Documento 2154043

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Da Kant all’idealismo di Fichte
L’idealismo nasce infrangendo i limiti conoscitivi posti da Kant, inaugurando una nuova metafisica
dell’infinito. L’Idealismo non è altro che una critica alla filosofia di Kant e cerca di fondare una nuova e
salda filosofia.
La critica parte dal concetto di “cosa in sé”, che secondo Kant esiste ed è inconoscibile.
Se il criticismo è vero, bisogna abolire la cosa in sé e ricondurre tutto al soggetto; viceversa si deve
ammettere la cosa in sé e tornare al realismo.
Il concetto di “cosa in sé” è paragonato ad una quantità matematica uguale a meno radice di a, ossia
una concezione impossibile. Come fa una realtà, di cui noi siamo consapevoli, rappresentazione della
coscienza, esistere solo in relazione ad un soggetto che lo rappresenta? Come può essere ammessa
l’esistenza di una realtà non pensata e non pensabile? Sotto questo punto di vista la “cosa in sé” è
dunque impossibile.
I critici immediati osservano quindi il kantismo come una forma di idealismo coscienzialistico a doppia
riduzione: fenomeno – rappresentazione e rappresentazione – coscienza
Altra critica a Kant consiste nella tesi secondo cui il filosofo si sarebbe contraddetto applicando il
concetto di causa effetto al noumeno [se la cosa in sé è causa delle nostre sensazioni] (quando è invece
valido solo per il fenomeno stesso).
Idealismo
L’idealismo è una visione del mondo che favorisce la dimensione “ideale” rispetto a quella “materiale”.
Ricorda molto Platone con la sua teoria delle idee.
Riconduciamo quindi il termine idealismo a tutte quelle posizioni di pensiero che finiscono per ridurre
l’oggetto della conoscenza a idea o rappresentazione.
Fichte e Shelling definiscono il proprio idealismo “trascendentale, soggettivo e assoluto”.
Trascendentale per via del concetto dell’io penso, assoluto per sottolineare che l’io penso o lo spirito è
il principio unico di tutto e che al di fuori di esso non c’è nulla.
L’io di Kant per arrivare a Fichte
L’io in Kant è un qualcosa di finito, che non genera la realtà, ma si limita ad organizzarla. Sullo sfondo
dell’io penso è messa in risalto la “cosa in sé”, questa x incognita ammessa per spiegare la recettività
del conoscere e a presenza di un dato di fronte all’io.
Fichte elimina questo concetto, ossia qualsivoglia realtà estranea all’io, passando da una filosofia
gnoseologica ad una metafisica. Di conseguenza l’io diviene un’entità creatrice ed infinita. Da qui la
famosa frase “tutto è spirito”.
Per spirito (o io, assoluto, infinito ecc.) s’intende la realtà umana come attività conoscitiva e pratica e
come libertà creatrice.
Le domande che ci possiamo porre sono:
1. Che cosa significa che lo spirito è la fonte creatrice di tutto ciò che esiste?
2. Che cos’è la Natura e la Materia per gli idealisti?
Per rispondere a queste domande entra in gioco la dialettica, secondo la quale per esistere una
qualsiasi cosa deve esistere il suo contrario. Dunque la Natura è il contrario dello spirito. Senza la
dialettica, senza un io con un non-io, l’io sarebbe un’entità astratta e vuota, e quindi non esisterebbe.
In completa contrapposizione con le filosofie naturalistiche, Fichte capovolge la situazione asserendo
che la Natura è una conseguenza del polo dialettico dell’essere, una funzione dell’io, scena della sua
attività.
L’uomo è la ragione d’essere e lo scopo dell’universo (che coincide con l’assoluto e con l’infinito), che
sono gli attributi che la filosofia occidentale ha sempre affibbiato ad un Dio trascendentale.
Gli idealisti ripresentano questo concetto laicizzando la frase della Bibbia “Dio creò i cieli e la terra per
l’uomo”. In parole povere, l’uomo è Dio. Esistono infine dei punti di contatto fra l’idealismo e la
religione cattolico-ebraica, infatti, entrambe sostengono che l’uomo è il Re del creato.
