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Estratto e modificato da: Giannantonio M. (a cura di),
Psicotraumatologia e Psicologia dell’emergenza. Seconda Edizione
Copyright © 2005 Ecomind Srl
Trauma e cervello
Non sembra si possa ancora parlare di un modello neurologico e biochimico dei disturbi post-traumatici sufficientemente
coerente, in quanto sussistono troppe discordanze nei dati presenti in letteratura (Carlson, Dalemberg, 2000; Kry s t a l ,
Bremner, Southwick, Charney, 1998). Esiste, comunque, una
vasta e sufficientemente consolidata letteratura che indica
come conseguenza di alcune situazioni traumatiche, specialmente quando estreme e ripetute nel tempo (come lo stato di
guerra e l’abuso sessuale intrafamiliare), specifiche alterazioni
neurologiche e biochimiche, la cui reale implicazione non è
ancora pienamente compresa. Nella formulazione estrema e
paradigmantica di Bremner (2002), significative alterazioni
neurologiche riguarderebbero non solo il PTSD, ma sarebbero
alla base e costituirebbero l’essenza di un vero e proprio spet tro di disturbi connessi al trauma, includente, oltre al PTSD e
all’ASD, anche la Depressione Maggiore (quando specificamente connessa all’esposizione ad eventi traumatici), i Disturbi
Dissociativi, il Disturbo Borderline di Personalità, i Disturbi
dell’Adattamento, il Disturbo di Conversione, l’Abuso di
Sostanze, i Disturbi dell’Adattamento.
Molte ricerche testimoniano alterazioni nel volume dell’ippocampo destro e/o sinistro e/o indicazioni di minore densità
neuronale ippocampale in reduci di guerre, in donne soggette
ad abusi sessuali prolungati nel tempo, in persone sottoposte
ad abuso fisico e psicologico protratto (Bre m n e r, 1999;
Bremner et al., 1998; Bremner et al. 2003; Krystal, et al., 1998;
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Putnam 1994; Shuff et al., 1997; van der Kolk, et al., 1997;
per una rassegna: Bremner, 2002), in donne che hanno avuto
cancro al seno (Nakano, Wenner, Inagaki, Kugaya, Akechi,
Matsuoka, Sugahara, Imoto, Murakami, Uchitomi, 2002).
Affinché si generi una atrofia ippocampale sarebbero però
necessari alcuni anni di esposizione allo stress cro n i c o
(Bremner, 2002) e una elevata presenza di sintomi di PTSD; in
una recente ricerca su donne dai 20 ai 40 anni affette da PTSD
connesso ad abuso sessuale infantile, con punteggi di medio
livello alla CAPS (Clinician-Administered PTSD Scale: Blake,
Weathers, Nagy, Kaloupek, Klauminzer, Charn e y, Keane,
1990, versione italiana in Conti, 2000), non dimostravano
infatti riduzioni del volume dell’ippocampo e deficit della
memoria (Pederson, Maurer, Kaminski, Kelly, Zander, Peters,
Stokes-Crowe, Osborn, 2004). Bremner et al. (1997) hanno
riscontrato una riduzione del 12% dell’ippocampo sinistro in
un campione di uomini e donne con abuso sessuale e/o fisico
rispetto al campione di controllo. Stein et al. (1997) hanno
riscontrato lo stesso tipo di riduzione, del 5%, in donne con
grave abuso sessuale infantile, un quarto delle quali presentava un PTSD. Gurvits et al. (1996) hanno trovato che le dimensioni dell’ippocampo in individui esposti a traumi, ma che non
hanno sviluppato PTSD, non erano ridotte; hanno rilevato,
invece, una riduzione del 26% dell’ippocampo sinistro e del
22% dell’ippocampo destro in reduci di guerra. Il volume totale dell’ippocampo, la gravità del PTSD come misurata alla
CAPS e con il livello di esposizione al combattimento sembrano altamente intercorrelate (Gurvits et al. 1996). In particolare, l’atrofia ippocampale risulta correlata ai sintomi dissociativi del PTSD (Bremner, 2002). Simili atrofie ippocampali sono
state anche confermate in animali sottoposti a prolungato
