoria e come funziona? La memoria è, accanto all'intelligenza, una delle
funzioni più complesse dell'attività umana e può essere definita come la capacità di
riprodurre nella propria mente un'esperienza precedente; in altri termini, è quell'insieme di
funzioni localizzate nel cervello che ci consentono di registrare messaggi o informazioni
grazie alla collaborazione degli organi di senso (udito, vista, tatto..) e di rievocarli
allorquando lo desideriamo. L'esperienza che viene memorizzata o rievocata può essersi
verificata pochi secondi o molti anni prima; può essere stata molto breve oppure essere
durata a lungo; può aver coinvolto tutti gli organi di senso o essere stata soltanto
un'esperienza visiva, verbale, olfattiva o motoria. Quotidianamente, tramite i nostri sensi, il
cervello riceve enormi quantità di segnali di vario genere, dei quali siamo più o meno
consapevoli, la maggior parte dei quali non lascia traccia.
I sensi sono essenziali per l'acquisizione di nuove informazioni, che poi vengono
immagazzinate nella memoria. Ad esempio, una persona che soffre di presbiacusia (cioè
della incapacità di sentire i suoni di frequenza elevata) può con facilità non sentire lo
squillo del telefono, può avere difficoltà nell'ascoltare la voce delle persone, specialmente
delle donne, e può avere problemi nell'interpretare le parole ricche di consonanti come F,
S e Z. Le persone affette da questo disturbo possono sembrare "smemorate", quando,
invece, il vero problema è la mancanza di corrette informazioni. In modo analogo anche i
disturbi della vista possono provocare, seppure indirettamente, deficit della memoria.
Il buon funzionamento della memoria dipende oltre che dal livello di integrità degli organi
di senso, anche dal grado di attenzione che il soggetto rivolge ad un dato evento, dalla
risonanza affettiva che quest'ultimo esercita, nonché dalle circostanze in cui l'evento deve
essere richiamato. Una persona può, per esempio, avere a disposizione un tempo
adeguato per richiamare un'informazione o essere forzato a rispondere molto
rapidamente; può essere rilassato oppure trovarsi in uno stato di apprensione o ansia, che
influenzano negativamente la memoria; e ancora può trovarsi in un ambiente accogliente
e distensivo oppure affollato, caotico e ricco di distrazioni.
La memoria è influenzata dalla presenza di malattie (endocrine, infettive, tumori), la cui
cura consente un completo recupero delle capacità di ricordare. Anche l'uso improprio di
farmaci, per esempio i sonniferi, può compromettere il buon funzionamento della
memoria.
La depressione e l'ansia costituiscono una causa frequente, potenzialmente reversibile, di
disturbo della memoria. Si tratta di condizioni psichiche di frequente osservazione, nelle
quali il livello di attenzione dell'anziano è compromesso, polarizzato attorno a sensazioni
di impotenza, di sfiducia, paura, e timori talvolta immotivati: non c'è spazio per i progetti,
per il futuro. Anche il presente viene subito passivamente. A loro volta la depressione
(l'"esaurimento nervoso" del gergo popolare) e l'ansia possono essere scatenate o favorite
dalla riduzione dei rapporti sociali, dal pensionamento, dalla perdita di persone care,
oppure da condizioni di malattia che limitano l'autonomia o provocano dolore. Si tratta di
circostanze frequenti nell'anziano che possono compromettere la memoria, la quale a sua
volta può peggiorare l'ansia e accentuare la depressione, instaurando così un circolo
vizioso.
Una percentuale minoritaria di anziani (10% degli ultra65enni) soffre di disturbi della
memoria progressivamente sempre più gravi e tali da comportare la perdita
dell'autosufficienza; in queste situazioni la causa è da attribuire, nella maggioranza dei
pazienti, alla Malattia di Alzheimer oppure alla demenza multinfartuale (in passato definita
arteriosclerotica). È opportuno però sottolineare che il 90% degli anziani non è demente
ed ha un cervello in grado di funzionare a patto che lo tenga in allenamento.
Numerosi sono i termini che vengono utilizzati per descrivere la memoria, i suoi stadi ed i
suoi vari aspetti. Le definizioni più note sono quelle che distinguono la memoria a breve
termine da quella a lungo termine o remota; la prima si riferisce alla capacità di rievocare
percorsi, numeri, cose dopo alcuni secondi o minuti dalla loro percezione; la seconda
indica la capacità di ricordare eventi dopo alcune ore o giorni; riguarda cioè fatti accaduti
molto tempo prima, ed è quella più resistente in caso di malattia cerebrale.
Nel corso dell'invecchiamento normale alcuni aspetti del funzionamento della memoria
presentano un declino; la capacità di ricomporre un numero telefonico di dieci cifre,
tenendolo in mente dopo un segnale di "occupato", oppure di ricordare informazioni
ascoltate alla radio mentre si guida, si riducono nell'anziano rispetto al giovane. La
presenza di fattori distraenti in grado di disturbare la "ricezione" di informazioni influisce in
modo negativo nell'età avanzata. Così avviene anche per l'esecuzione di compiti per i
quali il soggetto ha a disposizione un tempo limitato.
Esistono aspetti della memoria che nell'anziano non mostrano alcun deficit o addirittura
presentano una prestazione migliore col passare degli anni. La memoria cosiddetta
semantica, che si riferisce alla capacità di definire il significato delle parole ed al
patrimonio delle parole conosciute, ed è influenzata dall'educazione, può migliorare
sensibilmente con l'età.
Negli anziani, quindi, l'apprendimento e le capacità di memoria nel loro complesso
rimangono relativamente normali. Alcuni studiosi ritengono che la memoria inizi a
diminuire poiché una persona cessa di usare i metodi utilizzati in passato per ricordare
meglio. L'abilità non sfruttata viene perduta.
A questo riguardo si deve sottolineare che quasi tutti gli studi negativi sull'apprendimento
o la memoria dell'anziano sono stati eseguiti in laboratorio, dove l'attenzione è focalizzata
su questioni astratte, lontane dalla realtà quotidiana. Nelle situazioni vive di ogni giorno,
l'anziano è invece facilitato rispetto al giovane, perché le nuove informazioni vengono
inserite in una rete già esistente di conoscenze. L'elevata quantità di nozioni
precedentemente immagazzinate e la maggiore capacità critica facilitano l'apprendimento
ed il ricordo di cose nuove. Tuttavia, non ci si deve aspettare di ricordare fatti o nomi
velocemente come nella giovinezza; rievocare informazioni richiederà più tempo ma la
capacità di ricordare resterà fondamentalmente invariata. Esserne consapevoli può
evitare inutile ansia.
Quando una persona presenta disturbi di memoria che interferiscono con la capacità di
vita indipendente o che riguardano informazioni importanti è opportuno consultare il
medico curante.
È opportuno sottolineare che in alcuni soggetti anziani normali si può manifestare un
disturbo della memoria connesso all'età che però non compromette le abituali attività
quotidiane; è pertanto importante non drammatizzare. Si tratta di sintomi non patologici,
come lo sono la presbiopia e la diminuzione della forza muscolare.
Esistono metodi ed esercizi che possono aiutare a mantenere giovane la memoria oppure
a compensarne le lacune. Molti usano semplici espedienti per ricordare il nome di
qualcuno o altri dati; se anche l'anziano organizza le informazioni nuove che riceve, le
ripete ad alta voce o le associa a qualche immagine visiva, la sua capacità di memoria
migliora.
L'efficacia dell'esercizio è nota fin dai tempi di Cicerone: "memoria minuitur, credo, nisi
eam exerceas". L'esercizio può essere costituito da riassunti di letture o di programmi
televisivi, mentalmente oppure ad alta voce, almeno una volta al giorno; un'alternativa è la
ripetizione, che ricorda i tempi della scuola, di filastrocche, poesie o storielle. La creazione
di collegamenti tra nomi, oggetti o fatti, oppure la loro trasposizione in immagini, colori o
numeri richiedono l'elaborazione del contenuto di una cosa da ricordare e costituiscono un
altro metodo diffusamente impiegato per facilitare il ricordo. In alternativa è utile
aumentare interessi ed attività in modo da esercitare indirettamente e spontaneamente
anche la memoria.
Se non ci si fida della memoria, è possibile aiutarla ricorrendo ad alcuni ausili. Uno di
questi, noto ma poco utilizzato, consiste nell'usare pro-memoria quali calendari,
bloc-notes o agende dove segnare appuntamenti, programmi giornalieri, elenchi di articoli
da acquistare. Anche il nodo al fazzoletto è ancora valido, ma può essere sostituito con
strumenti più "moderni", quali piccole svegliette oppure "timer" che ricordano, tramite un
segnale acustico, che si deve fare qualcosa; questi metodi, rispetto ai pro-memoria hanno
l'inconveniente di non specificare ciò che si deve ricordare. Per coloro che hanno problemi
di vista non correggibili, è possibile ricorrere a registratori sui quali incidere i messaggi e
gli appuntamenti; esistono oggi apparecchi di piccole dimensioni ed economici. Un
problema frequente, soprattutto fra gli anziani, è costituito dalla perdita degli oggetti:
chiavi, penne, forbici, utensili... Per ovviare a questo inconveniente è importante cercare di
essere organizzati assegnando a ciascun oggetto una collocazione stabile; e 'utile rendere
più visibili i piccoli oggetti che si nascondono facilmente: un nastro rosso legato alle
forbici, il cordoncino per assicurare gli occhiali al collo. Un altro consiglio importante
consiste nel portare a termine le azioni cominciate per non rischiare di lasciarle in
sospeso: dimenticare il gas oppure le luci accesi.
Per concludere ecco alcuni suggerimenti sulla memoria:
- concedersi più tempo, rispetto al passato, per imparare cose nuove; apprendere può
richiedere più tempo ed una maggiore concentrazione
- predisporre un ambiente adatto per l'apprendimento; la luce deve essere viva; devono
essere eventualmente usati occhiali o apparecchi acustici. Se si è incerti circa le
informazioni ricevute, è necessario richiedere che queste vengano ripetute
- non aspettarsi di ricordare fatti o nomi velocemente come nella giovinezza
- proporsi di esercitare la memoria facendo mentalmente o ad alta voce brevi riassunti di
letture o di trasmissioni televisive, almeno una volta al giorno
- le amnesie talvolta "nascondono" quello che non si vuol ricordare o che non interessa
- non esiste alcun "farmaco miracoloso" per la memoria.
Quando, nonostante l'applicazione delle regole sopraindicate, la persona anziana ritiene
di non ricordare bene è utile chiedere consiglio al medico.
LE DEMENZE
Con il termine di demenza si indica una malattia del cervello che comporta la
compromissione delle funzioni cognitive (quali la memoria, il ragionamento, il linguaggio,
la capacità di orientarsi, di svolgere compiti motori complessi), tale da pregiudicare la
possibilità di una vita autonoma. Ai sintomi che riguardano le funzioni cognitive si
accompagnano quasi sempre alterazioni della personalità e del comportamento che
possono essere comunque di entità piuttosto varia nel singolo paziente. Tra questi i più
caratteristici sono sintomi psichici (quali ansia, depressione, ideazione delirante,
allucinazioni), irritabilità o vera aggressività (più spesso solo verbale, raramente fisica),
insonnia, apatia, tendenza a comportamenti ripetitivi e afinalistici, riduzione dell’appetito e
modificazioni del comportamento sessuale. Contrariamente a quanto ancora spesso si
pensa, la demenza non costituisce una conseguenza inesorabile, un "destino ineluttabile"
di chi invecchia. Molti conoscono persone che, novantenni o centenarie, conservano, sia
pure con qualche acciacco, un cervello "arzillo" e ben funzionante: non si tratta di "mostri",
ma della testimonianza più evidente che è possibile raggiungere i confini dell'esistenza in
salute. Sono la prova vivente di come sia possibile invecchiare con dignità.
La demenza è una sindrome, ossia un insieme di sintomi, che può essere provocata da
un lungo elenco di malattie, alcune molto frequenti, altre rare.
La demenza rappresenta un problema rilevante, in particolare nella popolazione anziana
la cui numerosità, rispetto alla popolazione generale, è sensibilmente aumentata nel corso
degli ultimi decenni. Circa il 10% degli ultrasessantacinquenni ed il 35% degli ultra80enni
che risiedono al domicilio manifestano un grado variabile di deterioramento delle funzioni
cognitive.
Nel 50% circa dei casi la causa della demenza è la malattia di Alzheimer. Si tratta di una
condizione progressiva, che prende il nome da Alois Alzheimer, il neurologo che nel 1907
la descrisse per primo.
Nel 10% dei casi la demenza è dovuta all'arteriosclerosi cerebrale ed, in particolare, a
lesioni cerebrali multiple (lesioni ischemiche) provocate dall'interruzione del flusso di
sangue; è la demenza vascolare ischemica. Questa malattia è nota anche con il termine
che in passato veniva impiegato per indicare la quasi totalità dei disturbi mentali
dell'anziano: arteriosclerosi cerebrale. È importante sottolineare che questa forma di
demenza può, al contrario della malattia di Alzheimer, essere prevenuta tramite il corretto
controllo dei fattori che ne favoriscono l'insorgenza, in particolare l'ipertensione arteriosa
ed il diabete mellito
Nel 10% dei casi la demenza è dovuta alla contemporanea presenza di malattia di
Alzheimer e di lesioni ischemiche: questa condizione si indica con il termine di demenza
mista.
Vi sono poi altre malattie degenerative cerebrali che possono causare demenza, quali la
malattia di Pick e le demenze fronto-tempotrali, la malattia a corpi di Lewy, la
degenerazione cortico-basale. Si tratta di condizioni la cui frequenza esatta è poco nota
(complessivamente probabilmente costituiscono circa il 15-20% delle demenze), con
caratteristiche cliniche e neuropatologiche distintive.
Il restante 10-15% dei pazienti presenta una demenza sostenuta da malattie suscettibili di
guarigione se curate in tempo e correttamente (tra le altre, malattie endocrine, farmaci,
idrocefalo normoteso, depressione).
Il deterioramento delle funzioni cognitive, infatti, non è sempre sinonimo di demenza. Per
questo motivo una diagnosi precisa richiede una valutazione accurata ed è necessaria in
ogni soggetto nel quali si sospetti una demenza.
Sintomi simili alla demenza possono infatti manifestarsi nel corso di malattie acute febbrili
oppure come conseguenza di malattie croniche non ben controllate, in particolare disturbi
di cuore e dei polmoni. L'uso scorretto di alcuni farmaci (tranquillanti, sonniferi, farmaci per
il mal d'auto) può essere responsabile di disturbi di memoria o confusione. Un'altra
frequente causa di decadimento delle funzioni cognitive è rappresentata dalla depressione
(esaurimento nervoso), la malattia psichica più diffusa nella popolazione anziana;
soprattutto nelle sue forme più severe può apparire indistinguibile da una demenza grave.
D'altra parte, anche espressioni più lievi di depressione possono provocare disturbi della
memoria e confusione.
Infine, il trasferimento in ambienti quali l'ospedale o la casa di riposo può provocare uno
stress tale da produrre una condizione di apparente demenza.
LA MALATTIA DI ALZHEIMER
La Malattia di Alzheimer rappresenta la più frequente forma di demenza nei paesi
occidentali. La prevalenza della malattia aumenta con l'età; meno dell'1% degli individui al
di sotto dei 65 anni ne risulta affetto, mentre sono colpiti il 4-7% degli
ultrasessantacinquenni e circa il 20% degli ultraottantenni.
È stato stimato che nella sola Lombardia i soggetti affetti da malattia di Alzheimer siano
55-60.000.
Le caratteristiche cliniche della malattia possono variare notevolmente da soggetto a
soggetto; tuttavia l'inizio è generalmente insidioso e subdolo ed il decorso progressivo.
I sintomi iniziali dell'Alzheimer sono spesso attribuiti all'invecchiamento, allo stress oppure
a depressione. L'anziano può presentare modificazioni del carattere, essere meno
interessato ai propri hobby o al proprio lavoro, oppure essere ripetitivo. Talvolta l'inizio
della malattia è contrassegnato dalla sospettosità nei confronti di altre persone, accusate
di sottrarre oggetti o cose che il malato non sa trovare. Altre volte ancora la malattia può
iniziare in seguito ad un trauma automobilistico, oppure manifestarsi durante un ricovero
ospedaliero o nei giorni che seguono un intervento chirurgico. Spesso i familiari tendono
ad attribuire ad un evento -un trauma o un intervento chirurgico- la causa della malattia. In
realtà queste evenienze costituiscono, nel caso della malattia di Alzheimer, eventi
stressanti che rendono evidente e manifesta una malattia cerebrale già presente. Nella
grande maggioranza dei casi, solo a distanza di 1-2 anni dall'esordio della malattia il
disturbo della memoria è tale che i familiari ricorrono all'aiuto di uno specialista. Il disturbo
della memoria costituisce il sintomo cardinale della malattia ed il primo a manifestarsi
rispetto ad altri che coinvolgono il linguaggio o la capacità di ragionamento .