Un Dio trascendentale è inimmaginabile perché presupporrebbe l’esistenza di un bene assoluto senza
il relativo contrapposto, una chimera. L’unico Dio possibile è lo spirito dialetticamente inteso.
Questa filosofia rivoluzionaria è in contrapposizione con tutto ciò che abbiamo visto finora. È
considerato un pensiero monistico, proprio perché ammette un io unico ed infinito.
Fichte
Nasce a Rammenau nel 1762 da famiglia poverissima. Studia a Jena e a Lipsia combattendo contro la
miseria. Fece il precettore in Germania, dove incontra la moglie.
È illuminato dalla filosofia di Kant leggendo dapprima la critica della ragion pratica, rimanendo
contento per le dimostrazioni di libertà assoluta, del dovere ecc.
Nel 1791 mostra a Kant il Saggio di una critica di ogni rivelazione. Lo scritto fu scambiato per un’opera
kantiana ma quest’ultimo si affrettò a dichiarare il nome dell’anonimo pubblicatore. Ebbe problemi
con il governo, che censurò sia il saggio sia la Religioni dei limiti della semplice ragione. Si dedicò quindi
a scritti come Rivendicazione della libertà di pensiero anonimamente pubblicata.
Scrisse mentre era professore Dottrina della Scienza, Dottrina morale, Dottrina del diritto.
Fu allontanato dalla cattedra con l’accusa di ateismo.
Altra importante produzione è il Discorsi alla nazione tedesca, formulati durante l’invasione
napoleonica. In questo scritto Johann identifica come mezzo di risollevamento per la nazione tedesca
un nuovo metodo educativo, sottolineando il primato del popolo tedesco.
Caratteristico in Fichte l’esigenza di un’azione morale. “Più agisco, più mi sento felice”.
L’azione morale sostituisce la fede religiosa.
A differenza del Maestro, Fichte aveva come obiettivo quello di formulare una filosofia dell’infinito, che
è l’uomo stesso.
Durante la sua “giovinezza” Fichte è più vicino a Kant. Le opere di questo periodo sono il Saggio di una
critica di ogni rivelazione, Rivendicazione della libertà di pensiero, Contributo per rettificare il giudizio
del pubblico sulla rivoluzione francese e altri scritti minori.
Il più vicino a Kant è la critica di ogni rivelazione, che è possibile ma non dimostrabile, dunque oggetto
di fede. Altra opera importantissima Lezioni sulla missione del dotto.
Durante la sua vita filosofica dal 1794 al 1813 Fichte modifica i suoi capisaldi.
L’infinità dell’Io
Kant riconosce nell’io penso il principio supremo di tutta la conoscenza. Ma l’io penso è un atto di
autodeterminazione esistenziale che da per scontata l’esistenza. È quindi un’attività limitata
dall’intuizione sensibile.
Se l’io è l’unico pensiero, non solo formale, ma anche materiale del conoscere è evidente che l’io è
infinito. L’io è anche spontaneo e assolutamente libero.
La deduzione di Kant è una deduzione trascendentale, atta a giustificare la validità di condizione
soggettiva della conoscenza, l’io di Fichte è invece una deduzione assoluta.
Fichte si concentra sul sapere e sull’io fin quando non si imbatte sulla natura stessa dell’io.
I tre principi
Fichte vuole una filosofia come un sapere assoluto e perfetto. Cerca un principio su cui si fonda la
validità di ogni scienza.
Nella seconda introduzione alla dottrina della scienza, Fichte introduce questo pensiero: per dire che
qualcosa esiste dobbiamo necessariamente riportarlo alla nostra coscienza. A sua volta la coscienza è
tale perché è coscienza di se stessa. In sintesi la coscienza è il fondamento dell’essere, l’autocoscienza è
il fondamento della coscienza.
Nella prima Dottrina della Scienza si tenta di dedurre dal principio dell’autocoscienza la vita teoretica e
pratica dell’uomo. Si stabiliscono i 3 principi fondamentali per arrivare alla deduzione.
Il primo è il principio d’identità, per il quale A = A. Nella filosofia classica rappresenta il primo
principio della Scienza, per Fichte è una derivazione dell’io. Infatti se non ci fosse un io che pone
innanzitutto se stesso, non potrebbe esistere A. Se ne deduce quindi che l’io non può affermare nulla
senza affermare in primo luogo la propria esistenza.
