Manifesto - Marsilio Editori

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il manifesto
SABATO 10 SETTEMBRE 2016
CULTURE
CELESTE IMPERO
una vicenda la cui rilevanza storica
ha finito per schiacciare l’importanza «editoriale» del volume.
Da un punto di vista storico, infatti, il libro restituisce completamente
l’idea della complessità del processo messo in atto da Mao e dal partito comunista cinese, rendendo chiare le caratteristiche salienti e «proprie» della rivoluzione comunista.
Compresi i miti e lo sciacallaggio
che già all’epoca si faceva su Mao
(dalle dicerie sul suo carattere, a immaginarie malattie, fino a dati più
marginali e di colore, come la presunta perfetta conoscenza del francese, un rumor assurdo per un leader che all’epoca sostanzialmente
non era mai uscito dalla Cina, e che,
anche in seguito, andrà solo una volta fuori dai confini cinesi per un viaggio in Russia).
Simone Pieranni
Quarant’anni fa moriva
Mao. Come raccontare
oggi il paese di allora?
Il Saggiatore ripropone
Edgar Snow e il suo
«Stella Rossa sulla
Cina» per rintracciare
la storia in presa diretta
I
l 9 settembre 1976 moriva Mao
Zedong. Oggi in Cina la data di
morte del Grande Timoniere, così come quella di nascita, il 23 dicembre 1893, passa in sordina o viene
per lo più celebrata in quei luoghi
ancora agganciati alla sua eredità
per questioni puramente nostalgiche (poche ormai) o turistiche (sempre di più). È il caso, ad esempio, di
Yan’an divenuta nel tempo una sorta di «Disneyland rossa» o di Shaoshan, il luogo di nascita.
Questo ricordo ondivago di Mao
da parte della Cina contemporanea
riflette una discussione storica per
la letteratura che affronta il Celeste
Impero; in molte pubblicazioni che
provano a fare luce sul gigante asiatico si presenta spesso la seguente domanda: quanto è rimasto dell’esperienza politica comunista, con Mao
a capo, in questa «nuovissima Cina»? Quanto c’è ancora oggi di quel
paese protagonista della rivoluzione? E quanto rimane dell’origine antica di alcuni fardelli sociali con cui
dovette confrontarsi anche il «contadino» Mao? Le risposte a queste domande riservano il consueto senso
di vertigine che si ha nel momento
in cui si affrontano questi passaggi
nella storiografia cinese. Mao è presente e completamente assente nella Cina di oggi, allo stesso modo. Resistono alcune caratteristiche, interne, sociali, politiche e internazionali, «segnate» dal passaggio del grande leader della rivoluzione, così come tutto è cambiato.
Cospiratori in caverna
La Cina è completamente diversa
da allora e nel corso di questi quarant’anni dalla sua morte il feticcio
di Mao è stato saccheggiato e svuotato, mentre il mondo circostante è diventato completamente diverso. E
uno dei testi con i quali ancora oggi
si fanno i conti è il capolavoro di Edgar Snow, Stella Rossa sulla Cina (euro 29) che nel 2016 il Saggiatore ha
deciso di ristampare, con l’introduzione della prima edizione del 1965
di Enrica Collotti Pischel e arricchita
da una prefazione di Marco Del Corona, già corrispondente del Corriere della Sera a Pechino e grande conoscitore del paese e della storia della Cina.
Il testo di Edgar Snow ha due grandi pregi: è un documento storico incredibile, perché Snow ha potuto vedere da vicino quanto nessuno in
quel momento poteva vedere, ovvero l’organizzazione e l’afflato rivolu-
Tra campagna e città
Alle sorgenti
del comunismo
zionario e nazionalista di Mao e
compagni. Una vicinanza non solo
fisica che segna nettamente il libro,
come ben si sa. La voce di Snow, la
sua condivisione dei tempi, delle
condizioni di vita e delle parole dei
comunisti, rimane un dato emozionante che emerge anche in alcuni
passaggi della lettura, come quello
relativo all’infanzia e alla «formazione» di Mao, quando Snow scrive
che «per molte notti nella caverna di
Mao davanti alla tavola coperta dal
tappeto rosso, scrissi alla luce delle
SOPRA,
UN’OPERA
DI QINGSONG
WANG; SOTTO,
MAO MAO TSE
TUNG DI ANDY
WARHOL (1972)
candele tremolanti, sino a crollare
per la stanchezza; sembravamo proprio dei cospiratori».
In secondo luogo, Snow ha partorito un testo di giornalismo narrativo che rappresenta ancora oggi un
utilissimo esempio di scrittura reportistica di grande impatto stilistico oltre che di documentazione storica.
