ARTHUR SCHOPENHAUER (Danzica, 1788 – Francoforte, 1860) “Eretico e disertore dell’Occidente”, Schopenhauer porta alla luce quel fondamento nascosto delle cose che, poi, è la scoperta dell’irrazionale volontà di vivere. Oltre ad altri motivi, dunque, ben si comprende la sua feroce polemica con Hegel (un sicario della verità) vissuto non per la filosofia, ma di filosofia, visto che ha santificato la realtà naturale e storica al solo scopo di assolutizzare quello Stato da cui percepiva un lauto stipendio. Una polemica duramente pagata. L’opera principale di Schopenhauer, “Il mondo come volontà e rappresentazione” viene pubblicata nel 1818, lo stesso anno della chiamata di Hegel all’università di Berlino: gran parte di questa prima edizione finì al macero. Il “sentire” di Schopenhauer, che per molti versi anticipa problematiche di inizio Novecento, e il “faro” potente dell’Idealismo e di Hegel in particolare, lo relegarono a lungo in una posizione di secondo piano. Schopenhauer definì “ciarlatani” i “tre sofisti” postkantiani (Fichte, Schelling, Hegel). Solo nella seconda metà dell’Ottocento (negli anni Cinquanta, quelli prima della sua morte) la filosofia pessimistica di Schopenhauer si affermò come alternativa all’ottimismo positivistico dominante. 1) il mondo è una nostra rappresentazione S. considera l’intelletto una funzione comune all’uomo e agli animali, che differisce da specie a specie solo per grado di acutezza e per estensione della sfera di applicazione. La coscienza non è altro che una “efflorescenza del sistema nervoso cerebrale” e, dunque, “il mondo oggettivo è un semplice fenomeno cerebrale”. Ciò che distingue l’uomo dall’animale è la ragione, facoltà dei concetti generali e astratti (da questa derivano il linguaggio, le scienze, le religioni, le filosofie e le istituzioni sociali). E se è vero che grazie ad essa l’uomo si libera dalla dipendenza immediata dall’ambiente, è altrettanto vero che mentre “l’animale non ha idea della morte che nella morte, l’uomo le si avvicina ogni giorno con pienezza di coscienza”. S. “eretico” dell’Occidente, in quanto parte del suo pensiero fa riferimento alla cultura orientale. L’antica sapienza indiana affermava che “Maya, il velo dell’illusione, ottenebra le pupille dei mortali e fa loro vedere un mondo di cui non si può dire né che esista né che non esista, poiché è simile al sogno, allo scintillio della luce solare sulla sabbia, che il viaggiatore scambia da lontano per acqua, oppure a una corda buttata per terra che egli prende per un serpente”. 2) Compito della filosofia è quello di cogliere l’essenza intima del mondo”, la realtà noumenica al di là dei fenomeni: “La filosofia comincia dove le scienze finiscono”. 3) Il mondo come volontà. “Tranne l’uomo, nessuna creatura si stupisce della propria esistenza: essi è per tutti talmente ovvia che nessuno ci bada”. L’uomo, per S. è animal metaphysicum. Il corpo, per l’essere umano, è l’unica realtà accessibile da entrambi i lati: sia da quello esterno del fenomeno (rappresentazione) sia da quello interno della cosa in sé (volontà). Ma che cos’è la volontà singola? E’ un momento della Volontà cosmica, energia metafisica, unica, eterna, cieca e irrazionale che determina ogni nostro volere, cioè ogni nostro desiderare. Dolore e noia. “Ogni volere si fonda su un bisogno, su una mancanza, su un dolore; quindi è per origine ed essenza votato al dolore. Per questo l’uomo, “essendo l’oggettivazione più perfetta della volontà di vivere, è anche il più bisognoso di tutti gli esseri”, è una “concrezione di bisogni”. Ma la soddisfazione di un desiderio non è mai definitivo appagamento, anzi. Di desiderio in desiderio, sospinta da una volontà senza scopo “la vita è un mare seminato di scogli e di gorghi che l’uomo riesce, con cura e prudenza estreme, ad evitare”, ma per prolungare inutilmente il suo “veleggiare verso il naufragio, verso la morte, ultima meta del penoso viaggio”. Un’esperienza sconosciuta all’animale e ancor più temibile del dolore, tipica dell’uomo, è la noia. Ogni volta che riusciamo a soddisfare un bisogno, l’assenza di desiderio si riduce ad