1 Lucio Gentilini LA FILOSOFIA DELLA STORIA DI MAO (AVVERTENZA: per comprendere appieno queste pagine è necessario conoscere la storia della Cina degli ultimi due secoli) Premessa Ancora oggi a Pechino dalle rosse mura della Città Proibita, sopra l’ingresso più imponente al suo grandioso ed elaborato complesso di edifici e cortili disposti ed articolati nella vasta spazialità orizzontale cinese, un enorme ritratto di Mao Tze Tung - il ‘Presidente Mao’, il ‘Grande Timoniere’ - sovrasta impassibile l’immensa piazza Tien An Men al cui centro sorgono il mausoleo in cui giace la sua salma imbalsamata e l’obelisco che riporta alcune sue (e di Chu En Lai) frasi celebri. Mao il 1 ottobre 1949 fu il fondatore della Repubblica Popolare Cinese, dopo che finalmente - sotto la sua guida il Paese era riuscito a far cessare la vergogna e gli orrori del colonialismo e dell’aggressione giapponese. Conclusa anche la guerra civile con la vittoria delle forze comuniste (e non solo) da lui dirette, la Cina sperò allora che davvero una nuova storia potesse aver inizio anche per lei e che la spaventosa miseria da cui era afflitta potesse essere alfine debellata dal suo popolo, unito in nome della giustizia sociale ed animato dalla speranza di progresso e di un futuro migliore. Tuttavia la Cina di oggi è completamente diversa da quella di cui Mao fu presidente ed anzi ne ha rinnegato ogni insegnamento e tutte le direttive; mentre le sue tumultuose trasformazioni stanno stupendo il mondo, nulla sembra essere rimasto com’era stato fino al 1976, anno della morte del dittatore comunista; le folle di occidentali che auguravano ‘lunga vita al Presidente Mao’ ed ammiravano invidiose le masse di cinesi che agitavano in alto il ‘libretto rosso’, fonte di saggezza e verità oltre che di indicazioni politiche, oggi al massimo possono comperarlo per quattro soldi sui banchetti dei venditori di souvenir turistici fra la paccottiglia e le bizzarrie del folklore locale. Per finire, è ormai conoscenza diffusa di quanto sangue e di quante follie è stata costellata la vicenda politica di Mao. Comunque si giudichi la sua controversa figura, il meno che si possa dire di lui è però che è stato il protagonista fondamentale della storia della Cina del secolo scorso (e, di conseguenza, uno dei massimi costruttori del mondo odierno), eppure oggi nessuno nè lo accusa nè lo difende perchè nessuno ne parla nemmeno più. 2 Lungi dal condividere questo silenzio, qui ci si vuol chiedere invece chi sia stato davvero Mao. In questa sede verrà allora analizzato il suo pensiero filosofico, la struttura teorica più profonda che fu il fondamento della sua visione del mondo - la riflessione più riposta che sostenne tutte le sue altre convinzioni. Il materialismo storico Mao fu un marxista, anzi, uno che interpretò il marxismo, lo sviluppò e ne diede una visione particolare ed originale, e così, visto che la filosofia del marxismo è il materialismo storico, se ne dovrà tracciare anzitutto un profilo generale. I Il materialismo storico è una visione della realtà secondo la quale nella Storia opera una Ragione, cioè una logica, che le conferisce un ordine ed una direzione. La Ragione che opera nella Storia è una ragione dialettica, cioè basata sul principio di contraddizione. Secondo questo principio ogni determinato stadio di una civiltà – che possiamo immaginare come qualcosa di unico e concluso – inevitabilmente prima o poi sviluppa al suo interno una contraddizione, cioè una divaricazione ed una polarizzazione sociale crescente: si verifica allora lo scontro di due realtà sociali contrapposte che sembra paralizzante e, al limite, irrazionale, mentre, al contrario, è proprio da questo scontro che finisce per scaturire invece un nuovo stadio della civiltà che ha inoltre inglobato in sè ed elevato ad un livello superiore i termini della contraddizione che l’hanno generato: è questa la rivoluzione. Anche questo nuovo stadio comunque prima o poi conoscerà lo stesso destino ... e così via fino all’avvento del comunismo. La Ragione che secondo la filosofia dialettica opera nella Storia è insomma una ragione che porta all’avanzamento ed allo sviluppo non attraverso un’evoluzione lineare ed unidirezionale, bensì secondo un processo sussultorio, fatto di