la filosofia della storia di mao

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Lucio Gentilini
LA FILOSOFIA DELLA STORIA DI MAO
(AVVERTENZA: per comprendere appieno queste pagine è necessario conoscere la
storia della Cina degli ultimi due secoli)
Premessa
Ancora oggi a Pechino dalle rosse mura della Città Proibita, sopra l’ingresso più
imponente al suo grandioso ed elaborato complesso di edifici e cortili disposti ed
articolati nella vasta spazialità orizzontale cinese, un enorme ritratto di Mao Tze
Tung - il ‘Presidente Mao’, il ‘Grande Timoniere’ - sovrasta impassibile l’immensa
piazza Tien An Men al cui centro sorgono il mausoleo in cui giace la sua salma
imbalsamata e l’obelisco che riporta alcune sue (e di Chu En Lai) frasi celebri.
Mao il 1 ottobre 1949 fu il fondatore della Repubblica Popolare Cinese, dopo che finalmente - sotto la sua guida il Paese era riuscito a far cessare la vergogna e gli
orrori del colonialismo e dell’aggressione giapponese. Conclusa anche la guerra
civile con la vittoria delle forze comuniste (e non solo) da lui dirette, la Cina sperò
allora che davvero una nuova storia potesse aver inizio anche per lei e che la
spaventosa miseria da cui era afflitta potesse essere alfine debellata dal suo popolo,
unito in nome della giustizia sociale ed animato dalla speranza di progresso e di un
futuro migliore.
Tuttavia la Cina di oggi è completamente diversa da quella di cui Mao fu presidente
ed anzi ne ha rinnegato ogni insegnamento e tutte le direttive; mentre le sue
tumultuose trasformazioni stanno stupendo il mondo, nulla sembra essere rimasto
com’era stato fino al 1976, anno della morte del dittatore comunista; le folle di
occidentali che auguravano ‘lunga vita al Presidente Mao’ ed ammiravano invidiose
le masse di cinesi che agitavano in alto il ‘libretto rosso’, fonte di saggezza e verità
oltre che di indicazioni politiche, oggi al massimo possono comperarlo per quattro
soldi sui banchetti dei venditori di souvenir turistici fra la paccottiglia e le bizzarrie
del folklore locale.
Per finire, è ormai conoscenza diffusa di quanto sangue e di quante follie è stata
costellata la vicenda politica di Mao.
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Comunque si giudichi la sua controversa figura, il meno che si possa dire di lui è
però che è stato il protagonista fondamentale della storia della Cina del secolo scorso
(e, di conseguenza, uno dei massimi costruttori del mondo odierno), eppure oggi
nessuno nè lo accusa nè lo difende perchè nessuno ne parla nemmeno più.
Lungi dal condividere questo silenzio, qui ci si vuol chiedere invece chi sia stato
davvero Mao.
In questa sede verrà allora analizzato il suo pensiero filosofico, la struttura teorica più
profonda che fu il fondamento della sua visione del mondo - la riflessione più riposta
che sostenne tutte le sue altre convinzioni.
Il materialismo storico
Mao fu un marxista, anzi, uno che interpretò il marxismo, lo sviluppò e ne diede una
visione particolare ed originale, e così, visto che la filosofia del marxismo è il
materialismo storico, se ne dovrà tracciare anzitutto un profilo generale.
I
Il materialismo storico è una visione della realtà secondo la quale nella Storia opera
una Ragione, cioè una logica, che le conferisce un ordine ed una direzione.
La Ragione che opera nella Storia è una ragione dialettica, cioè basata sul principio
di contraddizione. Secondo questo principio ogni determinato stadio di una civiltà –
che possiamo immaginare come qualcosa di unico e concluso – inevitabilmente
prima o poi sviluppa al suo interno una contraddizione, cioè una divaricazione ed
una polarizzazione sociale crescente: si verifica allora lo scontro di due realtà sociali
contrapposte che sembra paralizzante e, al limite, irrazionale, mentre, al contrario, è
proprio da questo scontro che finisce per scaturire invece un nuovo stadio della
civiltà che ha inoltre inglobato in sè ed elevato ad un livello superiore i termini della
contraddizione che l’hanno generato: è questa la rivoluzione.
Anche questo nuovo stadio comunque prima o poi conoscerà lo stesso destino ... e
così via fino all’avvento del comunismo.
La Ragione che secondo la filosofia dialettica opera nella Storia è insomma una
ragione che porta all’avanzamento ed allo sviluppo non attraverso un’evoluzione
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lineare ed unidirezionale, bensì secondo un processo sussultorio, fatto di momenti di
stasi, poi di contrasto, ed infine di rivoluzione.