In alcune passaggi, come ad esempio nel capitolo dedicato alle parti
più «private» di Mao, Snow lascia la
parola direttamente al protagonista,
suggellando un ritmo narrativo a
NARRATIVA · «Il fatale talento del signor Rong» di Mai Jia, edito da Marsilio
Una spy-story che scardina codici misteriosi
S. Pie.
D
opo il successo dei gialli di Qiu
Xiaolong la casa editrice Marsilio
propone al pubblico italiano un altro scrittore dalla Cina (benché Qiu Xiaolong viva a St.Louis), presentato un po’
enfaticamente come «la risposta cinese
a John Le Carré» (l’ha scritto il Financial Times). Si tratta di Mai Jia e del suo
Il fatale talento del signor Rong (Marsilio, pp.414, 18,50 euro). Mai Jia ha un
passato misterioso, ha lavorato per i servizi segreti del suo paese e oggi è uno
scrittore completamente realizzato e apprezzato in Cina, tanto da essere anche
il presidente dell’associazione nazionale degli scrittori.
Con l’opera tradotta per Marsilio da Fabio Zucchella Mai Jia ha anche vinto il
prestigioso Mao Dun, il premio letterario
più ambito di Cina. Il libro – considerato
il suo capolavoro - viene presentato come una spy-story, ma ha ben più caratteristiche cinesi che occidentali. Anzi,
all’inizio Mai Jia si muove su un sentiero
già percorso dagli scrittori cinesi, quello
delle origini delle famiglie, epiche sotterranee nell’intrico della Storia. La famiglia
di Rong divora gli anni, con pochi riferimenti storici se non quello relativo alla rivoluzione culturale. Questo è un segnale:
Mai Jia è infatti uno scrittore decisamente rispettoso nei confronti dell’attuale di-
rigenza cinese. La famiglia Rong dunque
assiste, quasi da spettatrice, all’evolversi
del suo Dna chiaramente improntato alla
scienza e alla matematica, fino all’arrivo
di un altro ragazzo, con la testa grossa come sua nonna, capace di gestire i numeri
in modo geniale.
Il giovane, introverso e schivo, viene
ben presto notato, di fatto è orfano, e «sequestrato» da un misterioso signore zoppo a capo di un’unità dello spionaggio cinese. Rong entra così nel mondo ovattato
e crudele della crittografia, un universo di
mistero e inganno capace di rosicchiare
piano piano quel che resta della razionalità dei suoi protagonisti. L’incubo diventerà reale per Rong quando perderà, forse
accidentalmente forse no, un taccuino nel
quale si trovano i calcoli per decodificare
Nero, il codice del nemico X creato a causa
del capolavoro di Rong, lo scardinamento
del precedente codice Porpora. Gli ingredienti ci sono tutti. Il problema è che il libro, all’interno del quale ci sono inserti di
interviste e diario, come se il narratore fosse una sorta di giornalista o ricercatore a
caccia del segreto più intimo di Rong, a un
certo punto sembra abdicare alla sua natura misteriosa. È un paradosso: nel momento in cui la narrazione si fa realistica (la storia della famiglia), il mistero avvolge lentamente il lettore.
Quando la palla passa alla parte più
specificamente «spy» del libro, cala la tensione, mancano gli appigli di tensione
che incollano alla pagina. Il libro scende
in una introspezione un po’ semplicistica
e, di fatto, annulla gran parte del mistero
accumulato e che si pensava avrebbe finalmente tracimato. Rimane la sensazione di assistere a una sorta di introduzione a qualcos’altro, come a voler spostare
l’attenzione.
Mai Jia – va però specificato – rappresenta in modo plastico l’attuale situazione della letteratura mainstream cinese,
troppo aderente alla necessità di creare
fenomeni virali, capaci di vendere e ancora troppo poco autonoma rispetto all’Occidente (non accade questo, ad esempio,
nella fantascienza cinese).
SAGGI
Per il gigante asiatico si prevede
un futuro di autoritarismo soft
L’approccio di analisi complessiva alla Cina contemporanea ha – nel suo complesso – un elemento di grande
fascino nella sua mutevolezza. Le diverse riflessioni effettuate sul gigante asiatico, finiscono per colpire anche grandi protagonisti della letteratura contemporanea riguardo Pechino e il partito comunista. Così uno
degli studiosi della Cina più rilevanti, come David
Shambaugh, può scrivere di avere probabilmente sbagliato analisi quando, in un libro precedente, attribuiva
determinate caratteristiche all’attuale partito comunista
cinese. Implicitamente oggi il dibattito sulla Cina nasce
da una prima considerazione: nonostante la tanta pubblicistica che ritiene imminente un collasso di Pechino,
questo non accadrà. Ci si domanda quindi, laddove si
indaga il meccanismo che permette il funzionamento
sociale del paese, quanto il partito comunista arginerà
eventuali cambiamenti.
