lo stato e l`economia prof. mattia lettieri

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“LO STATO E L’ECONOMIA
PROF. MATTIA LETTIERI
Lo stato e l’economia
Università Telematica Pegaso
Indice
1
LO STATO ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2
I FALLIMENTI DEL MERCATO ----------------------------------------------------------------------------------------- 4
3
I BENI ECONOMICI --------------------------------------------------------------------------------------------------------- 5
4
INTERVENTO PUBBLICO ------------------------------------------------------------------------------------------------- 7
5
L’ATTIVITÀ REDISTRIBUTIVA DELLO STATO ------------------------------------------------------------------- 8
6
L’IMPOSIZIONE DI TRIBUTI --------------------------------------------------------------------------------------------- 9
7
GLI EFFETTI DI UN TRIBUTO SUGLI SCAMBI ------------------------------------------------------------------- 11
8
L’EMANAZIONE DI REGOLE DI CONDOTTA DA PARTE DELLO STATO ------------------------------- 15
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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1 Lo Stato
Lo Stato, in economia, agisce almeno in quattro modi diversi:

Mettendo a disposizione beni e servizi che spesso non sono forniti da altri o lo sono in
piccole quantità;

Impone tributi a tutti i cittadini ed è l’unico soggetto economico ad avere il potere legale di
farlo;

Detta regole di condotta ai soggetti economici al fine di preservare forme di mercato che
garantiscano livelli più elevati di benessere;

Effettua manovre di politica economica al fine di combattere mali sociali come la
disoccupazione e l’inflazione.
I primi tre compiti dello Stato sono oggetto di studio della scienza delle finanze ma trovano
la loro giustificazione in ambito economico.
Il quarto invece è oggetto di studio della politica economica.
Normalmente le politiche di lotta all’inflazione e alla disoccupazione sono dette politiche
macroeconomiche.
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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2 I fallimenti del mercato
Secondo la visione liberale dello Stato, quest’ultimo deve limitarsi a svolgere alcune
funzioni essenziali quali: servizi di polizia, difesa nazionale, amministrazione della giustizia e
lasciare il resto all’iniziativa privata.
La visione sociale dello Stato rivendica, invece, un ruolo più ampio dell’intervento pubblico.
La visione sociale dello Stato è ampiamente realizzata, infatti le maggiori nazioni europee,
sperimentano una forma del cosiddetto Stato sociale o Stato del benessere (Welfare State).
Il mercato concorrenziale è in grado di raggiungere da solo le situazioni di equilibrio. In
equilibrio, i consumatori ed i produttori sono soddisfatti delle loro scelte e quest’ultime sono
compatibili. In questo senso l’equilibrio è una situazione desiderabile per i soggetti economici. Ciò
è reso possibile dal sistema dei prezzi che segnala ai compratori e ai venditori, presenti sul mercato,
la direzione in cui orientarsi.
Il sistema dei prezzi, non sempre funziona in maniera adeguata poiché ad alcuni beni è
difficile attribuire un prezzo. Ad esempio le trasmissioni televisive, nel senso che una volta deciso
di trasmetterle in modo che siano captabili da chiunque, è impossibile far pagare il singolo
consumatore.
Il fatto che non si possono applicare prezzi ha delle conseguenze, ad esempio, accade spesso
che i centri cittadini siano congestionati dal traffico, ovvero vi sia una domanda di transito superiore
all’offerta. Se invece esistesse un prezzo, domanda e offerta tenderebbero ad eguagliarsi.
Questi casi rappresentano quelli che si chiamano fallimenti del mercato.
Si tratta di situazioni in cui il sistema dei prezzi non funziona. Di conseguenza i singoli
venditori e compratori non hanno informazioni sufficienti per decidere quanto offrire e quanto
acquistare.
In queste circostanze il mercato conduce a situazioni non ottimali sul piano del benessere, è quindi
possibile che lo Stato intervenga per porvi rimedio.
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3 I beni economici
Un bene economico ha le caratteristiche:

Di soddisfare i bisogni degli individui;