stress sociale, lesioni a loro volta correlate con il livello di cortisolo (Sapolsky, Krey, McEwen, 1985; Uno, Tatara, Else,
1989; Watanbe et al., 1992), ma anche in persone con
Depressione Maggiore (Bremner, Narayan, Anderson, Staib,
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Miller, Charn e y, 2000; Sheline, Wang, Gado, Csernasky,
Vannier, 1996), Disturbo Dissociativo dell’Identità (Tsai,
Condie, Wu, Chang, 1999), con il 25% in meno nel volume
dell’ippocampo rispetto ai controlli (Ehling, Nijenhuis, Krikke,
2001), in donne con Disturbo Dissociativo Non Altrimenti
Specificato con una riduzione del volume ippocampale del
15% rispetto ai controlli (Ehling, Nijenhuis, Krikke, 2003), e
in donne con Disturbo Borderline di Personalità (Rush, Elst,
Ludaescher, Wilke, Huppertz, Thiel, Schmahl, Bohus, Lieb,
Hesslinger, Hennig, Erbert, 2003). Alla stessa stregua, si sono
evidenziate alla PET (tomografia ad emissione di positroni)
anomalie nei circuiti che coinvolgono la corteccia prefrontale,
il giro del cingolo e l’ippocampo sia in pazienti con PTSD che
con Depressione Maggiore (Bremner, 2002). In un campione di
44 bambini e adolscenti vittime di maltrattamenti con PTSD
però, non stata riscontrata nessuna anomalia ippocampale
(DeBellis, 1999).
Un problema decisivo è però rappresentato dalla correlazione tra questi dati. La prima ipotesi è che gli ormoni dello
stress abbiano causato queste alterazioni neurologiche. Alcuni
dati recenti, però, non sembrano supportare l’idea che gli
ormoni dello stress siano particolarmente elevati in coloro i
quali svilupperanno in seguito un PTSD (Orr, Pitman, 1999).
L’alternativa esplicativa, forse controintuitiva, è che la dimensione ridotta dell’ippocampo sia un fattore di rischio per il
PTSD (ibid.), ipotesi che però non esclude la precedente. Falls
e Davis (1995), infatti, hanno dimostrato che ratti con lesioni
ippocampali sono maggiormente condizionabili dalla paura.
Una minore dimensione dell’ippocampo (o una minore densità neuronale), quindi, potrebbe predisporre le persone a sviluppare risposte emotive condizionate e più durature quando
esposte ad eventi traumatici (Orr, Pitman, 1999). Se le lesioni
dell’ippocampo facilitino il condizionamento avversivo o interferiscano con il processo dell’estinzione non è però noto (Falls
e Davis, 1995). Un recente ricerca sembra infatti dimostrare
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che una ridotta dimensione dell’ippocampo possa essere un
fattore di rischio per il PTSD cronico di elevato livello di gravità (Gilbertson, Shenton, Ciszewki, Kasai, Lasko, Orr,
Pitman, 2002). Gli autori, infatti, pur avendo riscontrato un
riduzione del 10% del volume totale dell’ippocampo in reduci
di guerra con gravi PTSD, nondimeno hanno riscontrato il
medesimo volume totale dell’ippocampo nei gemelli omozigoti dei pazienti, non esposti alla guerra. In questo studio, inoltre, la gravità del PTSD non si associa alla gravità oggettiva
delle esperienze traumatiche, ma alla riduzione nella dimensione dell’ippocampo. La riduzione del volume ippocampale, infine, è stata riscontrata solamente nei soggetti con un punteggio
superiore a 65 alla CAPS.
Una ulteriore indicazione, indiretta, del coinvolgimento
dell’ippocampo nell’elaborazione delle esperienze traumatiche
deriva dalla constatazione che esperienze simili alla dissociazione, frequentemente presenti in coincidenza di esperienze
traumatiche, possano essere prodotte attraverso la stimolazione elettrica dell’ippocampo e della corteccia ad esso adiacente
(Halgren et al., 1978) o attraverso la somministrazione di
ketamina, i cui recettori sono fortemente concentrati nell’ippocampo (Krystal et al., 1994).
