HENRI BERGSON
(1859 – 1941)
La posizione di Bergson si colloca all’interno di un movimento di
reazione al positivismo che attraversa la filosofia francese della
fine dell’ottocento e che può essere considerata uno
spiritualismo. I suoi presupposti sono:
1. La filosofia non può essere assorbita dalla scienza
2. L’uomo ha in quanto spirito una specificità nei confronti
della natura, è interiorità e libertà, coscienza e riflessione.
3. E’ necessario indagare i limiti e la struttura della scienza
4. Anche l’idealismo, che identifica coscienza e assoluto, è da
rifiutare.
In questo contesto la filosofia di Bergson si caratterizza però per
un tentativo di svuotare dall’interno il positivismo, senza cadere in
un dualismo spiritualistico. “il grosso errore delle dottrine spiritualistiche è stato quello di
credere che, con l’isolare la vita spirituale da tutto il resto, col sospenderla il più in alto possibile
sopra la terra, la ponessero con ciò al riparo da ogni attentato”.
Vita e opere
Di origine ebraica, nasce a Parigi nel 1859, la sua formazione è scientifica e si dedica a studi di
matematica e meccanica, poi si dedica alla filosofia. Si entusiasma per il positivismo di Spencer,
che prometteva di essere vicino alla scienza e aderente ai fatti. Ma la promessa non viene
mantenuta: l’aderenza ai fatti nel positivismo mancava perché di tutti i fatti pretendeva di
giudicare con uno stesso metodo. Il reale presenta, al contrario, aspetti diversi e, se si vuole
restare fedeli all’esperienza e alla realtà, bisogna studiarli ciascuno con metodo proprio.
Dopo le sue prime opere (Saggio sui dati immediati della conoscenza, 1889, e Materia e memoria,
1896) ottiene grande notorietà. Nel 1900 esce Il riso, nel 1907 L’evoluzione creatrice, nel 1932 le
due fonti della morale e della religione.
Poco prima della morte (1941) matura la sua conversione al cattolicesimo, ma non compie il
passo del battesimo per non separare il suo destino da quello del suo popolo perseguitato..
Nel «Testamento» scrive: «Le mie riflessioni mi hanno spinto via via verso il cattolicesimo, nel
quale vedo il pieno compimento dell'ebraismo. Mi sarei convertito se non avessi visto
prepararsi lungo gli anni (in gran parte, ahimè, per colpa di un certo numero di ebrei del tutto
privi di senso morale) la formidabile ondata di antisemitismo che dilaga sul mondo. Ho voluto
restare fra quelli che domani saranno perseguitati. Ma io spero che un prete cattolico, se il
cardinale arcivescovo di Parigi l'autorizza, vorrà dire qualche preghiera alle mie esequie. Nel
caso che questa autorizzazione non venga, bisognerebbe indirizzarsi a un rabbino, ma senza
nascondergli e nascondere a nessuno la mia adesione morale al cattolicesimo».
Il tempo come durata
Bergson studiando i concetti della meccanica si accorge che ad essa sfugge il tempo
dell’esperienza concreta. Il tempo che entra nelle formule della fisica è una pura relazione
matematica, che non implica una vera durata. Il tempo della meccanica è un tempo
spazializzato, come il tempo dell’orologio, che è un insieme di “posizioni” delle lancette sul
quadrante, in cui ogni istante è uguale all’altro ed esterno ad esso. Il tempo dell’esperienza
concreta è invece il tempo come durata, durata vissuta, nuova ad ogni istante, in cui ogni
momento si lega ad un altro. Tale durata non si trova esternamente a noi ma nella coscienza. La
coscienza coglie il tempo come durata: l’io vive il presente con la memoria del passato e
l’anticipazione del futuro (cfr. Sant’Agostino). Nel tempo della meccanica gli istanti sono tutti
uguali (come in una collana di perle), in quello della coscienza non c’è un istante uguale
all’altro, un istante può valere un’eternità, può essere decisivo per la vita, ci sono momenti che
non passano mai e altri che volano via. L’esperienza del rimorso mostra ad esempio come il
passato resta avviluppato al presente. Tutto fluisce in un divenire continuo: “il nostro passato ci
segue e si ingrossa senza posa col presente che raccoglie lungo la strada” ela coscienza, come
un gomitolo di lana, via via cresce.
Il tempo spazializzato, così come la scienza, risponde certo a finalità pratiche ma non coglie la
vera, sostanziale realtà, che richiede un metodo di approccio diverso. Qui il positivismo fallisce.
“Nella coscienza troviamo degli stati che si succedono senza distinguersi, nello spazio delle
simultaneità che si distinguono senza succedersi, nel senso che l’una non esiste più quando
l’altra appare. Fuori di noi esteriorità reciproca senza successione, dentro, successione senza
esteriorità reciproca”.
Libertà e determinismo
La determinazione ha senso solo nella realtà esteriore fatta di stati distinti, se gli oggetti vivono
l’uni esterno all’altro ha senso parlare di cause. Ma l’essere profondo della coscienza non è
divisibile, conserva le tracce del proprio passato; in essa non esistono mai due eventi identici,
perciò non si possono fare previsioni e non ha senso dire che uno stato ne determina un altro.
