CAPITOLO 12 Fichte (2° parte) Dire che la storia filosofia si articola nei tre momenti significa che l’io presenta una struttura triadica e dialettica e incentrata sul concetto di una sintesi degli opposti. Nella Prima introduzione alla dottrina della Scienza Fichte dice che idealismo e dogmatismo sono le uniche filosofie possibili: l’idealismo consiste nel partire dall’io o dal soggetto per spiegare l’oggetto, mentre il dogmatismo parte dalla cosa in sé o dall’oggetto per spiegare l’io o il soggetto. Nessuno di questi due sistemi confuta quello opposto, ma il dogmatismo finisce per rendere nulla o problematica la libertà, mentre l’idealismo è una rigorosa dottrina della libertà. Per questo gli individui che non hanno il senso della libertà sceglieranno il dogmatismo mentre gli altri l’idealismo. La superiorità etica e teoretica dell’idealismo sta nel fatto che l’Io è la rappresentazione originaria e assoluta che può spiegare sia se stesso, sia le cose, sia il loro rapporto. Dall’azione reciproca di io e non io nascono la conoscenza e l’azione morale. Fichte ammette che la rappresentazione sia il prodotto di un attività del non io sull’io (per questo è anche realista), ma poiché il non io è prodotto dall’io, l’attività risulta riflessa. Questo genera una domanda: perché il non io è sussistente e indipendente dall’io. Fichte risponde con la teoria dell’immaginazione produttiva che egli intende come l’atto attraverso cui l’io pone il non io. Mentre in Kant essa fornisce solo le condizione formali in Fichte produce i materiali stessi del conoscere. Essa è inconscia perché è l’atto con cui il soggetto crea l’oggetto. La ri-appropriazione umana del non io avviene attraverso una serie di gradi della conoscenza tramite una interiorizzazione dell’oggetto che si rivela opera del soggetto: sensazione, intuizione, intelletto, giudizio e ragione. L’io pone il non io ed esiste come attività conoscitiva solo per poter agire: da ciò il primato della ragione pratica e l’idealismo etico di Fichte secondo cui noi esistiamo per agire e il mondo esiste solo come teatro della nostra azione. Agire significa imporre al non io la legge dell’io e il carattere morale dell’agire sta nel fatto che esso assume la forma del dovere ovvero un imperativo volto a far trionfare lo spirito sulla natura. Per realizzarsi l’io deve agire moralmente, ma non c’è morale se non c’è sforzo per superare l’ostacolo che in Fichte è il non io. Infatti il processo di superamento dell’ostacolo da parte dell’io è infinito e incessante. L’io è infinito poiché si svincola dagli oggetti che si pone. Secondo Fichte il dovere morale può essere realizzato dall’io finito solo insieme agli altri io finiti; ogni io finito è costretto a porre i limiti alla propria libertà e ad agire per far si che l’umanità sia sempre più libera: ecco lo sforzo sociale dell’io. Gli intellettuali non devono essere isolati, ma persone pubbliche con particolari responsabilità sociali. Il dotto deve condurre gli uomini alla coscienza dei loro bisogni e istruirli sui modi per soddisfarli. Il dotto che è l’essere moralmente migliore deve essere maestro ed educatore del genere umano. Il fine di ogni singolo uomo è il perfezionamento morale di tutto l’uomo. © Federico Ferranti www.quintof.com