La proprietà che contraddistingue l’io è l’auto creazione che coincide con l’intuizione intellettuale che
l’io ha di se stesso.
L’io è nello stesso tempo attività agente e prodotto dell’azione stessa.
Il secondo principio afferma che l’io pone un non-io (inteso come natura, oggetto). Che senso avrebbe
infatti un soggetto senza oggetto?
Il terzo principio sostiene che il non-io limita l’io e viceversa. Una battaglia continua.
Ricapitolando esistono tre livelli, il primo è l’Io infinito e creatore, il secondo è la contrapposizione
dell’io con il non-io (la ragione umana) e il terzo è il non-io (il mondo). L’unione di questi tre livelli
genera una struttura triadica e dialettica.
Si può scegliere fra idealismo e dogmatismo.
Il primo parte dall’io (soggetto) per arrivare all’oggetto.
Il secondo parte dall’oggetto per spiegare l’io.
Nessuno dei due riesce a negare completamente l’altro poiché l’io deve esistere a prescindere.
Ma perché mai un uomo è a favore di uno o dell’altro “metodo”?
La scelta dipende dall’etica, ma attenzione: il dogmatismo mette i bastoni fra le ruote alla libertà in
quanto è una forma di materialismo gnoseologico.
Al contrario l’idealismo ponendo un io infinito e autocreante finisce per strutturarsi come una rigorosa
dottrina della libertà.
In definitiva è una scelta che dipende da persona a persona, da quanto si ha a cuore la libertà.
Attraverso la teoria dell’immaginazione produttiva si spiega come l’io crea il non-io, producendo i
materiali stessi del conoscere.
Si può quindi dedurre che, nota l’azione dell’io che produce l’oggetto, l’azione di creazione è
prettamente inconscia.
Sono introdotti dunque 5 componenti (o meglio gradi) del processo di graduale riconquista
dell’oggetto dalla parte del soggetto: Sensazione (l’io empirico avverte l’oggetto), Intuizione
(distinzione fra oggetto e soggetto e coordinamento dei tue tramite spazio e tempo), Intelletto (fissa le
percezioni spazio tempo), Giudizio e Ragione (massimo livello conoscitivo raggiungibile dal soggetto).
L’io deve avere un ostacolo per agire, rappresentato dal non-io. Per superare un ostacolo c’è bisogno di
uno sforzo e laddove c’è sforzo c’è un’attività morale. Il perpetrarsi di questa situazione di incessante
“rivalità”, l’io diventa infinito cercando di sovrastare l’oggetto col soggetto.
Missione sociale dell’uomo e del dotto
L’unificazione completa del genere umano è possibile solo rendendosi e rendere liberi. Colui che deve
diffondere quest’idea dev’essere il dotto, un personaggio destinato alla società moralmente migliore
del suo tempo, maestro del genere umano.
Filosofia politica
La filosofia politica di Fichte è stata influenzata da alcuni importanti avvenimenti storici come ad
esempio la rivoluzione francese, le guerre napoleoniche e l’invasione della Germania. L’ultimo
avvenimento stimolò uno spiccato senso nazionalistico. Dopo la pubblicazione anonima della sua
rivendicazione della libertà di pensiero, ci rendiamo conto di come Fichte la pensava a proposito dello
Stato, desiderando un sistema antidispotico e liberale.
Se lo Stato non educa alla Libertà, ognuno ha il diritto di rompere il contratto sociale e di crearne un
altro. Il fine dello stato è di rendere inutile se stesso, formando individui liberi e responsabili. Altri
obiettivi dello stato sono: rendere impossibile la povertà e garantire i diritti.
Fichte perviene ad una forma di statalismo socialistico e autarchico. Lo stato deve impostarsi come
tutto chiuso, senza contatti con l’estero.
Nei suoi discorsi il tema fondamentale è l’educazione non solo di un élite ma di tutto il popolo.
Sottolinea (come detto in precedenza) la superiorità in termini di nazione dei tedeschi (non hanno
influenze neolatine ecc. )
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