La ricerca, inoltre, indica chiaramente come, in condizioni
di stress eccessivo e/o prolungato, l’amigdala, importante nella
memorizzazione della paura, non incomba in deficit di memorizzazione, al contrario dell’ippocampo, ricco di recettori per i
glucocorticoidi (il termine generico per riferirsi a tali sostanze
nel regno animale, mentre per l’uomo si usa frequentemente il
t e rmine “cortisolo”) ed implicato nell’integrazione delle
memorie e nella collocazione spazio-temporale delle memorie
medesime (LeDoux, 1996). In alcuni casi è stato possibile
riscontrare una correlazione fra queste alterazioni e le performance di recupero verbale alla WAIS (Wechsler, 1958), in presenza di quozienti intellettivi nella norma (Bremner, et al.,
1995; Yehuda et al., 1995). Allo stesso modo, alcuni dati indiTrauma e cervello
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cano che la corteccia prefrontale, con funzione di supervisione
nell’integrazione delle esperienze, controllo ed estinzione nei
confronti dei ricordi di paura memorizzati dall’amigdala,
possa andare incontro ad alterazioni in condizioni particolarmente stressanti, ed in questo modo rendere la memorizzazione da parte dell’amigdala ancora più intensa (LeDoux, 1996;
Levin et al., 1999). Danni a livello della corteccia orbitofrontale possono produrre allucinazioni visive che appaiono simili
ai flashback del PTSD. Sembra che il meccanismo dell’estinzione coinvolga l’inibizione dell’amigdala da parte della corteccia orbitofrontale, ipotesi supportata dagli studi con la PET
(Bremner, Krystal, Southwich, Charney, 1995).
Esperienze prolungate di abuso infantile sono correlate, in
alcuni casi, ad un più basso livello ematico di cortisolo negli
adulti, sostanza liberata spontaneamente dal cervello per ristab i l i re la calma come risposta a prestazioni attacco/fuga
(Resnick, et al., 1995). Altre ricerche, però, indicano un incremento di cortisolo in presenza di PTSD, in linea con la ricerca
in ambito animale (per una rassegna: Bremner, 2002). Da un
punto di vista biochimico è stato osservato che, mentre un
trauma singolo può produrre un incremento della memorizzazione correlato con l’incremento noradrenergico, un trauma
protratto può produrre un depotenziamento mnestico a causa
dell’aumento abnorme di cortisolo e noradrenalina, congiuntamente all’incremento di oppioidi (Schacter, 1999). La noradrenalina, infatti, sembra avere una relazione ad “U invertita”
con il consolidamento della memoria (Hagh-Shenas,
Goldstein, Yule, 1999), o quanto meno con la memoria esplicita, innanzitutto episodica. Yehuda e collaboratori (Yehuda,
Kahana, Binder-Byrnes, Southwich, Mason e Giller, 1995;
Yehuda, 1999b) hanno dimostrato che vi sono deficit neurormonali, in particolare cambiamenti del livello del cortisolo
libero nel cervello di soggetti con una storia verificata di traumi e testimonianze di ricordi assenti, frammentati, distorti o
incompleti del trauma. In laboratorio è stato osservato che il
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rilascio sostenuto di glucocorticoidi in animali esposti a stress
acuto è associato a danneggiamento o perdita di neuroni nell’ippocampo. Il danneggiamento include cambiamenti nell’architettura della cellula ed accresciuta vulnerabilità ad altre
sostanze neurochimiche (Bremner, Davis, Southwick, Krystal,
Charney, 1993). Altri autori, però, hanno invece riscontrato
che il livello di glucocorticoidi non determina la perdita di neuroni nell’ippocampo (Leverenz, Wilkinson, Wamble, Corvin,
Grabber, Raskind, Peskind, 1999), e l’atrofia dell’ippocampo
non necessariamente si associa a deficit nella memoria dichiarativa o neurocognitivi in senso lato (Neylan, Lenoci,
Rothlind, Metxìzler, Schuff, Du, Frankin, Weiss, Weiner,
Marmar, 2004). In realtà, il problema sembra essere più complesso, in quanto i glucocorticoidi, da soli, potrebbero non
rendere conto dei danni all’ippocampo, ma interagire con altri
fattori: anche il rilascio di serotonina durante l’evento traumatico, infatti, potrebbe avere un ruolo in questa atro f i a
(Bremner, 2002; Watanabe et al., 1992).
