Allenatri
Anno 2008/-n.5
In questo numero di
SETTEMBRE - OTTOBRE 2008
Costantino Bertucelli
Responsabile Centro Studi e Ricerche SIT Fitri
“ Stretching, criteri metodologici.”
Seconda parte.
Alessandro Bottoni
Responsabile Centro Studi Ricerche SAS
“Allenamento del nuoto per il triathlon:
aspetti specifici e alcuni metodi pratici
per l’allenamento delle relative capacità.”
Seconda parte.
Simone Biava
Tecnico-Coordinatore di Triathlon
“Aspetti
fisiologici e metodologici
delle salite di forza resistente (sfr)”.
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Anno 2008/-n.5
STRETCHING
CRITERI METODOLOGICI
di Costantino Bertucelli
Seconda Parte
Introduzione
Scopo dell’articolo è di riassumere le diverse
modalità d’allungamento muscolare ed il
razionale scientifico su cui si basano
Queste tecniche, che hanno come obiettivo
principale il miglioramento della mobilità
articolare, si sono viste, nel corso degli anni
passarti, attribuire virtù quasi universali, dal
riscaldamento,
alla
prevenzione
degli
infortuni, dal potenziamento muscolare, alla
rieducazione dopo eventi traumatici.
Si cercherà di classificare e mettere a
confronto le linee di pensiero oggi esistenti
chiarendo cosa sia giusto attendersi da una
pratica regolare e razionale di questa
metodica.
Le problematiche metodologiche, ad oggi, da
chiarire riguardano:
- supposti danni dovuti alla mobilità dinamica
- riduzioni d’inibizioni riflesse e maggiore
tolleranza al dolore
- durate ottimali e serie
intensità
dell’allungamento:
intensivo
(massimale) o submassimale
- determinazione della durata (da 10”a 60”)
dell’allungamento, delle sedute (da 5’ a 30’) e
del numero di ripetizioni (singole – multiple)
- superiorità in efficacia o specificità di alcuni
metodi rispetto ad altri
1. Le varie forme di stretching
Gli esercizi di stretching sono praticati attraverso
varie modalità e tecniche.
E’ possibile classificare lo stretching in differenti
categorie tecniche che prevedono modalità
esecutive diverse tra loro.
1.1 Stretching Statico (SS)
Tecnica basata sul raggiungimento ed il
mantenimento
della
massima
posizione
d’allungamento possibile,
che non dovrà essere mai dolorosa; viene
mantenuta per 15-40”(durata ottimale 20-30”)
L’esercizio viene ripetuto 3-4 volte per ogni
muscolo interessato.
Una volta raggiunta la posizione di massimo
allungamento, la tensione muscolare diminuirà
progressivamente (a causa dell’inibizione del
riflesso inverso da stiramento mediato dagli organi
tendinei del Golgi); solo allora si potrà, con molta
delicatezza, intensificare l’allungamento per altri
15-20”
Alcuni ricercatori distinguono diversi stadi di
tensione:
- tensione facile (5-10”)
- tensione di sviluppo (20-40”)
- tensione di defaticamento (5-10”)
Questo tipo di tecnica presenta alcuni innegabili
vantaggi:
- è sicura, di facile apprendimento ed esecuzione.
- richiede un dispendio energetico molto
contenuto.
- permette di by-passare la problematica inerente
il riflesso da stiramento.
- se praticata in modo sufficientemente intenso,
può indurre un rilassamento muscolare riflesso
indotto dall’azione degli OTG (organi tendinei del
Golgi).
- permette dei cambiamenti strutturali, in termini
d’elongazione, di tipo semi-permanente.
Il principale svantaggio che lo SS presenta, è la
sua mancanza di specificità.
In effetti la maggior parte delle discipline sportive
contempla movimenti dinamici di tipo balistico,
durante i quali l’UMT (unità muscolo – tendinea)
deve sopportare delle elongazioni violente e
repentine.
Lo SS, pertanto, si presenta come scarsamente
specifico.
Inoltre, occorre ricordare come il muscolo
possegga due tipi recettori, di cui i primi misurano
sia la velocità, che la lunghezza dell’elongazione,
mentre i secondi sono sensibili solamente ai
cambiamenti di lunghezza; per questa ragione agli
esercizi d’allungamento statico andrebbero
aggiunti quelli basati sull’allungamento dinamico.
1.2 Stretching Passivo (SP)
L’atleta
non
partecipa
attivamente
al
raggiungimento dei diversi gradi del ROM (range
of motion), che sono guadagnati grazie
all’applicazione
di
forze
esterne
create
manualmente (terapista, compagno) oppure
meccanicamente (strumentazione specifica come
carrucole a cavo, corde, ecc..)
Con il soggetto rilassato, il partner (terapista)
muove l’arto la cui muscolatura deve essere
allungata in modo da ampliare l’escursione del
ROM. Naturalmente si prevede una capacità
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d’allungamento maggiore rispetto alla modalità
SS. Il protocollo di lavoro prevede che la
posizione
d’allungamento
sia
raggiunta
lentamente
fino
al
massimo
sostenibile
dall’individuo senza dolore; tale posizione sarà
mantenuta
dal
terapista
per
10-15”.
Successivamente all’inibizione degli OTG si
dovrebbe ottenere un ulteriore aumento
dell’angolo articolare (mantenimento posizione
per altri 10-15”). Al termine dei 30” si ritornerà
lentamente alla posizione di partenza
E’ una tecnica normalmente utilizzata in ambito
riabilitativo, soprattutto nel caso in cui
l’estensibilità del muscolo sottoposto ad
allungamento sia limitata dall’azione degli
antagonisti e dal tessuto connettivo.
Tra i vantaggi che l’allungamento passivo
presenta possiamo elencare:
- efficacia nel caso in cui i muscoli preposti
all’allungamento attivo (muscolatura agonista),
risultino troppo deboli per poter svolgere questo
compito.
- particolarmente efficace, quando altri tentativi,
effettuati con differenti tecniche d’allungamento,
hanno fallito nel tentativo di ridurre le tensioni
muscolari presenti.
- permette un allungamento che può andare al di
là del ROM attivo.
Tra i possibili rischi quello di lesione che può
presentarsi nel caso in cui la differenza tra il range
di flessibilità attiva e quello di flessibilità passiva
sia cospicuo. Inoltre, dal momento che il livello di
flessibilità passiva non risulta correlato con il
livello di attività sportiva, quest’ultima deve
necessariamente essere supportata da un
parallelo programma di lavoro costituito da
esercizi di flessibilità attiva.
1.3 Stretching Balistico (SB) e Stretching
Dinamico (SD)
In queste due forme di stretching non si
presentano mai mantenimenti di posture statiche
sia attive che passive.
Nello stretching dinamico (SD), l’allungamento
viene raggiunto tramite una tecnica che non
prevede un’esecuzione con rapidi movimenti di
rimbalzo, e nella fase finale dell’esercizio, il
movimento risulta controllato rispettando il ROM
naturale dell’individuo, che non deve essere mai
forzato.
Nello SD, quindi, il movimento non prevede
un’esecuzione “rimbalzante”, e soprattutto nella
fase finale dell’esercizio, la velocità esecutiva
globale è controllata.
Un esempio classico è la flessione del busto sugli
arti inferiori dalla stazione eretta, esercizio in cui
l’obiettivo potrebbe essere quello di toccare con le
mani il suolo. Il movimento risulta armonico e mai
discontinuo, ripetuto partendo ogni volta dalla
stazione eretta e raggiungendo la massima
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distanza possibile. Si eseguono normalmente
serie da 15-20 ripetizioni con recupero di 30-60”.
E’ opinione di diversi Autori che gli esercizi di SD,
se eseguiti lentamente, non comportino rischi
d’infortuni maggiori rispetto a quelli di SS.
Lo stretching balistico (SB), al contrario del
precedente, prevede di forzare il movimento
raggiungibile in modo attivo oltre il ROM,
attraverso rapidi e frequenti movimenti di
rimbalzo, così da indurre il tratto muscolo –
tendineo ad allungarsi per forza centrifuga.
Lo scopo è di forzare il movimento stesso verso i
limiti massimi del ROM
Riprendendo l’esempio precedente, la fase
terminale della flessione del busto è caratterizzata
da movimenti rapidi e ripetuti (molleggi) con breve
escursione di movimento.