Il materialismo storico nacque dal ‘capovolgimento’ della dialettica hegeliana operato
da Marx e da Engels secondo i quali in una società la contraddizione nasce quando le
forze produttive – cioè gli uomini ed i mezzi impiegati nella produzione - si
evolvono e si modificano entrando così in urto crescente coi rapporti di produzione
- cioè con le modalità di divisione del prodotto sociale – coi quali non si accordano
più.
Dato che per la loro stessa natura le forze produttive tendono alla modificazione dei
loro sistemi, il loro sviluppo è un fenomeno ineluttabile, mentre i rapporti di
produzione tendono alla conservazione ed a riproporsi continuamente inalterati.
Finchè le prime rimangono anch’esse inalterate la società vive in equilibrio e si
mantiene sempre uguale a se stessa (anche per periodi molto lunghi), ma questo
equilibrio, come abbiamo appena detto, prima o poi comincia ad incrinarsi e la
contraddizione prende forza finchè diventa inarrestabile. Visto che forze produttive e
rapporti di produzione sono in definitiva incarnati in classi sociali (chi lavora e chi è
proprietario), la contraddizione è uno scontro sociale dal quale – nonostante le
svolte e le complicazioni della storia – prima o poi emergono vincitrici le forze
produttive: la rivoluzione in definitiva consiste nell’adeguamento ad esse dei rapporti
di produzione.
Quando con l’avvento del comunismo la società non sarà più composta di classi con
interessi economici (e quindi anche spirituali) contrapposti, anche questo processo
sarà giunto alla sua fine ed il mondo entrerà in una nuova fase.
Come si vede, per il materialismo storico è il settore economico quello che in una
società gioca il ruolo decisivo e che ne è il motore - la struttura - mentre tutto il
mondo dello spirito - la sovrastruttura - fondamentalmente ne esprime i contenuti e
le esigenze (e ne ripropone lo scontro).
Visto che il livello che si raggiunge attraverso il superamento delle contraddizioni (la
rivoluzione) è sempre più alto, si può senz’altro asserire che il materialismo storico è
una filosofia ottimistica.
Resta però da capire in che senso si parla di livello superiore e che significa ciò.
II
Ebbene, considerata da questo punto di vista la filosofia dialettica è una filosofia
pessimistica perchè ritiene che l’uomo finora non abbia ancora veramente realizzato
se stesso, non viva ancora rapporti sociali che permettano il pieno dispiegamento
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delle sue qualità, ed infine che il cammino per raggiungere la sua pienezza per lui sia
ancora lungo: dopo ogni superamento di una fase contraddittoria infatti uomo e
società si avvicinano soltanto a una più ampia realizzazione di se stessi.
E’ in questo senso che, per esempio, Marcuse afferma che “Il pensiero dialettico ha
inizio con la costatazione che il mondo non è libero; cioè che l’uomo e la natura
esistono in condizione di alienazione ‘diversi da ciò che sono’.”(1)
L’uomo non è libero perchè veramente libero è solo il soggetto, cioè colui che può
agire da vero e cosciente padrone delle sue azioni e quindi in un mondo ed in una
società che gli permettano tutto ciò. Finchè questo stadio della storia non sarà arrivato
l’uomo resterà alienato, cioè diverso e separato da se stesso ed alla ricerca del suo
compimento.
L’uomo arriverà, sì, a ricongiungersi con se stesso ed a realizzare la sua pienezza ed
unità, ma il cammino su questa strada è e sarà ancora molto lungo.
III
Abbiamo visto che il materialismo storico è strumento essenziale di conoscenza e
che senza il suo lume la storia apparirebbe solo uno sconfinato caos. Il bisogno della
filosofia – aveva già detto il vecchio Hegel – nasce quando nel mondo sembra essere
scomparsa l’unità degli opposti e il contrasto, la contraddizione, sembra insanabile ed
inamovibile. Quando le realtà contrapposte ci appaiono inconciliabili e la storia
lacerata e senza unità, ciò avviene perchè noi non siamo capaci di leggere negli
avvenimenti, cioè non siamo in grado di comprendere il senso profondo del divenire
storico e ci arrendiamo davanti al contrasto dei vari fenomeni che erroneamente
consideriamo ineliminabile. Il materialismo storico riconoscendo invece che nella
Storia opera una Ragione e che il divenire umano è un processo unico, nega le
negazioni riconoscendole relative al momento e destinate ad essere superate.
