La decolonizzazione
1. Caratteri generali
Il nuovo volto del mondo
La decolonizzazione è il processo che porta alla scomparsa degli imperi coloniali costruiti dalle
potenze europee fra il Cinquecento e l'Ottocento e all'entrata sulla scena mondiale di una
molteplicità di nuovi stati nazionali. La decolonizzazione politica ebbe inizio nel secondo
dopoguerra, con l'indipendenza dell'India nel 1947 e si concluse nel 1997, con la restituzione di
Hong Kong alla Cina .
Cause della decolonizzazione
Dopo il secondo conflitto mondiale il crollo degli imperi coloniali fu registrato senza troppe
proteste o spargimenti di sangue, almeno nella maggior parte dei casi.
Accanto a quelle culturali, cause della decolonizzazione furono:
1. la volontà di emancipazione delle colonie: le spinte verso l'indipendenza si rafforzarono
anche grazie al ruolo fondamentale che le colonie ebbero nella guerra mondiale; ciò portava i
popoli coloniali ad affermare di aver conquistato i diritti sociali e politici che prima non avevano;
2. la perdita di prestigio e l'indebolimento delle potenze coloniali (come Francia e Gran Bretagna)
durante la seconda guerra mondiale;
3. la posizione degli USA e dell’URSS contro il colonialismo: questi grandi paesi, i veri vincitori
del conflitto mondiale, delegittimarono l'esistenza di imperi coloniali e contribuirono alla
proclamazione degli stati indipendenti. L’URSS, per il suo pensiero anti-imperialistico, si
posizionò come alleato naturale dei paesi colonizzati; d’altra parte gli USA sostennero a loro
volta questi paesi, ma con il principale obiettivo di evitare che in questi si formassero dei
governi filosovietici;
4. il sostegno dell'ONU al diritto dei popoli all'indipendenza.
La decolonizzazione si realizzò in due tappe fondamentali: la prima tra il 1945 e il 1957 e
riguardò buona parte dell'Africa settentrionale, il Medio Oriente e l'Asia; la seconda tra il 1957 e
il 1971 e riguardò prevalentemente l'Africa Nera, ma anche parte del Medio Oriente e il restante
Nord Africa (Algeria). Dopo gli anni '70 ottennero l'indipendenza anche le colonie portoghesi
(Angola e Mozambico).
La decolonizzazione nel quadro bipolare
USA e URSS vedevano nel mondo ex coloniale un terreno di contesa strategica. Gli Stati Uniti
intervennero in Asia, America latina e Medio Oriente per favorire l'instaurazione o per
sostenere regimi anticomunisti amici, anche se autoritari o dittatoriali. Per l'Unione Sovietica la
decolonizzazione comportò un mutamento del suo impegno internazionale conferendogli un respiro
globale che non aveva mai avuto. Mosca si trovò sempre più impegnata nel sostegno finanziario o
tecnologico – più raramente militare – ai movimenti anticoloniali o ai regimi postcoloniali che
assicurassero un ampliamento della sua sfera di influenza in Asia orientale, nel Medio Oriente
e nello spazio africano.
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Decolonizzazione e paesi “non allineati”
Alla conferenza di Bandung (1955), 29 paesi afroasiatici di recente indipendenza si riconobbero
in una piattaforma politico-programmatica comune (condanna dell'oppressione coloniale, pace,
cooperazione fra i popoli). Cominciava a far sentire la propria voce il cosiddetto Terzo mondo,
ovvero i paesi di recente indipendenza, che non facevano parte né del mondo capitalistico
occidentale – “primo mondo” – né del “secondo mondo” comunista a economia pianificata.
L'espressione è stata coniata dall'economista francese Alfred Sauvy in analogia con il Terzo stato
della rivoluzione francese, a sottolineare una volontà di liberazione dalle logiche di dominio dei
due grandi sistemi imperiali, americano e sovietico. L'espressione è poi passata nel linguaggio
corrente per indicare i paesi “sottosviluppi” o “in via di sviluppo”, segnalando la situazione di
povertà e disagio sociale in cui versano molti popoli. Tuttavia, usata in questo modo, l'espressione
non tiene conto delle grandi differenze che ci sono fra questi paesi (alcuni dei quali - come
l'India, la Cina, Taiwan e la Corea del sud - hanno conosciuto un notevole sviluppo nel dopoguerra).