Si eseguono normalmente serie da 15-30
molleggi (ripetizioni) con recupero di 30-45”
Lo SB è la metodologia d’allungamento più
criticata, vista la sua potenziale pericolosità in
termini di possibili danni muscolari.
Taylor et al. (1990) attribuiscono la causa dei più
elevati rischi d’infortunio dello SB alle proprietà
elastico – viscose della muscolatura. Ad una data
lunghezza del muscolo, nel caso d’allungamento
veloce, viene assorbita più energia rispetto
all’allungamento statico, poiché non c’è possibilità
d’intervento da parte delle proprietà elastiche
delle strutture connettivali (fenomeno del
creeping); il rischio d’infortunio è maggiore se
questi esercizi sono eseguiti non allo scopo
d’ottenere una maggiore ampiezza di movimento,
ma finalizzati a garantire una maggiore velocità
I principali svantaggi di questo tipo di pratica sono
quindi:
- l’esiguità del tempo d’allungamento che non
permette, di fatto, un adeguato adattamento dei
tessuti nei confronti dell’elongazione.
- la velocità dell’allungamento comporta il
manifestarsi del riflesso miotatico da stiramento,
che a sua volta comporta un’obiettiva difficoltà
nell’ottenere una soddisfacente elongazione del
tessuto connettivale.
Occorre tuttavia sottolineare che, per ottenere il
massimo vantaggio da un programma rivolto alla
flessibilità, è necessario che gli esercizi proposti
siano velocità-specifici rispetto all’esecuzione dei
gesti tecnici specifici nell’ambito della disciplina
praticata. In osservanza a questo presupposto
quindi, lo SB, nonostante la sua potenziale
pericolosità,
presenterebbe
una
maggiore
specificità rispetto allo SD. Una soluzione di
compromesso ideale in tal senso sembrerebbe
essere l’ adozione di un programma di stretching
a velocità di flessibilità progressiva, ove la velocità
e
l’ampiezza
dell’allungamento
vengono
aumentate progressivamente, permettendo in tal
modo un graduale adattamento delle strutture
muscolo-tendinee, arrivando quindi ad affrontare i
movimenti di stretching balistico minimizzando il
rischio d’incidente.
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1.4 PNF (Facilitazione Propriocettiva
Neuromuscolare) o Stretching
Propriocettivo
Il principio di base di questa tecnica si fonda
sull’allungamento passivo del gruppo muscolare
considerato, che viene in seguito contratto
isometricamente
contro
una
resistenza
inamovibile,
poi
nuovamente
allungato
passivamente grazie all’intervento di un
compagno o del fisioterapista, raggiungendo in tal
modo un ROM accresciuto.
Si tratta d’una combinazione di contrazione
alternata dei muscoli agonisti ed antagonisti
E’, allo stato attuale, considerata la miglior tecnica
d’allungamento da vari Autori
Per ciò che riguarda la giustificazione fisiologica
che è alla base delle tecniche di PNF, ossia in
particolare l’inibizione del riflesso miotatico da
stiramento ed il fenomeno dell’inibizione
reciproca, è interessante notare che alcuni Autori
ipotizzerebbero che il rilassamento indotto da tali
tecniche sia piuttosto da ricondursi a cause di tipo
miogeno piuttosto che neurogeno; si ribadirebbe,
cioè, il ruolo centrale ricoperto dai ponti
actomiosinici nella tensione passiva del muscolo.
Le tecniche di PNF maggiormente utilizzate sono:
1.4.1 metodica contrazione – rilassamento
(CR)
1) Il muscolo in oggetto viene allungato
passivamente fino alla posizione massima
dall’operatore e mantenuta per circa 15”
2) viene quindi richiesta all’atleta una contrazione
isometrica (cioè senza movimento dei capi
articolari) della muscolatura allungata contro la
resistenza esterna fornita dall’operatore della
durata di circa 10-15”;
alcuni autori riportano come l'intensità della
contrazione debba essere massimale, altri
submassimale, mentre altri non specificano; è
comunque preferibile un'intensità submassimale
poiché produce gli stessi effetti e comporta
probabilmente un minor rischio di infortunio.
3) il muscolo viene poi brevemente rilassato per
2-3”
4) infine nuovamente portato in allungamento
passivo dall’operatore per circa 10-15”con
l’obiettivo di raggiungere un allungamento
maggiore della fase d’inizio
La pausa che occorre rispettare tra due tecniche
di CR consecutive è di circa 20”.
Si consiglia di non eseguire più di 4 ripetizioni per
gruppo muscolare, iniziando da 2 ripetizioni
Il recupero tra ogni seduta dovrebbe essere tra le
30-48 ore; in altre parole non utilizzare questa
metodica più di 2-3 volte la settimana.
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È necessario far precedere la seduta di PNF da
un adeguato riscaldamento
L’assunto fisiologico su cui si basa la tecnica di
CR
è
che
la
contrazione
isometrica
dell’antagonista è in grado di promuovere, grazie
all’azione inibitrice degli OTG, una successiva
fase di rilassamento durante la quale è possibile
incrementare passivamente il ROM
1.4.2 metodica contrazione – rilassamento contrazione (CRAC)
Dopo una prima fase di allungamento passivo del
muscolo interessato, si effettuano due contrazioni
isometriche, la prima dell’agonista (in questo caso
quello portato in allungamento) e la seconda a
carico dell’antagonista, entrambe di 10-15”; in
seguito, come nella tecnica precedente, si effettua
un’ultima fase di allungamento passivo.
Vediamo un esempio pratico:
Il partner (terapista o allenatore) flette
passivamente la coscia sull’anca fino alla
massima tensione (10”). A questo punto l’atleta
spinge isometricamente tramite contrazione dei
muscoli
ischiocrurali
(bicipite
femorale,
semitendinoso e semimembranoso) contro la
resistenza offerta dall’operatore (fase di spinta di
10” circa); successivamente c’è il rilasciamento
degli ischiocrurali e la contrazione, sempre
isometrica, del quadricipite (10”) con il partner che
applica una spinta che facilita ulteriormente lo
stiramento – allungamento degli ischiocrurali
(antagonisti alla contrazione del quadricipite).
Il ciclo spinta - rilassamento va ripetuto tre volte
Il razionale scientifico su cui si basa la tecnica
CRAC è costituito sempre dal principio
neurofisiologico dell’inibizione reciproca, secondo
il
quale
la
contrazione
dell’agonista
comporterebbe
un
ulteriore
rilassamento
dell’antagonista.
Infatti durante la fase di spinta (contrazione
isometrica ischiocrurali) per il riflesso inverso da
stiramento, l’eccessivo allungamento del muscolo
stimola gli OTG, che allo scopo d’evitare lesioni,
provocano un’inibizione del neurone spinale
facendo rilasciare il muscolo.
La successiva fase di contrazione del quadricipite
si accompagna, per la legge dell’innervazione
reciproca, all’inibizione – rilasciamento dei suoi
antagonisti (nel nostro esempio, gli ischiocrurali)
La tecnica CRAC sarebbe in grado di garantire il
maggior guadagno in termini d’incremento del
ROM, anche
se occorre non sottovalutare la sensazione di
dolore che è possibile indurre nel paziente.
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1.4.3 metodica mantenimento – rilassamento oscillazione
Costituisce un metodo simile alla già descritta
tecnica di CR.
La differenza risiede nel fatto che la parte finale di
allungamento passivo è sostituita da una fase di
stretching balistico. La potenziale pericolosità
insita in questi tipi d’allungamento non è da
sottovalutare, ed in ogni caso, queste sono da
considerarsi come delle tecniche proponibili
solamente ad atleti che abbiano raggiunto un
notevole grado di sensibilità e controllo del riflesso
miotatico da stiramento.
1.4.5 Vantaggi e svantaggi della PNF
La PNF è considerata la tecnica più efficace per il
miglioramento dell'estensibilità muscolare. È
necessario però fare alcune considerazioni:
- - nei testi in cui viene riportata questa metodica,
non esiste molto accordo sui tempi di esecuzione
delle varie fasi e sull'intensità della contrazione
isometrica
- - secondo esperti Autori, è necessario far
precedere l'utilizzo di questa tecnica da un
periodo (1 - 3 mesi) di esercizi di potenziamento
dinamici con movimenti a range articolari ampi,
con un elevato numero di ripetizioni e a basso
carico. Questa è un prerequisito indispensabile al
fine di applicare la PNF senza incorrere in
infortuni.