Il primo sintomo è generalmente una lieve perdita della capacità di ricordare avvenimenti o
fatti recenti, che progredisce gradualmente ed alla quale si associano alterazioni della
personalità e deficit delle altre funzioni cognitive. Il pensiero astratto -la capacità di
eseguire ragionamenti- risulta impoverito. La capacità di giudizio è diminuita spesso
precocemente, cosicché il paziente manifesta un ridotto rendimento lavorativo e può
essere incapace di affrontare e risolvere problemi anche semplici relativi ai rapporti
interpersonali o familiari. Il deterioramento della capacità di giudizio determina grande
preoccupazione tra i familiari ed i colleghi di lavoro. Uno dei caratteri più specifici è il
cambiamento della personalità. Spesso, soprattutto negli anziani, compare apatia; il
paziente perde interesse per l'ambiente e per gli altri, richiudendosi in se stesso. Spesso
vengono esagerati i caratteri premorbosi della personalità, quali atteggiamenti ossessivi,
aggressività, sospettosità. In altri casi vi è invece un mutamento della personalità, per cui
soggetti solitamente controllati e misurati diventano impulsivi, intrattabili ed a volte anche
violenti. In alcuni casi la malattia si manifesta con una difficoltà nella denominazione degli
oggetti oppure con un impoverimento del linguaggio ed il ricorso a frasi stereotipate. Altre
volte il sintomo che si associa al disturbo di memoria può essere rappresentato dalla
difficoltà nella guida dell'automobile. Un paziente aveva danneggiato una fiancata della
propria auto poiché nella manovra per collocarla in garage non riusciva a prendere
correttamente le misure. Questo sintomo è dovuto alla difficoltà che i pazienti con malattia
di Alzheimer manifestano nel collocare gli oggetti nello spazio e nell'avere una visione
unitaria di ciò che li circonda. Un altro paziente, in passato provetto meccanico per hobby,
non era stato in grado di aggiustare la gomma forata della bicicletta. Il paziente denuncia
una progressiva incapacità a svolgere compiti che per lui erano familiari. Questa fase della
malattia è più facilmente evidenziata nei giovani o in chi svolge ancora attività lavorative o
professionali. Può invece sfuggire in pazienti anziani o che non svolgono compiti
impegnativi da un punto di vista intellettivo. In questa fase il paziente può essere ignaro ed
inconsapevole dei propri disturbi; sono i familiari che notano per primi un comportamento
"strano" . Uno dei sintomi che più frequentemente accompagnano il disturbo della
memoria è la depressione. Talvolta questa deriva dalla consapevolezza di non essere più
all'altezza della situazione e di dover dipendere da altri nell'esecuzione di compiti o attività
consuete.
Accanto alla depressione, altri sintomi possono accompagnarsi alla demenza ed essere
fonte di stress per i familiari. Fra i più frequenti troviamo l'agitazione, la paura di essere
derubati, la sospettosità, i sentimenti d'abbandono, gli episodi di esplosione verbale, il
pianto immotivato o la violenza. I disturbi del sonno rivestono grande importanza, anche
perché determinano uno stress notevole nei familiari. Il paziente di notte è insonne e vaga
per la casa o per l'ospedale; altre volte si sveglia in piena notte e ritiene sia ora di
pranzare o di andare a fare una passeggiata.
In una fase intermedia della malattia il paziente diviene incapace di apprendere nuove
informazioni, spesso si perde, anche in ambienti a lui familiari. La memoria remota è
compromessa, anche se non totalmente persa. Il paziente è a rischio di cadute, può
richiedere assistenza nelle attività della vita quotidiana (quali lavarsi, vestirsi, alimentarsi,
ecc.); generalmente è in grado di deambulare ed alimentarsi autonomamente. Il
comportamento diviene ulteriormente compromesso; abitualmente è presente un
completo disorientamento spazio-temporale.
Nelle fasi avanzate della malattia di Alzheimer il paziente è incapace di camminare e di
svolgere qualsiasi attività della vita quotidiana, è incontinente. La memoria, sia recente
che remota, è totalmente persa ed il paziente può divenire muto ed incapace di
deambulare. Si manifesta difficoltà nella deglutizione e può essere necessario alimentare
il paziente artificialmente. Il rischio di complicanze, quali malnutrizione, disidratazione,
malattie infettive (polmoniti soprattutto), piaghe da decubito, diviene elevato.
La malattia può avere un decorso variabile e sono state descritte sopravvivenze dai 2 ai
20 anni, con una media di circa 8-10 anni.
LA DIAGNOSI E LA PROGNOSI
La molteplicità di condizioni che possono provocare i sintomi della demenza e la frequente
concomitanza di più malattie nell'anziano, richiedono una valutazione approfondita e
competente. Un corretto approccio diagnostico di fronte ad un paziente che manifesta
segni di decadimento mentale è di fondamentale importanza per differenziare le forme
reversibili da quelle irreversibili. La diagnosi di demenza permette inoltre di formulare una
prognosi, sia in termini di sopravvivenza che di evoluzione della malattia; è quindi il
presupposto indispensabile per predisporre gli interventi terapeutici, per impostare un
corretto approccio preventivo e riabilitativo ed organizzare gli interventi di supporto
assistenziale al paziente ed alla famiglia.
È di fondamentale importanza ricorrere al medico quando le prime avvisaglie di un
deterioramento cognitivo si manifestano; la possibilità, in caso di malattia guaribile, di
ottenere un ripristino delle normali funzioni mentali è infatti condizionata dalla tempestività
dell'intervento diagnostico e terapeutico.
La tabella 1 mostra i sintomi che possono costituire una spia per la presenza di demenza.
Tabella 1
Sintomi che possono suggerire la presenza di demenza. La presenza di difficoltà
anche in uno solo dei compiti o delle attività descritte richiede una valutazione
medica.
La persona ha difficoltà nello svolgere le attività ed i compiti sotto elencati?
Apprendere e ricordare nuove informazioni. E’ più ripetitivo, ha problemi a ricordare il
contenuto di recenti informazioni, eventi, appuntamenti. Perde frequentemente oggetti,
per esempio le chiavi di casa?
Eseguire compiti complessi. Ha problemi a effettuare attività che richiedono più fasi in
sequenza, per esempio preparare un pasto?
Orientamento spaziale e temporale. Ha problemi a guidare l’auto ed a trovare la via di
casa. Si è perduto il luoghi non familiari. Non è in grado di sapere che giorno è o in che
mese siamo. Dimentica di ritirare la pensione o si reca insistentemente presso gli uffici
postali per ritirarla?
Linguaggio. Ha difficoltà nel trovare le parole per esprimersi. Ha difficoltà a denominare
oggetti comuni e li indica con “il coso”, “la cosa” o con giri di parole?
Comportamento. Appare più passivo, meno coinvolto nelle attività familiari. È più irritabile
del solito; è diventato sospettoso; talora fa accuse infondate?
Un aspetto fondamentale per orientare il medico sulla genesi dei disturbi mentali è
costituito dalla raccolta delle informazioni sulla storia recente e passata del malato;
l'apporto dei familiari o di chi conosce il paziente è molto importante. Accanto all'esame
del malato, le indagini necessarie per confortare l'orientamento diagnostico sono costituite
dall'analisi del sangue e delle urine, da una radiografia del torace, un cardiogramma e
dalla TAC (cioè la Tomografia assiale computerizzata) del cervello. La diagnosi di malattia
di Alzheimer viene formulata quando sono state escluse altre condizioni patologiche e
anche qualora gli esami abitualmente eseguiti fossero assolutamente normali. La TAC
dell'encefalo, per esempio, nelle fasi iniziali della malattia può essere indistinguibile da
quella di una persona normale.
La prognosi di una condizione di demenza non suscettibile di intervento risolutivo è
condizionata dal tipo di demenza, e dai sintomi che la caratterizzano, nonché dall'età della
persona. L'evoluzione è abitualmente più rapida nei giovani ed in coloro che presentano
precocemente disturbi nella comunicazione (difficoltà nel reperimento delle parole o di
comprensione del linguaggio). Anche la presenza di disturbi del comportamento
(agitazione, deliri, vagabondaggio, insonnia) accelerano la progressione della malattia.
Nell'anziano l'evoluzione è condizionata dalla presenza di altre malattie concomitanti. Nel
caso della demenza multi-infartuale (demenza vascolare ischemica), l'evoluzione della
malattia avviene classicamente "a gradini": a rapidi peggioramenti dell'autonomia si
alternano fasi di relativa stabilizzazione delle condizioni generali del malato. In
quest'ultima condizione, contrariamente a quanto avviene nella malattia di Alzheimer, il
malato conserva anche nelle fasi avanzate di malattia alcune capacità cognitive.
I pazienti dementi raramente decedono per conseguenza diretta della malattia; la causa è
costituita da polmonite, disidratazione, malnutrizione, infezioni, piaghe da decubito oppure
da malattie età correlate, quali i tumori o patologie cardiocircolatorie.
DEMENZA ED EREDITARIETA’
“Quale rischio ho di sviluppare l’Alzheimer?”. E’ questo uno fra i più frequenti interrogativi
che viene posto al medico da parte dei familiari dei pazienti affetti da demenza di
Alzheimer. Dovendo rispondere ad un numero ampio di lettori e non al singolo familiare
con problemi specifici, la risposta deve essere obbligatoriamente articolata. Se si
escludono le forme di demenza ereditarie, che riguardano solo l’1% dei dementi (vedi
oltre), nel restante 99% dei casi vi è una quota del 25% per la quale è dimostrabile una
familiarità generica, mentre per il restante 74% dei casi non è possibile rilevare alcun tipo
di legame ereditario. Nel 25% dei casi esiste una familiarità generica; il rischio è analogo a
quello del figlio di un genitore con ipertensione arteriosa o con diabete. Ossia, vi è una
generica predisposizione, lievemente maggiore rispetto a quella di figli i cui genitori non
sono affetti da demenza. Si tratta di un rischio che, per ora, non è quantificabile a priori.
Nella grande maggioranza dei casi, pertanto, la malattia si manifesta in modo casuale,
imprevedibile, in assenza di una trasmissione genetica diretta.
Il quesito riguarda essenzialmente la malattia d Alzheimer ed altre più rare demenze
degenerative quali per es. la malattia di Pick. E’ rispetto a queste malattie degenerative
che la ricerca genetica degli ultimi anni e degli ultimi mesi - tale è la velocità con la quale
si accrescono le nostre conoscenze - ha fornito informazioni significative rispetto al
contributo della genetica.
La genetica si occupa di come le caratteristiche di un individuo (tratti normali o malattie)
vengono tramandate di generazione in generazione.
Da alcuni anni è in corso nella comunità scientifica mondiale il Progetto Genoma la cui
finalità consiste nel determinare il significato ed il ruolo dei geni, piccoli frammenti di cui
sono costituiti i cromosomi sui quali sono “scritte” le informazioni per la produzione di
sostanze utili per la crescita e la sopravvivenza. Questo ciclopico progetto ha consentito di
identificare numerosissime alterazioni a carico del patrimonio genetico responsabili di
malattie per le quali, in futuro, si pensa di poter intervenire correggendo il difetto
all’origine, ossia a livello del singolo gene.
Anche per la malattia di Alzheimer le nostre conoscenze relative agli aspetti genetici si
sono notevolmente ampliate. Oggi infatti conosciamo alcuni difetti genetici responsabili
dello sviluppo di malattia di Alzheimer ed altre caratteristiche del patrimonio genetico che
possono influenzare –proteggere o, al contrario, favorire- la comparsa di demenza.
Esistono due tipi fondamentali di investigazioni genetiche in caso di malattia di Alzheimer
e di altre malattie che possono essere geneticamente influenzate:
Test genetici predittivi: si tratta di test genetici che sono in grado di rilevare se un soggetto
sano, non affetto da malattia di Alzheimer, ha la possibilità di contrarla e con quale
percentuale di probabilità (100% oppure 0%)
Nel caso della malattia di Alzheimer, circa l’ 1% dei casi è attribuibile ad un gene alterato
la cui trasmissione determina il 100% di probabilità di sviluppare la malattia. Oggi
conosciamo alterazioni di tre geni che determinano la comparsa di malattia di Alzheimer.
Sono i geni mutati della Presenilina 1 (PS1) sul cromosona n.14, della presenilina 2 (PS2)
sul cromosoma n.1, e della proteina precursore dell’amiloide (APP) localizzato sul
Cromosoma n.21, che determinano un rischio del 100% di sviluppare la malattia.
Abitualmente, queste forme ereditarie esordiscono in giovane età, 40-50 anni, ed hanno
una chiara distribuzione familiare, ossia sono noti ai familiari casi di demenza a vari livelli
generazionali. In questa circostanza il test predittivo trova giustificazione.
Tuttavia resta aperto il problema dell’età di comparsa della malattia associata a queste
alterazioni genetiche.
La alterazioni a carico del gene per la proteina precursore dell’amiloide si associano ad
un esordio tra i 40 e i 65 anni; quelle della Presenilina 1 tra 30 e 65 anni e quelle della
Presenilina 2 tra 40 e 90 anni. Questa ampia variabilità nell’età di insorgenza della
malattia diminuisce, quantomeno limita, l’utilità del test predittivo dal punto di vista del
soggetto che si sottopone al test stesso.
Test genetici di rischio. Identifica, in un soggetto sano, un fattore di rischio genetico (non
necessariamente un’alterazione) che può aumentare la probabilità di sviluppare la
malattia. L’assenza del fattore di rischio non esclude la contrazione della malattia, cosi
come la presenza non è invariabilmente associata alla comparsa della malattia. In questo
ambito è stato identificato il gene della apolipoproteina E della quale esistono tre forme:
E2, E3 ed E4, sotto il controllo di un gene localizzato sul cromosoma n. 14. Mentre l’E2
svolge un ruolo protettivo a livello cerebrale di fronte ad insulti di varia natura (ischemia o
traumi per esempio), l’E4 svolge un ruolo opposto, contrastando o non favorendo i
meccanismi di riparazione dei tessuto dopo una lesione. Questo è il motivo per il quale i
soggetti portatori di E4 hanno un rischio maggiore di contrarre la malattia di Alzheimer
rispetto ai portatori di E2. Non si tratta comunque di un rischio assoluto. Esistono infatti
portatori di E2 che sviluppano malattia di Alzheimer e portatori di E4 che non la
sviluppano. Perciò questo test ha scarso valore nella pratica clinica quotidiana, ossia nella
gestione del paziente, soprattutto nel soggetto normale.
I FATTORI DI RISCHIO
Si definiscono fattori di rischio condizioni e caratteristiche dello stile di vita la cui presenza
favorisce, ma non determina con un meccanismo di causa-effetto, la comparsa di una
malattia. La loro conoscenza e la loro correzione o rimozione consente di effettuare una
prevenzione della malattia prima che questa si manifesti.
Nel caso delle malattie cardiocircolatorie sono stati identificati più di 200 fattori di rischio.
La sedentarietà e l’eccessivo consumo di grassi ed il fumo di sigaretta, l’ipertensione
arteriosa, l’obesità , per esempio, sono fra i più noti fattori di rischio per l’arteriosclerosi.
Per la malattia di Alzheimer le nostre conoscenze sui fattori di rischio sono tuttora in una
fase iniziale: molti sono gli imputati, ma poche le prove e gli indizi che consentono con
sicurezza di fornire indicazioni preventive efficaci. Se si esclude una lieve prevalenza nel
sesso femminile, la cui causa è sconosciuta, la malattia di Alzheimer interessa, senza
distinzioni, gruppi etnici e classi sociali diversi. La prevalenza della malattia aumenta con
l’età, che costituisce pertanto il fattore di rischio più consistente per lo sviluppo della
malattia, soprattutto tra 75 e 85 anni. Tuttavia, fra i centenari la malattia di Alzheimer
sembra rara; oltre i 90 anni sembra infatti che il rischio di malattia si stabilizzi attorno al
20% della popolazione e nei centenari sembra ridursi. Ciò indica che esistono altri fattori
che interagendo con il processo di invecchiamento determinano la comparsa della
malattia.
