Formazione: essenzialmente positivistica; in Francia ampio spazio veniva dato all’insegnamento della dottrina Kantiana e dei suoi prosecutori. Egli però preferisce gli inglese e si avvicina molto all’evoluzionismo Spencer. Supererà anche questa posizione sottolineando la necessità di andare oltre le misurazioni della scienza. Egli quindi si opporrà al positivismo e giunse poi a teorizzare la filosofia dell’intuizione come unico metodo per conoscere la vera realtà. La sua filosofia è solitamente ricompresa in quella che viene definita la corrente dello spiritualismo, in netta opposizione al positivismo: in realtà essa ha molte peculiarità per cui in molti parlano di “bergsonismo”. Infatti la sua analisi non va a discapito della razionalità; l’elemento innovatore del suo pensiero, come sottolineò più volte lo stesso Bergson, è il metodo dell’intuizione. Egli non ha esitazioni a dichiarare la sua adesione al dualismo contrapponendosi a quello che lui definisce come il preconcetto della filosofia che ha sempre cercato, sin dagli inizi della sua storia, di superare il naturale dualismo, conseguendo l’unità del reale. Bergson è convinto che all’origine di ogni problema irrisolto ci sia una errata formulazione del problema stesso, dovuta a una errata concezione della realtà. Vi è stato quindi un cattivo uso dell’intelligenza a cui dobbiamo porre rimedio adoperandola correttamente. Bergson non ritiene inutile l’intelligenza ma è convinto che essa non sia l’unico modo per conoscere. L’intelligenza è sempre diretta all’azione, al risultato: è come, dice Bergson, le forbici di un sarto che ritagliano di un intero tessuto, quella parte che serve a confezionare l’abito. Siccome l’intelligenza è soprattutto analitica, essa poi procederà a ritagliare, ad analizzare, quella parte del reale che ha preso in considerazione: così come farà il sarto per fare le maniche del vestito. Ma il sarto prima di tagliare la stoffa l’ha considerata nel suo insieme, nella sua completa unitarietà: questa è la funzione dell’intuizione («la simpatia per la quale ci trasportiamo all’interno di un oggetto» in “Introduzione alla Metafisica”) che precede ogni atto analitico dell’intelligenza ma che è anch’essa una forma di conoscenza. È con l’intuizione che possiamo cogliere gli errori che l’intelligenza ha fatto nel definire i problemi che vuole risolvere, così come il sarto si accorgerà di non poter fare il suo vestito poiché ha mal calcolato la stoffa che gli serviva. La coscienza non può essere indagata in questo modo, ovvero attraverso una analisi che separa e ritaglia, perché è un flusso continuo. La scienza non riesce quindi a conoscere la coscienza che può essere analizzata attraverso la filosofia o la letteratura. Se il mondo esteriore può essere analizzato attraverso lo spazio, quello interiore deve essere studiato attraverso la dimensione del tempo. L’errore sta spesso nell’utilizzare il concetto di spazio anche per l’interiorità e quindi di sovrapporlo a quello del tempo (“spazializzare il tempo”). È proseguendo con questa argomentazione che Bergson differenza il tempo spazializzato dalla durata reale, che è il tempo autentico che scorre nella nostra coscienza. Egli parla di tempo e non di spazio, di durata e non di misura. Si differenzia quindi da Cartesio ritenendo di non poter usare il linguaggio e l’analisi matematica per studiare l’interiorità. Bergson ammette la distinzione, tra mondo materiale e mondo spirituale e riconosce l’esistenza di una facoltà, l’intuizione, che consente di creare una disciplina particolare (la metafisica) che studia l’interiorità; ad essa Bergson contrappone il mondo materiale, collocato nello spazio e inquadrabile dall’intelligenza e dalla scienza. Successivamente andrà al di al del dualismo sostenendo che tra i due mondi esiste un legame dato dalla presenza di un unico principio: “lo slancio vitale”: principio che assoggetta tutta la realtà. Analizzando più in particolare l’idea del tempo: possiamo definirla come temporalità anti – misura o teoria del tempo soggettivo. Lo Spiritualismo ebbe continuità anche nella letteratura e mi pare indicativa una citazione tratta dall’opera di Proust, Alla ricerca del tempo perduto, a cui Bergson è legato sia con vincoli di parentela sia per aspetti concettuali: « Un’ora, non è solo un’ora, è un vaso colmo di profumi, di suoni, di progetti, di climi » Bergson vuole giungere a definire il tempo reale che è quello che ognuno di noi vive nella propria coscienza; esso è un fluire non scomponibile in cui gli stati psichici si susseguono