- - è necessaria la presenza di un partner esperto;
è vantaggioso infatti, almeno le prime volte,
essere seguiti da personale qualificato per il
rischio di infortuni nel caso si effettuassero
tensioni muscolari in maniera scorretta.
- - dal punto di vista pratico non è facile
l'applicazione del protocollo per tutti i muscoli
interessati; esiste una certa difficoltà nel creare
resistenze esterne adeguate per ogni gruppo
muscolare.
1.5 Stretching Globale Attivo
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del corpo. Alla base della filosofia di questo
sistema, quando eseguiamo un esercizio di
stretching classico su un muscolo (o un gruppo
muscolare), otteniamo una parte di allungamento
delle fibre interessate e una parte di allungamento
che viene preso a "prestito" da altri gruppi
muscolari. In altre parole, quando si allunga un
muscolo, altri gruppi muscolari devono cedere la
propria tensione per permettere l'allungamento del
muscolo in questione. Tale meccanismo darà una
falsa mobilità al muscolo. Questo sistema fa
comprendere che ogni volta che si mette in
funzione un determinato muscolo, si crea un
movimento nell'intera struttura e da ciò si capisce
che la struttura dell'uomo è organizzata in catene
muscolari.
Uno dei principi fondamentali, sfruttati dallo
stretching globale attivo, è la globalità che
prevede, quindi, l'interessamento di tutti i
segmenti del corpo nello stesso momento
attraverso la realizzazione di particolari posizioni
che evolvono in maniera dolce e progressiva, con
l'interessamento della respirazione, verso una
posizione finale di massimo allungamento.
Un'altra caratteristica necessaria è costituita dalla
partecipazione "attiva" dei distretti muscolari
interessati dallo stiramento attraverso la
contrazione isotonica-eccentrica, ricercandone
così il rilasciamento riflesso. Vengono utilizzate
nove posture, ognuna con la specificità di agire su
una serie determinata di catene muscolari. Nella
pratica sportiva, in alternativa allo stretching
tradizionale, permette un maggiore allungamento
muscolare, controllato attivamente dal soggetto
con sequenze coordinate.
Ciò realizza un riequilibrio delle tensioni e
permette una maggiore economia del sistema con
un aumento quindi della performance atletica.
Sembra, inoltre offrire una valida prevenzione
contro le patologie da sovraccarico muscolotendinee.
2. Le applicazioni pratiche dello
stretching
Si basa sul principio che solo gli stiramenti globali
sono realmente efficaci. Gli stiramenti vengono
effettuati mediante posizioni che allungano tutta
una catena muscolare portando così ad una
rieducazione della postura. È una forma di
stretching che mira alla rieducazione posturale
per la prevenzione ed il trattamento delle
alterazioni dell'equilibrio tonico dei muscoli e
dell'equilibrio neurovegetativo riconducibili, in
questo caso, alla pratica sportiva.
Lo stretching globale attivo trae i suoi principi
dalla Rieducazione Posturale Globale (RPG),
metodo del "Campo Chiuso", creata da Philippe
E. Souchard.
L'importanza di questo sistema è che non agisce
sul singolo gruppo muscolare ma nella globalità
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2.1 Stretching ed escursione articolare
Tra gli effetti che ci si attendono da un programma
d’allungamento è indiscusso che vi sia l’aumento
dell’escursione
articolare,
fino
a
tassi
d’incremento dell’ 8% ed oltre
I risultati indicano che la mobilità articolare è
allenabile indipendentemente dal sesso, mentre è
influenzata dalla durata del trattamento.
Diversi studi (Wydra, 1991 e 1997, Wiemann,
1994) hanno dimostrato che a tal fine non vi sono
differenze tra lo SS e lo SB.
L’aumento dell’escursione articolare dovuta
all’allungamento è secondaria all’aumento della
tolleranza alla tensione di ripetizione in ripetizione.
Quindi i corrispondenti adattamenti sembra si
svolgano a livello neuronale
2.2 Stretching e riscaldamento
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sarebbe molto discutibile, tanto che alcuni studi
dimostrerebbero addirittura un suo effetto
negativo in questo senso.
In effetti, occorre ricordare che, in ultima analisi, il
tipo d’azione muscolare che ritroviamo nel corso
dello stretching è praticamente sovrapponibile a
ciò che avviene in una contrazione eccentrica.
Dal momento che nel corso di una contrazione di
tipo eccentrico, la vascolarizzazione muscolare
viene interrotta ed il lavoro svolto diviene in tal
modo di tipo anaerobico, determinando un
aumento dell’acidosi, oltre ad una marcata
anossia cellulare, è facilmente comprensibile
come lo stretching non possa essere considerato
come il mezzo d’elezione nell’ambito del
riscaldamento.
Utilizzare lo stretching come mezzo esclusivo sul
quale basare il riscaldamento pre-gara e/o preallenamento, sembrerebbe quindi sicuramente
insufficiente e scorretto.
L’elevato carico di tensione dei muscoli prodotto
da un allungamento statico (SS) intensivo può
rappresentare, da solo, il motivo per utilizzare con
estrema cautela un allungamento statico, di tipo
sub massimale, durante la fase di riscaldamento.
Infatti uno SS massimale ha come conseguenza
minori prestazioni di forza rapida per un lasso di
tempo che è relativamente lungo rispetto alla
funzione della fase di riscaldamento
Per questa ragione lo SS sembra essere un
mezzo inadatto alla prevenzione degli infortuni in
quanto, oltre al carico di tensione, provoca anche
un’interruzione dell’ irrorazione sanguigna della
muscolatura.
Tuttavia, integrare razionalmente lo stretching in
uno schema di riscaldamento basato soprattutto
su altri tipi d’esercitazione, maggiormente efficaci
nel far aumentare la temperatura interna del
muscolo,
come
un’idonea
alternanza
di
contrazioni e rilassamenti, è sicuramente la scelta
più corretta.
2.3 Stretching e prevenzione
muscolari (infortuni)
La temperatura ideale alla quale il muscolo
ottimizza le proprie caratteristiche visco-elastiche,
è all’incirca di 39° C; a questa temperatura
diminuisce infatti la viscosità dei tessuti, migliora
l’elasticità dei tendini, aumenta la velocità di
conduzione nervosa e si modifica positivamente
l’attività enzimatica.
L’innalzamento della temperatura muscolare
costituisce un’efficace misura preventiva nei
confronti degli infortuni riducendo i rischi di
stiramento o strappo muscolare.
Lo stretching è largamente utilizzato nell’ambito
del riscaldamento tuttavia, secondo alcuni Autori,
la sua possibile efficacia nel provocare un
innalzamento della temperatura del muscolo,
dei
danni
Il meccanismo maggiormente correlato al
possibile danneggiamento della fibra muscolare,
risulterebbe essere la contrazione di tipo
eccentrico, imputabile, con ogni probabilità, alla
maggior produzione di forza registrabile nel corso
di quest’ultima, rispetto a quanto non avvenga
nella modalità di attivazione di tipo concentrico od
isometrico.
Inoltre, durante una contrazione eccentrica, risulta
maggiore anche la forza prodotta dagli elementi
passivi del tessuto connettivo del muscolo
sottoposto ad allungamento.
Soprattutto in riferimento a questo dato, occorre
sottolineare come anche il fenomeno puramente
meccanico dell’elongazione, possa giocare un
ruolo importante nell’insorgenza dell’evento
traumatico, visto che quest’ultimo può verificarsi,
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sia in un muscolo che si presenti attivo durante la
fase di stiramento, come in un distretto muscolare
che sia passivo durante la fase di elongazione.
Durante la contrazione eccentrica il muscolo è in
effetti
sottoposto
ad
un
fenomeno
di
“overstretching” che può determinare l’insorgenza
di lesioni a livello dell’inserzione tendinea, della
giunzione muscolo-tendinea, o a livello di una
zona muscolare resa maggiormente fragile da un
deficit di vascolarizzazione.
E’ interessante notare come siano i muscoli
biarticolari quelli maggiormente esposti ad insulti
traumatici, proprio per il fatto di dover controllare,
attraverso la contrazione eccentrica, il range
articolare di due o più articolazioni.