Nella tabella 2 sono riportati fattori di rischio per la malattia di Alzheimer; si noti che per la
maggior parte le prove a favore o contro sono tuttora inconsistenti. Si tratta di fattori che
sono oggetto di un’accesa discussione e di vivace ricerca, soprattutto il consumo di
farmaci antidolorifici e l’assunzione di estrogeni nella post-menopausa.
Tabella 1
Fattori di rischio per la malattia di Alzheimer
Età avanzata (**)
Familiarità (**)
Sesso femminile (?)
Bassa scolarità (*)
Traumi cranici (?)
Depressione (*)
Ipotiroidismo (?)
Diabete (?)
Esposizione a alluminio e zinco (?)
Fumo di sigarette (ruolo protettivo)(?)
Estrogeni (ruolo protettivo)(?)
Consumo di farmaci antidolorifici (ruolo protettivo)(?)
Consumo di sostanze anti-ossidanti (per es. la vitamina E)(ruolo protettivo)(?)
** le prove sono consistenti
*le prove sono parzialmente consistenti
? prove insufficienti
I PROBLEMI ED IL LORO TRATTAMENTO
COME AFFRONTARE I PROBLEMI ASSISTENZIALI QUOTIDIANI
Superata la fase della diagnosi, per alcune persone (15-20%) c'è la possibilità di un ritorno
alla normalità, grazie ad interventi chirurgici o ad opportuni trattamenti farmacologici. Nella
maggior parte dei casi, tuttavia, inizia un percorso caratterizzato dall'evoluzione della
demenza, costellato di problemi che coinvolgono l'intera famiglia ed i servizi sanitari ed
assistenziali.
La storia di un paziente è profondamente diversa rispetto a quella di ogni altro. È pertanto
difficile definire, se non in linea generale, quale possa essere la successione dei problemi.
È consigliabile che questi ultimi vengano affrontati man mano si presentano, tramite un
colloquio costante con il proprio medico di fiducia. Maggiore importanza per i familiari
riveste la conoscenza delle cause di alcuni sintomi e delle modalità più corrette per
affrontarli. Soprattutto è importante adottare e mettere in atto interventi affinché, nel limite
del possibile, molti problemi possano essere evitati o prevenuti. È necessario essere
consapevoli che l'evoluzione della malattia impone ai familiari un costante adeguamento
nel proprio atteggiamento e nelle proprie aspettative alle mutate condizioni del malato. È
altrettanto importante sapere che, malgrado l'evoluzione progressiva della malattia, c'è
sempre lo spazio per fare qualcosa, perché il malato viva con dignità. C'è sempre lo
spazio per tamponare lo stress e conservare una buona qualità di vita.
Non si tratta di adottare un atteggiamento forzatamente dominato da un vuoto ottimismo;
al contrario è necessario sapere che, anche nel malato più grave, c'è sempre lo spazio e
l'opportunità per migliorare le condizioni di vita. Lo sforzo di creare condizioni che
contrastino le sopravvenute disabilità richiede affetto, pazienza, ottimismo, fantasia e
versatilità; queste qualità vengono mostrate dalla grande maggioranza dei familiari che si
impegnano affinché il proprio caro possa vivere "comunque" nel migliore dei modi.
L'amore, la generosità, l'affetto e la gratitudine possono essere corroborate e rafforzate,
ed il senso di frustrazione attenuato, dalla conoscenza della malattia e da alcuni consigli
su come gestire i problemi assistenziali. L'atteggiamento più corretto deve evitare da una
parte il senso di disperazione e di impotenza, dall'altra le false speranze. È fondamentale,
infine, che i fornitori d'assistenza dispongano, fin dall'inizio della malattia, di spazi di
tempo libero nell'arco della giornata, ricorrendo a familiari, amici oppure ai servizi pubblici.
Nelle pagine seguenti vengono affrontati i problemi principali che caratterizzano il decorso
della demenza.
LA COMUNICAZIONE
E’ noto che la malattia di Alzheimer e le altre demenze compromettono le capacità di
comunicazione del paziente. D’altra parte la capacità di comunicare con il paziente
demente (cioè di capire ed essere capiti) da parte dei familiari e degli operatori costituisce
il fondamento del successo di qualsiasi strategia assistenziale. Il demente è in grado di
ascoltare, ma talvolta può non capire ciò che gli si dice, così come può manifestare
difficoltà nell’utilizzo corretto delle parole. Infatti, il vocabolario di parole che una persona
ha acquisito si riduce, con la conseguenza che il paziente tenderà ad utilizzare frasi
sempre più "povere" con vocaboli semplici e di uso comune oppure ricorrerà a frasi o
parole passepartout: per esempio, per indicare un oggetto di cui non ricorda il nome, dirà
"quella cosa li" oppure "dammi la cosa che serve per mangiare". Dall'altra la capacità di
memorizzare il contenuto di ciò che un interlocutore gli sta dicendo si affievolisce sempre
più. Le difficoltà di comunicazione con la persona affetta da demenza hanno quindi
certamente alla base i deficit sensoriali, gnosici (cioè di comprensione), mnesici, linguistici
del paziente, ma anche l’atteggiamento di chi si pone in contatto con il paziente assume
grande importanza. La mancanza di consapevolezza (per ignoranza o per meccanismi di
difesa psicologici) porta i familiari o gli operatori ad usare strategie comunicative errate
(cioè non mirate al demente, ma mirate ad una persona “normale”) e ad essere
sostanzialmente incapaci sia di capire che di farsi capire. Questi atteggiamenti sono tra le
cause più frequenti dei fallimenti dei programmi di cura ed assistenza, determinando
frustrazioni dei caregivers e disturbi del comportamento nel paziente.
La capacità degli operatori e dei familiari di interpretare il linguaggio del demente,
fatto non più di espressioni verbali compiute e significanti, ma spesso fatto di
comportamenti (anche “anormali” rispetto a standard usuali), di atteggiamenti del corpo, di
espressioni del viso, è di fondamentale importanza per stabilire una relazione significante.
Se la forma del linguaggio del demente è spesso di difficile comprensione, ancor più lo è il
contenuto. Fra i contenuti più frequenti vi sono quelli di tipo depressivo ed ansioso. Quale
significato dare al pianto, alla paura, all’apatia ed alla chiusura del paziente demente
anche grave? E’ il segno di una “sofferenza” psicologica? di un disagio ambientale? di un
danno neurobiologico? di un elemento di personalità predisponente? Un problema
particolare riguarda il rapporto fra il paziente demente ed il medico. Il rapporto
medico-paziente è basato fondamentalmente, e da sempre, su modalità comunicative. Il
paziente si rivolge infatti al medico prima di tutto per comunicare una sofferenza ed un
disagio ed il medico fonda la sua abilità diagnostica, prima che sul risultato di esami più o
meno complessi e moderni, sulla sua capacità di comprendere ed interpretare i messaggi
(verbali e non) del suo paziente. Anche la risposta terapeutica si fonda prima ancora che
sulla prescrizione sulla comunicazione; anzi la stessa efficacia dei farmaci è, in molte
condizioni, fortemente condizionata dalla comunicazione del medico stesso. La malattia di
Alzheimer (e la demenza in generale) introduce in questo paradigma elementi
assolutamente peculiari che riguardano sia le capacità di “espressione” che di
“comprensione” del paziente demente. I complessi deficit cognitivi che si manifestano
nella persona affetta da demenza, infatti, compromettono la capacità del paziente di
esprimere in modo diretto la presenza dei sintomi. E’ generalmente chi sta intorno al
paziente (i familiari, gli amici, i colleghi di lavoro) che si rende conto che “c’è qualcosa che
non va”, che il paziente “non è più lui” e pertanto si rivolgono al medico. Questo non
significa che il demente perda completamente la consapevolezza della propria condizione
di malattia, ma che talora questa avviene più a livello di percezione che di manifestazione
razionale. Così il paziente esprimere questa sensazione di malattia per lo più attraverso
variazioni dell’umore, perdita degli interessi, sintomi d’ansia, paure, irritabilità,
depressione. Talora in realtà i pazienti, anche i più gravi, possono avere momenti (talvolta
fugaci, ma anche, meno raramente di quanto si possa credere, frequenti e persistenti) nei
quali esprimono con terribile chiarezza la loro consapevolezza.
Un problema complesso nella gestione clinica e nell’assistenza alle persone
dementi è la compromissione della capacità di riferire sintomi che riguardano malattie del
corpo. I pazienti affetti da tendenza tendono generalmente a sotto-riferire i sintomi di
malattia somatica e pertanto possono essere a maggiore rischio per malattie somatiche
"occulte" e molte condizioni patologiche potenzialmente trattabili vengono misconosciute.
Inoltre, le manifestazioni cliniche delle malattie somatiche possono essere atipiche e
stereotipate nei soggetti dementi e la comparsa di malattie acute o la riacutizzazione di
quelle croniche manifestarsi con stati confusionali, alterazioni comportamentali
(agitazione, insonnia, affaccendamento, deliri o allucinazioni).
Altro elemento fondamentale del rapporto con la persona demente è la capacità di
“farsi capire”, utilizzando strategie comunicative che, cercando di superare i limiti di
comprensione del paziente, hanno come fondamentale obiettivo la possibilità di
mantenere un legame fra il paziente ed il modo delle persone che lo circondano,
particolarmente i familiari e chi ha la responsabilità della salute. La comunicazione è sia
verbale che non-verbale. Uno dei primi sforzi che devono compiere le persone che vivono
con un demente è quello di rendere più semplice (e quindi comprensibile) la
comunicazione verbale. Vi sono alcune semplici regole da seguire: parlare lentamente, ad
un normale livello di voce, scandendo le parole; usare parole brevi, familiari e frasi
semplici; porre solo una domanda o richiesta o ordine per volta; preferire le espressioni
positive piuttosto che quelle negative; evitare istruzioni che richiedano al paziente di
ricordare più di una azione alla volta; rispondere alle stesse domande con le stesse
risposte.
In questa situazione assume grande significato la comunicazione non verbale; il
paziente demente, infatti, è molto sensibile all’atteggiamento del corpo ed al tono della
voce. Un atteggiamento rilassato, una voce calma, e modi rassicuranti aiutano una buona
comunicazione con il paziente, così come accompagnare le istruzioni con atteggiamenti
che mimano ciò che si vuole dal paziente (le azioni parlano più delle parole) e mostrare
l’approvazione per ciò che viene fatto bene (un sorriso, una carezza). Quando il paziente
fatica a comprendere le parole scritte si potranno utilizzare manifesti e segnali per
ricordare al paziente che cosa e come deve utilizzare le cose.
La possibilità di “farsi capire” è un elemento che permette di mantenere un legame
affettivo “vitale” con i familiari e costituisce, all’interno dell’abitazione, così come negli
ambienti di cura od assistenza, la premessa per qualsiasi intervento terapeutico o
riabilitativo.
L'ABBIGLIAMENTO E LA CURA DELLA PERSONA
Una regola generale di tutte le attività giornaliere (vestirsi, lavarsi, mangiare, ecc.) consiste
nell'evitare di aiutare troppo il malato. Se questi non è incoraggiato a compiere un'attività
quotidiana tenderà a perdere più precocemente la capacità di compierla. Al contrario è
importante stimolarlo il più possibile a cavarsela da solo: le abitudini e le capacità perse
non si riacquistano più.
La difficoltà a scegliere i vestiti ed a indossarli nella sequenza corretta rappresenta uno
dei sintomi più precoci che compaiono dopo i primi due-tre anni di malattia. Questa
incapacità deriva sia dalla compromissione della memoria, sia dalla difficoltà ad eseguire
compiti di precisione, quali l'allacciarsi le scarpe, fare il nodo alla cravatta oppure
allacciare un bottone.
Anche se la persona è capace di vestirsi da sola, è consigliabile restarle vicino; può
essere necessario ricordarle quali capi indossare. È necessario limitare il numero dei
vestiti nell'armadio: troppi creano confusione e rendono difficile la scelta. Se il malato non
è in grado di scegliere i vestiti è opportuno preparare i singoli indumenti già in ordine
corretto per la vestizione: prima la biancheria, poi i vestiti, quindi le scarpe.
Se la persona indossa un indumento in modo sbagliato, è opportuno intervenire con molto
tatto, aiutandola a ripetere l'operazione in modo corretto. Se compaiono difficoltà
nell'allacciatura è utile dotare gli abiti di lunghe cerniere lampo o chiusure in velcro.
È preferibile evitare che la persona stia tutto il giorno in pantofole: scarpe ben allacciate
costituiscono un utile sostegno per il piede ed aiutano a deambulare con sicurezza.
Un aspetto esteriore curato e ordinato è molto importante per la dignità del malato: anche
se mostrerà un progressivo calo di interesse per il proprio aspetto, è necessario esortarlo
a prendersene cura, per esempio lodandolo quanto è ben vestito e pettinato e
conducendolo periodicamente dal parrucchiere. Fin dalle prime fasi della malattia, è
consigliabile persuadere il malato ad utilizzare un rasoio elettrico: così sarà in grado di
continuare a radersi per più tempo e soprattutto senza pericolo.
L'ALIMENTAZIONE
La persona malata può essere sempre meno interessata all'alimentazione oppure, al
contrario richiedere insistentemente del cibo, talvolta anche a breve distanza dal pasto
precedente; può inoltre avere problemi nel mangiare certi cibi o nell'usare le posate. È
regola fondamentale che l'alimentazione si a ben bilanciata e contenga tutti gli elementi
essenziali: proteine, grassi, carboidrati, fibre, vitamine, minerali ed una buona quantità di
liquidi, almeno un litro al giorno. È importante informare sempre l'ammalato di quale pasto
della giornata si appresti a consumare (colazione, cena, merenda, ecc.) e consentendogli
di scegliere ciò che desidera. Può essere utile servire una portata per volta e solo dopo
che questa è stata finita passare alla successiva. Un criterio generale da seguire sempre
consiste nel non travolgere la persona con una eccessiva offerta: costringerla a fare una
scelta può solo disorientarla ed aumentarne la confusione. È fondamentale che i denti (o
la dentiera) siano in buono stato.
Poiché le operazioni del pasto diventano sempre più difficoltose, è consigliabile usare
tovaglie di plastica, tovaglioli molto assorbenti, bicchieri che non si rovesciano. Qualora il
malato tenda ad usare le mani è opportuno fare in modo che i cibi vengano serviti in forma
solida ed in bocconi che possano essere facilmente deglutiti. È preferibile riservare il
pasto principale all'ora di pranzo, in modo da limitare problemi digestivi serali o
irrequietezza durante la notte.
Se la persona rifiuta di mangiare cibi essenziali, è necessario ricorrere ad integratori
alimentari.
Se non esistono condizioni di malattia quali il diabete o altre che richiedono una dieta
specifica, nell'Alzheimer l'alimentazione è assolutamente libera e deve essere, oltre che
fonte di nutrimento per l'organismo, anche un momento piacevole della vita quotidiana. È
buona regola, pertanto, variare quotidianamente il menu ed accondiscendere alle richieste
del malato.
LE PIAGHE DA DECUBITO
Con il termine di "piaga da decubito" si intende una lesione localizzata della cute e dei
tessuti sottostanti, causata da una prolungata ed eccessiva pressione che si sviluppa sulle
parti del corpo a contatto con il piano di appoggio.
La comparsa di piaghe da decubito è particolarmente frequente nella terza età; è causata
dall'immobilità ed da altri fattori di rischio frequenti nella popolazione geriatrica.
Le piaghe da decubito sono diffuse soprattutto nei reparti dove le attrezzature sanitarie
sono inadeguate ed il personale di assistenza non è numericamente sufficiente ed
opportunamente istruito.
I pazienti con piaghe da decubito e quelli a rischio mostrano una maggiore utilizzazione
delle risorse sanitarie; la lunghezza media in caso di ricovero è infatti dalle 3.5 alle 5 volte
superiore. È stato calcolato che una volta che una piaga da decubito ha cominciato a
svilupparsi, il tempo di assistenza aumenta del 50%. Inoltre, coloro che sopravvivono
presentano un elevato rischio di essere istituzionalizzati.
Sono state proposte numerose classificazioni delle piaghe, ma ancora oggi non è stato
chiarito completamente il tipo e l'importanza dei fattori che le provocano.
Fra tutti i fattori che condizionano la comparsa di piaghe l'immobilità è sicuramente la più
importante. Molte malattie fisiche e psichiche possono esserne causa nell'anziano; le più
comuni sono i disordini muscolo-scheletrici (frattura di femore, artrosi), neurologici (esiti di
paralisi) e cardiovascolari (grave scompenso cardiaco, arteriopatie obliteranti periferiche).
