Coronarie a tutto tondo

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Investire nella Qualità della vita
n n Salute Indagini diagnostiche innovative ottimizzano il trattamento dei pazienti con stenosi
Coronarie a tutto tondo
Una sonda determina la riserva di flusso, un’altra l’istologia della placca
di Cristina Cimato
U
na nuova tecnica diagnostica è in grado di fornire un quadro
più preciso della gravità di un danno coronarico e determinare
l’urgenza di un intervento chirurgico come l’angioplastica o
il bypass. Un recente studio, ha selezionato un gruppo di
circa mille pazienti affetto da stenosi, ovvero un restringimento dei vasi
coronarici, in forma severa. Uno dei due gruppi in cui sono stati divisi
è stato valutato con l’esame tradizionale, ossia la coronarografia per
valutare il grado di occlusione del vaso, l’altro con il nuovo esame in
abbinamento a una nuova tecnica di misurazione della riserva di flusso frazionale. «Non
sempre con l’angiografia si può cogliere con
efficacia il contorno esatto del restringimento, perché l’immagine che il test fornisce è
bidimensionale mentre la zona analizzata
è tridimensionale», ha spiegato Stefano De
Servi, direttore del dipartimento della patologia cardiovascolare dell’ospedale civile
di Legnano, «molte stenosi catalogate come
non critiche possono causare dunque un
passaggio di flusso inadeguato e portare a
un’ischemia, ossia una diminuzione o un blocco dell’apporto di sangue
a un distretto, mentre in altri casi un restringimento all’apparenza severo
presenta una discreta riserva e non è quindi grave». La nuova tecnica ha
risultati incoraggianti, permettendo di individuare con più precisiodato ris
ne i casi
c a rischio senza rallentare il tempo dell’esame e permettendo
un uso
u meno copioso del mezzo di contrasto. Il dispositivo utilizzato
durante lo studio Fame è un sensore di pressione intravascolare di
dura
St.Jude Medical, dotato di tecnologia wireless. I risultati dello studio
St.Ju
hanno
hann mostrato, a distanza di tempo, una maggiore riduzione di eventi
estremi
estrem nei casi trattati con angiografia abbinata alla misurazione
della riserva
rise di flusso rispetto al solo test tradizionale. «Dopo due anni il
trend è rrimasto costante e si sono resi necessari meno interventi di angioplastica
gioplasti a distanza di tempo», ha aggiunto Antonio Colombo, primario
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dell’unità di emodinamica e cardiologia interventistica presso l’Istituto
San Raffaele di Milano, «purtroppo la tecnica è ancora poco diffusa nei
laboratori e questo dipende sia dal fatto che non tutti i pazienti possono
essere indagati con questa tecnica, sia dalla possibilità di ridurre in questo
modo gli interventi di angioplastica, avvantaggiando i pazienti ma non
le strutture sanitarie». Questa tecnica di indagine diagnostica si adatta
bene ai pazienti con malattie coronariche stabili, che spesso hanno più
stenosi o più vasi interessati al restringimento, e non sono sofferenti
per un evento acuto da trattare immediatamente. Un’altra strada per
ottimizzare la strategia per il trattamento dei pazienti con cardiopatia
ischemica è rappresentata dall’istologia virtuale
con ultrasuoni, tecnica intrapresa nel mondo da
diverse équipe di ricerca. «Anche stenosi di modesta entità e con buona riserva di flusso possono
risultare pericolose per la tipologia di placche che
le caratterizzano. Se la placca, ancorché piccola,
è instabile e si rompe, può infatti causare una
trombosi acuta», ha commentato Luigi Inglese,
responsabile del laboratorio di emodinamica
dell’Irccs Policlinico San Donato, «è importante
quindi arrivare a definire l’istologia della placca
per sapere quale possibile evoluzione avrà nel
tempo». L’esame, effettuato con un catetere a ultrasuoni, può indagare
anche un singolo vaso e una singola formazione. «Questi nuovi input, sia
quello di riserva di flusso sia quello istologico della placca, contribuiscono
a definire in modo molto più chiaro la situazione e migliorare l’approccio
medico, sia esso l’angioplastica o il bypass», ha aggiunto Inglese. Al Centro
Cardiologico Monzino viene già utilizzata la virtualizzazione istologica
abbinata all’indagine, già diffusa da tempo, che analizza porzioni di
vaso sempre tramite catetere. «L’intera area di analisi viene suddivisa
in sezioni, anche ampie, e questo aiuta a definire meglio estensione e
severità dell’occlusione, soprattutto per le lesioni che si trovano in punti
particolari. A questo si aggiunge l’analisi morfologica della placca», ha
commentato Daniela Trabattoni della cardiologia invasiva del Centro
Cardiologico Monzino. (riproduzione riservata)
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