momenti di stasi, poi di contrasto, ed infine di rivoluzione. Il materialismo storico nacque dal ‘capovolgimento’ della dialettica hegeliana operato da Marx e da Engels secondo i quali in una società la contraddizione nasce quando le forze produttive – cioè gli uomini ed i mezzi impiegati nella produzione - si evolvono e si modificano entrando così in urto crescente coi rapporti di produzione - cioè con le modalità di divisione del prodotto sociale – coi quali non si accordano più. Dato che per la loro stessa natura le forze produttive tendono alla modificazione dei loro sistemi, il loro sviluppo è un fenomeno ineluttabile, mentre i rapporti di produzione tendono alla conservazione ed a riproporsi continuamente inalterati. Finchè le prime rimangono anch’esse inalterate la società vive in equilibrio e si mantiene sempre uguale a se stessa (anche per periodi molto lunghi), ma questo equilibrio, come abbiamo appena detto, prima o poi comincia ad incrinarsi e la 3 contraddizione prende forza finchè diventa inarrestabile. Visto che forze produttive e rapporti di produzione sono in definitiva incarnati in classi sociali (chi lavora e chi è proprietario), la contraddizione è uno scontro sociale dal quale – nonostante le svolte e le complicazioni della storia – prima o poi emergono vincitrici le forze produttive: la rivoluzione in definitiva consiste nell’adeguamento ad esse dei rapporti di produzione. Quando con l’avvento del comunismo la società non sarà più composta di classi con interessi economici (e quindi anche spirituali) contrapposti, anche questo processo sarà giunto alla sua fine ed il mondo entrerà in una nuova fase. Come si vede, per il materialismo storico è il settore economico quello che in una società gioca il ruolo decisivo e che ne è il motore - la struttura - mentre tutto il mondo dello spirito - la sovrastruttura - fondamentalmente ne esprime i contenuti e le esigenze (e ne ripropone lo scontro). Visto che il livello che si raggiunge attraverso il superamento delle contraddizioni (la rivoluzione) è sempre più alto, si può senz’altro asserire che il materialismo storico è una filosofia ottimistica. Resta però da capire in che senso si parla di livello superiore e che significa ciò. II Ebbene, considerata da questo punto di vista la filosofia dialettica è una filosofia pessimistica perchè ritiene che l’uomo finora non abbia ancora veramente realizzato se stesso, non viva ancora rapporti sociali che permettano il pieno dispiegamento delle sue qualità, ed infine che il cammino per raggiungere la sua pienezza per lui sia ancora lungo: dopo ogni superamento di una fase contraddittoria infatti uomo e società si avvicinano soltanto a una più ampia realizzazione di se stessi. E’ in questo senso che, per esempio, Marcuse afferma che “Il pensiero dialettico ha inizio con la costatazione che il mondo non è libero; cioè che l’uomo e la natura esistono in condizione di alienazione ‘diversi da ciò che sono’.”(1) L’uomo non è libero perchè veramente libero è solo il soggetto, cioè colui che può agire da vero e cosciente padrone delle sue azioni e quindi in un mondo ed in una società che gli permettano tutto ciò. Finchè questo stadio della storia non sarà arrivato l’uomo resterà alienato, cioè diverso e separato da se stesso ed alla ricerca del suo compimento. L’uomo arriverà, sì, a ricongiungersi con se stesso ed a realizzare la sua pienezza ed unità, ma il cammino su questa strada è e sarà ancora molto lungo. III Abbiamo visto che il materialismo storico è strumento essenziale di conoscenza e che senza il suo lume la storia apparirebbe solo uno sconfinato caos. Il bisogno della filosofia – aveva già detto il vecchio Hegel – nasce quando nel mondo sembra essere scomparsa l’unità degli opposti e il contrasto, la contraddizione, sembra insanabile ed inamovibile. Quando le realtà contrapposte ci appaiono inconciliabili e la storia 4 lacerata e senza unità, ciò avviene perchè noi non siamo capaci di leggere negli avvenimenti, cioè non siamo in grado di comprendere il senso profondo del divenire storico e ci arrendiamo davanti al contrasto dei vari fenomeni che erroneamente consideriamo ineliminabile. Il materialismo storico riconoscendo invece che nella Storia opera una Ragione e che il divenire