La decolonizzazione, l'antimperialismo e i movimenti di liberazione nazionale Il processo di decolonizzazione ebbe un impulso decisivo dopo la seconda guerra mondiale. I movimenti di liberazione nazionale, che già si erano fatti sentire durante gli anni 30, erano stati sfruttati durante la guerra dall'una e dall'altra parte per disegno strategico. Dopo la guerra, in molti casi questi movimenti rimasero mobilitati per combattere la dominazione coloniale. Altro fattore che contribuì alla decolonizzazione fu la volontà di USA e URSS di sostituirsi all'Europa in Asia e Africa. Nel 1941 la Carta Atlantica aveva proclamato il diritto all'autodeterminazione dei popoli, che informò in seguito tutta l'attività dell'ONU. L'Europa dovette abbozzare, anche perchè ormai i costi di mantenimento delle colonie superavano i vantaggi economici che ne potevano derivare. Ciò nonostante, il processo di decolonizzazione procedette faticosamente, e con modalità diverse a seconda dei paesi occupanti. Gli inglesi cercarono di favorire una transizione morbida, trasformando l'impero in una comunità di stati indipendenti (il Commonwealth). La Francia invece insistette in una politica volta ad annettere le colonie in un unico stato, entro il quale concedere formalmente diritti politici alle popolazioni inglobate. In ogni caso, lo sbocco finale fu quello dell'indipendenza. I rapporti con l'Europa continuarono ad essere fondamentali, anche perchè i lunghi periodi di dominazione avevano lasciato tracce pesanti anche sul piano culturale e sociale. Non attecchì quasi da nessuna parte il modello della democrazia parlamentare, a causa delle tradizioni locali, dell'assenza di una borghesia autoctona e dell'estrema arretratezza economica. In molti casi si svilupparono regimi autoritari di destra o sinistra, oppure dittature militari. India Uno dei primi movimenti di liberazione nazionale in Asia fu quello indiano, guidato già negli anni 30 da Gandhi. Grazie alle manifestazioni di disobbedienza civile esso aveva ottenuto una costituzione già nel 1935. Durante la seconda guerra mondiale, il Partito del Congresso, guidato da Nehru, con manifestazioni non violente di opposizione, aveva ottenuto il riconoscimento dello status di dominion, praticamente un'indipendenza di fatto. Alla fine della guerra, dopo faticosi negoziati e nonostante l'opposizione di Gandhi, videro la luce nel 1947, due stati indipendenti: uno Indù, l'India, e uno musulmano, il Pakistan (il troncone orientale di quest'ultimo sarebbe diventato poi il Bangladesh nel 1971). Proprio per il suo rifiuto di opporsi agli islamici, Gandhi venne assassinato da un estremista indù nel 1948. Nonostante i gravi problemi economici e sociali, la democrazia parlamentare indiana è riuscita a sopravvivere fino ai nostri giorni. Egitto Nel mondo arabo il movimento di liberazione più importante fu indubbiamente quello egiziano. Fino al 1952 l'Egitto era guidato da una monarchia, avversata sia dalla borghesia che dagli islamici, ma appoggiata dagli inglesi, che controllavano il canale di Suez. Un colpo di stato militare, guidato da Nasser, rovesciò il regime nel 1952 e instaurò un governo di ispirazione socialista, che promosse una serie di riforme: nazionalizzazione delle imprese, redistribuzione della terra. Inoltre Nasser si preoccupò subito di prendere le distanze dalle potenze coloniali e di assumere la guida delle nazioni arabe contro Israele: ottenne il ritiro degli inglesi dal canale di Suez e stipulò accordi commerciali con l'URSS. Come reazione, gli USA bloccarono gli aiuti per la costruzione della diga di Assuan. Nasser allora nazionalizzò la compagnia del Canale, estromettendo inglesi e francesi. Israele, con l'appoggio di questi ultimi, attaccò l'Egitto e penetrò a fondo nella penisola del Sinai. A questo punto però gli USA si chiamarono fuori e l'URSS inviò un ultimatum a Francia e GB, che dovettero ritirarsi dal canale. Lo stesso fece Israele. Tutta la vicenda non fece che accrescere il prestigio di Nasser, che divenne il simbolo della lotta di liberazione di tutti i paesi arabi. Nel 58 la Siria, già governata da un regime militare filo-egiziano, decise la fusione con l'Egitto. Sempre nel 58 un colpo di stato militare rovesciò la monarchia in Iraq, e movimenti simili vi furono anche in Giordania e Libano. In realtà le aspirazioni panarabe si sarebbero presto risolte in un nulla di fatto, a causa delle divisioni ideologiche e dei nazionalismi. Un altro movimento di ispirazione nasseriana fu quello per la liberazione della Libia, guidato da Gheddafi, che, rovesciata la monarchia nel 1969, instaurò un regime islamico-socialista, intraprendendo la nazionalizzazione delle compagnie petrolifere straniere. Gheddafi avrebbe inoltre negli anni successivi finanziato tutti i movimenti di guerriglia “anti-imperialisti” mettendosi in conflitto con gli arabi moderati e gli USA. Algeria Mentre negli agli stati del Maghreb (Tunisia e Marocco), il processo di indipendenza dalla Francia si svolse con modalità relativamente “morbide” e si concluse nel 1956, in Algeria la presenza di oltre un milione di coloni francesi rese tutto molto più difficile. In coincidenza con la rivoluzione di