L'immobilità agisce principalmente tramite due meccanismi: la compressione e lo
stiramento, che bloccano l'afflusso di sangue alla cute.
Nelle persone sane non si sviluppano le piaghe da decubito anche se stanno a letto o
sedute per lungo tempo, perché le zone compresse sono dolenti e inducono al
movimento, con il quale si ripristina il flusso sanguigno. Nell'anziano, per modificazioni
della sensibilità tattile e dolorifica che accompagnano molte malattie, tale meccanismo di
difesa è inefficiente e può addirittura mancare. L'immobilità riduce od elimina totalmente la
capacità di compiere i movimenti volontari ed involontari necessari per scaricare
periodicamente le zone sottoposte a compressione. Una pressione elevata per un tempo
breve è meno lesiva per la cute che una bassa pressione per lunghi periodi.
L'incontinenza fecale è un fattore di rischio per lo sviluppo delle piaghe da decubito più
importante rispetto all'incontinenza urinaria; se confrontata con l'immobilità ha però un
ruolo secondario, che è basato sulla macerazione cutanea e sull'azione di batteri e
tossine.
Le piaghe da decubito riconoscono spesso cause farmacologiche, come l'uso di sonniferi
e tranquillanti, che favoriscono la tendenza al sonno ed all'immobilità. Anche la scarsa
attenzione ed impegno terapeutico nei confronti del paziente, l'insufficiente sorveglianza
ed istruzione del personale di assistenza, la sottovalutazione del danno iniziale e l'uso non
corretto dei presidi sanitari (padella, catetere, lenzuola, velli) sono da annoverare fra le
cause legate ad un errato intervento sanitario.
Alla base della prevenzione delle piaghe da decubito sta l'identificazione del paziente a
rischio. In tal modo è possibile concentrare su pochi soggetti l'uso di tecniche specifiche e
l'impegno assistenziale, che non possono essere estesi a tutta la popolazione geriatrica.
È a "rischio" il paziente che non è in grado di compiere movimenti volontari o involontari
tramite i quali scaricare periodicamente la pressione cui sono sottoposte le aree del corpo
a contatto con la superficie di appoggio.
Senza l'eliminazione della pressione locale ogni misura preventiva e terapeutica è inutile.
Per ridurre la pressione locale sono stati ideati vari tipi di presidi dotati di "superfici mobili"
e di "superfici non rigide", come il materasso a pressione alternata, il letto a piano di
appoggio variabile, il letto elettrico rotante e rispettivamente il materasso ad acqua ed il
materasso di materiale supersoft.
È importante precisare che l'uso di presidi antidecubito diminuisce, ma non elimina il
bisogno di cambiamenti di posizione. Non esiste un'unica posizione corretta per il riposo a
letto, perché è fondamentale il cambiamento periodico del decubito.
Il paziente non deve mai giacere sulla sede della piaga nemmeno per pochi minuti, anche
in presenza di presidi antidecubito. Girando il paziente ad intervalli di due ore, giorno e
notte, si riduce la durata della pressione localizzata e si permette la ricircolazione del
sangue nella cute, minimizzando così il rischio delle piaghe.
Il cambiamento di posizione è un metodo tradizionale di prevenzione delle piaghe da
decubito e presenta alcuni limiti, come l'enorme tempo di assistenza richiesto ed il
disturbo arrecato al paziente, soprattutto se i movimenti sono dolorosi. La notte è il
momento di maggior rischio, perché l'attività generale è minore e la tendenza naturale
porterebbe a non disturbare il paziente.
LE CADUTE
Particolare importanza riveste la prevenzione delle cadute a causa della loro potenziali,
gravi, conseguenze. Le cause di caduta nel paziente con demenza, come nella
popolazione anziana generale, sono molteplici. È necessario valutare, ai fini preventivi,
rischi quali il consumo di farmaci (sedativi, sonniferi, antidepressivi...), nonché la presenza
di patologie concomitanti; poiché numerose malattie possono causare cadute, queste
ultime devono essere considerate "eventi spia" per la presenza di una patologia che va
accuratamente ricercata.
Come prevenire le cadute, che sono caratterizzate nell'anziano da pesanti conseguenze
sulla sopravvivenza e sulla qualità della vita?
L'evento "caduta" risulta della combinazione di più condizioni o fattori di rischio, alcuni dei
quali sono modificabili. Le mutate condizioni dell'anziano per quanto riguarda il controllo
dell'equilibrio e dell'andatura sono in parte legate all'invecchiamento fisiologico ma
soprattutto alla presenza di malattie croniche. È risaputa l'importanza della cura delle
malattie nel prevenire le cadute e degli interventi di riabilitazione per migliorare le capacità
di deambulazione. Altrettanto importanti sono le caratteristiche dell'ambiente in cui
l'anziano vive.
L'anziano viene a trovarsi, col tempo, in un ambiente (sia domiciliare, ospedaliero o
istituzionale), che non è stato pensato né realizzato per venire incontro ai suoi bisogni. Nel
demente l'ambiente diviene progressivamente sempre più estraneo per la perdita della
capacità di riconoscerne le caratteristiche.
In camera da letto possibili fattori di rischio di caduta sono la mancanza delle luci notturne,
la difficile accessibilità agli interruttori della luce, ed in particolare l'altezza del letto o della
poltrona, che se non corretta rende molto difficile il coricarsi ed alzarsi dal letto. Il bagno è
uno spazio ad elevato rischio di caduta: tutti i servizi sanitari, dalla vasca alla doccia, al
bidet sono potenziali cause di scivolamento, sia per le caratteristiche di queste superfici
bagnate, sia per i movimenti impegnativi che vengono effettuati durante la toilette.
Per l'anziano che vive solo le scale sono la sede più comune di caduta, dovuta molte volte
alla scarsa illuminazione o ad un'insufficiente lunghezza del corrimano. Circa il 10% delle
cadute avviene sulle scale, e maggiormente durante la discesa per mancato
riconoscimento dell'ultimo gradino. Il corridoio ed altri spazi normalmente presenti nelle
case di riposo (giardino, sala TV, chiesa), nonché la cucina per i residenti a domicilio,
sono spesso caratterizzati dalla presenza di ostacoli ambientali quali scaffali, armadietti,
vasi di fiori, e ancora tappeti o passatoie non fissi, e da pavimentazioni sconnesse. Inoltre,
il rischio di una perdita dell'equilibrio aumenta quando le condizioni ambientali stesse
sono meno note: per esempio quando si cambia casa, oppure quando il vecchio è da
poco ricoverato in ospedale, o in casa di riposo.
Nella maggior parte dei casi le cadute avvengono durante l'esecuzione delle attività
abituali, come camminare o cambiare posizione. Solo una minoranza delle cadute avviene
durante attività pericolose, come salire sulla sedia o praticare uno sport.
Quali possono essere le principali modifiche all'ambiente che si possono introdurre sia al
domicilio sia in casa di riposo?
L'illuminazione adeguata è un presupposto importante per la prevenzione delle cadute.
L'ambiente deve essere illuminato con luce diffusa e non diretta, senza zone d'ombra; gli
interruttori vanno posizionati in base alla statura media dei soggetti, all'ingresso di ogni
stanza. Utili sono le luci notturne messe in passaggi pericolosi come tra la camera da letto
ed il bagno, oltre che nelle stesse stanze.
La regolarità dei pavimenti e dei gradini delle scale è molto importante e deve essere
controllata periodicamente; i tappeti o le passatoie vanno fissati a terra. Per evitare che il
pavimento sia scivoloso, nella cucina e nel bagno è consigliabile l'adozione di tappetini
antiscivolo ed in tutti gli ambienti le comuni cere per pavimenti andrebbero sostituite con
preparati antiscivolo che garantiscono la stessa lucidità ed igiene. I corrimano devono
essere collocati lungo le scale, da ambo i lati, e per tutta la lunghezza delle scale; in
bagno sono indispensabili le maniglie di appoggio orizzontali o verticali, e, quando
possibile, l'adeguamento dell'altezza dei sanitari agli standard suggeriti dalla legge.
In camera, per prevenire le cadute durante le fasi di entrata e di uscita dal letto, è
possibile adeguare l'altezza del letto stesso, che deve essere leggermente più alto (60
cm. da terra) per i soggetti con difficoltà alla deambulazione.
In tutti gli altri ambienti è importante liberare i percorsi abituali da vasi, armadi o altri
ostacoli ingombranti, ed eliminare poltrone o sedie troppo basse: sono consigliate sedie
con schienale rigido ed i braccioli. Adeguare l'ambiente alla persona anziana non significa
tuttavia apportare modifiche tali da peggiorare l'estetica di un appartamento o di una casa
di riposo: è possibile infatti, senza privare l'anziano dei propri ricordi, migliorare la
funzionalità dell'ambiente in cui vive, per renderlo più sicuro.
Talvolta la zona notte è ubicata al piano superiore rispetto al giorno e ciò richiede
l'impiego delle scale; se vi è pericolo di caduta oppure il paziente non deambula quasi più
può essere opportuno attrezzare un angolo del piano giorno con un letto ed un comodino,
possibilmente vicino al bagno.
Gli interventi necessari per creare un ambiente privo di rischi possono richiedere un
impegno finanziario. I benefici di questi interventi sono comprensibili se si pensa alle
possibili conseguenze di una caduta nella persona anziana, quali l'ospedalizzazione o il
ricovero in una residenza sanitaria assistenziale, accompagnati da compromissione
dell'indipendenza, e della qualità della vita.
L'INCONTINENZA
La comparsa di incontinenza accompagna costantemente ogni forma di demenza.
Nella malattia di Alzheimer l'incontinenza si manifesta in uno stadio intermedio della
malattia. Nella demenza vascolare ischemica (arteriosclerotica) può essere presente fin
dalle fasi iniziali.
L'incontinenza può inoltre essere il primo e precoce segno, accanto al disturbo di memoria
e a difficoltà nella deambulazione, di una forma di demenza suscettibile di guarigione
quale l'idrocefalo normoteso.
Più in generale l'incontinenza è presente nel 40-60% dei pazienti dementi deambulanti;
tuttavia è un sintomo che spesso può essere controllato o curato.
Le principali cause reversibili di incontinenza urinaria sono lo stato confusionale acuto, la
riduzione dell'autonomia nella deambulazione e l'allettamento, le infezioni, la stitichezza,
ed i farmaci. Prima di considerare l'incontinenza incurabile è necessaria un'accurata
valutazione di queste cause. La comparsa di incontinenza deve indurre pertanto a cercare
il consiglio di un medico.
Spesso i pazienti dementi non sono in grado di inibire la minzione per il tempo necessario
a raggiungere la toilette. In questo caso è necessario provvedere con raccoglitori di urine
portatili. Anche l'impiego di un abbigliamento che sia facile da togliere, sostituendo le
cerniere o i bottoni con chiusure a strappo, può facilitare la continenza. Spesso il paziente
demente non sa dove è localizzata la toilette; in questo caso possono essere utili
indicazioni colorate che tracciano il percorso verso il bagno. L'impiego dei colori per
indicare la destinazione d'uso di un ambiente consente di superare la difficoltà che molti
pazienti hanno a leggere cartelli riportanti scritte. D'altra parte può essere utile l'impiego
contemporaneo di cartelli purché le indicazioni scritte siano chiare e ben leggibili.
Una volta instauratasi un'incontinenza irreversibile, è opportuno programmare la minzione,
accompagnando periodicamente il paziente in bagno ogni 2-3 ore, soprattutto appena si
sveglia al mattino, prima di coricarsi e una volta durante la notte. Può essere utile
impiegare raccoglitori per urine esterni soprattutto di notte e limitare l'apporto di liquidi
nelle ore serali.
L'impiego del catetere vescicale a permanenza è da limitare il più possibile poiché
predispone alle infezioni urinarie ed ha conseguenze negative sul piano psicologico.
L'impiego del catetere vescicale può essere preso in considerazione nel paziente
allettato con piaghe da decubito, oppure quando l'incontinenza non può essere corretta
con interventi medici, chirurgici o con presidi esterni.
La tempestiva valutazione delle forme reversibili di incontinenza ed il corretto controllo
delle forme croniche consentono di limitare le conseguenze fisiche e psicologiche a carico
del paziente, il sovraccarico assistenziale dei familiari e degli operatori nonché di
contenere l'impatto economico derivante dal ricorso ai presidi per l'incontinenza
(pannoloni).
LE MALATTIE CONCOMITANTI
Il paziente demente è a rischio di sviluppare malattie -quali, per esempio, cadute,
disidratazione, stitichezza, riacutizzazione o scompenso di malattie croniche,
malnutrizione- che aumentano ulteriormente il grado di dipendenza. La presenza di una
malattia anche di lieve entità può rappresentare la causa di un'accentuazione nel livello di
confusione oppure della comparsa di irritabilità o agitazione. Talvolta l'agitazione precede
di qualche ora la comparsa di sintomi indicativi di malattia, quali per esempio la febbre. Le
difficoltà di comunicazione del paziente, tuttavia, rendono spesso difficile l'identificazione
tempestiva dei sintomi della malattia concomitante.
È necessario rivolgersi al medico curante qualora il paziente presenti un improvviso
peggioramento del livello di autonomia o delle capacità intellettive, nonché allorquando
compaia una modificazione comportamentale; prima di accettare le modificazioni, sia
nell'autonomia che nel comportamento, come conseguenza della demenza è importante
escludere altre condizioni patologiche, quali malattie cardiache, infezioni (urinarie o
polmonari), disidratazione, iper/ipoglicemia ed ipotensione arteriosa. Gli stessi sintomi
psichiatrici quali i deliri, le allucinazioni o l'agitazione possono essere scatenati da malattie
o da farmaci. I deficit della vista e dell'udito possono favorire la comparsa di disturbi
comportamentali, contribuendo al disorientamento ed alla ridotta percezione dell'ambiente
circostante. La fatica, l'ansia e lo stress, particolarmente frequenti nei soggetti con deficit
cognitivi, possono anch'essi essere accentuati da un habitat inadeguato, da un
cambiamento di ambiente oppure da eccessive sollecitazioni dei familiari che non
possono essere corrisposte. I pazienti dementi presentano le stesse condizioni
patologiche, spesso concomitanti, tipiche della popolazione anziana: artrosi, ipertensione
arteriosa, ictus cerebrale, angina pectoris o infarto miocardico, diabete mellito, cataratta,
deficit uditivo, tumori. Se una persona lamenta insistentemente un sintomo e lo riporta con
le medesime caratteristiche è opportuno avvertire il proprio medico. Al fine di prevenire
alcune complicazioni è necessario, nel limite del possibile, cercare di modificare
l'ambiente domestico per ridurre le fonti di pericolo, favorire un'alimentazione ed
un'idratazione adeguate (eventualmente ricorrendo a integratori alimentari), un igiene
accurata dei denti e dei piedi e controllare la regolarità della funzione intestinale.
LA CONFUSIONE
Accade frequentemente nel corso della malattia che il malato presenti accentuazioni,
apparentemente inspiegabili, del livello di confusione: talvolta è assopito, rallentato nei
movimenti; altre volte si presenta agitato o irritabile.
L'episodio confusionale acuto, definito anche col termine di delirium, è un evento
frequente nell'anziano, che però è difficilmente identificabile nel demente.
I fattori che predispongono l'anziano allo stato confusionale acuto sono molteplici e
includono i processi di invecchiamento del cervello, malattie dell'encefalo, la
compromissione della vista e dell'udito, l'alta prevalenza delle malattie croniche, una
ridotta resistenza alle malattie acute, una diversa risposta ai farmaci, la riduzione del
riposo notturno, il lutto o il collocamento dell'anziano in ambienti non familiari. Lo stato
confusionale acuto è sospettabile in presenza di una modificazione acuta del paziente sia
essa comportamentale, funzionale o del livello di coscienza.
Lo stato confusionale acuto è una malattia caratterizzata da una compromissione globale
delle funzioni cognitive, ad inizio brusco, di breve durata (solitamente meno di un mese) e
accompagnata da disturbi dell'attenzione, del ciclo sonno-veglia e del comportamento
psicomotorio. L'attenzione diviene fluttuante e può risultare difficile, se non impossibile,
interessare il paziente alla conversazione. Il pensiero perde la sua usuale chiarezza e
finalità, appare frammentato e disorganizzato; il paziente non è in grado di mantenere un
flusso coerente di pensiero. Il linguaggio in certi casi è ridotto e in altri casi concitato e
incoerente con salti da un argomento all'altro. Frequenti sono le false interpretazioni, le
illusioni o le allucinazioni; lo sbattere della porta può essere interpretato come un colpo di
pistola; le pieghe della coperta possono sembrare oggetti animati. Frequenti sono le
allucinazioni visive.