Anche la diversa tipologia delle fibre muscolari
presenta una differente incidenza di evento
traumatico.
Le fibre di tipo FT sono maggiormente esposte a
danni strutturali rispetto alle ST, probabilmente a
causa della loro maggior capacità contrattile, che
si traduce in un’accresciuta produzione di forza, e
di velocità di contrazione, rispetto alle fibre di tipo
ST.
Inoltre i muscoli che presentano un’alta
percentuale di FT, sono generalmente più
superficiali e normalmente interessano due o più
articolazioni, fattori entrambi predisponenti al
danno strutturale.
L’insulto traumatico è prevalentemente localizzato
a livello della giunzione muscolo-tendinea, a
testimonianza del fatto che in questa zona, come
del resto nella porzione finale della fibra
muscolare, si verifichi il maggior stress
meccanico.
Recentemente numerosi Autori (Herbert, Gabriel
2002; Bisciotti 2005), a seguito di protocolli di
studio specifici, non hanno rilevato alcun
beneficio, derivante da una pratica assidua e
regolare dello stretching , nei riguardi della
prevenzione dei danni all’UMT.
Una possibile spiegazione di questa mancanza di
correlazione tra capacità d’elongazione del
muscolo e diminuzione degli incidenti muscolari,
potrebbe risiedere nel fatto che in effetti lo
stretching provoca una sorta di effetto antalgico,
che va sotto il nome di “stretch-tolerance”, nei
confronti dell’allungamento stesso. La pratica
dello stretching indurrebbe quindi una diminuzione
della
sensazione
dolorosa
indotta
dall’allungamento, data da un aumento della
soglia dei nocicettori, permettendo in tal modo
all’atleta di sopportare allungamenti muscolari di
maggiore entità, situazione che potrebbe anche
paradossalmente aumentare il rischio di
traumatismi.
La considerazione finale sull’incidenza dello
stretching sul rischio d’incidenti a livello muscolotendineo, è che comunque l’eziologia di tali eventi
traumatici sia talmente multifattoriale da rendere
improbabile l’ipotesi che in questo campo la
pratica dello stretching possa costituire una sorta
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di “panacea”, è molto più plausibile ed obiettivo
considerare lo stretching come uno dei mezzi
utilizzabili nell’ambito di un razionale piano rivolto
alla prevenzione degli incidenti muscolari.
2.4 Stretching e prestazione
Sono molti gli studi in bibliografia (Wiemann, Klee
2000; Young, Elliot 2001; Kokkonen et al. 1997)
che documentano, in seguito ad una precedente
seduta di stretching, una diminuzione della
prestazione di sprint (forza veloce), una perdita
della capacità di forza massimale e di resistenza
alla forza, oppure di capacità di salto, e quindi
della possibilità da parte dell’UMT di accumulare
energia elastica nel corso della fase eccentrica
del movimento e di restituirla durante la fase
concentrica.
Questa perdita della capacità prestativa in seguito
ad un seduta di stretching, che comunque deve
essere di tipo intensivo (massimale), trova tre tipi
di spiegazione
1) l’allungamento è, da un punto di vista
biomeccanico, assimilabile ad una contrazione di
tipo eccentrico. Per ciò, facendo precedere alla
prestazione,
una
seduta
di
stretching
particolarmente intensa, si corre sia il rischio di
produrre dei danni alla struttura muscolare, in
particolare a livello dei miofilamenti di titina, che
d’incorrere in un fenomeno di affaticamento
muscolare; in entrambi i casi la performance ne
risulterebbe
ovviamente
perturbata.
2) un’eccessiva sollecitazione in allungamento di
alcuni gruppi muscolari a discapito di altri,
potrebbe costituire un fattore di perturbazione
della coordinazione sia tra gruppi muscolari
sinergici, che tra agonisti ed antagonisti.
3) il tendine, nel corso di un allungamento di una
certa intensità e durata, attraversa una fase di
riorganizzazione delle proprie fibre di collagene
che vengono riorientate meno obliquamente di
quanto non fossero nella precedente fase di
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riposo. Questo fenomeno va sotto il nome di
“creeping” e comporta una diminuzione delle
capacità del tendine, nel corso di un ciclo
stiramento-accorciamento, di poter accumulare e
restituire energia elastica. Dal momento che il
tendine è il maggior interprete del fenomeno di
risposta elastica, quest’ultimo fattore potrebbe
assumere
un
ruolo
determinante
nella
diminuzione delle capacità di salto registrabile in
seguito ad una precedente intensa seduta di
stretching.
2.5 Stretching e prevenzione del delayed
muscle soreness
Il fenomeno del “delayed muscle soreness”,
successivo ad un allenamento di tipo eccentrico
ha un origine metabolica e meccanica ben
precisa, è quindi molto probabile che la pratica
dello stretching non abbia un’influenza di tipo
positivo sul fenomeno in questione.
Anzi, alcuni Autori sostengono che una seduta di
stretching particolarmente intensa provochi gli
stessi danni muscolari, e quindi la stessa
sensazione dolorosa, di una seduta di forza
eccentrica. In bibliografia è comunque possibile
ritrovare alcuni lavori che testimonino di come né
una seduta di stretching effettuata prima di una
seduta d’allenamento eccentrico, oppure durante,
o dopo la stessa, sia in grado di diminuire la
sensazione dolorosa percepita dagli atleti
nell’ambito delle 24-48 ore susseguenti alla
sessione di lavoro. Utilizzare dunque lo stretching
a questo scopo sembrerebbe ingiustificato.
Conclusioni
Alla luce delle attuali conoscenze è possibile
sottolineare i seguenti punti:
1) Lo stretching non è il miglior mezzo sul quale
basare la fase di riscaldamento pre-gara e/o preallenamento, questo non significa assolutamente
che non possa trovare di diritto una collocazione
in quest’ambito, ma che al contrario debba essere
integrato in un piano di riscaldamento basato
essenzialmente su esercitazioni di tipo dinamico,
che si rivelano senz’altro più adatte ad ottenere
un idoneo innalzamento della temperatura
muscolare sino al raggiungimento dei suoi livelli
ideali.
2) La quantità e l’intensità dello stretching
proposto durante la fase di riscaldamento pregara, deve essere accuratamente gestita e
dosata, al fine di non incorrere in un possibile
scadimento della prestazione. Nell’ambito di
discipline sportive come alcune specialità
dell’atletica leggera, la pallavolo od il basket,
alcuni esercizi di stretching andrebbero utilizzati
con
moderazione.
Inoltre
la
durata
dell’allungamento dovrebbe essere limitata ad un
Anno 2008/-n.5
massimo di 5’’ al fine di ottenere non incorrere in
un fenomeno di contrazione riflessa del muscolo
sottoposto ad allungamento
3) Non è razionale pensare che sia sufficiente una
pratica dello stretching per poter prevenire in
forma sistematica gli incidenti di natura
muscolare. Altresì, data l’eziologia multifattoriale
di questi ultimi, non è giustificato poter pensare ad
una completa inutilità dello stretching in questo
campo.
La scelta più obiettiva e corretta sembrerebbe
essere il considerare lo stretching come uno dei
molteplici mezzi di prevenzione da adottare
nell’ambito di una strategia preventiva di tipo
integrato e sinergico.
4) L’utilizzo dello stretching nella prevenzione del
fenomeno del delayed muscle soreness
apparirebbe ingiustificato e sostanzialmente
inutile.
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Allenatri
Anno 2008/-n.5
ALLENAMENTO DEL NUOTO PER IL TRIATHLON:
ASPETTI SPECIFICI E ALCUNI METODI PRATICI
PER L’ALLENAMENTO DELLE RELATIVE CAPACITA’.
di Alessandro Bottoni
SECONDA PARTE
Introduzione
Capita frequentemente e in misura crescente
con il livello della competizione che l’atleta
dalle buone capacità natatorie, mostrate con
continuità in allenamento, non riesca ad
esprimere adeguate capacità prestative nella
frazione di nuoto. Capita spesso per motivi
diversi, ma che il più delle volte possono
essere ricondotti ad un’unica causa che trova
spiegazione in una preparazione mirata
all’incremento delle capacità del nuoto
trascurando gli aspetti specifici di gara.