Tuttavia il tratto più caratteristico ed originale del materialismo storico non consiste
in ciò che sin qui s’è detto perchè in fondo esso finora non è apparso altro che una
corrente filosofica fra le altre: il realtà il filosofo dialettico pensa invece di essersi
impadronito (è la parola giusta) della ragione dello sviluppo dell’umanità; egli così
si erge sulla Storia, se ne ritiene autocoscienza, Storia finalmente comprensibile a
se stessa. Egli sa; egli capisce il senso profondo e razionale degli eventi; egli solo è
cosciente. Il suo sapere è definitivo.
E non basta: egli attribuisce questa sua superiorità rispetto a tutti gli altri al fatto che
tutti gli altri sono prigionieri di interessi particolari che impediscono loro di
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assurgere alla conoscenza scientifica, universale, vera, degli eventi: nè il loro
pensiero e le loro azioni possono dunque essere interamente razionali.
Come colui che conosce le leggi della natura sa sfruttarle, prevederle e piegarle ai
suoi fini, mentre colui che le ignora ne è schiavo, le teme e non sa come comportarsi
di fronte ad esse, così il filosofo dialettico – che, unico, comprende il vero senso degli
eventi – non può che agire di conseguenza ed adoprarsi in modo razionale portando
così avanti la Storia stessa.
Il materialismo storico è una filosofia dell’azione: la sua conoscenza della Storia è
razionale e scientifica, cioè vera ed assoluta: il socialismo dei marxisti è scientifico
perchè esplicitamente basato sulla scienza della Storia.
La grandiosità di una concezione simile è evidente: il marxista sente di essere uscito
da uno stadio della civiltà e di essere entrato in un altro fondato sul possesso della
verità assoluta.
Fu proprio questo a dare ai comunisti la straordinaria sicurezza in se stessi: non si può
comprendere la terribile vicenda del comunismo novecentesco se non si è
consapevoli della forza di questa convinzione, a volte più incrollabile di una fede
religiosa – e, come questa, immune da ogni smentita dei fatti ed anzi sempre pronta
e capace di demolirli, manipolarli, negarli o travisarli completamente ricorrendo
disinvoltamente a massicce (e a dir poco incredibili) operazioni di mistificazione
della realtà.
Il pensiero filosofico di Mao
Il pensiero filosofico vero e proprio di Mao (come di ogni marxista) è completamente
fuso con quello sociale, politico, strategico, militare, economico, ecc., e con tutta la
sua lunga militanza rivoluzionaria.
Mao (come ogni marxista) non scrisse mai per amore della teoria o della conoscenza
pura, ma sempre con intenti anche pratici, eppure il sostrato e la logica di tutta la sua
vita (così fusa con la sua attività politica) è una precisa ed armoniosa filosofia che
continuamente illumina di luce universale ogni sua azione contingente e limitata,
inserendola nel più ampio contesto dell’intero sviluppo storico e rivoluzionario.
La sua filosofia è inoltre un’ assimilazione ed un’ interpretazione – cioè un
arricchimento – del marxismo che veniva dall’Occidente: così come la sua politica
rivoluzionaria, anche il pensiero filosofico di Mao seppe fondere cultura ed
esperienza rivoluzionaria europea con la realtà, la mentalità, le esigenze, della Cina.
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Nel far ciò Mao volle filtrare ciò che secondo lui costituiva l’anima del marxismo
separandola da ciò che rispondeva invece a situazioni particolari ed a periodi lontani
e diversi da quelli cinesi.
Egli riuscì così a leggere la concreta realtà dei suoi tempi e del suo Paese alla luce
della dialettica materialista ed il suo compito rivoluzionario divenne allora lo
svolgimento di un programma.
I
Secondo Mao “La lotta e la dipendenza reciproche degli aspetti contraddittori
presenti in tutte le cose determinano la vita di tutte le cose e sono la forza motrice del
loro sviluppo. Non esistono cose che non contengono contraddizioni, senza
contraddizione non esisterebbe il mondo” (2): la struttura logica del mondo è
insomma un insieme di contraddizioni e la contraddizione è la struttura di ogni
fenomeno da cui derivano movimento e sviluppo.
Una contraddizione è composta da due contrari che, pur formando insieme un’unità,
si combattono senza sosta: questi due aspetti della contraddizione hanno uno sviluppo
ineguale (uno è destinato a trionfare sull’altro) e quello dei due che ha una posizione
dominante è quello che determina la situazione - Mao lo definisce l’aspetto
principale.