L’io è una unità in divenire e quando i nostri atti emanano dall’intera nostra personalità allora
esprimono la libertà. Questo naturalmente non vale per tutti i nostri gesti, molti non derivano
dalla coscienza e non sono liberi, risultato meccanici e prevedibili (cfr. Il riso).
Materia e memoria
B. vuole studiare la relazione fra coscienza e mondo fisico, fra spirito e corpo. Corpo e cervello
sono realtà infinitamente più povere della coscienza, rivolte all’azione nelle circostanze
presenti. Nel cervello passa solo una parte di ciò che è presente nella coscienza, solo ciò che
serve all’azione. La vita ci impone infatti di porre attenzione al presente e ripesca dal passato
unicamente quanto serve a inserire il nostro organismo nella situazione presente. Ma
l’esperienza cosciente, la memoria, è molto di più. “Chi potesse guardare all’interno di un
cervello in piena attività saprebbe di certo qualcosa di quel che avviene nella coscienza, ma ne
conoscerebbe ben poco; di essa conoscerebbe solo quello che è esprimibile in gesti,
atteggiamenti, movimenti del corpo, il resto gli sfuggirebbe; egli sarebbe, rispetto ai pensieri e
ai sentimenti che si svolgono nell’intimo della coscienza, nella situazione di uno spettatore il
quale vedesse distintamente tutto ciò che gli altri fanno sulla scena ma che non capisce una
parola di quello che dicono.”
L’evoluzione creatrice
B. intende darci una visione globale della realtà, presentandoci un evoluzionismo agli antipodi
con quello deterministico e meccanicistico di Darwin. La vita è novità, imprevedibilità,
creatività, slancio vitale che tende alla creazione di nuove e sempre più numerose forme di vita.
Spirito e materia non sono due realtà, ma due poli della medesima realtà. Al pari della vita della
coscienza la vita biologica non è una macchina che si ripete sempre identica a se stessa, ma è
continua e incessante novità, è creazione, imprevedibilità, vita sempre nuova che inglobando e
conservando l’intero passato cresce su se stessa. E la materia non è altro che il momento
dell’arresto di questo slancio vitale, è data dal riflusso dello slancio vitale che disperde la
propria unità e ricade come molteplicità di elementi. La materia è “azione che si dissolve e di
logora, si depotenzia”. La materia è slancio che ha perduto la propria creatività e diventa un
ostacolo per lo slancio successivo. Lo slancio unitario ricade allora in una molteplicità di
elementi. (esempi di un fuoco d’artificio o di una granata che esplode). Ecco allora una visione
evoluzionistica che procede per biforcazioni successive: materia inanimata-mondo animale;
piante-animali…La vita del mondo animale a sua volta esplode in ulteriori direzioni: una
conduce a forma più perfette di istinto (imenotteri), un’altra porta oltre l’istinto, all’intelligenza
(altre volte finisce in un vicolo ceco).
Bergson vede dunque la formazione di fondamentali funzioni:
1. Istinto = facoltà di utilizzare strumenti organici, caratterizzato dall’essere ripetitivo,
rigido e inconsapevole, capace di cogliere le cose stesse dall’interno
2. Intelligenza = facoltà di fabbricare e utilizzare strumenti inorganici, caratterizzata
dall’essere creativa, capace di variare, consapevole: coglie le cose esteriormente, nello
spazio.
Istinto e intelligenza sono due risposte allo stesso problema, quello di rispondere al mondo
circostante e di permettere la sopravvivenza, ma non ci danno la vera realtà, per la quale
occorre: intuizione: (da intus legere: guardare dentro), è la capacità di cogliere il cuore della
realtà, è un “istinto divenuto disinteressato, cosciente di sé, capace di riflettere sul proprio
oggetto”. L’intuizione ci conduce proprio dentro la vita, è immediata come l’istinto e
consapevole come l’intelligenza. L’intelligenza produce analisi e spezza il divenire: l’intuizione
procede attraverso la simpatia e ci porta direttamente dentro la realtà (cfr. esprit de finesse). E’
la “visione dello spirito da parte dello spirito”. Legata all’intelletto è la scienza, legata
all’intuizione è la metafisica, che ci fa entrare in rapporto con la durata. Lo slancio vitale di
esprime come umana attività creatrice, generando arte, filosofia, morale e religione.
Le due fonti della morale e della religione
Esiste una morale generata dalla pressione sociale che produce la società chiusa, simile a un
formicaio e dominata dall’abitudine, Esiste una morale generata da uno slancio di amore, che
crea forme nuove di vita, i cui fondatori vanno al di là del gruppo a cui appartengono per
guardare all’uomo in quanto uomo, all’intera umanità.
Così esistono una religione statica e una religione dinamica, caratterizzata dal misticismo,
dall’amore per Dio e per l’umanità.
L’umanità oggi, dominata dalla tecnica, ha particolarmente bisogno di mistici, Un supplemento
d’anima è necessario per guarire i mali del mondo contemporaneo.