umano è un processo unico, nega le negazioni riconoscendole relative al momento e destinate ad essere superate. Tuttavia il tratto più caratteristico ed originale del materialismo storico non consiste in ciò che sin qui s’è detto perchè in fondo esso finora non è apparso altro che una corrente filosofica fra le altre: il realtà il filosofo dialettico pensa invece di essersi impadronito (è la parola giusta) della ragione dello sviluppo dell’umanità; egli così si erge sulla Storia, se ne ritiene autocoscienza, Storia finalmente comprensibile a se stessa. Egli sa; egli capisce il senso profondo e razionale degli eventi; egli solo è cosciente. Il suo sapere è definitivo. E non basta: egli attribuisce questa sua superiorità rispetto a tutti gli altri al fatto che tutti gli altri sono prigionieri di interessi particolari che impediscono loro di assurgere alla conoscenza scientifica, universale, vera, degli eventi: nè il loro pensiero e le loro azioni possono dunque essere interamente razionali. Come colui che conosce le leggi della natura sa sfruttarle, prevederle e piegarle ai suoi fini, mentre colui che le ignora ne è schiavo, le teme e non sa come comportarsi di fronte ad esse, così il filosofo dialettico – che, unico, comprende il vero senso degli eventi – non può che agire di conseguenza ed adoprarsi in modo razionale portando così avanti la Storia stessa. Il materialismo storico è una filosofia dell’azione: la sua conoscenza della Storia è razionale e scientifica, cioè vera ed assoluta: il socialismo dei marxisti è scientifico perchè esplicitamente basato sulla scienza della Storia. La grandiosità di una concezione simile è evidente: il marxista sente di essere uscito da uno stadio della civiltà e di essere entrato in un altro fondato sul possesso della verità assoluta. Fu proprio questo a dare ai comunisti la straordinaria sicurezza in se stessi: non si può comprendere la terribile vicenda del comunismo novecentesco se non si è consapevoli della forza di questa convinzione, a volte più incrollabile di una fede religiosa – e, come questa, immune da ogni smentita dei fatti ed anzi sempre pronta e capace di demolirli, manipolarli, negarli o travisarli completamente ricorrendo disinvoltamente a massicce (e a dir poco incredibili) operazioni di mistificazione della realtà. Il pensiero filosofico di Mao Il pensiero filosofico vero e proprio di Mao (come di ogni marxista) è completamente fuso con quello sociale, politico, strategico, militare, economico, ecc., e con tutta la sua lunga militanza rivoluzionaria. Mao (come ogni marxista) non scrisse mai per amore della teoria o della conoscenza pura, ma sempre con intenti anche pratici, eppure il sostrato e la logica di tutta la sua 5 vita (così fusa con la sua attività politica) è una precisa ed armoniosa filosofia che continuamente illumina di luce universale ogni sua azione contingente e limitata, inserendola nel più ampio contesto dell’intero sviluppo storico e rivoluzionario. La sua filosofia è inoltre un’ assimilazione ed un’ interpretazione – cioè un arricchimento – del marxismo che veniva dall’Occidente: così come la sua politica rivoluzionaria, anche il pensiero filosofico di Mao seppe fondere cultura ed esperienza rivoluzionaria europea con la realtà, la mentalità, le esigenze, della Cina. Nel far ciò Mao volle filtrare ciò che secondo lui costituiva l’anima del marxismo separandola da ciò che rispondeva invece a situazioni particolari ed a periodi lontani e diversi da quelli cinesi. Egli riuscì così a leggere la concreta realtà dei suoi tempi e del suo Paese alla luce della dialettica materialista ed il suo compito rivoluzionario divenne allora lo svolgimento di un programma. I Secondo Mao “La lotta e la dipendenza reciproche degli aspetti contraddittori presenti in tutte le cose determinano la vita di tutte le cose e sono la forza motrice del loro sviluppo. Non esistono cose che non contengono contraddizioni, senza contraddizione non esisterebbe il mondo” (2): la struttura logica del mondo è insomma un insieme di contraddizioni e la contraddizione è la struttura di ogni fenomeno da cui derivano movimento e sviluppo. Una contraddizione è composta da due contrari che, pur formando insieme un’unità, si combattono senza sosta: questi due