Di essere scarso, cioè non liberamente disponibile.
Queste caratteristiche implicano che gli individui sono disposti a pagare per consumare il bene e
di conseguenza i beni economici hanno un prezzo.
Per quei beni economici che invece non hanno un prezzo si parla di fallimento del mercato,
si tratta in genere di beni che soddisfano i bisogni collettivi.
I bisogni collettivi si distinguono da quello privati perché interessano gli uomini come
gruppo piuttosto che come individui. Sono bisogni collettivi ad esempio i servizi di polizia, la difesa
nazionale, l’illuminazione delle strade, la conservazione dell’ambiente, ecc.
I beni che soddisfano questi bisogni si chiamano collettivi, mentre quelli che soddisfano i
bisogni privati, ovviamente, si chiamano beni privati.
I beni privati, come il pane, gli abiti, ecc., hanno due caratteristiche:

Escludibilità: è possibile attribuirgli un prezzo al fine di impedire a chi non paga di
utilizzare il bene;

Rivalità: è impossibile che più di un individuo li consumi contemporaneamente, ad esempio
se un individuo indossa un abito, non può indossarlo contemporaneamente un altro
individuo.
Tutti i beni che soddisfano queste proprietà sono privati, mentre gli altri sono collettivi.
Un bene economico si chiama, quindi, privato se è escludibile e rivale, altrimenti si chiama
bene collettivo.
I beni collettivi si distinguono in:

Beni pubblici;

Beni misti.
I beni pubblici sono sia non escludibili che non rivali, ovvero tutti possono accedere
all’utilizzo del bene e possono consumarlo contemporaneamente.
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Alcuni beni però posseggono le caratteristiche di non escludibilità e di non rivalità in
maniera parziale. Un parco cittadino, ad esempio, è in qualche misura escludibile poiché lo si può
recintare e far pagare il biglietto d’ingresso. Solo in parte non rivale, perché gli individui si
ostacolano avvicenda nell’utilizzo, ad esempio il parco può essere troppo affollato.
Questi si dicono beni pubblici congestionabili.
I beni misti sono escludibili ma non rivali. Un esempio potrebbe essere per esempio
l’istruzione alla quale è possibile attribuire un prezzo ma il suo utilizzo ha effetti anche su altri
individui. In parte tutti godono contemporaneamente dei benefici dell’istruzione, quest’ultima è in
una certa misura un bene non rivale.
A volte i beni con queste caratteristiche miste generano delle esternalità riferite proprio ai
loro effetti sulle persone esterne.
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4 Intervento pubblico
I beni collettivi possono implicare il fallimento di mercato per:

La non escludibilità;

La non rivalità.
La non escludibilità impedisce ai beni collettivi di avere un prezzo con la conseguenza che il
mercato non può agire efficacemente.
Supponiamo come esempio che un cittadino privato voglia offrire il bene “illuminazione stradale”
utilizzando il mercato. Egli potrà produrla tramite lampioni, cavi elettrici, ecc. ma non potrà
attribuire ad essa un prezzo, poiché il lampione illuminerà tutti quelli che si trovano nel suo raggio
d’azione indipendentemente dal fatto che abbiano contribuito o meno alle spese.
I beni collettivi in quanto non escludibili, verranno prodotti nel mercato in quantità minima
o non prodotti affatto. Questo perché in assenza di prezzi, il produttore privato non trae guadagni
dalla propria attività.
La non rivalità riguarda i beni misti o beni con esternalità. Il problema è che anche le
esternalità, ovvero gli effetti che tali beni hanno su chi non li sta utilizzando, sono prive di prezzo.
Possiamo giungere ad una conclusione generale:

I beni misti con esternalitùà positiva, verranno prodotti nel mercato in quantità inferiore a
quella desiderabile, perché i produttori non traggono benefici dalla propria attività;

