La decolonizzazione
Dopo la sconfitta di Germania e Impero Ottomano nella prima guerra mondiale, Francia ed Inghilterra si erano
appropriate delle loro colonie, approfittando del volontario isolamento internazionale in cui si era collocata
l’America, e dello scarso peso politico e militare che ancora aveva l’URSS. Inoltre la Società delle Nazioni era
controllata da francesi ed inglesi, per cui costoro non erano stati ostacolati nel loro espansionismo coloniale.
Però la debolezza socio-economica legata al dopoguerra, la vastità dei territori da controllare, la graduale presa di
coscienza dei propri diritti da parte dei paesi colonizzati dove si svilupparono movimenti indipendentisti,
determinarono nella prima metà del ‘900 costanti moti di protesta e ribellione nei confronti dei paesi
colonizzatori.
La nuova coscienza autonomista dei paesi colonizzati dipese anche dagli esiti della Rivoluzione Russa (i
bolscevichi erano assolutamente contrari ai domini imperialistici), e dai principi di nazionalità e
autodeterminazione dei popoli promossi dal presidente Wilson e rilanciati con forza dopo la nascita dell’ONU
(1945). Inoltre USA e URSS non intralciarono la decolonizzazione, anzi a volte la stimolarono, perché avrebbero
potuto allargare così le loro zone d’influenza su Stati divenuti liberi.
La decolonizzazione iniziò dopo la seconda guerra mondiale: questa, infatti, contribuì allo sviluppo dei
movimenti indipendentisti in quanto molti cittadini delle colonie presero parte direttamente ai combattimenti (es:
i gurkha indiani per l’Inghilterra). Inoltre con la guerra finì l’eurocentrismo, non essendo più l’Europa a dettare
legge nel mondo, ma USA e URSS.
La decolonizzazione avvenne attraverso due modalità: pacifica, tramite trattative tra gruppi indipendentisti e
madrepatria (soprattutto per le colonie inglesi che finirono nel Commonwealth, libera associazione di popoli uniti
sotto la Corona inglese); conflittuale, ovvero con guerre di liberazione (soprattutto nelle colonie francesi). La
decolonizzazione portò, tuttavia, a nuove forme di colonialismo (neocolonialismo), in quanto le ex colonie
conservarono cultura e lingua delle nazioni che le avevano occupate, e in genere rimasero sotto il controllo
economico di quest’ultime, non possedendo classi dirigenti adeguate. Politicamente diverse finirono sotto
dittature militari.
- Medio Oriente: fin dai primi decenni del ‘900 qui si era formato un battagliero movimento nazionale arabo
contrario al colonialismo, ma alla fine della prima guerra mondiale tutta la zona era stata spartita tra Francia e
Inghilterra. Solo a partire dal 1932, con l’ottenimento dell’indipendenza da parte dell’Iraq, iniziò la liberazione
dei paesi di quest’area: il processo si completò nel 1946, quando Francia ed Inghilterra abbandonarono
completamente la zona. Nel frattempo era nata la Lega Araba (1945) che raggruppava sette Stati della zona
geografica, e che era unita da scopi di cooperazione economica e politica, con la volontà di far nascere uno Stato
Palestinese, ma non uno Stato ebraico,1 come invece si desiderava a livello internazionale. Ancora oggi le due
parti sono in aspro conflitto tra loro.
- Asia: l’India era una delle colonie principali dell’Inghilterra, ma tra le due guerre la richiesta d’indipendenza
divenne costante e sostenuta dal Partito del Congresso e dal Mahatma Gandhi, suo principale animatore, che
1
Dalla fine del 1800 si era sviluppato il movimento sionista, fondato da Theodor Herzl, che si riprometteva di fondare
uno Stato ebraico nell’area in cui esisteva anticamente (prima della diaspora del 70 d.C), dove ora, però, risiedevano i
palestinesi. Si iniziò a raccogliere denaro per acquistare terre a tal scopo: l’iniziativa ebbe molto successo e nel 1917 il
governo inglese, che gestiva la zona, rilasciò la cosiddetta Dichiarazione Balfour sostenuta anche da Wilson, a favore
della costituzione di uno Stato ebraico in Palestina, pur con la volontà di salvaguardare i diritti civili e religiosi delle
popolazioni che già risiedevano nell’area geografica, ma non menzionava i diritti politici. Nel 1920 cominciarono ad
arrivare in massa nuovi ebrei e subito scoppiarono tumulti con i palestinesi. Con la shoah crebbe enormemente il
numero di ebrei che si rifugiarono nel costituendo Stato, il quale nel frattempo si era organizzato anche militarmente
con l’aiuto degli USA, suscitando l’avversione della Lega Araba. Nel 1948 l’Inghilterra si ritirò dall’area geografica
affidando la gestione della grave questione all’ONU. Appena partita, però, Ben Gurion, capo del governo israeliano,
proclamò la nascita ufficiale dello Stato d’Israele. Subito scoppiò la guerra contro la Lega Araba che si risolse dopo
qualche mese con la vittoria di Israele e l’allargamento dei suoi confini di circa il 40%. Nacque così la Questione
palestinese e, nel 1969, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP), fondata per riconquistare le terre
cadute in mano ebraica. Dopo la prima guerra ve ne furono altre tre, ma Israele non fu mai battuta.
impostò la lotta per la decolonizzazione del suo paese sulla dottrina della non violenza, ovvero disobbedienza
civile, boicottaggio dei prodotti inglesi, resistenza non violenta alle misure repressive subite, ottenendo, anche
spargendo il sangue indiano, importanti risultati positivi negli anni in cui si svolse la seconda guerra mondiale.