Con la successiva conferenza di Belgrado (1961), nacque il movimento dei non allineati,
capeggiato dallo jugoslavo Tito, dall'indiano Nehru, dall'egiziano Nasser, che si poneva come
obiettivo quello di condurre una politica “fuori dai blocchi” USA e URSS.
Modi e caratteristiche della decolonizzazione
L'atteggiamento delle potenze coloniali (Gran Bretagna, Francia, Spagna, Portogallo, Paesi Bassi,
Belgio) oscillò fra il tentativo di opporsi con la forza alle rivendicazioni indipendentistiche e il
progetto di guidare gradualmente le colonie all'indipendenza mantenendo su di esse un
predominio di carattere economico. La Gran Bretagna seguì questa seconda via, mentre la
Francia e il Portogallo tentarono, senza successo, la prima. Perciò la decolonizzazione ebbe in
alcuni casi carattere pacifico, in altri implicò forti movimenti di massa, che talvolta assunsero
forma violenta e dettero origine a vere e proprie guerre di liberazione (come in Algeria e nel
Vietnam, colonie francesi).
2. Asia
L'India
In India la lotta per la liberazione dal dominio britannico ebbe come protagonista Mohandas
Karamchand Gandhi, promotore del metodo non violento, basato sulla resistenza passiva, sul
boicottaggio e sulla disobbedienza civile. La proclamazione dell'indipendenza, avvenuta nel 1947,
fu accompagnata dalla formazione di due Stati distinti: l'Unione indiana, a maggioranza indù, e il
Pakistan, con popolazione prevalentemente musulmana. Seguirono gravi conflitti etnici e religiosi
all'interno dei due stati, che si affrontarono militarmente anche per varie questioni territoriali
(Kashmir e Punjab).
Dal 1947 al 1964 l'India fu governata da Nehru. Le riforme da questo attuate favorirono un
relativo progresso economico e sociale, ma le condizioni generali di vita rimasero bassissime.
Nel corso degli anni Settanta e Ottanta la crescita economica continuò, ma accompagnata da
gravi contrasti etnici, tanto che entrambi i leader succeduti a Nehru, Indira Gandhi prima e il
figlio di quest'ultima, Rajiv Gandhi, poi, vennero uccisi da esponenti di minoranze etniche
aspiranti all'autonomia.
Nel Pakistan la repubblica islamica, nata nel 1956, resse solo due anni. Nel 1958 si formò un
regime militare, che durò fino al 1971, quando la parte orientale si staccò dal resto del paese,
dando vita allo stato del Bangladesh.
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Vietnam
In Indocina la lotta contro la dominazione francese venne condotta dal movimento politicomilitare Viet Minh (lega per l'indipendenza del Vietnam), fondato da Ho Chi Minh. Dopo una
guerra durata otto anni contro la Francia (che dominava quelle colonie), nel luglio del 1954 la
conferenza di Ginevra stabilì l'indipendenza del Laos e della Cambogia e la divisione del
Vietnam in due parti. Nacquero così la repubblica del Vietnam del nord, con capitale Hanoi e
presieduta da Ho Chi Minh, che adottò un modello di tipo socialista e il Vietnam del sud, con
capitale Saigon, con un governo guidato da Ngo Dinh Diem, che instaurò un regime autoritario,
legato agli Stati Uniti. A Ginevra si era inoltre stabilito che ci sarebbero state successive elezioni
per decidere sulla riunificazione dei due Stati .