Il ciclo sonno veglia è quasi invariabilmente disturbato e frequenti sono le fluttuazioni
dall'insonnia alla sonnolenza. Il paziente è disorientato nello spazio e nel tempo, spesso è
iperattivo; la memoria è invariabilmente compromessa.
Possono essere presenti inoltre ansietà, paura, rabbia, euforia, tremori, sudorazione e
tachicardia.
Le malattie e i disordini che più comunemente causano stato confusionale nell'anziano
sono le infezioni, lo scompenso cardiaco, l'infarto del miocardio, il diabete, l'insufficienza
renale, l'ipoglicemia, la disidratazione e l'epilessia. Lo stato confusionale acuto è
particolarmente frequente tra i pazienti ricoverati in unità chirurgiche per fratture del
femore o per altri interventi chirurgici. Un'altra causa frequente di confusione è l'uso
scorretto di farmaci tra i quali i sonniferi, gli ansiolitici, gli antidepressivi, i neurolettici.
La comparsa di episodi confusionali acuti può pertanto essere sostenuta da molteplici
fattori causali: malattie acute o croniche riacutizzate; farmaci dotati di effetti sul cervello;
modificazioni ambientali. Altre cause di episodio confusionale acuto sono rappresentate
dall'ospedalizzazione e dagli interventi chirurgici. Anche il dolore fisico può scatenare uno
stato confusionale; questa causa deve essere tenuta in considerazione soprattutto nei
soggetti incapaci di comunicare.
Un corretto trattamento dello stato confusionale acuto presuppone che le cause
sottostanti siano identificate.
Una stanza silenziosa, bene illuminata, un grande orologio visibile, un calendario, pochi
oggetti familiari possono calmare il paziente e aiutarlo ad orientarsi nello spazio nel
tempo. I pazienti devono essere informati e rassicurati che lo stato confusionale è un
disordine transitorio; se il paziente è particolarmente agitato è necessario un intervento
farmacologico.
La comparsa di un episodio confusionale acuto, sia per i problemi diagnostici differenziali
che pone sia per le necessità assistenziali, richiede un intervento tempestivo ed intensivo
espletabile in ambiente ospedaliero; deve essere pertanto affrontato come un' urgenza
geriatrica.
I DISTURBI COMPORTAMENTALI
Nel 1907 Alois Alzheimer descrisse una donna di 51 anni che presentava disorientamento
temporo-spaziale, disturbi della memoria, sintomi depressivi e deliri di persecuzione e di
gelosia. La paziente accusava il marito di infedeltà, il medico ed i vicini di casa di attentare
alla sua vita e frequentemente presentava allucinazioni uditive. Quella donna è il primo
esempio della malattia che prenderà il nome di demenza di Alzheimer.
Le demenze sono caratterizzate da un nucleo di disturbi secondari al deficit di memoria e
delle altre funzioni intellettive al quale si affiancano invariabilmente e con modalità diverse
un'ampia gamma di sintomi definiti con il termine disturbi comportamentali o sintomi
psichiatrici.
I sintomi comportamentali costituiscono un problema clinico di non sempre semplice
gestione, nonché una pesante fonte di stress e sovraccarico assistenziale per i familiari.
La presenza di disturbi comportamentali, inoltre, contribuisce a peggiorare ulteriormente il
livello di autonomia nelle attività quotidiane già compromesso a causa dei deficit
cognitivi.
Nella demenza di Alzheimer l'agitazione è presente nel 24-61%, l'aggressività nel 21%, il
vagabondaggio (vagare senza scopo) nel 26%, i deliri nel 30-50%, i disturbi del sonno
(insonnia o inversione del giorno con la notte) nel 50% , la depressione nel 40-50% dei
casi. Altri sintomi non cognitivi comprendono le modificazioni della personalità,
l'alterazione dell'alimentazione (fame eccessiva oppure inappetenza), le allucinazioni, il
peggioramento dello stato confusionale nel corso del tardo pomeriggio, nonché le reazioni
esagerate o catastrofiche. Altri sintomi, ancora, consistono nella sospettosità, nell'apatia
fino al mutismo, nella ripetitività, nell'uso di linguaggio osceno o scurrile, nel rifiutare
l'assistenza, nel nascondere le cose, nel trascorrere la giornata in modo affaccendato
manipolando oggetti o parti dei propri vestiti (affaccendamento). I deliri sono
particolarmente frequenti anche all'esordio e nel primo anno di malattia. Nella grande
maggioranza dei casi il sintomo è costituito da deliri di latrocinio, gelosia e di
persecuzione.
Nell'ambito dei sintomi psichiatrici particolare importanza rivestono le reazioni
catastrofiche per l'impatto che hanno sui familiari; si manifestano talvolta in seguito ad
eventi stressanti anche modesti e possono avere durata variabile.
Contrariamente a quanto avviene per il disturbo di memoria, i sintomi comportamentali
sono spesso suscettibili di correzione tramite l'impiego di farmaci. Disponiamo infatti di un
ampio bagaglio terapeutico per l'insonnia e per i deliri. Tuttavia, alcuni sintomi quali per
esempio il gridare, il vagabondare, il mutismo o l'anoressia, sono poco sensibili ai farmaci;
talvolta si attenuano o scompaiono se accanto al malato c'è la presenza costante di una
persona. Un sintomo frequente nelle demenze è il vagabondaggio, il deambulare
continuamente senza uno scopo. Anche in questo caso i farmaci non sono efficaci; al
contrario possono, provocando sedazione, favorire alcune complicanze: cadute,
stitichezza, inappetenza, secchezza della bocca.
Nelle pagine seguenti verranno trattati i problemi comportamentali che più frequentemente
costellano l'evoluzione della malattia.
IL DISORIENTAMENTO
Per disorientamento si indica una condizione in cui il malato non è in grado di fornire le
coordinate temporali e/o spaziali nelle quali si trova. Per esempio non è in grado di riferire
in che posto si trova. Spesso è accompagnato da confusione: presente e passato, nei
pensieri della persona si mischiano. Abitualmente il primo disturbo a comparire è
l'incapacità di orientarsi nel tempo; solo successivamente anche lo spazio diventa
estraneo. Potrà capitare che il malato non si orienti nella propria abitazione e non riesca a
trovare il percorso per il bagno o per la cucina. Altre volte il malato, se in quel momento si
trova in un'abitazione diversa da quella della sua infanzia o giovinezza, insisterà
nell'affermare che quella non è casa sua.
È utile installare in modo ben visibile strumenti che possano favorire le informazioni
essenziali riguardanti tempo (orologio e calendario con giorno e mese ben visibili), luogo
(cartelli alle porte indicanti il nome della stanza), persone, fatti che avvengono o che
devono avvenire. È consigliabile l'impiego di una lavagna o un promemoria per le
informazioni sulle cose da fare o ricordare; devono, però, essere sempre nello stesso
posto e ben visibili.
È utile fin dal risveglio richiamare alcune informazioni al malato: "Buona giornata, sono
Maria, tua moglie; oggi è martedì ed è proprio una bella giornata".
Se la persona insiste nella convinzione che sia un altro giorno è consigliabile non insistere
nel contrariarla. È opportuno distrarre la sua attenzione, cambiando argomento, ritornando
eventualmente più tardi sulla correzione. È necessario essere molto cauti nel correggere il
malato, perché il venire continuamente contraddetto o redarguito può accentuare la
confusione. Se la persona ripete in continuazione le stesse domande è consigliabile
rispondere senza insofferenza, ricordando che realmente la persona si è scordata la
risposta o non ricorda di avervi già posto la domanda. In ogni caso tanto più la persona è
informata su che cosa succede e succederà, tanto meno sentirà il bisogno di fare
domande.
LA DEPRESSIONE
La depressione dell'umore costituisce un sintomo molto frequente sia all'inizio che nel
decorso della demenza. Si tratta di un sintomo per il quale disponiamo di farmaci efficaci;
un recente studio condotto su pazienti anziani ha mostrato che l'86% dei pazienti dementi
con depressione rispondeva al trattamento con farmaci antidepressivi. Inoltre, tra i
pazienti che presentavano un miglioramento del quadro depressivo, la maggioranza
aveva mostrato un lieve ma significativo aumento delle prestazioni cognitive. Purtroppo,
spesso la depressione nel demente non viene adeguatamente diagnosticata ne
tantomeno trattata. Tra i sintomi più comuni di depressione si osservano la stanchezza, il
sonno irregolare, l'inappetenza e la perdita di peso e comportamenti non specifici quali
l'agitazione e l'aggressività. Secondo varie esperienze cliniche, la presenza di tre o più di
questi sintomi, per un periodo superiore a due settimane può essere considerato un buon
criterio per una diagnosi presuntiva di depressione in pazienti dementi.
Attualmente esistono una serie di farmaci ben tollerati e la cui azione è stata dimostrata
essere efficace nel trattamento della depressione nel demente. Anche i disturbi
comportamentali che spesso accompagnano la depressione tendono a scomparire dopo
un adeguato trattamento antidepressivo.
È importante, tuttavia, fare in modo che la persona abbia qualcosa di interessante da fare
ogni giorno, per esempio passeggiare, ascoltare musica, giocare a carte, lavorare in
giardino. Semplici attività ripetitive come spolverare, pulire l'argento, lavare piatti possono
giovare anche se il lavoro svolto deve poi essere rifatto.
L'AGGRESSIVITÀ E L'AGITAZIONE
La persona malata può talvolta presentarsi aggressiva. Ciò può essere causato dal
danno cerebrale, da altre malattie o semplicemente dal fatto che la persona non capisce
cosa stia succedendo intorno a lei.
Cosa si intende per "agitazione"?
Con questo termine si indicano lo stato d'ansia, di tensione, di irritabilità, il non riuscire a
star fermi, l'aggressività fisica e verbale, la confusione, l'attività motoria ripetitiva e i
disturbi del sonno.
I pazienti dementi frequentemente si presentano agitati sia dal punto di vista motorio che
verbale. Tuttavia l'agitazione può essere l'espressione o la spia di altre condizioni di
malattia quali il dolore, la stitichezza, la presenza di un infezione. Altre volte l'agitazione è
da collegare alla presenza di depressione; infine esistono forme di depressione
caratterizzate da incapacità a rimanere fermi, con insonnia, deliri e irritabilità.
Anche l'uso scorretto e inadeguato di psicofarmaci può causare spiacevoli effetti collaterali
quali senso di inquietudine oppure agitazione psicomotoria.
In presenza di agitazione è opportuno rimanere il più possibile calmi, parlando con
gentilezza, e cercando di distrarre l'ammalato. Talvolta la semplice vicinanza di un
familiare o di un operatore è sufficiente per eliminare il sintomo. In questi casi non si deve
discutere: non si tratta di collera o aggressione deliberata nei confronti di chi assiste bensì
di un sintomo dovuto alla malattia, alla confusione, al fatto che la persona è oppressa da
situazioni che eccedono la sua capacità di affrontarle o controllarle.
L'agitazione e la frustrazione possono costituire il preludio alle reazioni di grave
agitazione; una risposta calma ed autoritaria nello stesso tempo, associata alla distrazione
del paziente, possono essere utili.
Una volta sedata l'agitazione è necessario indagare sulle cause che possono averla
causata, evitando il più possibile che si ricreino. È utile elogiare la persona per le cose
giuste che fa, e non rimproverarla per quelle sbagliate.
Se gli attacchi di aggressività diventano più seri e incontrollabili, è opportuno rivolgersi al
medico.
Esistono vari farmaci che possono controllare l'agitazione.
IL VAGABONDAGGIO E L'INSONNIA
Camminare incessantemente da un posto all'altro per la casa è un sintomo frequente nel
demente. Esso è dovuto principalmente alla semplice e fondamentale necessità di
muoversi, come lo è il bisogno di alimentarsi.
È importante fare in modo che, all'interno della casa, il malato possa spostarsi senza
pericoli, eliminando ostacoli o tappeti. Se necessario si può impedire l'uscita,
nascondendo la chiave della porta o dotandola di chiavistelli difficili da azionare, oppure
ancora mettendo un catenaccio in un punto della porta in cui la persona non riesca a
vederlo. Si può anche utilizzare un campanello simile a quello di negozi o uffici che
avverta in caso di apertura della porta.
Se vi è la tendenza a camminare per casa durante la notte può voler dire che la persona
non è abbastanza stanca per dormire: è opportuno cercare di incrementare la sua attività
fisica diurna evitando che dorma troppo durante la giornata.
Il buio, comunque, aumenta nella persona la confusione e, quindi, l'agitazione: si deve
tranquillizzarla ed, eventualmente, installare lampadine da notte nella camera da letto, nel
corridoio e nel bagno per aiutare la persona ad orientarsi nella camminata notturna.
Se la persona ha la tendenza a uscire di casa può essere utile accompagnarla
quotidianamente a fare una passeggiata.
L'insonnia è un problema frequente e spesso complicato dal vagabondaggio notturno. Il
malato può alzarsi alle due di notte e desiderare di fare una passeggiata oppure voler fare
colazione. Si tratta di un disturbo che affatica i familiari e che può scatenare la richiesta di
ricovero temporaneo o definitivo. Come per altro disturbi possono essere presenti cause
eliminabili; malattie fisiche, dolori (per esempio crampi muscolari notturno), farmaci, ansia,
depressione sono cause frequenti di insonnia. Dopo averle escluse, è possibile adottare
interventi ambientali creando un clima rilassante, eventualmente con una musica a basso
volume e con fioche luci notturne. È fondamentale evitare sonnellini diurni. L'esercizio
fisico moderato deve essere incoraggiato. Se il paziente assume farmaci che favoriscono
la diuresi somministrateli il mattino; è utile limitare l'introduzione di liquidi nelle ore serali.
Un bagno caldo può favorire il desiderio di addormentarsi.
Se anche questi tentativi falliscono, è possibile ricorrere all'impiego di medicamenti sotto il
controllo del medico.
È infine necessario accettare il fatto che il camminare incessantemente è una
conseguenza della malattia non del tutto eliminabile.
I DELIRI E LE ALLUCINAZIONI
Con il termine di deliri si intende la presenza di convinzioni errate della realtà, non
facilmente correggibili e che condizionano il comportamento del malato. Le allucinazioni
sono percezioni in assenza di stimoli esterni; nella demenza sono prevalentemente visive.
Questi sintomi, soprattutto i deliri, sono di comunissimo riscontro nelle persone dementi,
sia con malattia di Alzheimer che con demenza vascolare ischemica. In una elevata
percentuale di persone i deliri rappresentano un sintomo presente fin dall'esordio della
malattia, accanto al disturbo di memoria.
I deliri sono prevalentemente di tre tipi: di persecuzione, di latrocinio, oppure false
identificazioni. Nei primi due tipi il paziente crede che qualcuno gli voglia fare del male
oppure voglia sottrargli i suoi averi. Nel terzo tipo, il più frequente, il malato può essere
convinto che ci sia un'altra persona nell'abitazione; altre volte può non identificarsi nella
propria immagine riflessa nello specchio e reagire come di fronte ad un intruso o ad un
estraneo che è entrato in casa; ancora può dialogare con un personaggio televisivo
credendo che quest'ultimo si rivolga a lui; infine può non riconoscere una persona
familiare e scambiarla per un'altra. Molto frequente è l'identificazione della moglie con la
propria madre.
In presenza di deliri ed allucinazioni è opportuno tentare, con tatto e discrezione, di
riportare il paziente ad un rapporto corretto con la realtà. Tuttavia, talvolta, questo
comportamento irrita il malato che si sente contraddetto in una cosa di cui è convinto. In
altri casi può essere utile distrarre il malato. Talvolta è necessario impedire che guardi la
televisione. Può essere necessario eliminare, magari coprendole con un drappo o
un'immagine, le superfici riflettenti, a specchio.
Se il delirio è insistente ed è fonte di ansia o agitazione per il malato è possibile ricorrere
ai farmaci, spesso efficaci.
LA FAMIGLIA, L'AMBIENTE ED I SERVIZI
LA FAMIGLIA
Nelle famiglie con un paziente demente si stabiliscono equilibri e compensi delicati e
complessi, dominati dalla fatica e dal dolore, ma non per questo necessariamente fragili.
Studi recenti indicano infatti quanto questo equilibrio dinamico sia resistente e si infranga
solo di fronte ad eventi gravi, quali la malattia o la morte del fornitore d'assistenza (con
conseguente sovraccarico brusco per gli altri familiari) oppure in seguito ad un
aggravamento ulteriore e non più sopportabile delle condizioni del paziente. Un ulteriore
motivo di rottura dell'equilibrio assistenziale è costituito dai disturbi comportamentali, in
particolare l'insonnia ed il vagabondaggio notturno.