Nella prima parte dell’articolo è stata motivata
la necessità di considerare nella pianificazione
alcuni aspetti specifici della frazione di nuoto,
in queste pagine invece verranno illustrati
alcuni metodi pratici di lavoro descrivendoli a
partire dalla classificazione degli aspetti
specifici fatta nella prima parte.
Per ogni singolo aspetto vanno proposte
progressioni didattiche che permettano all’atleta di
raggiungere i necessari adattamenti fino a
quando, come detto più volte nella prima parte, la
gestione di tutte le specificità illustrate durante la
gara possa avvenire in modo ottimale e
soprattutto con livello minimo sforzo cosciente e di
attenzione che evidentemente devono essere
pienamente dedicate alla gestione delle intensità
di gara in base alle situazioni tattiche. Evitando
nel contempo lo spreco di risorse e l’accumulo di
tensioni nervose e muscolari (ad esempio a carico
della muscolatura liscia della zona addominale)
che possano compromettere il rendimento nelle
successive frazioni di gara.
Tutte le esercitazioni pratiche vanno quindi
proposte inizialmente nella prima parte della
seduta di allenamento, durante e dopo il
riscaldamento. Successivamente, quando anche
compiti complessi vengono automatizzati e
quando le capacità interessate, le sensibilità
all’ambiente e agli altri atleti vengono sviluppate si
può passare a proporre queste esercitazioni in
condizioni più impegnative fino a proporle
nell’ambito del lavoro centrale di qualificazione
condizionale.
1 Didattica per gli aspetti specifici
coordinativi e delle abilità motorie.
Questi aspetti riguardano il gesto tecnico del
nuoto in acque libere che può essere
sensibilmente diverse da quello in piscina per i
fattori descritti nella prima parte che sono:
a.
diversa e variabile composizione
dell’acqua.
b.
presenza di resistenza superficiale dovuta
alle increspature dell’acqua.
c.
assetto in acqua variabile per la presenza
di onde.
d.
coordinazione del gesto e abilità
condizionate dalla presenza di altri atleti.
e.
abilità motorie e aspetti coordinativi del
nuoto con la muta.
f.
mancanza di riferimenti fissi e
orientamento.
g.
necessità di nuotare a testa alta.
h.
fasi di partenza
i.
fasi di uscita dall’acqua, corsa e ingresso
in acqua.
1.1 Punti a,b e c: esercitazioni per le differenti
condizioni dell’acqua.
Per quanto riguarda i primi tre punti l’unica
variante proponibile è quella di diversificare il più
possibile le condizioni di allenamento e passare
da sedute in piscina a quelle in acque libere, dal
nuoto in corsia a quello senza corsie, dal nuoto
con o senza scia a quello con pochi o tanti atleti
nella stessa corsia. Quando le condizioni
climatiche o logistiche non consentono il nuoto in
acque libere basta togliere la corsia per alterare
anche in modo importante (dal punto di vista di chi
sta nuotando) il movimento dell’acqua e
l’increspatura superficiale. La presenza di onde
superficiali può creare difficoltà soprattutto a
quegli atleti che hanno minore senso dell’acqua e
10
Allenatri
poche capacità di differenziazione del gesto
mantenendo alta la sua efficacia.
1.2 Esercitazioni per la coordinazione del
gesto e abilità condizionate dalla
presenza di altri atleti.
Anno 2008/-n.5
percepire
le
variazioni
di
resistenza
all’avanzamento e di turbolenza a seconda della
posizione reciproca con gli atleti vicini. E deve
essere in grado di modificare il suo gesto tecnico
adattandolo in modo economico e senza
movimenti forzati la sua nuotata a quella
dell’atleta vicino.
E’ innanzitutto necessario che l’atleta sviluppi le
sensibilità descritte nella prima parte dell’articolo
di percezione della posizione e del gesto di
nuotata degli atleti vicini. Queste sensibilità
devono essere sviluppate e familiarizzate da
principio con esercitazioni a basse intensità e poi
riproposte seguendo l’evoluzione delle capacità
dell’atleta a ritmi sempre più impegnativi fino alle
prove di velocità. Quindi le esercitazioni proposte
di seguito valgono anche come progressione
didattica.
I. Nuoto affiancato a ritmi blandi. Diversificare
le distanze tra gli atleti, il numero degli atleti
e le posizioni reciproche (ogni atleta a
seconda della pulizia del gesto muove
l’acqua circostante in modo diverso).
II. Nuoto nelle varie posizioni di scia (come
descritto nella prima parte) a ritmi blandi.
III. Combinazione e evoluzione di I. e II.
chiedendo all’atleta di modificare il suo
gesto adattandolo alla nuotata dell’atleta
vicino.
IV. Combinazione e evoluzione di I. e II
chiedendo all’atleta di toccare con la mano
la testa, la schiena o gli arti inferiori
dell’atleta vicino durante la fase di recupero
della bracciata.
V. Combinazione e evoluzione di I. e II
chiedendo all’atleta di scavalcare l’atleta
vicino passando dal suo lato destro al suo
lato sinistro e viceversa. Per compiere
efficacemente
questa
operazione
è
sufficiente poggiare l’avambraccio del lato
opposto alla posizione laterale avanzata
dell’atleta vicino sulle sue gambe.
VI. Nuotare in piscina facendo inversioni a fine
vasca senza mai toccare e spingersi dal
bordo.
VII. Combinazioni degli esercizi precedenti a
velocità sempre maggiori.
VIII. Combinazione degli esercizi precedenti nel
corso dei blocchi di lavoro dedicati alle
capacità condizionali.
Prima di passare agli ultimi due punti l’atleta deve
aver sviluppato la sensibilità necessarie per
Fig 1: esercitazione di nuoto affiancato a diverse
distanze reciproche chiedendo all’atleta di
svolgere compiti come adattare il suo gesto a
quello alla nuotata dell’atleta vicino, toccare con la
mano la testa dell’atleta vicino o variare posizione
passando dal lato destro al lato sinistro dell’altro
atleta, combinando vari compiti con intensità
sempre più alte.
1.3 Esercitazioni per il nuoto con la muta.
Le esercitazioni per gli aspetti specifici del nuoto
con la muta riguardano più che altro quelli
condizionali. Per quanto riguarda le abilità motorie
e gli aspetti coordinativi l’utilizzo della muta in
allenamento porta ad assetti più favorevoli che
non necessitano di adattamenti, cioè in genere
11
Allenatri
favoriscono la gestione delle componenti di
queste capacità come il senso dell’acqua mentre
adattamenti per il nuoto con la muta sono
necessari per le capacità di forza e mobilità di
alcuni settori muscolari e articolazioni degli arti
superiori che verranno comunque trattati nei
paragrafi corrispondenti.
Anno 2008/-n.5
1.5 Esercitazioni di nuotata a testa alta.
L’esecuzione del gesto tecnico di nuotata a testa
alta è semplice da eseguire sia se la respirazione
è frontale sia se la respirazione è laterale. Nel
secondo caso si prolunga la prima fase di presa
1.4 Esercitazioni per l’orientamento.
La capacità di orientamento è ancora una
componente delle capacità coordinative. Deve
essere sviluppata insieme a tutte le altre
componenti coordinative già nella età infantile e
giovanile quando i presupposti fisiologici per
queste componenti sono pronti.
Come già detto l’atleta deve poter cambiare
traiettoria o posizione all’interno del gruppo ogni
volta che la situazione di gara lo rende utile,
magari perché poco distante c’è una scia di uno o
due atleti con andatura più alta da poter sfruttare.
Quindi deve sempre essere in grado di individuare
la sua posizione nel campo gara, quella assoluta
nel percorso e quella relativa all’interno del
piccolo gruppetto, e deve saperlo fare senza
eccessivo uso di sforzi coscienti e impegni fisici.
Nell’ambito delle sedute di lavoro possono essere
proposte esercitazioni di questo tipo:
I. nuoto in acque libere fissando volutamente
riferimenti poco evidenti.
II. esercitazioni in scia in piscina senza corsie con
frequenti cambi di direzione
III. esercitazioni in piscina con cambio di direzione
e di corsia decisi arbitrariamente dall’atleta in
prima posizione.
IV. esercitazioni con palla: l’allenatore lancia la
palla in acqua solo dopo che gli atleti sono partiti
dal bordo alla massima velocità, con l’obbiettivo di
individuare la traiettoria e recuperare la palla per
primi.