Il rifiuto del Vietnam del sud di partecipare alle elezioni previste dagli accordi di Ginevra originò
una nuova guerra (1961-1975) fra i due stati appena nati. I comunisti presenti nel Vietnam del
sud organizzarono un fronte di liberazione, che iniziò a praticare la guerriglia (i guerriglieri erano
detti vietcong), rifornito di armi dal Vietnam del nord e sostenuto dalla Cina e dall'Unione
Sovietica. In aiuto del Vietnam del sud intervennero gli Stati Uniti. Il crescente impegno
militare di questi ultimi (iniziato sotto Kennedy e proseguito da Johnson) non riuscì a piegare la
guerriglia, né migliore esisto ebbero i poderosi bombardamenti (anche al napalm, e con
bombardieri B52) che rasero al suolo le maggiori città nordvietnamite. Dopo una lunga e rovinosa
guerra (ampia condanna della guerra da parte dell'opinione pubblica americana e
internazionale), la pace di Parigi del 1973 confermò gli accordi di Ginevra del 1954.
Dopo il ritiro degli Stati Uniti, i combattimenti ripresero fino al 1975. Quando le forze
nordvietnamite ed i vietcong condussero con successo l'attacco finale contro le forze del sud, con
la conquista di Saigon, il conflitto ebbe fine. Nel 1976 il paese venne unificato con la
proclamazione della repubblica democratica del Vietnam, guidata dal partito comunista, che
instaurò un regime autoritario e repressivo e attuò una politica estera espansionistica ai danni
del Laos e della Cambogia (Nel 1978 il Vietnam invase la Cambogia e depose il suo dittatore Pol
Pot, ponendo fine alla guerra civile che aveva provocato più di un milione di morti).
Nel 1995 gli USA ristabilirono le relazioni diplomatiche con il Vietnam, che già nel 2000 ricevette
la visita del Presidente Bill Clinton.
3. Africa
Libia, Etiopia e Somalia (colonie italiane) raggiunsero l'indipendenza senza eccessive difficoltà
nei primi anni del secondo dopoguerra. Più problematica fu la decolonizzazione dei possedimenti
francesi, perché la Francia si oppose militarmente alle forze nazionaliste africane. Tunisia e
Marocco raggiunsero l'indipendenza nel 1956, il Madagascar nel 1960. l'Algeria condusse una
guerra di liberazione contro la Francia, che si concluse nel 1962.
Ottenuta l'indipendenza, gli Stati africani furono travagliati da numerosi e spesso sanguinosi
contrasti interni, accentuati dall'arretratezza economica e in molti casi alimentati dagli interessi
neocolonialistici degli Stati europei e delle due superpotenze. Guerre civili, spesso contrassegnate
da spaventosi massacri, si verificarono in numerosi paesi (Congo, Nigeria, Somalia, Ruanda).
In Libia, rapidamente sviluppatasi in seguito allo sfruttamento del petrolio, nel 1969 venne
deposta la monarchia. Il colonnello Muammar Gheddafi, a capo del nuovo regime, nazionalizzò
le risorse petrolifere e attuò una politica estera, che lo portò a scontrarsi con i paesi occidentali,
in particolare con gli Stati Uniti (Gheddafi sostenne le frange palestinesi più estremiste e fu
accusato di finanziare gruppi terroristici).
Nella Rhodesia del sud la popolazione nera dovette condurre una lunga e tragica lotta di liberazione,
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per acquisire la piena sovranità sul paese, che dal 1980 prese il nome di Zimbawe.
Ancora più lungo fu il processo di emancipazione della popolazione nera della repubblica
sudafricana, dove il regime di segregazione razziale, noto come apartheid, venne rimosso a
partire dai primi anni Novanta e solo nel 1994 si svolsero elezioni multirazziali, che videro il
successo del principale leader dell'opposizione nera Nelson Mandela (insignito del Nobel per la
pace nel 1993) che divenne presidente della repubblica. Va segnalato che, nonostante gli sforzi di
Mandela e del suo successore, ancora oggi le condizioni di vita dei neri e più in generale dei poveri
nel paese restano difficili.
4. Medio Oriente
Nel Medio Oriente, dopo la prima guerra mondiale, Francia e Inghilterra imposero la loro
influenza con il sistema dei mandati e adottando una strategia basata sul mantenimento delle
divisioni e dei contrasti tra le diverse nazionalità. La conseguente instabilità venne accentuata dalla
scoperta del petrolio e dalla corsa al suo sfruttamento da parte degli Stati e delle compagnie
occidentali. I ricchi giacimenti petroliferi fecero del Medio Oriente uno degli scenari periferici
della guerra fredda.