aspetti della contraddizione hanno uno sviluppo ineguale (uno è destinato a trionfare sull’altro) e quello dei due che ha una posizione dominante è quello che determina la situazione - Mao lo definisce l’aspetto principale. Certamente ogni momento storico è complicato, consta cioè di tutta una serie di contraddizioni, ma solo una è quella principale, quella che influenza e che permette tutte le altre e “Una volta afferrata questa, tutti i problemi divengono di facile soluzione” (3) (almeno in linea teorica). Un’analisi corretta delle contraddizioni e della loro gerarchia è così il primo ed essenziale compito del rivoluzionario, senza del quale la sua azione non potrebbe mai mordere davvero sulla realtà e trasformarla. Per lunghi anni Mao e la dirigenza del P.C.C. ebbero divergenze anche serie sull’analisi della realtà cinese dalla quale derivava poi una diversa condotta rivoluzionaria: per la direzione del P.C.C. in Cina la contraddizione fondamentale sulla quale bisognava concentrare gli sforzi maggiori era quella classica del marxismo, costituita dal contrasto borghesia – proletariato in un contesto cittadino; in quest’ottica le campagne con la loro struttura ancora feudale o semifeudale erano destinate ad essere traghettate direttamente nella società socialista dopo che questa fosse stata costruita nelle città. Come si vede, la dinamica rivoluzionaria cinese veniva immaginata sostanzialmente identica a quella russa ed i comunisti cinesi, sostenuti dal Komintern, cercavano di applicare nel loro Paese la teoria rivoluzionaria 6 marxista così come l’avevano imparata sui testi e così come la vedevano confermata dalla vittoriosa applicazione sovietica. Per Mao invece in questo atteggiamento si celava un errore imperdonabile e gravissimo, tale da portare alla rovina ed al fallimento: egli ritenenva infatti che l’analisi delle contraddizioni interne della società cinese operata dalla direzione del P.C.C. fosse sbagliata e, basata su questa analisi, la rivoluzione cinese non avrebbe potuto che fallire. Si trattava allora di “estirpare le concezioni dogmatiche” (4) presenti nel P.C.C. per ridare alla teoria il suo vero significato e renderla così adatta ed utile al suo scopo rivoluzionario. La politica del P.C.C. per lui era ‘dogmatica’ perchè dopo aver copiato l’analisi della contraddizione principale dal remoto e diverso mondo occidentale, inevitabilmente copiava e tentava di riprodurre anche una prassi rivoluzionaria che era nata e che aveva attechito in ambienti e situazioni profondamente differenti e molto lontani da quelli cinesi. Cosa proponeva allora Mao? Secondo Mao la Cina era stata un paese semplicemente feudale fino al 1840 (prima guerra dell’oppio); da allora aveva cominciato a subire anche il giogo imperialista del colonialismo mentre l’invasione giapponese della Manciuria nel 1931 aveva poi aggravato tutti i suoi problemi. La realtà cinese era insomma molto dissimile da quella che Marx ed Engels avevano studiato e in cui Lenin aveva operato, quindi pretendere che la contraddizione principale fosse la stessa non aveva senso. Per Mao “La contraddizione fra l’imperialismo e la nazione cinese e quella fra il feudalesimo e le masse popolari sono le contraddizioni fondamentali della moderna società cinese” (5); su queste contraddizioni bisognava dunque far leva perchè si ingigantissero ed esplodessero, e non su quella fra borghesia e proletariato cinesi perchè “i principali oppressori della società cinese” (6) non erano i borghesi cinesi ma “l’imperialismo ed il feudalesimo, cioè la borghesia dei paesi imperialisti e la classe dei proprietari fondiari del nostro paese ... e dal momento che l’oppressione più grave è l’oppressione nazionale esercitata dall’imperialismo, l’imperialismo è il primo e peggior nemico del popolo cinese.” (6) Due differenti analisi, due differenti strategie rivoluzionarie: quella del P.C.C. si dimostrò fallimentare nel 1927 e nella prima fase della ‘Lunga Marcia’ e dovette essere abbandonata. Applicata quella di Mao, essa risultò vincente. Giunti a questo punto potrebbe venir da pensare che il marxismo, nato dall’Idealismo romantico tedesco e teoria rivoluzionaria delle società industriali europee, non potesse, per la sua stessa natura, essere fruttuosamente