È inoltre possibile che la noradrenalina giochi un ruolo
importante nella caratteristica iperreattività delle persone con
PTSD e nella vividezza dei loro ricordi; Bremner, Krystal,
Southwick e Charney (1996), riferendosi all’ipotesi dell’effetto
kindling, suggeriscono che una precoce esposizione allo stress,
presumibilmente accompagnata da un aumentato rilascio di
noradrenalina a livello del locus ceruleus, potrebbe sensibilizzare l’individuo nei termini di una successiva reattività amplificata nei confronti di stimoli susseguenti. Altri autori ipotizzano che il correlato biologico di fenomeni come i flashbacks
e gli incubi dei soggetti con PTSD possa essere l’aumentata
innervazione noraderenergica, causata da grave stress, delle
connessioni fra locus ceruleus, ippocampo, amigdala e neocorteccia temporale (Hagh-Shenas, Goldstein, Yule, 1999). Studi
con gli animali hanno dimostrato che una volta che i percorsi
neuronali sono stati attivati da stress intensi, tali percorsi sono
potenziati tanto che gli stress successivi di intensità minore o
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semplici percezioni di minaccia, attivano preferenzialmente
questi percorsi, ed in qualche modo indiscriminatamente; è
possibile che l’amigdala, con le sue estese connessioni al sistema sensoriale corticale, possa contribuire a questa ipersensibilità attraverso un meccanismo di supercondizionamento dovuto ad un particolare consolidamento mnestico su base neurochimica (Charney et al., 1993; Pitman, 1989). A questo proposito, Yehuda, Giller, Southwick, Lowy e Mason (1991)
hanno suggerito che l’esposizione prolungata allo stress nel
periodo neonatale possa avere profondi effetti sulla successiva
risposta del sistema ipotalamo-pituitaria-adrenalina (IPA),
forse alterando la risposta dell’IPA agli stress seguenti, e
potrebbe coinvolgere una sensibilità alterata dei recettori ippocampali dei glucocorticoidi (Copley, Bush, 1999). Si avrebbe
quindi una sensibilizzazione indotta dallo stress: l’esposizione
allo stress condurrebbe ad un’amplificazione della risposta a
stress successivi. Ciò è congruente, ad esempio, con la constatazione che l’esposizione ad abuso fisico infantile incrementa il
rischio di sviluppare un PTSD da combattimento (Bremner et
al., 1993) e che, in generale, l’esperienza di eventi traumatici
sembra essere il principale fattore di rischio per lo sviluppo di
PTSD in seguito all’esposizione ad ulteriori eventi traumatici.
Alcune ricerche, inoltre, hanno riscontrato un aumento
dell’attività REM associato sia al PTSD, sia alla sua gravità;
ciò indicherebbe un cambiamento della neurofisiologia cerebrale in associazione al trauma (per una breve rassegna: Pope,
Brown, 1996).
Esistono anche elementi che inducono a pensare che le
esperienze traumatiche siano legate ad alterazioni nella normale lateralizzazione emisferica delle esperienze. In particolare, sembra essere presente una sproporzionata implicazione
dell’emisfero destro nell’elaborazione dell’informazione legata
ai traumi se comparata all’elaborazione di soggetti di controllo che sono stati coinvolti in semplici ricordi spiacevoli (HaghShenas, Goldstein, Yule, 1999). Durante la rievocazione di un
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trauma, inoltre, sono state rilevate alla PET diminuzioni significative dell’attivazione dell’area di Broca (Rauch et al., 1996;
van der Kolk, in questo volume). Si ritiene che l’emisfero
destro sia particolarmente integrato con l’amigdala, che può
influire su di esso assegnando un significato emotivo agli stimoli in ingresso e nella regolazione delle risposte autonomiche
e ormonali a queste informazioni (Van der Kolk et al., 1997).
Il corpo calloso, inoltre, è risultato di volume ridotto in
alcuni reduci del Vietnam, in vittime di abuso sessuale protratto e in vittime di incuria (Teicher et al., 1997).