Certamente ogni momento storico è complicato, consta cioè di tutta una serie di
contraddizioni, ma solo una è quella principale, quella che influenza e che permette
tutte le altre e “Una volta afferrata questa, tutti i problemi divengono di facile
soluzione” (3) (almeno in linea teorica). Un’analisi corretta delle contraddizioni e
della loro gerarchia è così il primo ed essenziale compito del rivoluzionario, senza del
quale la sua azione non potrebbe mai mordere davvero sulla realtà e trasformarla.
Per lunghi anni Mao e la dirigenza del P.C.C. ebbero divergenze anche serie
sull’analisi della realtà cinese dalla quale derivava poi una diversa condotta
rivoluzionaria: per la direzione del P.C.C. in Cina la contraddizione fondamentale
sulla quale bisognava concentrare gli sforzi maggiori era quella classica del
marxismo, costituita dal contrasto borghesia – proletariato in un contesto cittadino; in
quest’ottica le campagne con la loro struttura ancora feudale o semifeudale erano
destinate ad essere traghettate direttamente nella società socialista dopo che questa
fosse stata costruita nelle città. Come si vede, la dinamica rivoluzionaria cinese
veniva immaginata sostanzialmente identica a quella russa ed i comunisti cinesi,
sostenuti dal Komintern,
cercavano di applicare nel loro Paese la teoria
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rivoluzionaria marxista così come l’avevano imparata sui testi e così come la
vedevano confermata dalla vittoriosa applicazione sovietica.
Per Mao invece in questo atteggiamento si celava un errore imperdonabile e
gravissimo, tale da portare alla rovina ed al fallimento: egli ritenenva infatti che
l’analisi delle contraddizioni interne della società cinese operata dalla direzione del
P.C.C. fosse sbagliata e, basata su questa analisi, la rivoluzione cinese non avrebbe
potuto che fallire. Si trattava allora di “estirpare le concezioni dogmatiche” (4)
presenti nel P.C.C. per ridare alla teoria il suo vero significato e renderla così adatta
ed utile al suo scopo rivoluzionario.
La politica del P.C.C. per lui era ‘dogmatica’ perchè dopo aver copiato l’analisi della
contraddizione principale dal remoto e diverso mondo occidentale, invitabilmente
copiava e tentava di riprodurre anche una prassi rivoluzionaria che era nata e che
aveva attechito in ambienti e situazioni profondamente differenti e molto lontani da
quelli cinesi.
Cosa proponeva allora Mao?
Secondo Mao la Cina era stata un paese semplicemente feudale fino al 1840 (prima
guerra dell’oppio); da allora aveva cominciato a subire anche il giogo imperialista del
colonialismo mentre l’invasione giapponese della Manciuria nel 1931 aveva poi
aggravato tutti i suoi problemi. La realtà cinese era insomma molto dissimile da
quella che Marx ed Engels avevano studiato e in cui Lenin aveva operato, quindi
pretendere che la contraddizione principale fosse la stessa non aveva senso.
Per Mao “La contraddizione fra l’imperialismo e la nazione cinese e quella fra il
feudalesimo e le masse popolari sono le contraddizioni fondamentali della moderna
società cinese” (5); su queste contraddizioni bisognava dunque far leva perchè si
ingigantissero ed esplodessero, e non su quella fra borghesia e proletariato cinesi
perchè “i principali oppressori della società cinese” (6) non erano i borghesi cinesi
ma “l’imperialismo ed il feudalesimo, cioè la borghesia dei paesi imperialisti e la
classe dei proprietari fondiari del nostro paese ... e dal momento che l’oppressione
più grave è l’oppressione nazionale esercitata dall’imperialismo, l’imperialismo è il
primo e peggior nemico del popolo cinese.” (6)
Due differenti analisi, due differenti strategie rivoluzionarie: quella del P.C.C. si
dimostrò fallimentare nel 1927 e nella prima fase della ‘Lunga Marcia’ e dovette
essere abbandonata. Applicata quella di Mao, essa risultò vincente.
Giunti a questo punto potrebbe venir da pensare che il marxismo, nato dall’Idealismo
romantico tedesco e teoria rivoluzionaria delle società industriali europee, non
potesse, per la sua stessa natura, essere fruttuosamente applicato ad una società
asiatica, (semi)colonizzata e (semi)feudale, come la Cina di allora e che se l’errore
del P.CC. era stato semplicemente quello di tentare di risolvere la questione cinese
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con uno strumento inadatto, Mao avrebbe invece elaborato una sua ideologia
rivoluzionaria che, per quanto vincente, non sarebbe stato però marxismo.