In Medio Oriente si diffuse un fondamentalismo islamico, come quello dei Fratelli Musulmani,
fondato in Egitto nel 1928. Questo movimento, messo fuori legge nel 1954 dal leader egiziano
Nasser, continuò a operare in clandestinità e si diffuse in molti paesi arabi, compiendo numerose
azioni terroristiche. In Palestina i movimenti islamici radicali come Hamas fecero frequente
ricorso ad attentati contro israeliani, attuati in gran parte da giovani imbottiti di esplosivo. In
Afghanistan, dopo il ritiro dei sovietici, si imposero i Taliban, sostenitori della rigida legge
islamica.
In Iran, lo scià Reza Pahlavi, dal 1953 avviò un programma di modernizzazione economica e
sociale, che incontrò una vasta opposizione, alimentata soprattutto dai potenti capi della religione
islamica, di orientamento fondamentalista. La situazione si aggravò, tanto che nel 1979 lo scià fu
costretto a fuggire. La guida del paese venne assunta dall'ayatollah Khomeini, che attuò una
intransigente politica di restaurazione religiosa.
In Iraq Saddam Hussein, assunto il potere nel 1979, instaurò un regime autoritario e repressivo,
avviando contemporaneamente una politica estera espansionistica, finalizzata ad affermare
l'egemonia irachena su tutta l'area. Nel 1980 Saddam Hussein attaccò l'Iran, dando inizio a una
guerra, che si concluse dopo otto anni, senza nessuna modifica territoriale.
La questione palestinese
L'insorgere della questione palestinese risale alla fine dell'Ottocento, quando iniziarono i primi
contrasti fra immigrati ebrei, provenienti in gran parte dall'Europa orientale dove erano
vittime di persecuzione, e le popolazioni arabe, da secoli in quei territori. In seguito all'avvento
del nazismo in Germania e alla diffusione dell'antisemitismo, gli ebrei affluirono in Palestina in
gran numero, sino a diventare il 30% della popolazione.
Al termine della seconda guerra mondiale, lo sdegno per il massacro di ebrei compiuto dalla
Germania nazista fece crescere il sostegno internazionale nei confronti della causa sionista, che
prevedeva la formazione di uno Stato ebraico in Palestina. Questa era decisamente osteggiata
dai paesi arabi. L'Inghilterra, che dal 1920 esercitava il mandato sulla Palestina, non riuscì a
svolgere un'efficace opera di mediazione e affidò la questione all'ONU, che, nel novembre del
1947, decise la spartizione della Palestina in due Stati, uno arabo e uno ebraico. Seguirono
scontri fra organizzazioni paramilitari sioniste e guerriglieri palestinesi.
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Il 14 maggio 1948, ultimata la partenza delle truppe britanniche, un governo provvisorio ebraico
proclamò la nascita dello stato d'Israele. Poche ore dopo, il nuovo stato venne attaccato da
Egitto, Siria, Libano e Transgiordania. Ebbe così inizio la prima guerra arabo-israeliana, che
si concluse nel gennaio 1949 con la vittoria di Israele. Si instaurò una situazione di conflittualità
permanente, che sfociò in altri conflitti, sempre vinti dagli israeliani. Lo Stato ebraico occupò
nuovi territori in Palestina, mentre i palestinesi si trovarono a vivere o in condizioni di miseria
e soggezione nei territori occupati dagli israeliani o nei campi profughi dei confinanti paesi
arabi. L'organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP), fece più volte ricorso all'arma
del terrorismo sia in territorio israeliano che all'estero.