Gli inglesi a guerra finita dovettero cedere e lasciare libera l’India, ma nacque un problema legato alle due
religioni che caratterizzavano il paese, quella mussulmana e quella induista: Gandhi sosteneva la creazione di un
unico Stato dove convivessero i due gruppi religiosi, ma alla fine, nel 1947, si optò di creare l’Unione Indiana,
induista, e il Pakistan, mussulmano. La creazione dei due Stati non eliminò le lotte tra i due gruppi religiosi,
costringendo anche molti milioni d’individui a spostarsi da uno Stato all’altro. Lo stesso Gandhi fu vittima del
clima d’odio che s’instaurò, rimanendo vittima di un attentato, nel 1948, da parte di un fanatico indù. Nello stesso
anno e nel 1965 i due paesi combatterono guerre per il controllo sulla regione del Kashmir.
Anche nell’ex Indocina, colonia dei francesi prima, poi occupata dai giapponesi durante la seconda guerra
mondiale, era sorto un movimento indipendentista guidato da Ho Chi Minh. Quando il Giappone fu sconfitto e
dovette ritirarsi, egli proclamò la Repubblica democratica del Vietnam. I francesi non accettarono tale fatto ed
occuparono militarmente la parte meridionale del Vietnam. La guerra durò fino al 1954, ma i francesi non
riuscirono a sconfiggere le armate di Ho Chi Minh, troppo abili nella guerriglia all’interno delle foreste e della
folta vegetazione del paese. Gli accordi di pace che seguirono scissero il paese in due: Vietnam del sud, con
capitale Saigon, sotto l’influenza dell’occidente, e Vietnam del nord, con capitale Hanoi, a regime comunista. La
divisione del paese portò negli anni 60/70 alla guerra del Vietnam che risultò fallimentare per l’esercito
americano.
- Africa: i paesi africani vennero decolonizzati sempre dopo la seconda guerra mondiale, con nascita negli anni
50/60 di numerosi paesi, spesso deboli politicamente e soggetti a colpi di Stato da parte dei militari. E’ quanto
successe, per esempio, nell’ex colonia italiana della Libia, resa indipendente nel 1951, ma sottomessa
militarmente dal colonnello Gheddafi nel 1969 che v’impose la propria dittatura fino al 2011 quando fu deposto e
ucciso.
La Francia tentò la via della repressione militare dei moti indipendentisti anche nel Maghreb (Marocco e
Tunisia), ma nel 1956 fu costretta a riconoscere pienamente l’indipendenza dei due Stati.
Più drammatica fu la liberazione dell’Algeria, dove la presenza di molti coloni di origine francese ostacolava la
decolonizzazione del paese. Scoppiò una feroce guerra interna tra indipendentisti e francesi, ma nel 1962
l’Algeria riuscì ad ottenere la sua indipendenza.
L’Egitto del presidente Nasser, al potere dal 1952 dopo aver destituito con un colpo di Stato il sovrano che vi era
(Faruk), condusse una politica filosovietica, anticolonialista e antiisrealiana, e dovette passare attraverso la crisi
di Suez (il canale era conteso a francesi e inglesi) per affermare la sua piena autonomia da Francia e Inghilterra.
La decolonizzazione fu più contrastata in Kenya, Rhodesia e Sudafrica, dove la presenza di coloni bianchi era
massiccia. Il Kenya raggiunse l’indipendenza nel 1963, mentre negli altri due paesi ancora per vari anni i governi
rimasero in mano ai bianchi che adottarono politiche razziste (apartheid) verso le maggioranze nere.2
Con la divisione del mondo in due blocchi non tutte le nazioni accettarono di porsi sotto la protezione dell’URSS
o degli USA. Fu il caso della Jugoslavia di Tito, per esempio, che, pur controllata da un governo comunista, non
accettò mai di considerarsi sotto tutela da parte della Russia, entrando anche in un duro scontro con Stalin, nel
1947, quando questi cercò d’imporre la sua influenza sul paese.
Insieme a Egitto ed India, diede vita nel 1961 al Movimento dei paesi non allineati, cioè il movimento di quegli
Stati che non si schieravano né con l’America, né con la Russia, che inizialmente contò 25 nazioni, per poi
aumentare ulteriormente di numero negli anni successivi.
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Nelson Mandela, leader e eroe del movimento antiapartheid sudafricano, morto nel 2014, rimase incarcerato per 27
anni, venendo liberato solo nel 1990. Nel 1994 fu eletto presidente del suo paese e detenne tale carica fino al 1999.