Ma Mao si ritenne sempre assolutamente marxista e rifiutò esplicitamente giudizi del
genere basati per lui su un modo di ragionare ‘dogmatico’, che identificava cioè il
marxismo con la sua lettera anzichè con la sua sostanza – e la sostanza del marxismo
è la dialettica materialista che lui seguì sempre, mentre i contenuti concreti e
particolari di essa, che variano continuamente in ogni situazione, ne sono invece la
lettera. Seguire pedissequamente quest’ultima vuol dire tradire lo spirito del
marxismo, il suo significato ed il suo valore.
A questo senso profondo del marxismo Mao si uniformò sempre: la dialettica
materialista, sostanza del marxismo, è lo studio della struttura della contraddizione e
fu in questo senso che Mao studiò la Cina ed elaborò la sua strategia rivoluzionaria.
La comprensione delle categorie logiche del mondo (le contraddizioni) per lui era
infatti la guida della azione concreta.
II
A questo punto sorge però ovvia una domanda: se ad ogni situazione ne segue
un’altra ed ogni contraddizione trapassa nella seguente, allora anche socialismo e
comunismo saranno fasi temporanee e limitate nel tempo come feudalesimo,
imperialismo, capitalismo? In altri termini: se la filosofia dialettica mostra la
transitorietà e la precarietà di tutti i regimi economici-sociali-politici della storia
(tutti egualmente minati al loro interno da contraddizioni che prima o poi li
abbatteranno) allora anche socialismo e comunismo avranno al loro interno delle
contraddizioni destinate a farli esplodere e scomparire?
Questa è un’osservazione cruciale per ogni filosofia marxista e dialettica perchè,
estendendo anche al futuro quella stessa legge universale con la quale essa legge
passato e presente, rende provvisoria e passeggera anche la la futura società
comunista, la meta storica tanto agognata dai rivoluzionari.
Mao si pose e rispose a questa domanda.
Secondo lui la dialettica, struttura logica del mondo, è onnipresente e, dunque, anche
socialismo e comunismo avranno delle contraddizioni al loro interno, ma queste
saranno di un tipo particolare: le contraddizioni non sono infatti tutte uguali nè si
comportano tutte allo stesso modo: “talune contraddizioni hanno un aperto e
dichiarato carattere antagonistico, altre no. A seconda del concreto svilupparsi dei
fenomeni, talune contraddizioni, che non erano antagonistiche diventano tali;
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viceversa talune altre, da antagonistiche possono trasformarsi in non antagonistiche.”
(7) Una contraddizione è antagonistica quando i suoi contrari lottano all’ultimo
sangue e tale lotta “nel corso del suo sviluppo si trasforma in rivoluzione” (8), mentre
non è antagonistica quando si risolve (o può risolversi) in modo pacifico senza
arrivare ad un ribaltamento e ad una trasformazione qualitativa della società.
Ecco allora che secondo Mao nelle future società socialiste e comuniste le
contraddizioni ci saranno, ma non saranno antagonistiche e la loro soluzione
porterà ad un rafforzamento e ad un approfondimento di tali società anzichè alla loro
fine.
E come fa Mao a sostenere una distinzione del genere?
Ebbene, egli distingue fra ‘popolo’ (le classi lavoratrici) e ‘nemico del popolo’ (i loro
sfruttatori ed oppressori) e gli è facile allora concludere che “Le contraddizioni tra
noi e i nostri nemici sono contraddizioni antagonistiche. In seno al popolo, le
contraddizioni tra i lavoratori non sono antagonistiche” (9). Alcune contraddizioni,
poi, hanno aspetti sia antagonistici che non: per es. dopo il 1949 era questo il caso
della ‘borghesia nazionale’, la quale era sì una classe sfruttatrice (aspetto
antagonistico) ma aveva altresì combattuto insieme al popolo e sembrava disposta ad
accettare anche la trasformazione della società in senso socialista (aspetto non
antagonistico): bisognava quindi far prevalere con una giusta ed equilibrata politica
quest’ultimo aspetto.
E’ ovvio che contraddizioni differenti vanno risolte in modi differenti, tuttavia
anche quelle non antagonistiche (soprattutto fra operai e contadini), nonostante per la
loro soluzione richiedano sistemi pacifici, vanno nondimeno prese sul serio e
comunque risolte, altrimenti può anche succedere che la situazione degeneri e finisca
col comparire proprio l’antagonismo.