Infine, è possibile che le esperienze traumatiche possano
incidere a livello neurologico anche per altre vie, solamente in
parte approfondite. La letteratura, infatti, ha trovato una correlazione tra PTSD in età infantile e ritardo nello sviluppo
cognitivo e motorio nei bambini maltrattati, mancanza dell’uso flessibile delle operazioni cognitive in bambini preoperatori
e operatori, carenza di abilità verbali in bambini abusati fisicamente (Cicchetti, 1984), anormalità EEG nel 54.5% rispetto al 26.9% dei controlli (Ito et al., 1993). È noto, inoltre, che
negli animali il livello di arricchimento o di deprivazione
durante i periodi critici dello sviluppo ha dimostrato di avere
un significativo effetto sulla densità cerebrale (Hebb, 1949).
La constatazione della presenza di danni neurologici come
esito dell’esposizione a condizioni elevate di stress cronico
sembra in apparente contraddizione con la possibilità di guarire dal PTSD. In realtà, negli ultimi anni si è scoperto che l’ippocampo può generare nuovi neuroni nell’età adulta e che
quindi tali deficit sono, potenzialmente, reversibili (Gould,
Reeves, Graziano, Gross, 1999). L’elevata presenza di glucocorticoidi, però, sembra inibire la neurogenesi nel giro dentato
dell’ippocampo (Bremner, 2002). Vermetten, Bremner e altri
autori (ibid.; Vermetten, Vythilingam, Soutwich, Charney,
Bremner, 2003) hanno testato l’ipotesi che terapie farmacologiche efficaci potessero ridurre l’atrofia ippocampale e i deficit
di memoria riscontrati nel PTSD e nella Depressione Maggiore
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somministrando per un anno SSRI (inibitori selettivi della
ricaptazione della serotonina) a pazienti depressi e a pazienti
con PTSD. Il risultato è stata la constatazione di un aumento
del 5% del volume dell’ippocampo e del 35% della memoria
dichiarativa, che risulta essere associata all’attività ippocampale, dopo 9-12 mesi di trattamento con paroxetina
(Vermetten et al., 2003.). Questi dati sono coerenti con le
osservazioni di Duman e collaboratori, secondo i quali l’impiego di SSRI nel trattamento del PTSD incrementerebbe la
ramificazione dei neuroni dell’ippocampo (Duman, Heninger,
Nestler, 1997). La neurogenesi a livello dell’ippocampo è però
certamente una evidenza sperimentale da esplorare in modo
sistematico e più approfondito.
La ricerca relativa all’attivazione di ricordi traumatici
osservata attraverso metodiche di neuroimmagine sembra essere sostanzialmente congruente con questi dati. Il quadro che
emerge complessivamente è che durante l’attivazione dei ricordi traumatici sia presente una iperattivazione dell’amigdala,
concomitante ad una diminuzione della attività di inibizione
top-down sulla stessa da parte della corteccia ventrale del cingolo anteriore e da parte della corteccia prefrontale mediale e
dorsolaterale (con funzione di problem solving, selezione della
risposta, riflessione), una iperattivazione dell’emisfero cerebrale destro, una ipoattivazione dell’area di Broca (per una rassegna: van der Kolk, 2004; Vermetten, Bremner, 2004). La persona si trova quindi a rivivere, come se fossero nuovamente
presenti, esperienze emotivamente intense, senza essere in
grado di etichettarle, regolarle e controllarle adeguatamente,
ragionare su di esse e comunicarle verbalmente in modo adeguato. Il non adeguato funzionamento dell’emisfero sinistro, in
particolare della corteccia prefrontale dorsolaterale, sembra
inoltre essere coinvolto nelle esperienze di derealizzazione,
depresonalizzazione, e percezione delle sensazioni intrusive
come estraee al sé (Lanius et al., 2001).
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Molti elementi portano quindi a ritenere che la codifica,
l’immagazzinamento ed il recupero dei ricordi traumatici possano essere qualitativamente diversi dalle normali attività mnestiche e che le esperienze traumatiche possano compromettere
un normale assetto biochimico, neurologico ed evolutivo della
persona, ovviamente in presenza di fattori di rischio di diversa
natura. Il tutto sembra si possa condensare nel modo seguente: le esperienze tramatiche possono compromettere la normale abilità umana di integrare le esperienze.
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