I beni misti con esternalità negativa, verranno prodotti in quantità superiore a quella
desiderabile.
L’intervento pubblico per una serie di beni può essere quindi giustificato. Si giustifica il
fatto che lo Stato incoraggi l’istruzione, la sanità e altri servizi sociali e che scoraggi l’uso ad
esempio di automobili inquinanti rendendo obbligatoria la marmitta catalitica.
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5 L’attività redistributiva dello Stato
Lo Stato, oltre alla fornitura di beni, sostiene altre forme di spesa. Ad esempio interviene
distribuendo denaro alle categorie più bisognose: i sussidi di disoccupazione per chi è senza lavoro,
le pensioni per chi è anziano o invalido, ecc.
L’intervento dello Stato si può giustificare perché esso non ha solo il fine di rimediare ai
fallimenti del mercato ma persegue anche l’obiettivo dell’equità nella distribuzione delle risorse.
L’attività redistributiva dello Stato, può essere immaginata come una forma di assicurazione.
Un qualsiasi cittadino può avere il rischio di rimanere senza fonte di reddito perchè disoccupato,
anziano o invalido. Lo Stato quindi, garantisce i cittadini nei confronti di questo rischio.
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6 L’imposizione di tributi
L’attività pubblica diretta alla produzione di beni collettivi e alla redistribuzione necessita
della raccolta dei fondi necessari a finanziare queste spese.
Lo Stato si comporta come un qualsiasi soggetto economico ed ottiene fondi tramite attività
come la vendita o l’affitto di beni patrimoniali, la richiesta di denaro in prestito (il debito pubblico),
ecc..
Sotto questo profilo, lo Stato non ha alcun privilegio rispetto ad un privato, perché nessuno può
essere obbligato a comprare un prodotto.
Esistono, però, forme di finanziamento che sono dovute dal cittadino allo Stato,
rigorosamente imposte e disciplinate dalla legge.
Queste entrate dello Stato hanno natura obbligatoria e sono dette tributi.
I tributi sono motivati essenzialmente dal fatto che lo Stato deve finanziare le sue spese
causate dai fallimenti del mercato, ed esistono modi diversi in cui lo Stato può prelevare i tributi.
Si possono imporre tributi sul reddito, sullo scambio, sulla proprietà.
La raccolta di fondi mediante tributi, deve seguire:

Il criterio dell’efficienza;