III
Volendo riassumere e fare il punto della situazione, possiamo dunque ripetere che
secondo Mao il mondo è strutturato dialetticamente, infatti è un insieme di
contraddizioni in continua evoluzione; esse sono il motore del mondo perchè il suo
movimento è dato unicamente dalla lotta incessante dei contrari. Come dice Mao “Le
contraddizioni sorgono continuamente e sono continuamente risolte, ed è questo che
costituisce la legge dialettica dello sviluppo delle cose e dei fenomeni.” (10)
Tuttavia, se ogni situazione e periodo (passato, presente e futuro) è formato da una
serie di contraddizioni, una sola di esse però è la fondamentale; inoltre, se ogni
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contraddizione è composta da due contrari in lotta fra loro, tuttavia la loro lotta può
essere antagonistica (uno dei due soccombe ed allora passeremo ad un’altra
situazione ed ad un’altra contraddizione) oppure non-antagonistica (la contraddizione
potrà essere estinta in modo pacifico e la situazione si stabilizzerà meglio pur
essendosi in qualche modo evoluta).
Ma da dove proviene all’uomo questa conoscenza?
Anche il problema gnoseologico venne affrontato da Mao, soprattutto quando dal
1937 decise di fondare rigorosamente il marxismo in Cina dandogli anche una
compiuta e sistematica veste teorica.
Come per ogni marxista, anche per Mao la conoscenza non è qualcosa di slegato dal
resto delle altre attività umane; al contrario, essa deriva (come tutto) dall’attività
principale nella vita dell’uomo e della società, l’attività produttiva.
E’ dall’esigenza di soddisfare i propri bisogni che nascono tutte le attività umane.
Anche la conoscenza allora è un’attività pratica ed è sbagliato ritenerla astratta e
contemplativa: non ha senso conoscere solo per conoscere perchè la conoscenza torna
e si trasforma continuamente in attività pratica ed è l’attività pratica a decretare la
verità o meno della conoscenza stessa. Insomma, è l’attività produttiva quella da cui
dipende quella gnoseologica ed è la prima che apre spazi ed orizzonti alla seconda di
cui permette le condizioni.
Così, anche la teoria marxista potè nascere e svilupparsi solo quando esistette una
ben precisa situazione economica che la permise: Mao riconobbe che “Solo quando
con la comparsa di forze produttive gigantesche - la grande industria – apparve il
proletariato moderno, gli uomini poterono raggiungere una comprensione storica
completa dello sviluppo storico della società e trasformare le loro conoscenze della
società in una scienza. La scienza marxista.” (11)
Naturalmente, la conoscenza ha anche un suo percorso evolutivo interno dato che non
è pensabile che sorga all’improvviso compiutamente formata: in un primo tempo essa
si limita alla semplice percezione delle cose, la quale coglie l’oggetto solo
superficialmente e nei suoi rapporti esterni; la ripetizione continua di tali percezioni
fa poi compiere all’intelletto il salto che porta al concetto; il concetto a sua volta
coglie l’essenza delle cose, i loro rapporti interni, e porta così al ragionamento, alla
deduzione logica ed alla conoscenza razionale; e questa conoscenza razionale
procede e si affina “fino a mettere in evidenza le contraddizioni insite nel mondo che
ci circonda. In questo modo la conoscenza logica arriva ad afferrare lo sviluppo del
mondo circostante nella sua totalità.” (12)
Anche Mao insomma fece propria la lezione marxista della possibilità della
conoscenza scientifica (cioè assolutamente vera) della totalità - della completa
coscienza dell’intero processo: anche per lui la dialettica materialista, sostanza del
11
marxismo, conoscendo la struttura logica della contraddizione conosce il mondo in
modo assoluto, scientifico, totale, metafisico.
Di conseguenza, l’azione che s’innesta su di esso sarà l’unica assolutamente,
scientificamente e metafisicamente giusta e vincente.
Anche in Mao troviamo così che le idee personali, le inclinazioni, i desideri, la
spontaneità e gli ideali, per quanto generosi e lodevoli, pure non devono in alcun
modo guidare l’azione, mentre i buoni propositi possono rivelarsi addirittura nocivi e
dannosi. Ecco la ragion filosofica di tutte le ‘campagne di rettifica’, di tutti i corsi di
rieducazione, di tutte le “persuasioni” e di tutte le battaglie ideologiche: non si
trattava di scontri di opinioni ma dell’alternativa fra Verità ed errore.