in continuità uno all’altro. Famoso è l’esempio della zolletta di zucchero che si scioglie in un bicchiere d’acqua: la fisica calcolerà il tempo che lo zucchero impiegherà a sciogliersi secondo un procedimento analitico che va dall’istante iniziale a quello finale della liquefazione e questo tempo così calcolato sarà definito simbolicamente uguale per tutte le volte che si misurerà nelle stesse condizioni: mentre molto diverso sarà il tempo vissuto della mia coscienza che non terrà conto del tempo spazializzato e oggettivato della fisica ma piuttosto dalle mie condizioni psicologiche di insofferenza o calma: questo sarà il vero tempo per me. Schematizzando possiamo dire che il tempo della scienza è quantitativo: gli attimi non presentano differenze qualitative; geometrico e discontinuo: sequenza di stati uniformi; spazializzato: misurato attraverso lo spazio (es. quadrante dell’orologio); ripetibile e reversibile; astratto: costruzione formale della scienza; esteriore. Tale concezione è paragonabile ad una collana di perle: tutte uguali e distinte tra loro. Diversamente il tempo di vita, il tempo psicologico è: – Qualitativo – Soggettivo – Irripetibile e irreversibile: il momento dopo sarà comunque diverso perché ha già vissuto quello prima – Continuo: è durata, non è separabile. – Reale: coincide con il fluire della coscienza – Interiore: rapporto di simpatia con le cose È durata reale che si potrebbe identificare con un gomitolo o con una valanga. In questo senso un ruolo importante viene assunto dalla memoria che permette l’accumularsi e lo stratificarsi dei ricordi, non si tratta di momenti separati ma di un continuum. Di conseguenza per Bergson il passato ho un ruolo fondante: esso si conserva sempre ma ha anche in sé la spinta verso il futuro. La nostra idea di durata non è il susseguirsi di un istante ad un altro istante: in tal caso esisterebbe solo il presente, il passato non si perpetuerebbe nel presente e non ci sarebbe evoluzione né durata concreta. La durata è l’incessante progredire del passato che intacca l’avvenire e che, progredendo, si accresce. E poiché si accresce continuamente, il passato si conserva indefinitamente. Per spiegare in modo più chiaro la sua tesi, Bergson arricchisce il testo di esempi. Le immagini a cui egli ricorre per dare l’idea della durata reale sono quella della valanga e quella del gomitolo: arrotolando il filo di lana su se stesso, cresce il gomitolo e, man mano che cresce, c’è sempre nuovo filo che si aggiunge, senza però che quello che c’era già sparisca. In modo analogo, la valanga nasce nel momento in cui si stacca della neve e comincia a rotolare accumulando sempre più neve, senza che quella presente in origine venga persa. Secondo Bergson, la memoria, la coscienza e il tempo autentico (“durata reale”) assomigliano al gomitolo e alla valanga, poiché nel tempo reale (cioè quello della coscienza) non vi è nulla che si perda mai veramente. E infatti, se il termine “reale” viene impiegato per sottolineare la contrapposizione con il tempo “falso” dello spazio, il vocabolo “durata” suggerisce il concetto di tempo, ma anche l’idea del permanere; ed è esattamente ciò che accade al gomitolo e alla valanga, che ”concrescono” senza perdere i pezzi iniziali. Per Bergson il tempo concretamente vissuto è una durata “reale” a cui lo stato psichico presente conserva da un lato il processo da cui proviene (attraverso la memoria), ma naturalmente costituisce anche qualcosa di nuovo. Dunque gli stati della coscienza sono in continua evoluzione, un movimento vissuto che la scienza non può spiegare pienamente con i suoi concetti astratti e rigidi. Il centro della sua filosofia è il concetto di DURATA. La durata per Bergson è accrescimento, una continuità ininterrotta, ed è la caratteristica propria della coscienza. Essa però è insieme conservazione e rinnovamento, permanenza e privazione. Il tempo è, come ci dice l’autore in “evoluzione creatrice” : – “il tessuto stesso” della coscienza; – “La nostra personalità nasce, si sviluppa, matura in continuazione. Ciascuno dei suoi momenti è qualcosa di nuovo che va ad aggiungersi a quanto c’era prima. Anzi: non è solo qualcosa di nuovo, ma anche di imprevedibile”. Questo tempo è quindi oppositivo rispetto al tempo astratto e spazializzato della scienza. Il tempo come durata può essere colto solo attraverso l’intuizione che è “istinto divenuto disinteressato, cosciente di se, capace di riflettere sul proprio oggetto e di estenderlo all’infinito”: in tal modo noi possiamo coglierlo e conoscere noi stessi.