applicato ad una società asiatica, (semi)colonizzata e (semi)feudale, come la Cina di allora e che se l’errore del P.CC. era stato semplicemente quello di tentare di risolvere la questione cinese con uno strumento inadatto, Mao avrebbe invece elaborato una sua ideologia rivoluzionaria che, per quanto vincente, non sarebbe stato però marxismo. Ma Mao si ritenne sempre assolutamente marxista e rifiutò esplicitamente giudizi del genere basati per lui su un modo di ragionare ‘dogmatico’, che identificava cioè il marxismo con la sua lettera anzichè con la sua sostanza – e la sostanza del marxismo è la dialettica materialista che lui seguì sempre, mentre i contenuti concreti e 7 particolari di essa, che variano continuamente in ogni situazione, ne sono invece la lettera. Seguire pedissequamente quest’ultima vuol dire tradire lo spirito del marxismo, il suo significato ed il suo valore. A questo senso profondo del marxismo Mao si uniformò sempre: la dialettica materialista, sostanza del marxismo, è lo studio della struttura della contraddizione e fu in questo senso che Mao studiò la Cina ed elaborò la sua strategia rivoluzionaria. La comprensione delle categorie logiche del mondo (le contraddizioni) per lui era infatti la guida della azione concreta. II A questo punto sorge però ovvia una domanda: se ad ogni situazione ne segue un’altra ed ogni contraddizione trapassa nella seguente, allora anche socialismo e comunismo saranno fasi temporanee e limitate nel tempo come feudalesimo, imperialismo, capitalismo? In altri termini: se la filosofia dialettica mostra la transitorietà e la precarietà di tutti i regimi economici-sociali-politici della storia (tutti egualmente minati al loro interno da contraddizioni che prima o poi li abbatteranno) allora anche socialismo e comunismo avranno al loro interno delle contraddizioni destinate a farli esplodere e scomparire? Questa è un’osservazione cruciale per ogni filosofia marxista e dialettica perchè, estendendo anche al futuro quella stessa legge universale con la quale essa legge passato e presente, rende provvisoria e passeggera anche la la futura società comunista, la meta storica tanto agognata dai rivoluzionari. Mao si pose e rispose a questa domanda. Secondo lui la dialettica, struttura logica del mondo, è onnipresente e, dunque, anche socialismo e comunismo avranno delle contraddizioni al loro interno, ma queste saranno di un tipo particolare: le contraddizioni non sono infatti tutte uguali nè si comportano tutte allo stesso modo: “talune contraddizioni hanno un aperto e dichiarato carattere antagonistico, altre no. A seconda del concreto svilupparsi dei fenomeni, talune contraddizioni, che non erano antagonistiche diventano tali; viceversa talune altre, da antagonistiche possono trasformarsi in non antagonistiche.” (7) Una contraddizione è antagonistica quando i suoi contrari lottano all’ultimo sangue e tale lotta “nel corso del suo sviluppo si trasforma in rivoluzione” (8), mentre non è antagonistica quando si risolve (o può risolversi) in modo pacifico senza arrivare ad un ribaltamento e ad una trasformazione qualitativa della società. Ecco allora che secondo Mao nelle future società socialiste e comuniste le contraddizioni ci saranno, ma non saranno antagonistiche e la loro soluzione porterà ad un rafforzamento e ad un approfondimento di tali società anzichè alla loro fine. E come fa Mao a sostenere una distinzione del genere? Ebbene, egli distingue fra ‘popolo’ (le classi lavoratrici) e ‘nemico del popolo’ (i loro sfruttatori ed oppressori) e gli è facile allora concludere che “Le contraddizioni tra noi e i nostri nemici sono contraddizioni antagonistiche. In seno al popolo, le contraddizioni tra i lavoratori non sono antagonistiche” (9). Alcune contraddizioni, 8 poi, hanno aspetti sia antagonistici che non: per es. dopo il 1949 era questo il caso della ‘borghesia nazionale’, la quale era sì una classe sfruttatrice (aspetto antagonistico) ma aveva altresì combattuto insieme al popolo e sembrava disposta ad accettare anche la trasformazione della società in senso socialista (aspetto non antagonistico): bisognava quindi far prevalere con una giusta ed equilibrata politica quest’ultimo aspetto. E’ ovvio che contraddizioni differenti vanno risolte