Certamente nelle opere di Mao troviamo spesso un certo rispetto per coloro che in
qualche modo deviavano dalla linea giusta e corretta e ripetuti inviti a che nella
battaglia ideologica non fossero mai usati sistemi coercitivi, bensì discussione e
persuasione, ma – tralasciando ogni considerazione sulla sincerità di queste
affermazioni e su quanto poco esse siano state seguite – questa moderazione non va
fraintesa perchè era solo tattica per portare tutti alla posizione giusta e vincente,
l’unica fondata sulla Verità.
Per Mao “I comunisti di tutto il mondo sono superiori alla borghesia, essi
comprendono le leggi dell’esistenza e dello sviluppo delle cose e dei fenomeni,
comprendono la dialettica e possono vedere più lontano.” (13) Di conseguenza, la
libertà non consiste nel fare quel che si vuole, ma nel muoversi in accordo col corso
delle contraddizioni e “questa libertà è una libertà che ha una direzione.” (14)
IV
Stabilito che la contraddizione è l’onnipresente struttura della realtà i cui contenuti
soltanto sono diversi (Mao li chiama il suo ‘carattere specifico’); che ogni
contraddizione ha una sua vita per cui nasce, si sviluppa e muore; che la durata di
questa vita non ha regole e dipende da un’infinità di fattori contingenti; che una
contraddizione può estinguersi in due modi: o gli eventi prendono una piega tale che
la contraddizione diventa secondaria fino ad estinguersi o arriva ad un grado di
sviluppo tale che esplode così che “la vecchia unità e i contrari la costituivano
lasciano il posto a una nuova unità e ai suoi nuovi contrari” (15); che a questo punto
bisognerà 1) individuare questa nuova unità e i contrari che la costituiscono e 2)
trovare la strada giusta per agire sulla nuova contraddizione (è evidente infatti che
rimanere fermi alla situazione precedente o anticipare la nuova vuol dire perdere i
contatti con la realtà); e, infine, che si deve stabilire se una contraddizione è
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antagonistica o no; è interessante come Mao rilegga e interpreti la storia (anche
futura!) della Cina e come intenda risolverne le contraddizioni:
1) Periodo feudale (fino al 1840, prima guerra dell’oppio).
contraddizione fra: classe dei contadini
classe dei proprietari feudali
soluzione: non esiste finchè il proletariato (e quindi l’industria e la borghesia)
non giunge sulla scena della storia a guidare la lotta dei contadini.
2) Periodo coloniale, semicoloniale e semifeudale (fino al 1949).
contraddizione fra: popolo cinese
imperialismo e feudalesimo
soluzione: politica di ‘nuova democrazia’, alleanza del P.C.C. con la
‘borghesia nazionale’.
3) Periodo 1949 – 1966.
contraddizione fra: socialismo cinese
povertà e arretratezza della Cina
soluzione: industrializzazione e collettivizzazione della terra che, tra l’altro,
permettono di passare dalla prima fase della rivoluzione cinese
(quella di ‘nuova democrazia’) alla seconda (quella socialista)
attraverso il superamento di numerose contraddizioni secondarie
non antagoniste.
inoltre:
contraddizione fra: ideologia socialista
ideologia borghese
soluzione: discussione, persuasione, rieducazione.
4) Periodo della Rivoluzione Culturale.
contraddizione fra: linea rossa maoista (prosecuzione ed approfondimento
della rivoluzione)
linea nera (burocratismo, revisionismo, reviviscenza
dell’ideologia borghese, stasi, tradimento della
rivoluzione)
soluzione: mobilitazione delle masse, propaganda, lotta ideologica senza
quartiere, processi pubblici, epurazioni nel partito, riallineamento.
13
5) Periodo futuro.
contraddizione fra: socialismo e decolonizzazione mondiali
imperialismo mondiale
soluzione: futura guerra (o guerre) mondiale(i): “la neutralità non sarà che una
parola illusoria.” (16)
Le stesse schematicità e semplicità di questo quadro della storia della Cina moderna e
delle azioni da intraprendere in ogni sua fase dialettica mostrano inequivocabilmente
come il destino e l’azione di centinaia di milioni di uomini vennero da Mao sempre
freddamente e ‘scientificamente’ suddivisi in tempi, periodi e comportamenti
conseguenti secondo l’inesorabile svolgersi delle contraddizioni e la necessaria
azione ‘scientifica’ per il loro superamento.