Nel 1979 l'Egitto firmò una pace separata con Israele (preparata dagli accordi di Camp David
dell'anno precedente, con la mediazione del presidente americano Jimmy Carter), che suscitò
reazioni negative nel mondo arabo, tanto che nel 1981 il premier egiziano Sadat cadde vittima di
un attentato organizzato da un gruppo fondamentalista islamico. Nel 1987, nei territori occupati
da Israele ebbe inizio l'intifada, una rivolta di massa in forma di guerriglia urbana attuata dai
palestinesi. Agli inizi degli anni Novanta, ebbe inizio un faticoso cammino verso la soluzione
della questione palestinese, che portò al raggiungimento di una prima importante intesa nel 1993
tra il leader dell'OLP Arafat e il primo ministro israeliano Rabin. Quest'ultimo venne
assassinato nel novembre 1995 da un ultranazionalista israeliano.
5. America latina
L'instabilità politica e la fragilità economica caratterizzarono l'America latina nel corso della
seconda metà del Novecento. Lo sfruttamento di tipo neocoloniale attutato dalle imprese straniere
fu spesso accompagnato da pesanti ingerenze politiche, volte a mantenere in vita governi
consenzienti. L'assenza di sviluppo economico e di democrazia causò la persistenza di gravissimi
squilibri sociali. La storia di molti Stati latino-americani fu contrassegnata da un susseguirsi di
rivoluzioni, colpi di Stato e regimi dittatoriali, che ebbero tra i protagonisti principali i militari e
videro spesso gli Stati Uniti intervenire, direttamente o indirettamente, a sostegno dei propri
interessi economici e politici.
Il Messico fu a lungo travagliato da una grave crisi economica e da una elevata tensione sociale
(attuale presidente: Enrique Peña Nieto).
A Cuba Fidel Castro, assunto il potere nel 1959 dopo aver sconfitto il dittatore Fulgencio Batista
(con l'aiuto di Ernesto Che Guevara), instaurò un regime di tipo socialista, legato all'Unione
Sovietica, e adottò una politica economica ostile agli interessi statunitensi. Nel 1961 gli Stati Uniti
cercarono, senza riuscirvi, di rovesciare Fidel Castro. La tensione fra i due paesi raggiunse il
culmine l'anno successivo, in seguito alla scoperta di basi missilistiche installate dall'URSS
sull'isola. All'inizio degli anni Novanta, il crollo dell'URSS mise in difficoltà l'economia di Cuba,
già colpita dall'embargo decretato nei suoi confronti dagli Stati Uniti nel 1962.
In Argentina nel 1946 Juan Domingo Perón instaurò un regime definito “giustizialista”,
caratterizzato da riformismo sociale e autoritarismo politico, in pratica una dittatura sostenuta da un
ampio consenso sociale; questo però cominciò a venir meno nel corso degli anni Cinquanta, quando
una grave crisi economica provocò un peggioramento delle condizioni di vita dei ceti popolari e
medi. Rovesciato da un colpo di Stato nel 1955, Perón tornò al potere nel 1973, ma morì l'anno
successivo; la presidenza venne allora assunta dalla terza moglie Isabelita (la seconda moglia fu la
carismatica Eva Duarte, detta Evita), che nel 1976 venne deposta dai militari. Questi instaurarono
una feroce dittatura, che ebbe termine nel 1983, dopo la sconfitta subita nella guerra contro
l'Inghilterra per il possesso delle isole Malvinas o Falkland. Con il ritorno alla democrazia iniziò
anche la ripresa economica (attualmente l'Argentina è guidata da Cristina Fernández de Kirchner).
Per gran parte della seconda metà del secolo la storia del Brasile fu contrassegnata dal susseguirisi
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di crisi economiche, alternate a fasi di ripresa, e di governi democratici, interrotti da dittatura
militari, in un clima di costante tensione sociale (ultimi presidenti: Luiz Inácio Lula da Silva e
Dilma Rousseff).
In Cile, il governo democratico di Salvador Allende, che aveva avviato un programma economico
fondato sulla nazionalizzazione di settori produttivi controllati da società straniere in gran parte
statunitensi, venne deposto nel 1973 da un sanguinoso colpo di Stato, sostenuto dagli Stati Uniti,
che portò al potere il generale Pinochet. Questi instaurò una dittatura militare rimasta in piedi fino
al 1989 (ultimi presidenti: Michelle Bachelet Jeria e Sebastián Piñera).
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