V. esercitazione con segna numeri: mentre gli
atleti nuotano in corsia l’allenatore solleva ad
intervalli casuali tavole numerate e gli atleti
devono riferire i numeri alla fine della ripetizione.
VI. esercitazione con segna numeri con variazioni
di velocità e tecnica a seconda del numero
sollevato dall’allenatore gli atleti eseguono
l’esercizio: 1 nuotata lenta, 2 veloce, 3 testa alta,
4 sprint.
Con le evoluzioni delle capacità queste
esercitazioni poi possono essere inserite
nell’ambito di un lavoro per le capacità
condizionali.
Fig. 2 esercitazioni in piscina con cambio di direzione e
di corsia decisi arbitrariamente dall’atleta in prima
posizione. Gli altri atleti seguono le traiettorie del primo.
applicando anche una forza necessaria a
sollevare la testa per un altezza sufficiente a
guardare avanti mentre il resto della nuotata
rimane sostanzialmente invariata e anche per
questo risulta più economica del caso con
respirazione frontale. Quest’ultimo caso richiede
di alzare in misura maggiore testa e spalle per cui
è necessaria una adeguata propulsione di gambe
per bilanciare il momento torcente e una continua
applicazione di forze di sostentamento con gli arti
superiori, tanto che è necessario aumentare la
frequenza per rimanere sempre alti con la testa.
In questo caso il costo energetico e muscolare è
molto maggiore. Le esecuzioni diventano tanto più
economiche quanto sono state frequenti le
esercitazioni dedicate. Inizialmente possono
essere inserite nella sessione di allenamento nella
fase di riscaldamento ed in quella dedicata alla
tecnica e alla attivazione, successivamente per il
12
Allenatri
loro costo metabolico e muscolare è bene inserirle
nell’ambito del lavoro centrale condizionante.
Anno 2008/-n.5
esercitazioni possono essere eseguite in piscina
facendo partire nella stessa corsia fino a 4 atleti
contemporaneamente. Ovviamente le fasi di
partenza si riferiscono al tuffo in acqua e almeno
ai primi 25m. che devono essere nuotati alla
massima velocità. Anche le partenze dall’acqua
possono essere eseguite frequentemente durante
l’allenamento
e
durante
il
lavoro
di
condizionamento centrale proponendo agli atleti di
partire a uno o due metri dal bordo e durante le
ripetizioni con frazioni di vasca.
1.7 Esercitazioni per le fasi di uscita e
ingresso in acqua.
Fig. 3 : esercitazioni con palla: l’allenatore lancia la
palla in acqua solo dopo che gli atleti sono partiti dal
bordo alla massima velocità con l’obbiettivo di
individuare la traiettoria e recuperare la palla per primi.
Quest’aspetto specifico della frazione di nuoto è
spesso sottovalutato. Dal punto di vista fisiologico
avvengono delle forti sollecitazioni nel passare
dalla posizione della nuotata a quella eretta, alla
corsa e infine nuovamente alla posizione di
nuotata. Nel nuoto, essendo il ritorno venoso alla
parte polmonare del cuore non gravato dal peso,
la gittata cardiaca si mantiene alta essendo alti i
volumi di scarica sistolica. Il sangue riempie le
cavità cardiache che si dilatano pienamente.
Nella corsa invece il volume di scarica sistolica è
solo di poco più alto della posizione di riposo
distesi e più basso della posizione di nuotata e
quindi quando non è possibile alzare la frequenza
cardiaca (ad esempio quando in gara la frequenza
cardiaca è già alta) inevitabilmente la gittata deve
avere un crollo. Questo fatto unito all’immediata e
massiccia richiesta di sangue agli arti inferiori
rende le fasi di corsa estremamente impacciate e
costose e le velocità raggiunte si mantengono
molto più basse di quelle percepite dagli atleti.
Appare ovvia quindi l’importanza di allenare e di
consentire degli adattamenti per queste fasi di
gara così delicate e importanti tatticamente,
essendo proprio queste fasi quelle in cui è più
facile il frazionamento del gruppo e la perdita delle
scie.
Riguardando in particolar modo gli adattamenti
delle capacità condizionali queste esercitazioni
saranno trattate nel paragrafo 2.2.
1.6 Esercitazioni per le fasi di partenza.
2 Esercitazioni per gli aspetti specifici
relativi alla mobilità e tattici.
Nelle gare di alto livello la partenza avviene con
gli atleti disposti su pontone. Possono capitare
anche partenze con lancio di corsa o partenze
dall’acqua. Devono comunque essere allenate
tutte e tre le tipologie, anche perché le ultime due
possono rappresentare degli aspetti parziali della
frazione di nuoto. Per la partenza con tuffo le
Le
esercitazioni
relative
alla
mobilità
corrispondono a quelle dell’allenamento per il
nuoto, esaltando però la capacità di economia di
movimento a differenti angoli di lavoro
dell’articolazione della spalla nella fase di
recupero, in modo che l’atleta sia in grado di
differenziare il gesto a seconda delle interazioni
con gli altri atleti e delle condizioni dell’acqua.
13
Allenatri
Anno 2008/-n.5
Inoltre una buona mobilità dell’articolazione della
spalla rende più difficile il raggiungimento di
tensioni muscolari limitanti per il gesto dovute al
nuoto con la muta.
Gli aspetti tattici invece possono essere sviluppati
in modo proficuo solo in gara essendo non
riproducibili, neanche parzialmente, le situazioni
tattiche di gara in allenamento. Possono essere
però sviluppati i mezzi che consentono di sfruttare
al meglio le capacità tattiche, cioè l’utilizzo
ottimale delle capacità cognitive, le abilità
tecniche e l’utilizzo ottimale delle capacità
psicofisiche. Come ad esempio la capacità di
nuotare osservando le situazioni di gara che si
svolgono anche ad una certa distanza dall’atleta, i
gesti tecnici specifici di nuotare a testa alta,
superare o aggirare altri atleti , osservare cosa
accade dietro e di lato senza modificare
eccessivamente il gesto.
fare un allenamento di nuoto inserendo di tanto in
tanto compiti specifici ma quella di allenare il
gesto specifico in tutte le sue componenti
condizionali di forza, rapidità e resistenza.
L’adattamento acquisito del nuoto con la muta ad
esempio non è altro che un miglioramento delle
capacità di forza dei muscoli maggiormente
impegnati dell’articolazione della spalla, unito al
miglioramento del gesto specifico e della mobilità.
L’adattamento per l’aspetto specifico quindi deve
essere pianificato come ogni altra componente
parziale della prestazione.
Alcuni aspetti sono difficilmente allenabili in
piscina come la fase di uscita dall’acqua, corsa e
ingresso in acqua, per gli spazi di lavoro spesso
ristretti e per il pericolo di infortuni. Quando non si
ha la possibilità di svolgere sedute in acque libere
con zone di ingresso e uscita dall’acqua opportuni
bisogna adattarsi a svolgere esercitazioni del tipo:
3 Esercitazioni per gli aspetti specifici
delle capacità condizionali.
I.
Trazioni al bordo sugli arti superiori a fine
ripetizione durante una serie di lavoro
condizionale. Il tempo di fine ripetizione viene
preso quando l’atleta è in piedi a bordo vasca.
Le abilità motorie e le capacità coordinative
specifiche descritte in precedenza devono poi
essere applicate in gara insieme alle capacità
tattiche quando l’impegno fisico e mentale è
elevato. Anzi il più delle volte gli aspetti specifici
della frazione di nuoto nel triathlon, che li
differenziano dal canonico allenamento in piscina
intervengono proprio durante quelle situazioni di
gara più critiche e quando le intensità
dell’impegno fisico e mentale sono maggiori.
Come
ad
esempio
nella
partenza,
nell’avvicinamento alle boe, nel tratto di uscitacorsa- ingresso in acqua e nel finale di frazione.
Così che quelle gestualità tecniche come la
nuotata a testa alta eseguita in allenamento
durante il riscaldamento risulti ben lontana per
impegno esecutivo da quella che gli atleti riescono
ad eseguire nell’avvicinamento alla prima boa
dopo il primo tratto di lancio, quando la fatica è
massima e la capacità di concentrazione sul gesto
è minima. Appare evidente quindi la necessità di
inserire l’allenamento degli aspetti specifici, dopo
aver sviluppato le corrette abilità motorie e
capacità coordinative, proprio nelle fasi più
impegnative dell’allenamento di nuoto.
