ALCHIMIA e MITO
di Julius Cohen
l’epopea di
GILGAMESH
l’eroe sulla Via dell’Immortalità
1a Parte
Davvero antica è l’epopea di Gilgamesh, molto più antica dell’Iliade e dell’Odissea, poiché mentre queste sono databili – come versioni scritte – verso
l’800 a.C., la storia di Gilgamesh è stata trovata incisa su alcuni frammenti di
tavolette di argilla risalenti al 2500–2000 a.C. ...
Tuttavia il racconto era assai più antico, e l’inizio della sua trasmissione orale
sembra risalire al 3000 a.C.; ossia a quel periodo che gli storici chiamano
“epoca di Uruk”, essendo Uruk una città sumera ubicata sul basso corso del
fiume Eufrate e di cui Gilgamesh – il nostro Eroe – sarebbe stato Re, non
molto tempo dopo il Diluvio Universale.
Ma fu Re mitico oppure storico?
Non sappiamo... comunque – e come vedremo meglio in seguito – il nostro
Gilgamesh sembra essere più che altro un simbolo, un nome famoso dietro cui
è adombrata la storia dell’Anima umana, dal momento in cui viene creata fino
a quando – dopo aver superato innumeri prove – riesce finalmente a conquistare l’immortalità (poiché l’Anima, dovete sapere, non nasce immortale, ma
può diventarlo... anzi, la conquista dell’immortalità sembra proprio essere lo
scopo di ogni Vita rettamente vissuta!).
Approfondiremo questo argomento tra poco; per ora basti sapere che i più
antichi frammenti della storia di Gilgamesh, scritti in lingua sumera, risalgono
– come già detto – al 2500–2000 a.C.
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In seguito sono state trovate altre tavolette (databili al 1800–1600 a.C.) costituenti la così detta versione “paleo–babilonese”.
La versione “medio–babilonese” risale invece ai secoli XIV–XII, ed in questa
stessa epoca vengono datate anche le versioni ittita, elamita e semitica; del XII
secolo è la versione assira (detta anche “epopea classica”), la più completa
fra quelle pervenuteci e sulla quale baseremo la nostra analisi.
La scoperta di queste tavolette, infatti, risale al 1853, ma solamente nel 1872
l’inglese George Smith fu in grado – in seguito ad un paziente lavoro di
decrittazione – di presentare a Londra alla Società Archeologica Biblica una
relazione che fece scalpore, poiché così affermava: «fra le tavolette assire ho
scoperto un racconto del Diluvio Universale».
Il lavoro di ricostruzione e traduzione delle tavolette di argilla continua tutt’oggi; tuttavia il corpo centrale dell’epopea assira rimane quello già pubblicato nel 1928–1930 da Campbell Thompson.
***
La maggior parte degli studiosi interpreta la saga di Gilgamesh come la storia
di “un uomo all’affannosa ricerca dell’immortalità”, storia che potrebbe venire così riassunta:
«Un tempo viveva ad Uruk, in Mesopotamia, un re che si chiamava Gilgamesh ed aveva un amico forte e possente, di nome
Enkidu; insieme compirono mirabili imprese, ma poi Enkidu si
ammalò e morì.
Allora Gilgamesh fu preso da una terribile paura della morte,
per sfuggirla, si recò da Utanapishtim, un suo antenato che –
proprio come il Noè biblico – era sopravvissuto al Diluvio Universale, divenendo immortale.
Pensava tra sé e sé Gilgamesh:
“da lui potrò sicuramente apprendere
il segreto dell’Immortalità”.
Utanapishtim fu molto affettuoso col suo pronipote, e gli svelò
il famoso segreto...
Ma Gilgamesh, troppo carico di affanni, non fu in grado di
ascoltarlo con la dovuta attenzione e di recepire quanto dettogli; né, poco dopo, seppe trarre vantaggio da un’altra via, anKEMI-HATHOR
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