Molto importante come elemento di sostegno alla famiglia è considerata l'informazione
fornita dal medico curante circa la malattia.
La possibilità di una corretta assistenza familiare si fonda, per quanto riguarda il personale
sanitario, su due aspetti fondamentali: l'informazione ed il supporto. La famiglia deve
essere informata sulla natura della malattia, sulle capacità effettive del paziente, sulla
necessità di coinvolgerlo in tutte le attività del vivere quotidiano, nonché sulle eventuali
modifiche da apportare all'ambiente domestico per facilitare processi di adattamento.
Nella tabella 3 sono mostrati, in rapporto ai vari stadi della malattia, i problemi ed i compiti
che la famiglia deve affrontare, per i quali è necessario un supporto informativo.
Tabella 3
_________________________________________________________________
Stadi della demenza e problemi dei familiari
_________________________________________________________________
STADIO I
-Abitualmente riconosciuto solo più tardi.
-Durata: 2-4 anni.
-Sintomi: spesso solo segni minori di compromissione della memoria e dell'intelligenza;
perdita di spontaneità e cambiamenti di carattere.
-Problemi dei familiari: cercare consiglio medico per la formulazione della diagnosi e per
ricevere i primi suggerimenti.
STADIO II
-Inizia con la diagnosi e termina con la comparsa di incontinenza.
-Durata: ampia variazione, da uno a sette anni.
-Sintomi: crescenti difficoltà nella comunicazione; compaiono irregolarità del sonno e
compromissione dell'autonomia nelle attività quotidiane; possono comparire deliri e
deambulazione afinalistica.
-Problemi dei familiari: affrontare i sintomi comportamentali anche tramite interventi
ambientali. Informarsi sulle caratteristiche della malattia e, se possibile, inserirsi in gruppi
di supporto, costituiti da altri familiari con problemi analoghi Imparare a gestire i problemi
routinari. Fornire al paziente opportunità di svago e ricreazione.
STADIO III
-Dall'incontinenza fino alla grave perdita di autonomia ed all'inacapacità di comunicare.
-Durata: 2-4 anni.
-Sintomi: Problemi alimentari. Perdita del controllo sfinterico. Problemi nella
deambulazione. Accentuazione di tutti i deficit cognitivi e funzionali.
-Problemi dei familiari: Affrontare i crescenti problemi di gestione della perdita
dell'autonomia oppure ricoverare il paziente in istituto.
STADIO IV
-Dalla perdita della autonomia e della capacità di comunicare fino all'exitus.
-Durata: 3-15 anni.
-Sintomi: regressione allo stadio fetale; problemi di deglutizione e di alimentazione;
rallentamento dei movimenti fino all'allettamento.
Decesso abitualmente secondario ad un processo infettivo.
-Problemi dei familiari: decidere quali terapie impiegare oppure no (alimentazione
artificiale, sondino naso gastrico, terapia antibiotica "aggressiva"...)
_________________________________________________________________
Particolare attenzione va posta nella spiegazione del comportamento da adottare di fronte
ai numerosi sintomi che caratterizzano, in modo non sempre prevedibile, il decorso della
malattia; le indicazioni del medico assumono particolare importanza per i disturbi quali,
per esempio, il progressivo decadimento cognitivo o la deambulazione incessante, per
nulla o poco controllabili farmacologicamente.
Un momento particolarmente delicato è rappresentato dai primi incontri con il malato ed i
familiari. È necessario essere consapevoli che il comportamento, definito "strano", per il
quale "da un pò di tempo non è più lui", è dovuto alla malattia; che certe reazioni non sono
facilmente controllabili; è importante inoltre essere preparati alla variabilità dell'evoluzione
della malattia che impone adeguamenti continui.
I familiari inoltre riferiscono in modo più o meno manifesto tristezza, scoraggiamento,
senso di solitudine o stanchezza; frequente è il senso di colpa, collegato al rifiuto o alla
vergogna per il proprio familiare, al fatto che talvolta si perde la pazienza oppure al fatto
che si pensa di volerlo ricoverare in casa di riposo. È necessario esaminare questi
sentimenti, valutandoli in modo oggettivo e discutendoli, se possibile, con altri familiari con
problemi analoghi.
È fondamentale sapere che, realisticamente, esiste per tutto il decorso della malattia la
possibilità di aiutare il paziente a conservare il proprio benessere.
Da quanto esposto fino ad ora è indispensabile che, durante il decorso della malattia,
esistano punti di riferimento ai quali la famiglia possa costantemente appoggiarsi man
mano che si pongono nuovi problemi. In alcuni ospedali esistono incontri di gruppo con i
familiari dei pazienti, per fornire un sostegno psicologico alle loro difficoltà di rapporto col
demente. È stato dimostrato come un programma di educazione rivolto ai familiari
consenta di migliorare la qualità della vita e ridurre la morbilità psicologica dei fornitori di
assistenza, ritardando l'istituzionalizzazione del demente. I familiari dei dementi che
periodicamente si incontrano, sotto la guida di un operatore sanitario, presentano una
migliore conoscenza della malattia, un minor senso di isolamento, il superamento di alcuni
sentimenti indotti dalla malattia del congiunto, una maggior consapevolezza del proprio
compito, nonché una maggior capacità di affrontare i comuni problemi quotidiani.
L'AMBIENTE E GLI AUSILI PER LE ATTIVITÀ QUOTIDIANE
L'adozione di interventi ambientali assume valenza terapeutica fondamentale in condizioni
di malattia, quali la demenza, caratterizzate da disabilità ed handicap progressivamente
crescenti. In ogni "fase" della malattia l'ambiente può compensare o, al contrario,
accentuare le conseguenze del deficit cognitivo e pertanto condizionare sia lo stato
funzionale sia il comportamento del paziente. Lo spazio e l'ambiente vitale possono
rappresentare perciò, per la persona affetta da demenza, da un lato una risorsa
terapeutica, purtroppo spesso sottoutilizzata, dall'altra il motivo scatenante di alterazioni
comportamentali apparentemente ingiustificate. Le scelte degli interventi ambientali sono
condizionate dalle caratteristiche del paziente e, principalmente, dalla gravità della
compromissione cognitiva e dalla natura dei disturbi comportamentali. Nella tabella 4 sono
riportate le indicazioni generali per l'adattamento dell'ambiente. Gli obiettivi terapeutici ed i
relativi interventi ambientali possono pertanto variare ampiamente da semplici modifiche,
come il rimuovere oggetti ingombranti nella propria casa, alla creazione di ambienti
specifici completamente nuovi e specificamente finalizzati ad ospitare pazienti con
deterioramento cognitivo. Tuttavia, le linee generali e gli obiettivi che condizionano la
scelta di uno specifico spazio di vita sono simili per qualsiasi ambiente, sia esso la casa,
l'ospedale, oppure la Casa di Riposo.
Tabella 4
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Linee guida per l'adattamento dell'ambiente
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1) eliminare le fonti di pericolo;
2) semplificare al massimo l'ambiente e la disposizione degli oggetti;
3) evitare o ridurre al minimo i cambiamenti (cambiare disposizione ai mobili oppure ai
quadri può comportare problemi;
lo spostamento del letto, ad esempo, può favorire la comparsa di incontinenza poichè il
paziente non riesce a trovare la via per il bagno);
4) fornire indicazioni segnaletiche per orientarsi nelle varie stanze;
5) fare in modo che le stanze siano ben illuminate ed evitare la presenza di rumori o suoni
disturbanti.
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I principali obiettivi terapeutici che devono sorreggere e guidare le relative scelte
ambientali sono i seguenti:
1) garantire la sicurezza; 2) compensare le disabilità ed i disturbi della memoria e
dell'orientamento; 3) evitare stimoli stressanti e/o ridondanti; 4) rispettare la privacy e le
capacità decisionali residue.
È opportuno prevedere, anche in casa, l'adozione di ausili e supporti finalizzati a garantire
la sicurezza personale quali l'uso di fornelli a gas con sistemi automatici di controllo,
l'eliminazione o la riduzione degli ostacoli (tappeti o mobili), nonchè luci di sicurezza
notturne ed un'illuminazione adeguata di corridoi e vani scala. Nelle persone anziane sono
frequenti i deficit sensoriali, soprattutto della vista e dell'udito; nel paziente demente questi
deficit accentuano il livello di compromissione cognitiva e di disabilità. Particolare
attenzioni vanno adottate affinchè i pazienti utilizzino le protesi in modo corretto. I colori
delle pareti, dei pavimenti e degli oggetti dovrebbero essere ben contrastati per migliorare
la capacità di discriminazione da parte dei pazienti; sono consigliati i colori primari, mentre
sono da evitare le tonalità morbide. L'impiego dei colori consente anche di compensare la
riduzione della capacità di comprendere messaggi verbali (segnali scritti); da qui l'utilità di
contrassegnare con i colori spazi o percorsi con diverse destinazioni. Altri ausili ambientali
sono costituiti da calendari o orologi, oppure dalla fotografia personale collocata sulla
porta di ingresso della propria stanza. I soggetti affetti da demenza possono avere
difficoltà a tollerare elevati livelli di stimolazione ambientale senza sperimentare ansia o
stress; ciò è da attribuire alla scarsa capacità di conservare il controllo delle afferenze
sensoriali e di utilizzarle correttamente. Al contrario, alcuni ambienti istituzionali
presentano un livello così scarso di stimolazioni da comportare una condizione di
"deprivazione sensoriale" altrettanto deleteria. Esistono, in merito al livello di stimolazioni
ambientali ottimali, pareri contrastanti e diametralmente opposti: a chi propone un
ambiente ricco di stimoli vi è chi contrappone un ambiente assolutamente asettico e
"pulito"; riteniamo che la scelta vada commisurata alle caratteristiche di ciascun paziente.
Il soggetto affetto da demenza di Alzheimer con grave compromissione cognitiva e con
vagabondaggio afinalistico incessante è sicuramente più "al sicuro" se può deambulare in
una stanza priva di suppellettili; al contrario, il paziente con lievi o moderati deficit cognitivi
vive meglio in un ambiente il più possibile simile ad un habitat consueto di vita disponendo
di uno spazio personale (il comodino, la poltrona o il posto a tavola) e di un luogo in cui
"ritirarsi" se lo ritiene opportuno. Gli interventi finalizzati a modificare l'ambiente in cui il
paziente vive rivestono particolare importanza in quanto consentono una migliore
conservazione dell'orientamento, favoriscono la compensazione delle limitazioni funzionali
e facilitano il controllo di alcuni sintomi comportamentali.
La persona confusa spesso non è in grado di riconoscere oggetti o situazioni pericolose
per la salute. D'altro canto è difficile per i familiari decidere fino a che punto restringere la
libertà d'azione della persona. Dovete comunque accettare il fatto che non tutti i rischi
possono essere rimossi.
Controllate per tutta la casa che non vi siano situazioni idonee a creare incidenti: cavi o
apparecchi elettrici difettosi, spine rotte, tappeti arricciati o sfrangiati che possano
provocare cadute, ecc.
Attenzione speciale va posta per i fornelli a gas: adottate chiavette con lucchetti o appositi
allarmi chimici.
Se la casa è a più piani le scale devono essere ben illuminate e munite da ambedue i lati
di corrimano. Sarebbe, però, meglio che la persona possa vivere al piano terra senza
bisogno di usare le scale.
Custodite detersivi, coloranti, tutti i prodotti chimici in genere, comprese le medicine, in
posti non raggiungibili dalla persona.
Si elencano di seguito una serie di raccomandazioni dettagliate, da adottare per
l'arredamento e la gestione dell'ambiente familiare.
-la casa deve essere resa più semplice possibile, priva mobili ingombranti e con pochi
oggetti esposti.
-gli oggetti di uso quotidiano devono essere sempre nello stesso posto.
-è necessario evitare la presenza di rumori di sottofondo (TV o radio) Il paziente demente
abitualmente è più tranquillo in un ambiente calmo. Talvolta può essere utile una musica
rilassante.
-i tappeti devono essere rimossi oppure fissati al pavimento.
-le stanze devono essere ben illuminate
-evitare che i pavimenti presentino disegni complessi o che abbiano lo stesso colore delle
pareti
-è utile disporre delle luci notturne nei corridoi, nella camera da letto e nel bagno
-evitare che le scale o i vani scala presentino oggetti ingombranti
-dotare le scale di un cancelletto all'estremità
-oggetti o strumenti potenzialmente pericolosi devono essere fuori dalla portata (ferro da
stiro, rasoi elettrici,...)
-pitture, solventi insetticidi ed altre sostanze tossiche devono essere riposte in vani non
accessibili al paziente
-dotare, se necessario, le porte di chiusure di sicurezza al fine di impedire l'uscita
-modificare la chiusura delle porte affinchè il paziente non possa accidentalmente
rimanere chiuso in una stanza
In cucina:
-chiudere il fornello dopo l'uso
-riporre i prodotti detergenti in un posto sicuro
-riporre i coltelli in luogo sicuro
In camera da letto:
-eliminare gli oggetti che non vengono impiegati quotidianamente; lasciare solo i vestiti per
il giorno
-disporre di una buona lampada centrale e di una lampada da notte
-eliminare i tappeti attorno al letto
-fare in modo che ci sia un percorso facile per accedere al bagno (in alternativa si può
disporre di una comoda da collocare accanto al letto)
In bagno:
-lasciare in vista solo gli oggetti di uso quotidiano (nelle fasi più avanzate anche gli oggetti
quali lo spazzolino o il dentifricio possono essere usati in modo improprio e dovranno
essere quindi gestiti dal familiare)
-non lasciare medicinali alla portata di mano
-fornire la vasca o la doccia di maniglioni di appoggio
-fornire il WC di maniglioni di appoggio ed eventualmente di presidi per innalzare in piano
di appoggio.
-dotare il bagno di una luce notturna
L'impiego di ausili, ossia di strumenti o accorgimenti ambientali, può consentire all'anziano
che ha problemi nell'espletare le comuni attività quotidiane, di superare l' handicap
derivante da una o, più spesso, più condizioni patologiche e dalla relativa limitazione
funzionale.
Uno dei principali problemi che interessano l'anziano è costituito dall'incapacità di gestire
autonomamente la propria igiene. D'altra parte l'abilità di lavarsi, fra le varie attività di base
della vita quotidiana ( mangiare, vestirsi, deambulare...), è spesso la prima ad essere
intaccata quando l'anziano inizia a presentare problemi di autonomia. La conoscenza di
strumenti, attrezzature o metodi da impiegare nella cura di sé può aiutare l'anziano a
riacquistare o conservare libertà e riservatezza.
La conoscenza di questi ausili riveste notevole importanza per coloro che vivono nella
propria casa; per gli anziani in istituzione le varie operazioni di igiene personale sono
abitualmente condotte dal personale di assistenza talvolta, erroneamente, con scarso
coinvolgimento dell'ospite.
Anche gli anziani che vivono a casa e che hanno problemi a lavarsi dovrebbero avere
vicino un familiare e lasciare la porta del bagno aperta. Qualora gli ausili fossero
insufficienti per una gestione autonoma delle varie operazioni di igiene personale, è
necessario l'aiuto diretto di un familiare o di una infermiera domiciliare; come alternativa,
in alcune città, è possibile effettuare il bagno (ed altre operazioni: pedicure, taglio e
riordino dei capelli...) presso centri diurni .
È necessario sottolineare che il bagno è il luogo dove più facilmente si verificano cadute
legate principalmente all'affollamento degli oggetti ed alla scarsità degli spazi di manovra.