Ad esempio durante una serie di allenamento
della potenza aerobica si può chiedere all’atleta di
nuotare a testa alta per 5 o 10 cicli di bracciata
ogni 50m, oppure di fare inversione a fine vasca
senza toccare il bordo, oppure di eseguire dei
sottopassaggi come nel nuoto per salvamento.
Sicuramente il tempo di esecuzione della
ripetizione peggiora ma l’obbiettivo di allenamento
raggiunto è più qualificante.
L’impostazione corretta per allenare questi aspetti
specifici della prestazione quindi non è quella di
II. Trazioni al bordo sugli arti superiori e skip sul
posto a fine ripetizione durante una serie di lavoro
condizionale. Per ridurre il pericolo di scivolamenti
si può mettere un tappeto.
III. Trazioni al bordo sugli arti superiori a fine
vasca con skip sul posto e successivo ingresso in
acqua durante lo svolgimento di una serie di
lavoro condizionale.
Per quanto detto nel paragrafo 1.7 questo genere
di esercizio è molto impegnativo dal punto di vista
fisiologico perché coinvolge direttamente il
sistema cardiocircolatorio obbligandolo a repentini
adattamenti. E’ quindi il caso di proporlo con
cautela e rispettando il principio della gradualità.
Fig.4 La fase di uscita e in re-ingresso in acqua è
altamente impegnativa dal punto di vista fisiologico
perché
coinvolge
direttamente
il
sistema
cardiocircolatorio obbligandolo a repentini adattamenti.
14
Allenatri
Nella considerazione degli aspetti specifici che
riguardano le capacità condizionali non va infine
sottovalutata la particolarità della frazione di nuoto
riguardo la distribuzione delle velocità di gara.
E’ già stato detto nella prima parte dell’articolo
come nel primo tratto di gara si assiste
sostanzialmente ad una gara per conquistare le
posizioni avanzate non sono tra chi è più veloce
ma anche tra chi riesce a rallentare il più tardi
possibile. Già questo fornisce una indicazione
metodologica di lavoro con accento non solo sulla
velocità ma anche sulla resistenza alla velocità.
Cioè una volta creati i presupposti necessari per
poter allenare la velocità, non solo si deve
allenare la massima velocità ma si deve anche
allenare la capacità di tenerla più a lungo
possibile.
Oltre a questo un altro aspetto specifico della
distribuzione di velocità è la sua estrema
variabilità dettata dalle infinite e imprevedibili
situazioni di gara. Per cui oltre al normale
incremento di velocità nei punti critici di uscita
dalle boe e di fine frazione si avranno molte atre
variazioni di velocità dettate dalle distribuzioni
degli atleti e dalle situazioni tattiche. Per cui
mentre nel nuoto si allena la massima efficienza
alla velocità di gara, nella frazione di nuoto nel
triathlon bisogna essere efficienti a tutte le
velocità di gara, a tutte le frequenze di bracciata
imposte dagli altri atleti e dal campo gara, nella
nuotata normale e a testa alta. Da cui ne derivano
indicazioni anche per l’allenamento della forza e
rapidità in senso specifico.
Fig. 5:se un atleta che nuota al ritmo di 1’08 sui 100m
ne deve superare uno che nuota ad un ritmo di 1’10
impiega quasi 50m.
E’ importante quindi saper variare il gesto, la
frequenza di bracciata e la velocità di gara in
modo non dispendioso appunto perché si verifica
frequentemente e tanto più a lungo quanto minore
è la capacità di variazione. Ad esempio se un
atleta che nuota al ritmo di 1’08 sui 100m ne deve
superare uno che nuota ad un ritmo di 1’10
impiega quasi 50m. Se l’esigenza di superare
l’atleta è derivata dal pericolo di un frazionamento
del gruppo, da quando si avverte il pericolo a
Anno 2008/-n.5
quando si è superato l’atleta è passato
probabilmente troppo tempo ed il gruppo si è
perso. Se invece si è in grado di incrementare il
ritmo ad 1’06 sui 100m allora si poco più che
dimezzano distanza e tempi di sorpasso e si
aumenta la probabilità di non perdere il gruppo.
Bisogna poi considerare quanto costa passare da
1’10 ad 1’08 sui 100m e quanto costa passare da
1’10 ad 1’06. Evidentemente queste capacità
devono essere allenate, cioè se la velocità media
di gara è vicina a quella di massimo lattato
stazionario, anche nel nuoto (come nel ciclismo)
bisogna allenare la capacità di fare lattato in più e
poi di riconvertirlo velocemente e inoltre bisogna
saperlo fare ad alte velocità di nuotata, vicine a
quelle limite per il lattato stazionario. Questa è
un'altra indicazione metodologica su come
pianificare le unità di allenamento con obbiettivo
l’incremento delle capacità condizionali specifiche
della frazione di nuoto nel triathlon olimpico.
4 Individuazione e allenamento della
attivazione pregara ottimale.
Un’altra componente specifica della capacità di
prestazione spesso non considerata nell’allenamento è quella della attivazione ottimale
prima della partenza. E’ una componente
specifica per il triathlon perché non ritrova
analogie con il riscaldamento per il nuoto. Spesso
le situazioni pregara sono tali per cui il tempo per
l’attivazione nel nuoto è non più di 15 minuti e
nelle condizioni in cui non siamo perfettamente
adattati, perchè è in acque libere e non in piscina
e a temperature spesso più basse di quelle della
piscina. Di questo bisogna tenere conto anche in
allenamento ad esempio adattando l’atleta ad
essere attivato in poco tempo ed evitando di
posizionare la serie più intensa solo dopo una
lunga parte preparatoria e complementare.
Non si possono comunque dare criteri comuni sia
perchè la attivazione ottimale è raggiungibile per
strade diverse dipendenti dalle particolarità
dell’atleta, sia per la variabilità delle situazioni
pregara possibili caratterizzate dall’uso o meno
della muta, dalla temperatura dell’acqua, dal
tempo e gli spazi consentiti per il riscaldamento.
E’ comunque evidente che la capacità di attivarsi
in poco tempo o con l’acqua troppo fredda o
usando la muta vanno allenate. Ad esempio se
quest’ultima non viene allenata perché l’atleta è
sempre stato abituato ad indossare la muta in
allenamento solo dopo essersi riscaldato, quando
dovrà farlo prima della gara si troverà in difficoltà,
magari perché i muscoli della articolazione della
spalla che non hanno avuto la possibilità di
riscaldarsi per come erano abituati andranno
incontro ad una affaticamento precoce. In quel
15
Allenatri
caso è allora utile proporre in allenamento anche
carichi di lavoro con muta con riscaldamento
limitato o a secco. Anzi potrebbe risultare per
alcuni atleti che quando l’acqua di gara è troppo
fredda si può avere una attivazione migliore
riscaldandosi a secco con gli elastici o con le
funicelle con carrucola. Soprattutto se l’atleta ha
problemi di forza e reclutamento ottimale o di
mobilità per i muscoli della articolazione della
spalla, un riscaldamento con muta in acqua
fredda a cui non è abituato può solo limitargli la
capacità prestativa. E’ quindi indispensabile per
un atleta di alto livello, oltre a dedicare ampio
spazio
all’allenamento
delle
componenti
specifiche della prima frazione di gara, individuare
in allenamento, con il numero di tentativi
necessari, quale per lui può essere la attivazione
ottimale a seconda delle condizioni di gara, non
dimenticando però che spesso le condizioni
psicofisiche e di affaticamento muscolare prima
dell’allenamento sono ben diverse da quelle
precedenti una gara.
Anno 2008/-n.5
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CHATARD. Effects of drafting behind a two- or
six-beat kicker in elite female triathletes. Eur.
J. Appl. Physiol. 82:465–471, 2000.
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Allenatri
Anno 2008/-n.5
ASPETTI FISIOLOGICI E METODOLOGICI
DELLE SALITE DI FORZA RESISTENTE (SFR).
di Simone Biava
Introduzione
Quali sono i mezzi specifici di allenamento per
incrementare la forza in bicicletta?
quale relazione esiste tra la cadenza ideale di
pedalata e il rapporto usato?