Nasser, presero piede i movimenti più oltranzisti, come il Fronte di Liberazione Nazionale di Ben Bella, che intrapresero una guerriglia indipendentista che culminò nella battaglia di Algeri (1957). I francesi vinsero utilizzando metodi particolarmente brutali, suscitando indignazione nella stessa opinione pubblica francese. I coloni però, temendo un disimpegno dell'esercito, fondarono nel 1958 un Comitato di Salute Pubblica. Questa iniziativa, che sembrava preludere ad un colpo di stato in Francia, determinò la crisi della quarta repubblica e il ritorno di De Gaulle, il quale, resosi conto che ormai la battaglia in Algeria era persa, cercò di tirar fuori la Francia dalla guerra. Prese quindi contatti con l'FLN, stroncò un colpo di stato militare, reagì duramente al terrorismo di destra dell'OAS. Nel 1962, dopo un anno di trattative, l'FLN e il governo francese si accordarono per un progetto di indipendenza che venne ratificato da un referendum. I coloni francesi abbandonarono in massa il paese. I governi successivi furono autoritari e centralizzati, con un forte controllo statale sull'economia. L'Algeria mantenne comunque buoni rapporti commerciali con l'Europa. Africa subsahariana In questa regione il processo di decolonizzazione fu più tardivo rispetto all'Asia e al Maghreb, ma si svolse in tempi molto più ristretti. Questo in quanto le potenze europee si erano ormai convinte a non contrastare il processo, ma piuttosto a guidarlo, in modo da mantenere rapporti economici e culturali con le ex-colonie. Negli anni dal 1957 al 1960 una ventina di stati africani conquistarono l'indipendenza, quasi senza conflitti. Gli unici problemi si verificarono nei paesi più ricchi di risorse, e dove si concentravano la maggior parte dei coloni bianchi. Soprattutto in Kenya, ed in Sudafrica. Mentre la Rhodesia riuscì a rimanere in mano alla minoranza bianca fino al 1980, nell'Unione Sudafricana venne addirittura inasprito il regime dell'apartheid, che durò oltre tutte le previsioni, grazie agli interessi occidentali nelle enormi risorse minerarie del paese, alla combattività della minoranza anglo-boera e alle divisioni della maggioranza nera. In Congo e in Eritrea, invece, la concessione dell'indipendenza senza preparazione diede il via ad una serie di conflitti secessionisti, anche fomentati dalle compagnie minerarie straniere. In ogni caso l'indipendenza mise a nudo la fragilità degli stati africani, molto spesso basati sui confini e le istituzioni create dal dominio coloniale, che mal si adattavano a realtà etniche e tribali preesistenti. In molti casi le democrazie parlamentari finirono per degenerare in regimi autoritari dominati dalle elite militari. A tutto ciò si univa la forte dipendenza economica dei nuovi paesi dai vecchi dominatori occidentali, che prefigurò un vero e proprio “neocolonialismo”. A questo fenomeno cercarono di opporsi a partire dalla metà degli anni 60 alcuni paesi (Tanzania, Congo Brazzaville, e poi Etiopia, Angola e Mozambico) rifugiandosi nel modello socialista e appoggiandosi all'URSS. Anche questa via però si dimostrò poco funzionale alla risoluzione dei problemi della povertà e della disgregazione sociale. Non allineamento e sottosviluppo I paesi di nuova indipendenza si trovarono uniti da un'esperienza comunque, quella della lotta al colonialismo, e stretti tra i blocchi delle due superpotenze. Nacque così l'esigenza di garantire una “terza via” tra le due grandi posizioni ideologiche contrapposte. Il movimento dei “non allineati” prese piede soprattutto grazie all'iniziativa di Nehru e di Nasser, a cui si unì la Jugoslavia di Tito, a sua volta protagonista di un progetto politico socialista fuori dall'ortodossia sovietica. La consacrazione ufficiale del movimento fu la Conferenza di Bandung nel 1955, che affermò anche per la prima volta l'emergere dei paesi del cosiddetto Terzo Mondo, in contrapposizione ai blocchi occidentale e socialista. Il terzomondismo divenne la nuova frontiera, fonte di rinnovamento della politica mondiale, capace di affascinare anche la sinistra occidentale. L'obiettivo politico di neutralizzare la suddivisione del mondo in zone di influenza, e di creare un movimento politico alternativo che portasse al superamento della guerra fredda, si scontrò ben presto con realtà di molti paesi, spinti a prendere comunque posizione per convenienza economica o tendenze ideologiche. Con l'accrescersi del movimento e l'ingresso di nuovi paesi, ci furono tentativi di spostarne l'asse in senso filosovietico, soprattutto da parte di paesi come Cuba e il Vietnam del Nord. Altra caratteristica comune ai paesi di nuova indpendenza era quella del sottosviluppo, inteso come assenza di strutture industriali, arretratezza dell'agricoltura, emarginazione dal commercio internazionale, squilibrio tra le risorse e la popolazione in continua crescita. Fattori che da sempre caratterizzano i paesi del terzo mondo e che da tempo sono sotto gli occhi di tutto il mondo occidentale, in contraddizione al principio di eguaglianza dei popoli che avrebbe dovuto informare la politica mondiale dopo il conflitto, e che sono oggetto di continue rivendicazioni da parte dei paesi sottosviluppati.