in modi differenti, tuttavia anche quelle non antagonistiche (soprattutto fra operai e contadini), nonostante per la loro soluzione richiedano sistemi pacifici, vanno nondimeno prese sul serio e comunque risolte, altrimenti può anche succedere che la situazione degeneri e finisca col comparire proprio l’antagonismo. III Volendo riassumere e fare il punto della situazione, possiamo dunque ripetere che secondo Mao il mondo è strutturato dialetticamente, infatti è un insieme di contraddizioni in continua evoluzione; esse sono il motore del mondo perchè il suo movimento è dato unicamente dalla lotta incessante dei contrari. Come dice Mao “Le contraddizioni sorgono continuamente e sono continuamente risolte, ed è questo che costituisce la legge dialettica dello sviluppo delle cose e dei fenomeni.” (10) Tuttavia, se ogni situazione e periodo (passato, presente e futuro) è formato da una serie di contraddizioni, una sola di esse però è la fondamentale; inoltre, se ogni contraddizione è composta da due contrari in lotta fra loro, tuttavia la loro lotta può essere antagonistica (uno dei due soccombe ed allora passeremo ad un’altra situazione ed ad un’altra contraddizione) oppure non-antagonistica (la contraddizione potrà essere estinta in modo pacifico e la situazione si stabilizzerà meglio pur essendosi in qualche modo evoluta). Ma da dove proviene all’uomo questa conoscenza? Anche il problema gnoseologico venne affrontato da Mao, soprattutto quando dal 1937 decise di fondare rigorosamente il marxismo in Cina dandogli anche una compiuta e sistematica veste teorica. Come per ogni marxista, anche per Mao la conoscenza non è qualcosa di slegato dal resto delle altre attività umane; al contrario, essa deriva (come tutto) dall’attività principale nella vita dell’uomo e della società, l’attività produttiva. E’ dall’esigenza di soddisfare i propri bisogni che nascono tutte le attività umane. Anche la conoscenza allora è un’attività pratica ed è sbagliato ritenerla astratta e contemplativa: non ha senso conoscere solo per conoscere perchè la conoscenza torna e si trasforma continuamente in attività pratica ed è l’attività pratica a decretare la verità o meno della conoscenza stessa. Insomma, è l’attività produttiva quella da cui dipende quella gnoseologica ed è la prima che apre spazi ed orizzonti alla seconda di cui permette le condizioni. Così, anche la teoria marxista potè nascere e svilupparsi solo quando esistette una ben precisa situazione economica che la permise: Mao riconobbe che “Solo quando con la comparsa di forze produttive gigantesche - la grande industria – apparve il 9 proletariato moderno, gli uomini poterono raggiungere una comprensione storica completa dello sviluppo storico della società e trasformare le loro conoscenze della società in una scienza. La scienza marxista.” (11) Naturalmente, la conoscenza ha anche un suo percorso evolutivo interno dato che non è pensabile che sorga all’improvviso compiutamente formata: in un primo tempo essa si limita alla semplice percezione delle cose, la quale coglie l’oggetto solo superficialmente e nei suoi rapporti esterni; la ripetizione continua di tali percezioni fa poi compiere all’intelletto il salto che porta al concetto; il concetto a sua volta coglie l’essenza delle cose, i loro rapporti interni, e porta così al ragionamento, alla deduzione logica ed alla conoscenza razionale; e questa conoscenza razionale procede e si affina “fino a mettere in evidenza le contraddizioni insite nel mondo che ci circonda. In questo modo la conoscenza logica arriva ad afferrare lo sviluppo del mondo circostante nella sua totalità.” (12) Anche Mao insomma fece propria la lezione marxista della possibilità della conoscenza scientifica (cioè assolutamente vera) della totalità - della completa coscienza dell’intero processo: anche per lui la dialettica materialista, sostanza del marxismo, conoscendo la struttura logica della contraddizione conosce il mondo in modo assoluto, scientifico, totale, metafisico. Di conseguenza, l’azione che s’innesta su di esso sarà l’unica assolutamente, scientificamente e metafisicamente giusta e vincente. Anche in Mao troviamo così che le idee personali, le inclinazioni, i desideri, la spontaneità e gli ideali, per quanto generosi