Domande ricorrenti, concetti importanti, proviamo
ad entrare in merito alla questione:
I mezzi per incrementare la forza possono essere,
lavori a specifici di tipo generale:
quale il potenziamento muscolare a carico
naturale
con sovraccarichi,
pliometrico
utilizzo di sistemi vibratori (Bosco),
Lavori più o meno importanti e utili per costruire i
fondamenti di una stagione agonistica, ma spesso
scevri di una finalità specifica, o meglio il “dubbio
Amletico” di un lavoro generico può davvero
essere utile per migliorare la performance?
I mezzi specifici utilizzati per sviluppare la forza
di tipo resistente in bicicletta sono riassumibili:
Esercitazioni SFR: salite di forza
resistente,
Salite lunghe,
I mezzi specifici utilizzati per sviluppare la forza
massima in bicicletta sono:
Partenze da fermo in modo esplosivo in
piano che in salita,
Le accelerazioni in genere,da varie velocità.
Esercitazioni analoghe possono essere svolte con
il ciclo mulino, in modo da poter parametrizzare il
lavoro, anche in termini di sicurezza.
Le SFR sono un mezzo molto importante della
preparazione.
cosa sono:
Esercitazioni potenziamento specifiche,
finalizzate ad incrementare la coppia
applicata nella pedalata.
Sono selettive per l’incremento della forza
di tipo resistente se correttamente eseguite
producono un adattamento fondamentale
nell’atleta: la capacità di esprimere più
copia si traduce nel riuscire a utilizzare un
rapporto a sviluppo metrico maggiore sia in
pianura che in salita.
Analizziamo ora dal punto di vista della
meccanica applicata. cosa avviene quando
pedaliamo,
cosa è la potenza, la coppia ed altro ancora:
Potenza (watt) = Coppia (Nm)x Velocità angolare
(Hz)
equazione dimensionale:
P = [ML2 T-3] = [MLT-2] x [L] x [T-1]
Dove la Velocità angolare (Hz) = in termini
-1
fisici una frequenza, è il tempo (s ) per
compiere una rivoluzione di pedali cioè un
giro completo (360°).
Mentre la Coppia (Nm) = Fxd è il lavoro
prodotto vettoriale tra la F la forza (kg o N)
che le nostre gambe applicano ai pedali e la d
la distanza in (m) tra asse pedale e centro
asse movimento centrale.
Semplificando le cose possiamo dire che: la
coppia è il lavoro, cioè i kg che applichiamo sulle
pedivelle, mentre la velocità angolare è il tempo
impiegato per compiere un giro completo di
pedali; minore è il tempo per compiere un giro
maggiori sono gli rivoluzioni per minuto (RPM)
nell’unità di tempo.
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Il vettore forza applicato lungo la circonferenza è
la risultante dei vettori tangenziale e radiale.
Il primo vettore trasmette forza rotatoria alla
pedivella ed è dunque espressione di forza
efficace; il secondo vettore tende ad "allungare" o
deformare la pedivella e, non producendo alcuna
forza rotatoria, rappresenta una forza inefficace.
Per ogni potenza sviluppata esiste una cadenza
ideale, la quale cresce in maniera lineare con il
crescere della potenza, a parità di rapporto impiegato.
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È evidente che si può raggiungere la stessa
potenza applicata, utilizzando una frequenza di
pedalata maggiore riducendo quindi i kg applicati
alle pedivelle, si traduce quindi in un notevole
risparmio di energie.
Una cadenza di pedalata a 90 RPM infatti avrà
picchi di forza (espressi in Kg) decisamente
minori rispetto a una pedalata di 60 RPM.
ASPETTI METODOLOGICI: COME
Sono funzione della qualificazione e/o anzianità
dell’atleta
Generalmente su salite con pendenze da 5-8%.
Qualche considerazione:
A 60 RPM un giro completo (360°) di pedivella
impiega 1.0 secondi, a 90 RPM solo 0.66
secondi, cioè il 34% in meno. Della stessa
percentuale si riduce il tempo di contrazione dei
muscoli coinvolti nella pedalata. Nella fase di
contrazione muscolare il flusso di sangue (e
dunque l' apporto di ossigeno) alle singole fibre,
specie quelle più profonde, è ridotto, a causa dell'
aumento di pressione all' interno dei muscoli
impegnati nel lavoro. Inoltre a parità di potenza
erogata dal ciclista, pedalare a 60 RPM richiede
una coppia applicata ad ogni spinta sui pedali del
34% più elevata rispetto ad una cadenza di 90
RPM.
Durata: 1’-5’ organizzate in ripetute e
serie con recuperi adeguati da in rapporto
1:1 fino a 1:0,5.
Intensità: relativa al FM fondo medio non
> 3mmol/dl.
Parametro di controllo fondamentale: 5060 RPM velocità angolare 1,2-1,0 s -1 .
Modalità esecutive: sempre seduti sulla
sella, non utilizzare braccia e muscoli
stabilizzatori del busto per facilitare
ascesa.
Trasformazione ad elevato RPM.
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ASPETTI METODOLOGICI: QUANDO
Prevalentemente nel periodo preparatorio
invernale, organizzate in forma
sistematica.
In forma di richiamo periodo agonistico,
organizzate in “Salite Dinamiche”(SDin).
CADENZA IDEALE E INFLUENZE
FISIOLOGICHE
Per cadenza di pedalata ideale si intende quella
cadenza che richiede il minor consumo di
ossigeno e/o la minor frequenza cardiaca
Cadenze di pedalata di 102-103 RPM
corrispondono a concentrazioni di
acido lattico più basse rispetto a cadenze di 97 e
107 RPM.
Ovviamente queste osservazioni riguardano un
singolo atleta, ma è l' individuo atleta che va
valutato caso per caso, piuttosto che la
significatività statistica del comportamento di un
gruppo di atleti
Considerazioni: Velocità angolare (s-1):
versus Coppia (Nm
Velocità angolare (s-1)
una bassa velocità angolare cioè una bassa
cadenza di pedalata RPM si traduce aumento
tempi medi di contrazione
ciò provoca:
Aumentato vO2
Deplezione substrati Energetici
Accumulo metaboliti, variazione ∆
pH cellulare
Coppia (Nm): una alta coppia applicata
induce
Aumento delle tensioni
intramuscolari
Aumento della richiesta Ca++ e
K+ per legami acto-miosinici
Aumento Segnale sinaptico /
recettori stimolati
Di contro, velocità angolari più alte riducono
applicazione della coppia mantenendo paritaria la
potenza erogata, quindi influenza in minor misura
gli aspetti fisiologici sopra elencati.
Questo probabilmente è un adattamento
fisiologico che si instaura al fine di evitare
eccessivi picchi di forza ad ogni pedalata
(T sta per Tempo; V è la Velocità in Km/h; rapporto è lo
sviluppo in m;
FC è Frequenza Cardiaca; [LA] sta per concentrazione di
Acido Lattico in mM/l).
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CONCLUSIONI
venoso verso il cuore. Questa sorta di pompa
periferica gioca un ruolo fondamentale nella capacità
funzionale circolatoria, e può a tutti gli effetti essere
considerata un secondo cuore circolatoria, e può a
tutti gli effetti essere considerata un secondo cuore
SFR sono esercitazioni che permettono di
incrementare la coppia applicata nella
pedalata.
SFR eseguite a RPM < 50 e/o non
correttamente trasformate deprimono la
capacità di utilizzare cadenze ideali.
BIBLIOGRAFIA.
Se si riesce a pedalare alle cadenze ideali, si
scopre che non sono necessari picchi di forza
molto elevati, anche per potenze importanti.
1. WEINECK J. ; L’allenamento ottimale –
Calzetti Mariucci
Questo probabilmente è un adattamento
fisiologico che si instaura al fine di evitare
eccessivi picchi di forza ad ogni pedalata,
Una cadenza di pedalata a 90 RPM infatti
avrà picchi di forza (espressi in kg)
decisamente minori rispetto a una pedalata di
60 RPM.
Una cadenza abbastanza alta facilita inoltre la
funzione di pompaggio dei muscoli scheletrici, fattore
importantissimo nel ritorno sistemico del sangue
2 WILMORE J. H. , COSTILL D. L. Fisiologia
dell’esercizio fisico e dello sport – Calzetti
Mariucci
3 Eur.J.Appl.Physiol 53:339-342, 1985
4 Swaine e Wilcox (Med. Sci. Sports Exerc.,
1992; 24: 1123-1127)
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