un tempo vuoto e senza significato. Paradossalmente gli uomini “assicurata che abbiano la vita non sanno più che farsene”, tanto che sentono il bisogno di “ammazzare il tempo”. In conclusione: “se il bisogno è il flagello del popolo, la noia è il supplizio delle classi superiori”. L’illusione dell’amore. L’amore è un’illusione consolatoria. “Ogni innamoramento, per quanto etereo voglia apparire, è radicato soltanto nell’istinto sessuale”, e l’essere umano non è che strumento inconsapevole dell’onnipotente volontà di vivere incarnata nell’egoismo della specie. “I genitali costituiscono il vero fuoco della volontà, il polo opposto al cervello”, cioè all’organo della rappresentazione. L’illusione della libertà. Ci illudiamo di essere liberi perché, di fronte allo stesso motivo, un uomo reagisce diversamente da un altro. Ma questo avviene perché mentre ad ogni specie animale corrisponde una sola idea, in quella umana vi è un’idea per ogni singola individualità. Questa, in quanto oggettivazione metafisica della volontà di vivere, costituisce il carattere innato di ciascuno, immutabile, “dalla culla alla tomba”. “Sotto il manto cangiante degli anni, delle relazioni, oltre che delle conoscenze e delle opinioni, l’uomo rimane, come un gambero dentro il suo guscio, identico e peculiare, sempre immutabile e uguale a se stesso”. 4) Le vie di liberazione dalla Volontà. Una è l’arte, poiché “strappa dalla corrente, che trascina le cose del mondo, l’oggetto della sua contemplazione, ponendolo isolato davanti a sé”, annullando l’io fenomenico: riposando nell’oblio di sé, l’io va “oltre il dolore, oltre la volontà, oltre il tempo”. In queste condizioni, “è indifferente contemplare un tramonto di sole da un carcere o da un palazzo”. In quest’ambito, la musica è qualcosa di superiore, in quanto in diretto rapporto con la volontà cosmica. La musica, vera e propria metafisica dei suoni, rivela l’essenza profonda del mondo in una “lingua universale oltrepassante in chiarezza la stessa evidenza del mondo intuitivo”. Ma quella dell’arte è una liberazione solo momentanea, una “consolazione provvisoria nella vita”. Un’altra via è la compassione (azione morale), soffrire nell’altro e con l’altro, “vedere nella sua sorte il destino di tutta l’umanità, e quindi anche il nostro”. L’azione morale non è un dovere né un’intenzione, ma un semplice “fatto” che possiamo solo constatare. Dalla compassione nasce la giustizia, virtù morale ‘negativa’ in quanto è solo l’astenersi dal recare danno al prossimo. Quando invece si approfondisce l’identificazione con tutti gli esseri, si ha la carità, cioè l’amore attivo e disinteressato verso ogni creatura sofferente (ricorda la leopardiana social catena). Infine, l’ascesi (Noluntas, annullamento della Volontà). Colui che si spinge all’estremo limite della compassione vede l’unità del volere e del soffrire di tutti gli esseri. Egli assume su di sé l’intero dolore dell’universo, distogliendo lo sguardo dal proprio io, vede ovunque “un’umanità dolorante, un animalità sofferente, un mondo evanescente”. Allora la sua volontà “si distacca dalla vita, e sente orrore di tutte le gioie in cui si traduce la propria affermazione. La via più breve e più ovvia per negare la volontà sembrerebbe il suicidio. Ma non è così. Distruggendo l’individuo, che è semplice fenomeno della volontà, “il suicida non rinunzia al voler vivere, ma unicamente al vivere”. In altre parole, “il suicida cessa di vivere, appunto perché non può cessare di volere”. L’asceta, invece, persegue l’annullamento completo della stessa volontà metafisica. Dopo che “il peso dell’esistenza, cioè l’io, è stato gettato”, resta solo “un oceano di quiete” infinita, paragonabile al nirvana dei buddhisti dopo la liberazione dal samsara, dal ciclo delle nascite, delle morti e del dolore. “Per coloro che sono ancora animati dal volere, ciò che resta dopo la totale soppressione della volontà è il vero e assoluto nulla. Ma viceversa, per coloro in cui la volontà si è convertita e soppressa, questo mondo così reale, con tutti i suoi soli e le sue vie lattee, questo, propriamente questo, è il nulla”.