e lodevoli, pure non devono in alcun modo guidare l’azione, mentre i buoni propositi possono rivelarsi addirittura nocivi e dannosi. Ecco la ragion filosofica di tutte le ‘campagne di rettifica’, di tutti i corsi di rieducazione, di tutte le “persuasioni” e di tutte le battaglie ideologiche: non si trattava di scontri di opinioni ma dell’alternativa fra Verità ed errore. Certamente nelle opere di Mao troviamo spesso un certo rispetto per coloro che in qualche modo deviavano dalla linea giusta e corretta e ripetuti inviti a che nella battaglia ideologica non fossero mai usati sistemi coercitivi, bensì discussione e persuasione, ma – tralasciando ogni considerazione sulla sincerità di queste affermazioni e su quanto poco esse siano state seguite – questa moderazione non va fraintesa perchè era solo tattica per portare tutti alla posizione giusta e vincente, l’unica fondata sulla Verità. Per Mao “I comunisti di tutto il mondo sono superiori alla borghesia, essi comprendono le leggi dell’esistenza e dello sviluppo delle cose e dei fenomeni, comprendono la dialettica e possono vedere più lontano.” (13) Di conseguenza, la libertà non consiste nel fare quel che si vuole, ma nel muoversi in accordo col corso delle contraddizioni e “questa libertà è una libertà che ha una direzione.” (14) IV Stabilito che la contraddizione è l’onnipresente struttura della realtà i cui contenuti soltanto sono diversi (Mao li chiama il suo ‘carattere specifico’); che ogni contraddizione ha una sua vita per cui nasce, si sviluppa e muore; che la durata di 10 questa vita non ha regole e dipende da un’infinità di fattori contingenti; che una contraddizione può estinguersi in due modi: o gli eventi prendono una piega tale che la contraddizione diventa secondaria fino ad estinguersi o arriva ad un grado di sviluppo tale che esplode così che “la vecchia unità e i contrari la costituivano lasciano il posto a una nuova unità e ai suoi nuovi contrari” (15); che a questo punto bisognerà 1) individuare questa nuova unità e i contrari che la costituiscono e 2) trovare la strada giusta per agire sulla nuova contraddizione (è evidente infatti che rimanere fermi alla situazione precedente o anticipare la nuova vuol dire perdere i contatti con la realtà); e, infine, che si deve stabilire se una contraddizione è antagonistica o no; è interessante come Mao rilegga e interpreti la storia (anche futura!) della Cina e come intenda risolverne le contraddizioni: 1) Periodo feudale (fino al 1840, prima guerra dell’oppio). contraddizione fra: classe dei contadini classe dei proprietari feudali soluzione: non esiste finchè il proletariato (e quindi l’industria e la borghesia) non giunge sulla scena della storia a guidare la lotta dei contadini. 2) Periodo coloniale, semicoloniale e semifeudale (fino al 1949). contraddizione fra: popolo cinese imperialismo e feudalesimo soluzione: politica di ‘nuova democrazia’, alleanza del P.C.C. con la ‘borghesia nazionale’. 3) Periodo 1949 – 1966. contraddizione fra: socialismo cinese povertà e arretratezza della Cina soluzione: industrializzazione e collettivizzazione della terra che, tra l’altro, permettono di passare dalla prima fase della rivoluzione cinese (quella di ‘nuova democrazia’) alla seconda (quella socialista) attraverso il superamento di numerose contraddizioni secondarie non antagoniste. inoltre: contraddizione fra: ideologia socialista ideologia borghese soluzione: discussione, persuasione, rieducazione. 4) Periodo della Rivoluzione Culturale. contraddizione fra: linea rossa maoista (prosecuzione ed approfondimento della rivoluzione) linea nera (burocratismo, revisionismo, reviviscenza dell’ideologia borghese, stasi, tradimento della rivoluzione) soluzione: mobilitazione delle masse, propaganda, lotta ideologica senza 11 quartiere, processi pubblici, epurazioni nel partito, riallineamento. 