Al fine di ridurre sia le difficoltà di movimento sia il pericolo di incidenti è sempre
consigliabile usare la doccia anziché la vasca. Possono essere utili uno sgabello con foro
per lo scorrimento dell'acqua, un tappetino antisdrucciolo (sia nella tazza della doccia sia
appena fuori). Facile da realizzare inoltre è un portasapone a rete dotato di una cordicella
la cui estremità va fissata alla parete della doccia o della vasca; questo semplice
strumento evita che il sapone possa cadere a terra e consente di insaponarsi con una
sola mano. È opportuno che la parete della doccia o della vasca sia dotata di sbarre o
maniglioni per permettere all'anziano di sedersi e rialzarsi facilmente. Per chi possiede
una vasca è opportuno dotarsi di alcuni ausili. Il fondo della vasca deve essere ricoperto
con un tappetino antisdrucciolo che per aderire in modo solido richiede che la superficie di
appoggio sia prima inumidita. I tappeti da bagno tendono a logorarsi e devono pertanto
essere cambiati ogni due anni circa. Sempre per l'uso della vasca sono disponibili degli
sgabelli da appoggiare sul fondo per elevare il piano d'appoggio oppure tavole di legno o
di plastica da appoggiare sui bordi. Quest'ultimo ausilio può essere particolarmente utile
per le persone colpite da emiparesi; la persona si siede sull'asse volgendo gli arti sani
verso la vasca, porta la gamba sana all'interno e quindi con il braccio integro solleva l'arto
plegico e lo porta nella vasca. È necessario accertarsi periodicamente che assi e sgabelli
non possano scivolare sui bordi o sul fondo. L'operazione del lavarsi può infine essere
facilitata dall'uso di manici di diversa foggia, in rapporto alle varie limitazioni, muniti di facili
impugnature ed all'altra estremità di spugne, che permettono di raggiungere varie sedi
della superficie corporea; sono particolarmente utili per coloro che presentano
compromissione della mobilità delle spalle.
Tutti i bagni delle persone anziane dovrebbero essere dotati di sbarre (corrimano) per
facilitare gli spostamenti soprattutto nella doccia, sopra la vasca e in prossimità del w.c.; in
commercio esistono vari tipi di supporti in grado di soddisfare le varie disponibilità
economiche. L'anziano inoltre presenta spesso difficoltà ad alzarsi dalle comuni tazze del
water. È consigliabile munire il w.c. di un supporto che, appoggiato sul bordo eleva il piano
di appoggio, facilitando il movimento di alzarsi in piedi.
I SERVIZI PER LA GESTIONE DEL PAZIENTE DEMENTE
La scarsa diffusione sul territorio nazionale di servizi assistenziali e sanitari territoriali
addossa alla famiglia un ruolo spesso solitario nella gestione del paziente demente.
L'unica alternativa alla famiglia è, nella grande maggioranza dei casi, la casa di riposo. In
alcune città si stanno realizzando servizi diversificati rispetto all'ospedale ed alla casa di
riposo che offrono ai familiari importanti punti di riferimento e sostegno per l' assistenza al
malato.
Questi servizi, che favoriscono la permanenza dell'anziano nel proprio ambiente di vita,
sono costituiti dall'Assistenza domiciliare integrata, dall'ospedalizzazione al domicilio, e dai
centri diurni.
L'assistenza domiciliare integrata consiste in un complesso di prestazioni mediche,
infermieristiche, riabilitative, socio-assistenziali, prestate al domicilio a soggetti non
autosufficienti o parzialmente autosufficienti al fine di consentire la permanenza nel
normale ambiente di vita e di ridurre il ricorso alle strutture residenziali. Le prestazioni
fornite tramite l'assistenza domiciliare integrata sono sanitarie - di base e specialistiche-,
infermieristiche, riabilitative, socio-assistenziali, aiuto domestico, igiene della persona,
somministrazione pasti, lavanderia, disbrigo commissioni, sostegno psicologico. Per
accedere a questo servizio è necessario rivolgersi ai servizi socio-assistenziali di
circoscrizione o di distretto.
L'ospedalizzazione domiciliare consiste in un servizio, per ora attivato in via sperimentale
in pochi centri urbani, al fine di trattenere a casa persone bisognose di ricovero o di
rinviare precocemente a casa persone spedalizzate per un proseguimento di cure a
domicilio, sotto la responsabilità assistenziale diretta del presidio ospedaliero, il quale
opera tramite proprio personale o con la collaborazione del personale dei servizi
territoriali.
Sia l'assistenza domiciliare integrata che la ospedalizzazione domiciliare sono possibili
solo quando esistono familiari o conviventi in grado di garantire un sostegno continuo
all'anziano non autosufficiente.
I centri diurni sono strutture di tipo aperto che forniscono prestazioni di assistenza e di
sostegno alla famiglia.
Il centro diurno offre varie prestazioni: servizio di ristorazione, ritrovo, segretariato sociale,
di consulenza, attività ricreative e culturali, attività sanitarie prevalentemente di tipo
riabilitativo.
Nell'ambito dei servizi di centro diurno esistono fondamentalmente due tipologie: la prima,
che prevede un'utenza di anziani autosufficienti, la seconda che, al contrario, prevede
un'utenza di soggetti con vari gradi di disabilità. Questa seconda tipologia di Centro Diurno
può svolgere un compito significativo nel supporto alle famiglie e ritardare le richieste di
istituzionalizzazione definitiva del paziente. Le poche esperienze esistenti in Italia
prevedono dei servizi di trasporto erogati dal comune, per trasferire il paziente
dall'abitazione al centro diurno, dove questi trascorre alcune ore della giornata,
abitualmente dalle 9 alle 16. Il personale di cui questi centri orientati all'assistenza di
anziani con problemi di autosufficienza deve prevedere la presenza di personale
ausiliario, infermieristico, riabilitativo e medico.
Le case di riposo saranno nel prossimo futuro sempre più spesso chiamate ad assistere
pazienti con decadimento cognitivo. Alcune case di riposo, nell'ottica di una
diversificazione delle risposte, stanno creando unità specifiche rivolte a pazienti con
disturbi comportamentali. Un altro servizio che alcune strutture offrono e che dovrebbe
essere più diffuso consiste nei ricoveri temporanei di sollievo per i familiari, superando
così la logica che vede nel ricovero in casa di riposo una scelta definitiva.
Il panorama dei servizi rivolti al paziente affetto da demenza, negli ultimi anni, si sta
gradualmente adeguando ai bisogni dei pazienti e dei familiari.
Nel 1995 la Regione Lombardia ha approvato il Piano Alzheimer, nell’ambito del Progetto
Obiettivo anziani. Il Piano Alzheimer consiste in una rete di servizi per offrire risposte
adeguate ai bisogni del paziente demente nel corso delle varie fasi della malattia. I nodi
principali del Piano sono costituiti da 9 centri per la diagnosi e da 60 unità all’interno
delle Residenze Sanitarie Assistenziali (Case di Riposo) chiamate Nuclei Alzheimer. I
nove centri regionali hanno, accanto al compito della diagnosi, anche quello della ricerca e
della formazione degli operatori sanitari.
I nuclei Alzheimer sono piccoli reparti dotati generalmente di 20 posti letto destinati ai
pazienti con demenza in fase severa e con disturbi comportamentali rilevanti. Questa
unità dispongono di maggior personale rispetto agli altri nuclei della RSA, specificamente
preparato nella gestione dei disturbi comportamentali e nella gestione dei pazienti dementi
in fase severa. L’introduzione di queste unità speciali ha consentito di ridurre il ricorso
alla contenzione fisica e l’impiego di farmaci sedativi, migliorando nel contempo la qualità
di vita dei degenti. L’esperienza positiva dei Nuclei Alzheimer della Regione Lombardia si
sta estendendo anche ad altre regioni italiane.
GLI INTERVENTI RIABILITATIVI
Durante l’intero decorso della malattia, al fine di limitarne le conseguenze e di rallentarne
l’evoluzione, è possibile ricorrere agli interventi riabilitativi.
Gli interventi riabilitativi si definiscono come strategie finalizzate a ridurre l’impatto della
malattia sul livello di autosufficienza; consistono in un il complesso di approcci alla
persona ammalata che permettono di mantenere il più elevato livello di autonomia
compatibile con una determinata condizione clinica.
Le manifestazioni cliniche delle demenze che possono essere oggetto di specifici
interventi riabilitativi sono molteplici e riguardano i deficit cognitivi (memoria, linguaggio), i
deficit sensoriali (vista e udito), i sintomi depressivi, le alterazioni del ciclo sonno-veglia
(insonnia), le turbe dell'alimentazione, i deficit motori e la disabilità nelle attività della vita
quotidiana. Fra questi ambiti, tuttavia, solo i deficit cognitivi, in particolare la
compromissione della memoria nella malattia di Alzheimer, hanno ricevuto una relativa
maggior attenzione da parte dei ricercatori. L'obiettivo consiste non tanto nel ripristinare
una funzione lesa, bensì nel rallentare la progressione dei deficit cognitivi e funzionali. Le
principali strategie e metodiche impiegate nel paziente demente sono illustrate nelle
tabelle 5 e 6.
Tabella 5
STRATEGIE PER LA RIABILITAZIONE DELLA MEMORIA
1) Adattamento delle condizioni ambientali (vedi capitolo sull’ambiente)
2) Orientamento nella realtà
3)
Ausili esterni
4)
Ausili o strategie interne (mnemotecniche)
5)
Stimolazione della memoria procedurale
Tabella 6
PRINCIPALI METODICHE DI RIABILITAZIONE COGNITIVA
Approccio "globale"
Terapia di Orientamento alla Realtà (ROT)
3R Therapy (ROT, Riattivazione, Reminescenza)
Terapia di Reminiscenza
Terapia di Validazione
Approccio selettivo alle funzioni mnesiche
Stimolazione della memoria procedurale
Mnemotecniche
Metodo dei loci
Associazione nome-faccia
Pegwords (parole appiglio)
La maggioranza degli studi concordano nell' affermare che la possibilità di ottenere
risultati significativi nella riabilitazione del paziente affetto da Alzheimer è strettamente
condizionata dalla stimolazione di funzioni che sono relativamente risparmiate, almeno
nelle fasi iniziali ed intermedia della malattia. La ricerca, inoltre, suggerisce che sebbene
la possibilità di ottenere dei miglioramenti delle performance mnesiche sia ridotta nella
malattia di Alzheimer, essa non è completamente compromessa. Accanto agli interventi di
"riattivazione globale", che conservano tuttora un ruolo terapeutico, è possibile adottare
interventi più mirati alla conservazione delle prestazioni cognitive. La riabilitazione della
memoria può comprendere stimoli verbali e non verbali e, in modo multisensoriale, stimoli
inerenti la memoria visiva, uditiva, olfattiva, tattile e gustativa. I programmi di stimolazione
cognitiva riguardano abitualmente la capacità di giudizio e di astrazione, il linguaggio, la
pianificazione di programmi finalizzati a specifici obiettivi.
Le tecniche riabilitative per le quali è stata dimostrata l’efficacia nei pazienti affetti da
malattia di Alzheimer sono la terapia di riorientamento nella realtà (ROT), le terapie
basate sulla stimolazione della memoria automatica (procedurale) e l’impiego di ausili
mnesici esterni.
La ROT (Reality Orientation Therapy – terapia di orientamento alla realtà) si prefigge di
riorientare il paziente confuso rispetto all’ambiente, al tempo ed alla propria storia
personale. La ROT si è dimostrata efficace in pazienti affetti da compromissione cognitiva
lieve nel rallentare l’evoluzione della malattia di Alzheimer; i limiti maggiori di questa
tecnica consistono nella rapida caduta dell’efficacia al termine dell’intervento stesso e
nella assenza di ricadute sul piano funzionale, ossia sul livello di autosufficienza.
Esistono due principali modalità di ROT: formale e informale. La ROT informale prevede
un processo di stimolazione continua che implica la partecipazione di operatori sanitari e
familiari, i quali, durante i loro contatti col paziente, nel corso della giornata, forniscono
ripetutamente informazioni al paziente. E’ fondamentale che nel co0rso della giornata
vengano ricordate al malato alcune informazioni importanti circa l’orientamento temporale
e spaziale. Fin dal risveglio, da parte dei familiari, è utile comunicare al proprio caro
informazioni apparentemente banali: il giorno, la stagione, il nome degli altri familiari. La
continua ripetizione delle informazioni aiuta il malato a conservarle maggiormente nel
tempo.
Come intervento complementare alla ROT informale, è stato sviluppata una ROT formale
che consiste in sedute giornaliere condotte con gruppi di 4-6 persone, omogenee per
grado di deterioramento, durante le quali un operatore impiega una metodologia di
stimolazione standardizzata.
Gli interventi finalizzati a migliorare la memoria procedurale (quella che presiede alle
normali attività quotidiane; è una memoria di tipo automatico) si sono dimostrati utili nel
migliorare i tempi di esecuzione di alcune attività della vita quotidiana e potrebbero avere
favorevoli ripercussioni sulla qualità di vita del paziente e dei familiari.
Anche l’impiego di ausili mnesici esterni (diari, segnaposto, suonerie) si è dimostrato
efficace, nei pazienti affetti da malattia di Alzheimer lieve, nel migliorare la memoria per
fatti personali, per appuntamenti e nel favorire il livello di interazione sociale del paziente.
Altre tecniche di intervento sono costituite dalla “Validation Therapy (terapia di
validazione)”, e dalle terapie di reminiscenza e di rimotivazione.
La Validation therapy si basa su un rapporto empatico con il paziente; la comunicazione
con il paziente prevede che vengano accettati la realtà nella quale il paziente vive ed i
suoi sentimenti anche se questi sono collocati lontano nel tempo. Si applica al paziente
con decadimento moderato o severo le cui scarse risorse cognitive residue renderebbero
vani i tentativi di riportare il paziente “qui ed ora”. Nell'ambito degli interventi psicoterapici
uno spazio a se' occupa la terapia di Reminiscenza (rassegna di vita, rievocazione di
momenti significativi) che si fonda sulla naturale tendenza da parte dell’anziano a
rievocare il proprio passato; il ricordo e la nostalgia possono essere fonte di soddisfazione
ed idealizzazione. L' obiettivo di questo approccio consiste nel favorire questo processo
spontaneo e renderlo più consapevole e deliberato; nel paziente demente viene impiegata
per il recupero di esperienze piacevoli della propria vita anche tramite l’ausilio di oggetti o
fotografie. Un'altra tecnica riabilitativa e' la Rimotivazione il cui scopo consiste nella
rivitalizzazione degli interessi per gli stimoli esterni, nello stimolare gli anziani a
relazionarsi con gli altri ed a affrontare e discutere argomenti contingenti.
I FARMACI
Nella malattia di Alzheimer i farmaci si utilizzano con due scopi principali: cercare di
curare i disturbi delle funzioni cognitive (qiali. ad esmepio, la memoria, il ragionamento, il
linguaggio) oppure controllare le modificazioni del comportamento (in particolare
l’agitazione e l’irritabilità, l’irrequietezza, l’aggressività, l’insonni, la depressione). In ogni
caso si tratta di farmaci “sintomatici”, che non sono, cioè, in grado di agire sul processo
patologico che determina la malattia. In realtà, sono in corso varie ricerche per sviluppare
farmaci che siano in grado almeno di bloccare la progressione della malattia e si spera
che, nei prossimi anni, si potranno avere a disposizione sostanze nuove ed efficaci.
Negli anni passati numerosi farmaci erano stati usati per curare la demenza, senza
però una efficacia significativa. Da alcuni anni sono disponibili (dapprima negli USA ed ora
anche in Italia) sostanze di una classe particolare, denominate “inibitori della
acetilcolinesterasi”. Si tratta di farmaci in grado di bloccare la degradazione di un
neurotrasmettirore (l’acetilcolina) la cui carenza sembra essere particolarmente importante
nel determinare i disturbi tipici della malattia di Alzheimer. Il primo tra questi farmaci è
stata la tacrina (commercializzata a partire dal 1996 negli Stati Uniti ed in vari altri paesi,
ma non in Italia). Purtroppo si trattava di un farmaco con numerosi effetti collaterali
(soprattutto sul fegato) e quindi la sua utilitù è stata limitata. Successivamente sono state
trovate altre sostanze con efficacia simile, ma con minori effetti collaterali e quindi più
maneggevoli. Di questi farmaci ad oggi in Italia è disponibile solo il donepezil, anche se
entro breve tempo saranno probabilmente registrati anche la rivastigmina e il metrifonato.
Purtroppo questi farmaci hanno una efficacia clinicamente evidente solo nel 30-40% dei
pazienti e solo nelle forme di demenza di gravità lieve-moderata. Nei pazienti che
rispondono alla terapia si possono osservare dei miglioramenti temporanei ed un
rallentamento nella evoluzione della demenza con un “risparmio” di circa 8-12 mesi sulla
progressione naturale della malattia. Il loro uso non è comunque senza rischi e, pertanto,
è necessario che un medico specialista segua il paziente durante il periodo della terapia.