Se Shambaugh nel suo
precedente «China’s Communist Party, atrophy
and adaptation» riteneva
il Pcc piuttosto saldo nella gestione di scenari interni ed esterni costantemente in mutamento, la
presidenza di Xi ha spinto Shambaugh a rivedere, in parte, la propria
posizione. In «China’s
future» (Polity, 19 dollari), volume pubblicato di recente, il docente della Washington University si focalizza
sulle necessarie riforme economiche e ritiene che la
leadership cinese possa arrivare a nuove decisioni.
Quello che secondo il professore è attualmente un «autoritarismo forte» (hard authoritarism), frutto della stretta del 2008 e della nuova leadership, dovrà diventare
qualcos’altro. Le strade secondo Shambaugh sono varie: autoritarismo soft, semi democrazia sono due delle
possibilità. E per ogni eventuale «sliding doors» che
potrà scegliere la Cina, Shambaugh prova a immaginarne le caratteristiche e le dinamiche socio-politiche. Ne
emerge un volume che indaga le attuali problematiche
legate a tre fattori, quelli economici, sociali e politici;
un’opera che – come accade sempre con Shambaugh –
pur avendo tesi chiare e ben delineate, lascia ampio
spazio ad alte riflessioni e conclusioni sul futuro di un
paese che è ormai centrale nel panorama globalizzato.
La strada che Pechino sceglierà, quand’anche scegliesse di mantenere quella attuale, costituita da un forte
controllo su economia, politica e società, avrà in ogni
caso un impatto storico. Delinearlo ora, favorisce la possibilità di coglierne già adesso i primi segnali. S. Pie.
Stella Rossa sulla Cina rappresenta
ancora oggi uno snodo capace di
rappresentare quale sarebbe potuto
essere il destino della Cina senza la
vittoria dei comunisti. Marco Del Corona nella sua prefazione coglie alcuni punti essenziali dell’opera di
Snow. Innanzitutto, la sua strategia
nel raccontare quell’ampio materiale raccolto durante la permanenza
nelle «caverne» dove i comunisti
hanno vissuto il biennio del 1936 e
1937; quello di Snow è un racconto
in presa diretta, tra i membri della
«banda di tisici» di Mao, come li
chiama il giornalista americano. Ci
sono fonti, materiale storico, discussioni, interviste. Snow decide di presentare tutto questo al lettore con
uno stile non dissimile da quello delle opere epiche e mitologiche. Non
a caso Del Corona cita Il signore degli Anelli e il Flauto Magico e quella
parte di letteratura cinese capace di
muoversi tra «storia sociale» e la favola ribelle, che esalta proprio il concetto di «ricerca» e «iniziazione». Il
giornalista del Corriere ricorda infatti il titolo in cinese del libro: Note a
caso di un viaggio in Occidente, molto evocativo rispetto a Viaggio in Occidente, un classico della letteratura
cinese.
Tornando alla rilevanza storica
dell’opera e alla sua attualità: Snow
a un certo punto scrive che «solo
per la terra qualsiasi contadino in Cina sarebbe pronto a lottare sino alla
morte». Per lui questa è la base della
rivoluzione comunista, l’attacco alle
città da parte dei contadini, così fomentato da Mao. Ma questa frase di
Snow racconta molto anche della Cina di oggi: un paese che è diventato
ormai urbano e che vede nella questione della terra uno dei meccanismi capaci di agitare lo spettro di
uno scontro di classe e sociale. Il recente censimento in Cina ha suggellato la verità storica attuale: la Cina
È un testo di giornalismo
narrativo emozionante,
data la condivisione
da molto vicino di parole
e di condizioni di vita
è un paese urbano. L’urbanizzazione è proceduta prima a tappe forzate, con le grandi città, poi a tappe intermedie.
Il risultato è stato un’urbanizzazione letale che ha lasciato in campagna solo anziani (vittime di alti tassi
di suicidio per solitudine e cattive
condizioni economiche) e i cosiddetti «left behind», bambini abbandonati alle cure dei vecchi da parte dei
genitori andati in città a cercare lavoro. E ha creato, anzi ha spezzato il sogno di Mao, creando due classi sociali molto ben definite: i cittadini
con tutti i diritti, i migranti senza alcun diritto. Analogamente il partito
comunista per portare a compimento l’urbanizzazione ha dovuto affrontare l’amore e l’attaccamento alla terra dell’anima contadina dei cinesi. Degli oltre 180mila incidenti di
massa che avvengono ogni anno,
molti sono ancora oggi relativi a dinamiche legate all’espropriazione
delle terre. Contraddizioni e scontri
che neanche Mao fu in grado di redimere completamente.