5) Periodo futuro. contraddizione fra: socialismo e decolonizzazione mondiali imperialismo mondiale soluzione: futura guerra (o guerre) mondiale(i): “la neutralità non sarà che una parola illusoria.” (16) Le stesse schematicità e semplicità di questo quadro della storia della Cina moderna e delle azioni da intraprendere in ogni sua fase dialettica mostrano inequivocabilmente come il destino e l’azione di centinaia di milioni di uomini vennero da Mao sempre freddamente e ‘scientificamente’ suddivisi in tempi, periodi e comportamenti conseguenti secondo l’inesorabile svolgersi delle contraddizioni e la necessaria azione ‘scientifica’ per il loro superamento. Mao volle sempre rimanere lucidamente aderente ad ogni mutamento di scenario e ciò spiega, per esempio, la decisione e la spregiudicatezza con cui adottò politiche (ben poco ortodosse in un marxista) come l’alleanza col Kuomintang e con la ‘borghesia nazionale’. Non si trattò di opportunismo, ambizione, indecisione o quant’altro (o almeno così si pretese), ma sempre di collegamento alle esigenze che il processo dialettico della Cina richiedeva: se la contraddizione principale è l’invasione giapponese, bisogna allearsi anche al Kuomintang; se è il feudalesimo, anche con la ‘borghesia nazionale’. Allo stesso modo, Mao ebbe sempre ben chiaro che la rivoluzione cinese si sarebbe articolata in due fasi: la prima – chiamata ‘nuova democrazia’ – avrebbe comportato l’alleanza delle classi lavoratrici con la ‘borghesia nazionale’, quella disposta a battersi contro imperialismo e feudalesimo sotto la guida del P.C.C.: “la repubblica di nuova democrazia ... è una forma per un periodo storico determinato, dunque una forma transitoria, ma una forma inevitabile e necessaria.” (18) Solo quando questa fase si fosse conclusa con la sconfitta di imperialismo e feudalesimo si sarebbe potuto passare alla seconda, quella socialista vera e propria, cioè alla trasformazione sociale che avrebbe comportato anche la fine della ‘borghesia nazionale’. Per Mao era assolutamente necessario che il partito comprendesse tutto ciò (e gli obbedisse) senza aver fretta di passare troppo presto alla seconda fase o voglia di attardarsi troppo a lungo sulla prima: molte furono le resistenze in un senso o nell’altro, ma vennero tutte abbattute con fermezza perchè le tappe della storia hanno i loro tempi cui ci si deve adeguare se si vuol rimanere legati alla realtà e, conseguentemente, vincere. Anche dopo la vittoria nella guerra civile Mao continuò a comportarsi come se si fosse ancora in guerra: e certamente questa per lui continuava ancora e non sarebbe cessata che coll’affermazione definitiva e mondiale del comunismo, la Grande Armonia sotto il cielo. Il 1 ottobre 1949, quando celebrò la nascita della Repubblica Popolare Cinese, Mao affermò esplicitamente che “abbiamo fatto soltanto una cosa: abbiamo riportato sostanzialmente la vittoria nella guerra rivoluzionaria ... Ma abbiamo ancora molto da 12 fare; paragonandolo ad un viaggio, il lavoro compiuto è soltanto il primo passo di una lunga marcia di diecimila li” (17) - la lunghezza convenzionale della Grande Muraglia. Questo fu il modo in cui Mao applicò la sua filosofia. 13 Note 1) H. Marcuse: “Ragione e rivoluzione”, ed. Il Mulino, Bologna 1969, pag. 8. 2) Mao Tze Tung: “Sulla contraddizione” (1937), contenuto in Guarnotta: “Mao Tze Tung”, Accademia-Sansoni ed., Sancasciano Val di Pesa 1970, pag. 136. 3) Mao Tze Tung: “Sulla contraddizione”, op. cit. pag. 159. 4) Ibid. pagg. 84-85. 5) Mao Tze Tung: “La rivoluzione cinese ed il partito comunista cinese” (1939) contenuta in “Mao Tze Tung, Opere scelte” vol. II, Casa ed. in lingue estere, Pechino1971, pag. 326. 6) Ibid. pag. 328. 7) Mao Tze Tung: “Sulla contraddizione”, op. cit., pag. 176. 8) Ibid. pag. 175. 9) Mao Tze Tung: “Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo” (1957); contenuto in Mao Tze Tung: “La rivoluzione cinese”, Paperback marxisti 18, Newton Compton ed., Roma 1968, pag. 299. 10) Ibid. pag. 311. 11) Mao Tze Tung: “Sulla prassi”, contenuto in Guarnotta, op. cit., pagg. 108-109. 12) Ibid. pag. 112. 13) Mao Tze Tung: “La dittatura democratica popolare” contenuta in Mao Tze Tung: “La rivoluzione cinese”, op. cit., pag. 282. 14) Mao Tze Tung: “Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo”, op. cit., pag. 302. 15) Mao Tze Tung: “Sulla contraddizione”, op. cit., pag. 139. 16) Mao Tze Tung: “Sulla nuova democrazia” (1940), contenuta in Mao Tze Tung: “La rivoluzione cinese”, op. cit., pag. 247. 17) Mao Tze Tung: “La dittatura democratica popolare”, op. cit., pagg. 296-297. 18) Mao Tze Tung: “ Sulla nuova democrazia”, op. cit., pag. 230.