Un problema frequentemente presente è il trattamento di sintomi quali insonnia,
agitazione, irritabilità, affaccendamento, ansia, depressione, psicosi. In questi casi,
accanto alle misure di tipo ambientale, può essere necessario utilizzare farmaci per
limitare questi sintomi che sono fortemente disturbanti per i familiari e pericolosi per il
paziente stesso. Antidepressivi, ansiolitici, neurolettici, ipnoinducenti sono variamente
impiegati con questo scopo. Va ricordato che l’uso di questi farmaci richiede una stretta
osservazione da parte del medico perché sono frequenti gli effetti collaterali, soprattutto
alle dosi più elevate e per i trattamenti più prolungati. E’ perciò molto importante che i
familiari mettano in atto tutte quelle strategie utili a ridurre la durata e le dosi di questi
farmaci (si veda la tabella 7 per alcuni consigli pratici).
Tabella 7
Strategie ambientali per ridurre i disturbi comportamentali nei soggetti dementi.
Psicosi
Ignorare le false accuse
Correggere eventuali difetti sensoriali
Mantenere una regolare attività fisica e programmi di socializzazione.
Distrarre il paziente dall’idea dominante spostando la sua attenzione su altri oggetti,
attività o luoghi.
Mantenere l’ambiente stabile, posizionando gli oggetti in posti abituali
Creare un ambiente tranquillo, rassicurante
Confortare e riassicurare il paziente con il tono della voce e con il contatto fisico.
Agitazione
Evitare gli eventi che precipitano il comportamento
Rimuovere gli stimoli precipitanti
Distrarre il paziente
Fornire supporti di tipo affettivo ed emotivo
Creare un ambiente tranquillo, rassicurante
Depressione
Utilizzare rinforzi positivi per aumentare l’autostima
Psicoterapia
Evitare situazioni stressanti
Assicurare un ambiente tranquillo
Stimolare attività fisica, hobbies ed occupazioni
Insonnia
Assicurare un ambiente tranquillo
Evitare i riposi diurni
Stimolare attività fisica, hobbies ed occupazioni
Evitare l’assunzione serale di composti stimolanti (caffè, the, tabacco)
I PROBLEMI ETICI
La diagnosi di malattia di Alzheimer (o di un’altra forma di demenza) si
accompagna a numerosi e difficili problemi di tipo etico che coinvolgono il paziente, i
familiari, il personale sanitario ed i ricercatori. Per molti dei problemi è difficile dare
risposte definitive, perché fattori legati ai valori, alla cultura, alla religione possono
influenzare le scelte degli individui. Il rispetto della libertà e dell’autonomia della persona,
la condivisione ed il dialogo tra paziente, familiari e operatori dovrebbe sempre essere alla
base di qualsiasi decisione. Un ruolo particolarmente delicato e importante è ricoperto dal
medico di famiglia che rappresenta la figura professionale che meglio può aiutare il
paziente ed i familiari ad assumere, insieme con gli specialisti coinvolti, le decisioni più
opportune e più rispettose della personalità e delle attese dell’individuo. Alcuni problemi
hanno anche risvolti di tipo legale, talora complessi, e potrebbero quindi richiedere anche
la consulenza di un esperto in questa materia.
Comunicazione della diagnosi
La malattia di Alzheimer e le demenze in generale sono difficili da diagnosticare,
soprattutto nelle fasi iniziali. Una diagnosi tipo dovrebbe essere formulata solo dopo una
approfondita ed attenta valutazione da parte di medici esperti e solo quando si è raggiunta
una probabilità diagnostica molto alta (talora la certezza non è possibile). Nei casi dubbi è
più corretto formulare una diagnosi di attesa e rimandare ad una valutazione successiva
la comunicazione definitiva. In questi casi l’atteggiamento più comune dei medici, che
corrisponde al desiderio dei familiari, è quello di non comunicare la diagnosi al paziente.
La scelta è motivata dalla preoccupazione di evitare una grave sofferenza al paziente, non
sapendo quale reazione questi potrebbe avere. D’altra parte il rispetto per la libertà e
l’autonomia dell’ammalato, soprattutto quando questo si trova nelle fasi iniziali,
caratterizzate dal mantenimento della capacità di assumere decisioni –legali, economiche
o morali- che verranno poi progressivamente ed invariabilmente perse, richiama i medici
al dovere deontologico di non nascondere la verità al paziente. Sempre più
frequentemente, pertanto, i medici cercano di convincere dapprima i familiari della
opportunità di non tacere la verità. Comunicare una diagnosi di malattia di Alzheimer
richiede però tempo e cautela, in modo da fornire il massimo supporto psicologico,
rassicurando e sostenendo il paziente. Il coinvolgimento attivo dei familiari in questo
momento particolarmente delicato è di grande importanza. Il modo in cui la
comunicazione avviene è importante: il contenuto e le modalità dell’informazione devono
essere commisurate alle effettive capacità di comprensione; va fatta una attenta
valutazione della personalità dell’individuo per poter prevedere e controllare eventuali
reazioni negative; un atteggiamento empatico e non privo di speranza verso il futuro è
comunque indispensabile per assorbire le inevitabili reazioni emotive. Nella
comunicazione vanno particolarmente messe in risalto le risorse comunque disponibili per
le cure durante il decorso della malattia.
Il rispetto delle scelte individuali
La malattia di Alzheimer e le demenze sono condizioni progressive che
determinano, con il tempo, l’incapacità dell’individuo di assumere decisioni in modo
coerente e razionale. D’altra parte una diagnosi di malattia di Alzheimer non significa di
per sé che la persona è immediatamente incapace di prendere decisioni e di fare scelte.
La libertà di poter decidere degli aspetti della propria vita è uno degli elementi centrale
che definisce la qualità di vita di ogni individuo e questo vale anche per una persona
affetta da malattia di Alzheimer. Perciò le residue abilità di decisione del paziente
andrebbero rispettate. Certamente, man mano che la malattia progredisce, le decisioni
dovranno sempre più coinvolgere altre persone, familiari o sostituti legali.
Nelle fasi iniziali il paziente può avere perso parte delle funzioni cognitive e non
essere perciò in grado di gestire autonomamente alcuni aspetti della propria vita (ad
esempio quelli economici o legali); nonostante ciò può possedere ancora una sufficiente
capacità decisionale in alcuni campi (ad esempio, le decisioni terapeutiche o la
partecipazione a sperimentazioni e ricerche). L'autonomia decisionale nel demente va
considerata perciò un concetto dinamico e valutata nelle varie fasi della malattia ed in
relazione al tipo di decisione da assumere.
E’ necessario ricordare che il demente utilizza varie strategie per comunicare la
propria preferenza: talora è il comportamento, l’espressione facciale, la reazione emotiva
che fanno capire quale è la decisione preferita.
Per facilitare la persona è necessario ridurre il numero di opzioni, aiutando il
processo di scelta e guidandolo passo passo.
Il alcuni casi i desideri del paziente e quelli dei familiari differiscono, talora questi
ultimi sono in disaccordo fra di loro; in questi casi è necessario che i professionisti (e fra
questi particolarmente il medico di famiglia) cerchino, attraverso una serena ed
approfondita discussione dei rischi e dei benefici per il paziente, di raggiungere una
decisione condivisa. Quando questo non è possibile potrà essere necessario l’intervento
di un terzo esterno, attraverso un processo di tutela. Tale percorso però può richiedere del
tempo.
La guida dell’automobile
La possibilità o meno di guidare l’automobile è un aspetto che talora crea contrasti
tra il paziente e i familiari. La guida di una automobile è un’attività complessa, che richiede
reazioni rapide, capacità di giudizio, memoria delle regole, dei segnali, dei percorsi,
adeguata prassia, buona vista ed udito. Una diagnosi di malattia di Alzheimer non
significa automaticamente che l’individuo sia incapace di condurre un’automobile.
Comunque la demenza, anche nelle fasi iniziali, determina una riduzione dell’attenzione,
delle capacità di orientamento (soprattutto in luoghi poco noti), della capacità di giudizio
(in particolare in situazioni complesse od inusuali) e difficoltà di tipo visuospaziale che
rendono la guida pericolosa per il paziente e per le altre persone. Purtroppo non vi sono
ad oggi test o prove che permettono di definire la capacità di un individuo di condurre in
modo sicuro un automezzo; pertanto può essere un problema definire il momento in cui
ad un paziente con malattia di Alzheimer deve essere proibita la guida. Inoltre, condurre
l’automobile è per molti individui importante dal punto di vista psicologico e la proibizione
può creare contrasti con i familiari e frustrazione nel paziente.
Quando, sulla base dei dati clinici osservati dal medico o sulla base della storia
(episodi osservati dai familiari di rallentamento nei riflessi, difficoltà nel riconoscimento dei
segnali, nell’orientamento nel traffico o nel parcheggiare, guida senza rispetto delle
regole), si ha il fondato sospetto che la guida possa essere pericolosa questa va
senz’altro proibita. Nelle fasi molto iniziali il comportamento del paziente va attentamente
monitorato, non lasciandolo guidare da solo ed evitando che utilizzi l’automobile per lunghi
percorsi, nel traffico intenso o veloce, in tragitti a lui poco familiari.
La decisione di proibire la guida va comunicata con pazienza dal medico,
motivandola chiaramente, cercando di fornire dei compensi all’ammalato, soprattutto nei
primi periodi (ad esempio, invitarlo a passeggiate o coinvolgerlo in attività piacevoli e
distraenti). In molti casi il paziente si adatta e dimentica poi la guida dell’automobile. In
altri casi sarà necessario ricorrere a stratagemmi, quali nascondere le chiavi, o non far
trovare l’auto o modificarla in modo che non possa avviarsi. Talora è necessario
procedere con gradualità, permettendo ogni tanto piccoli spostamenti con una persona
accanto. Solo in casi estremi il medico sarà costretto a segnalare il paziente all’autorità
perché al paziente venga ritirata la patente.
I trattamenti nelle fasi terminali della vita
Il dibattito etico intorno agli atteggiamenti da tenere nelle fasi terminali della
demenza è molto acceso. L’atteggiamento prevalente è quello di privilegiare la qualità
della vita del paziente, evitando semplicemente di prolungare l’esistenza a tutti i costi,
mantenendo nei pazienti in fase avanzata solo le “cure palliative” ed evitando interventi
“straordinari”, anche se grande rispetto viene dato ai desideri manifestati dal paziente
nelle fasi iniziali della malattia. Il problema è la definizione di ciò che è “straordinario” e di
ciò che invece va considerato “ordinario” nell’assistenza ad un paziente demente in fase
avanzata. Generalmente si considerano straordinari gli interventi sproporzionati rispetto al
rapporto tra sofferenze (anche psicologiche) causate dalle terapie e risultati attesi, tra
disagi provocati ed esigenze di autonomia e dignità nei momenti terminali, tra costi
economici e risultati raggiunti. Sebbene in alcuni paesi stiano emergendo posizioni
estreme, si ritiene che il sostegno alla nutrizione ed all’idratazione e la terapia delle
complicanze (infezioni, scompenso cardiaco) vadano considerati come interventi
“ordinari”.
In alcuni paesi (tra gli altri Stati Uniti e Olanda) viene dato valore ai desideri
espressi dalla persona in momenti precedenti rispetto a situazioni di necessità di cure
intensive o alle scelte terapeutiche nelle fasi terminali di malattia (anche in forma scritta, i
cosiddetti “living will” -testamenti di vita- o “advanced directives” -direttive anticipate).
Anche la disponibilità per la sperimentazione e per la ricerca viene condizionata alla
decisione espressa dal paziente quando questi è ancora competente. La procedura è
ritenuta da alcuni come quella maggiormente rispettosa del principio della
autodeterminazione dell’individuo. Da altri viene, invece, sottolineato come il “living will”
nel caso della malattia di Alzheimer impedisca di fatto al soggetto di modificare la
decisione una volta che la malattia ha superato le fasi iniziali; questo ridurrebbe in realtà
lo spazio di libertà dell’individuo, rendendo impossibile assumere le decisioni nel momento
in cui i trattamenti devono essere effettivamente somministrati. Un aspetto che può
modificare il giudizio etico è l’oggetto della volontà che è destinata a divenire operativa in
un momento successivo alla perdita della capacità di decidere. Qualora si riferisca alla
rinuncia all’uso di mezzi straordinari o sproporzionati e all’accettazione di quelli ordinari e
proporzionati, sembrerebbe che tale manifestazione della volontà debba essere accettata
come opinione espressa liberamente dal paziente, anche se, almeno secondo l’attuale
ordinamento legislativo del nostro paese, non può costituire un vincolo assoluto per il
medico
Le posizioni di un abbandono anche dei mezzi ordinari di terapia, quali il sostegno
all’idratazione ed all’alimentazione, non hanno una base deontologica nè legale nel nostro
Paese e sono lontane dalla sensibilità, dalla cultura e dalla esperienza quotidiana della
maggior parte di chi opera con le persone affette da demenza. Ciò non toglie che intorno
agli aspetti etici delle demenze vi sia un crescente bisogno di confronto serio ed aperto e
di approfondita riflessione nella quale i problemi vengano affrontati anche in termini di
valori. Alla base di ogni riflessione etica va posto il significato della persona umana, la sua
intangibilità in quanto essere esistente, indipendentemente dalle condizioni di salute, e
non solo un presunto rispetto della libertà del singolo, della “qualità” della vita, dietro la
quale si nasconde in realtà la nostra difficoltà ad accettare la limitatezza della scienza,
delle nostre capacità di intervento e la finitezza della natura umana.
La ricerca nei pazienti dementi
La necessità di approfondire le conoscenze sulla demenza e di sperimentare nuovi
farmaci impone di condurre ricerche cliniche sui pazienti. La impossibilità di ottenere un
valido consenso nelle fasi avanzate della malattia rende complessa la decisione circa la
possibilità di svolgere sperimentazioni. In realtà, nella maggior parte dei casi, è possibile
ottenere gli stessi risultati attraverso studi su pazienti in fase lieve o moderata della
demenza, in grado, quindi, di fornire un consenso valido. Per quanto riguarda la
sperimentazione farmacologica si pone il problema di continuare studi di nuove molecole
confrontandole con il placebo (cioè molecole non attive). In realtà, la sempre maggiore
disponibilità di farmaci con la specifica indicazione di cura della malattia di Alzheimer,
sebbene di limitata utilità clinica, impone l’obbligo di considerare la liceità etica di privare
della terapia quella proporzione di pazienti eventualmente trattati con il placebo. Questo
elemento non ha ancora trovato una soluzione condivisa, anche se sembra profilarsi la
necessità di sviluppare protocolli che prevedono il confronto con farmaci attivi già noti.
GLI ASPETTI LEGALI
La legislazione italiana per i pazienti che presentino, a causa di una malattia, una
persistente difficoltà a svolgere i compiti e le funzioni della vita quotidiana, prevede la
possibilità di ottenere benefici (assegno mensile, esenzione da ticket ecc). L'erogazione di
questi è condizionata al riconoscimento dell'invalidità civile.
La domanda di invalidità civile va presentata agli uffici della medicina di base oppure agli
uffici invalidi civili della propria USL. La domanda va corredata da:
-modulo di domanda in due copie
-certificato di residenza
-certificato di cittadinanza
-certificato del medico di base che specifica la diagnosi ed il grado di disabilità
Per espletare la domanda di invalidità ci si può rivolgere alle assistenti sociali comunali o
di circoscrizione, oppure ai Patronati; la loro assistenza è gratuita.
All'atto della visita presso l'apposita commissione nominata in ogni USL, è opportuno
presentare una dettagliata documentazione sanitaria che attesti le condizioni di salute del
malato.
Qualora venga riconosciuta una invalidità permanente del 100%, può essere concessa,
dietro richiesta, un'"indennità di accompagnamento" che consiste in un assegno mensile
erogato al malato per le prestazioni sanitarie ed assistenziali di cui necessita.
L'indennità di accompagnamento viene data alle persone che si trovano nella impossibilità
di deambulare senza l'aiuto permanente di un accompagnatore oppure a chi "non
essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, abbisognano di un'assistenza
continua".
L'indennità di accompagnamento viene concessa indipendentemente dall'età e dal reddito
e viene sospesa qualora il malato sia ricoverato in istituti con rette a carico di enti pubblici.
In alcuni casi, al fine di tutelare gli interessi dell'ammalato, è necessario richiedere
l'inabilitazione o l'interdizione.
La domanda di interdizione o di inabilitazione deve essere presentata al giudice tutelare
della Procura della Repubblica presso il Tribunale competente per territorio.
La sentenza di interdizione determina la totale incapacità di agire e pone l'interdetto in
stato di tutela.
L'inabilitazione, anch'essa sancita con sentenza, determina l'incapacità di compiere gli atti
eccedenti la semplice amministrazione rendendo necessaria, per tali atti, l'assistenza di
un curatore. Possono essere dichiarati inabilitati coloro che si trovano in una condizione di
abituale malattia di mente ma non così grave da richiedere il ricorso all'interdizione.
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