Il criterio dell’equità.
Il criterio dell’efficienza, discende dalle proprietà del sistema economico.
Quando lo Stato impone tributi sui mercati dei beni privati, disturba il perseguimento della
situazione di equilibrio. L’intervento dello Stato altera i valori di mercato riducendo la quantità
scambiata ed aumentando il prezzo. I tributi portano quindi ad una diminuzione del benessere del
consumatore, alla quale ci riferiamo come perdita di efficienza.
Un tributo rispetta il criterio dell’efficienza se riesce a raccogliere denaro con il minimo danno per
il benessere del consumatore.
Il criterio dell’equità discende da giudizi morali.
Si ritiene ingiusto che lo Stato, per finanziare attività di cui beneficiano tutti i membri della
collettività, colpisca con i suoi tributi, solo certi soggetti economici.
Il criterio dell’equità serve ad evitare il pericolo che lo Stato, al fine di ottenere i suoi finanziamenti,
possa creare situazioni inique.
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Efficienza ed equità appaiono criteri soddisfacenti se considerati singolarmente, ma hanno
l’inconveniente di essere spesso in conflitto fra loro.
Un criterio ideale di scelta dei tributi cerca di soddisfare due esigenze spesso in contrasto fra
loro, ovvero garantire l’efficienza e l’equità.
Si sostiene comunemente che i tributi imposti sul reddito siano equi perché di solito sono
progressivi. L’equità del tributo è quindi dovuta dal fatto che i ricchi pagano proporzionalmente più
dei poveri.
I tributi sul reddito, però, sono poco rispettosi dell’efficienza. Il reddito degli individui
proviene dalla vendita dei fattori di produzione sui mercati. Un tributo sul reddito può configurarsi
come un tributo sullo scambio dei fattori, esso ha le stesse conseguenze di un tributo sullo scambio
di un bene cioè fa si che l’efficienza non sia conseguita.
I tributi sugli scambi di merci creano perdite di efficienza, a volte però questa è in misura
ridotta.
La perdita dovuta ai tributi sugli scambi può essere misurata in base alle variazioni nella
quantità domandata. Maggiore è la variazione nella quantità consumata dovuta al tributo, tanto
maggiore sarà la perdita di efficienza, cioè tanto più si sarà lontani dal punto di equilibro iniziale.
Il tributo modifica la quantità consumata perché agisce come un aumento di prezzo.
I tributi imposti su beni a bassa elasticità creano piccole perdite di efficienza perché il
consumo successivo all’introduzione del tributo è abbastanza vicino a quello che si aveva prima.
Al fine di minimizzare le perdite di efficienza, bisognerebbe imporre tributi sui beni con
domanda poco elastica.
I tributi sui beni patrimoniali ricoprono case, terreni, titoli del debito pubblico, ecc., oppure
si possono avere tributi patrimoniali in senso stretto i quali incidono sulla proprietà dei beni
immobili o altre forme di ricchezza, come ad esempio un prelievo fiscale sui depositi bancari.
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7 Gli effetti di un tributo sugli scambi
Si può analizzare il caso dello spostamento della curva di offerta a causa dell’introduzione di
un tributo.
Un tributo sulla quantità scambiata è definito come una somma che lo Stato riscuote per
ogni unità di bene acquistato o venduto, un tipico esempio è quello dei tributi sulla benzina.
La caratteristica fondamentale della presenza di un tributo, ai fini
dello studio
dell’equilibrio di mercato, è che essa crea una divergenza fra il prezzo pagato dal consumatore e
quello incassato dal venditore.
E’ possibile considerare la presenza del tributo come un aumento dei costi di produzione,
che comporta uno spostamento verso sinistra della curva di offerta: a parità di prezzo, la quantità di
offerta sul mercato è inferiore.
Gli effetti di un tributo sugli scambi sono rappresentati nella figura n. 59, dove si ha una
curva di domanda D e due curve di offerta S ed S’. La curva S’ è la nuova curva dell’offerta in
seguito all’introduzione del tributo.
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P
S’
C
P’
A
S
B
P
D
Z
E
Z
0
Q’
Q
Q
Figura .n. 59
In base alla figura n. 59 è possibile effettuare una considerazione relativa alla traslazione del tributo.
Si può notare la differenza fra il prezzo di equilibrio prima e dopo il tributo. L’aumento di
prezzo indotto dal tributo, può essere individuato sul grafico come segmento AB.
Questo segmento è minore di quello che indica l’ammontare del tributo, ovvero la differenza
fra il prezzo pagato e il prezzo riscosso, segmento CD.
Questo significa che benché il produttore versi di fatto il tributo allo Stato, egli non ne
sopporta l’intero onere.
In linguaggio tecnico si dice che il tributo imposto sui produttori è Stato parzialmente
traslato a carico dei consumatori.
La traslazione è sempre parziale, infatti chi subisce il tributo, ne paga solo una parte.
Esistono casi speciali, ovvero quelli della traslazione totale e quelli della traslazione nulla.
La traslazione totale è illustrata nella figura n. 60, dove assieme ad una curva di offerta vi è una
curva di domanda perfettamente rigida.
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In questa situazione è facile vedere che l’ammontare del tributo e l’aumento del prezzo sono
identici, infatti entrambi corrispondono al segmento EF.
Il tributo è Stato quindi interamente traslato a carico dei consumatori.
P
D
P’
S’
E
S
P
0
F
Z
Q = Q’
Q
Figura n. 60
La traslazione nulla è rappresentata nella figura n. 61, dove la curva di offerta ha la consueta
inclinazione positiva, mente quella di domanda è perfettamente elastica, cioè orizzontale.
L’aumento di prezzo è 0, per cui i produttori devono sopportare l’intero onere del tributo e la
traslazione è nulla.
Se la domanda è perfettamente elastica, vuol dire che gli individui sono disposti a variare in
qualche modo la quantità acquistata pur di mantenere inalterato il prezzo.
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P
S’
S
P = P’
0
D
Z
Q’
Q
Q
Figura n. 61
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8 L’emanazione di regole di condotta da parte dello
Stato
La terza forma di intervento pubblico è quella che genericamente viene definita come
emanazione di regole di condotta.
Questo tipo di intervento, normalmente, riguarda il monopolio.
Il monopolio crea una perdita di benessere per i consumatori rispetto alla concorrenza perfetta.
Inoltre il monopolio impedisce l’equivalenza fra equilibrio economico generale ed ottimo paretiano.
Tutto questo ci porta concludere che sarebbe desiderabile eliminare i monopoli che già
esistono ed agire affinché non se ne creino di nuovi.
Le politiche pubbliche mirano a reintrodurre la concorrenza perfetta in mercati
monopolistici e ad impedire che si creino monopoli nei mercati di concorrenza perfetta politiche
anti-trust.
In Italia, seguendo l’esempio di altri paesi, è stata creata un apposita agenzia statale detta
anti-trust, ma più correttamente denominata Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
Ha il compito di vigilare sull’attività di tutti i mercati, assicurandosi che:

Laddove esistono monopoli come quello delle telecomunicazioni, può raccomandare
l’introduzione di correnti, al fine di far ridurre il prezzo ed aumentare la quantità scambiata;

Laddove esiste la concorrenza, più o meno perfetta, può controllare che non si creino
posizioni dominanti da parte di un impresa oppure che non si costituiscano barriere
all’entrata di nuovi concorrenti.
Un esempio di introduzione di concorrenti è quello, risalente al 1995, del mercato delle
comunicazioni via telefono cellulare.
Il monopolista Telecom Italia, ha dovuto accettare la competizione di un nuovo fornitore,
Omnitel, e successivamente di altri gestori. In questo modo, lo Stato, sperava di ottenere riduzioni
nel prezzo del servizio offerto a beneficio dei consumatori.
Per quanto riguarda la lotta alla posizione dominante e alle barriere, vi sono molti esempi: si va dai
consorzi alimentari, alle compagnie di taxi nelle grandi città, dalle televisioni alle associazioni di
commercio.
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I consorzi alimentari, ad esempio, tentano di apporre barriere all’ingresso di nuovi
concorrenti registrando i nomi delle merci e vincolando l’utilizzo del nome all’area di origine del
prodotto. In questo modo si riduce la concorrenza e si possono tenere alti i prezzi.
In questi casi, e altri ancora, l’Antitrust, può e deve intervenire al fine di garantire la concorrenza.
Esiste un caso particolare di monopolio, dove la reintroduzione delle concorrenza non è vantaggiosa
per i consumatori, si tratta del monopolio naturale.
Questo tipo di monopolio si verifica quando i costi medi diminuiscono all’aumentare della
produzione, ovvero tanto maggiore è la produzione, tanto meno costa produrre ciascuna singola
unità.
Monopolio naturale si ha quando la produzione presenta sempre rendimenti crescenti di
scala, ovvero costi decrescenti.
La curva dei costi medi non ha la forma usuale ad U ma è progressivamente decrescente.
In questo caso è utile che il mercato sia occupato da una sola impresa, la più grande
possibile, così da garantire prezzi bassi.
Nei confronti del monopolio naturale, la politica anti-trust, non ha ragione di essere
applicata.
Vi sono tuttavia altri problemi che sollevano l’esigenza dell’intervento pubblico. Si pensa ad
esempio il caso in cui il monopolio naturale riguardi un bene di importanza strategica, come ad
esempio l’acqua potabile. In questo caso i rischi potrebbero sorgere se l’erogazione di un servizio
essenziale venisse lasciata in mano ai privati, in regime di monopolio.
Lo Stato, siccome la politica anti-trust non è applicabile al monopolio naturale: o assume la
produzione in prima persona o attua una regolamentazione della produzione privata.
Per regolamentazione si intende un insieme di regole di condotta che garantiscano a tutti i
consumatori l’accesso ad un determinato bene prodotto, ad esempio in regime di monopolio
naturale, da un impresa privata.
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