Mao volle sempre rimanere lucidamente aderente ad ogni mutamento di scenario e
ciò spiega, per esempio, la decisione e la spregiudicatezza con cui adottò politiche
(ben poco ortodosse in un marxista) come l’alleanza col Kuomintang e con la
‘borghesia nazionale’. Non si trattò di opportunismo, ambizione, indecisione o
quant’altro (o almeno così si pretese), ma sempre di collegamento alle esigenze che
il processo dialettico della Cina richiedeva: se la contraddizione principale è
l’invasione giapponese, bisogna allearsi anche al Kuomintang; se è il feudalesimo,
anche con la ‘borghesia nazionale’.
Allo stesso modo, Mao ebbe sempre ben chiaro che la rivoluzione cinese si sarebbe
articolata in due fasi: la prima – chiamata ‘nuova democrazia’ – avrebbe comportato
l’alleanza delle classi lavoratrici con la ‘borghesia nazionale’, quella disposta a
battersi contro imperialismo e feudalesimo sotto la guida del P.C.C.: “la repubblica
di nuova democrazia ... è una forma per un periodo storico determinato, dunque una
forma transitoria, ma una forma inevitabile e necessaria.” (18) Solo quando questa
fase si fosse conclusa con la sconfitta di imperialismo e feudalesimo si sarebbe potuto
passare alla seconda, quella socialista vera e propria, cioè alla trasformazione sociale
che avrebbe comportato anche la fine della ‘borghesia nazionale’.
Per Mao era assolutamente necessario che il partito comprendesse tutto ciò (e gli
obbedisse) senza aver fretta di passare troppo presto alla seconda fase o voglia di
attardarsi troppo a lungo sulla prima: molte furono le resistenze in un senso o
nell’altro, ma vennero tutte abbattute con fermezza perchè le tappe della storia hanno
i loro tempi cui ci si deve adeguare se si vuol rimanere legati alla realtà e,
conseguentemente, vincere.
Anche dopo la vittoria nella guerra civile Mao continuò a comportarsi come se si
fosse ancora in guerra: e certamente questa per lui continuava ancora e non sarebbe
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cessata che coll’affermazione definitiva e mondiale del comunismo, la Grande
Armonia sotto il cielo.
Il 1 ottobre 1949, quando celebrò la nascita della Repubblica Popolare Cinese, Mao
affermò esplicitamente che “abbiamo fatto soltanto una cosa: abbiamo riportato
sostanzialmente la vittoria nella guerra rivoluzionaria ... Ma abbiamo ancora molto da
fare; paragonandolo ad un viaggio, il lavoro compiuto è soltanto il primo passo di una
lunga marcia di diecimila li” (17) - la lunghezza convenzionale della Grande
Muraglia.
Questo fu il modo in cui Mao applicò la sua filosofia.
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Note
1) H. Marcuse: “Ragione e rivoluzione”, ed. Il Mulino, Bologna 1969, pag. 8.
2) Mao Tze Tung: “Sulla contraddizione” (1937), contenuto in Guarnotta: “Mao
Tze Tung”, Accademia-Sansoni ed., Sancasciano Val di Pesa 1970, pag. 136.
3) Mao Tze Tung: “Sulla contraddizione”, op. cit. pag. 159.
4) Ibid. pagg. 84-85.
5) Mao Tze Tung: “La rivoluzione cinese ed il partito comunista cinese” (1939)
contenuta in “Mao Tze Tung, Opere scelte” vol. II, Casa ed. in lingue estere,
Pechino1971, pag. 326.
6) Ibid. pag. 328.
7) Mao Tze Tung: “Sulla contraddizione”, op. cit., pag. 176.
8) Ibid. pag. 175.
9) Mao Tze Tung: “Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo”
(1957); contenuto in Mao Tze Tung: “La rivoluzione cinese”, Paperback
marxisti 18, Newton Compton ed., Roma 1968, pag. 299.
10) Ibid. pag. 311.
11) Mao Tze Tung: “Sulla prassi”, contenuto in Guarnotta, op. cit., pagg. 108-109.
12) Ibid. pag. 112.
13) Mao Tze Tung: “La dittatura democratica popolare” contenuta in Mao Tze
Tung: “La rivoluzione cinese”, op. cit., pag. 282.
14) Mao Tze Tung: “Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al
popolo”, op. cit., pag. 302.
15) Mao Tze Tung: “Sulla contraddizione”, op. cit., pag. 139.
16) Mao Tze Tung: “Sulla nuova democrazia” (1940), contenuta in Mao Tze
Tung: “La rivoluzione cinese”, op. cit., pag. 247.
17) Mao Tze Tung: “La dittatura democratica popolare”, op. cit., pagg. 296-297.
18) Mao Tze Tung: “ Sulla nuova democrazia”, op. cit., pag. 230.
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