11/4 AA.VV. Compendio di Diritto Islamico nel CD-Rom glossario in lingua araba dei principali lemmi giuridico-religiosi e rassegna dei protagonisti dell’Islam SIMONE EDIZIONI GIURIDICHE Gruppo Editoriale Esselibri - Simone Estratto della pubblicazione TUTTI I DIRITTI RISERVATI Vietata la riproduzione anche parziale Essendo il diritto islamico disciplina complessa, articolata e controversa, anche per l’applicazione differenziata in circa 60 Paesi, sono graditi osservazioni, suggerimenti, chiarimenti e implementazioni da parte dei lettori e cultori della disciplina. Tutte le indicazioni vanno indirizzate alla Redazione giuridica Simone – Sezione Diritto comparato – Via F. Russo, 33/D - 80123 - Napoli. Attenzione Per agevolare il lettore che non sia cultore del diritto nella migliore comprensione del testo sono stati riportati, nei glossari posti a fine capitolo, le spiegazioni dei principali lemmi citati nonché riferimenti alla terminologia del nostro diritto vigente, del diritto romano o del diritto canonico. Direzione scientifica: prof. Federico del Giudice Hanno collaborato alla stesura del volume le dott.sse: Paola Naibo, Giovanna Cammilli, Saïda Ben el Jarbouh Il catalogo della casa editrice aggiornato è consultabile sul sito: www.simone.it ove è anche possibile scaricare alcune pagine saggio dei testi pubblicati Tutti i diritti di sfruttamento economico dell’opera appartengono alla Esselibri S.p.A. (art. 64, D.Lgs. 10-2-2005, n. 30) Finito di stampare nel mese di ottobre 2008 dalla «Officina Grafica Iride» V.le Prov.le Arzano-Casandrino, VII Trav., 24 - Arzano - Napoli per conto della ESSELIBRI S.p.A., Via F. Russo, 33/D - 80123 - Napoli Grafica di copertina a cura di Giuseppe Ragno Estratto della pubblicazione PREMESSA Questi «principi istituzionali» hanno la sola pretesa di offrire un primo quadro generale dell’Islām, e soprattutto di aprire la mente a chi è interessato alle radici di questo grande movimento giuridico-religioso che, tra l’altro, trova nel Vecchio e Nuovo Testamento origini comuni con il Cristianesimo e con l’Ebraismo. È difficile, in poche pagine, trattare di un sistema così complesso che vige da circa 15 secoli e si estende, pur con diverse sfaccettature, in circa 60 Paesi, coinvolgendo quasi il 20% della popolazione mondiale. È comunque importante e significativo che i cultori del diritto occidentale, diretti eredi degli antichi Romani, pongano attenzione ad una realtà giuridicoreligiosa per secoli oggetto di ostracismo da parte della nostra scienza giuridica, senza ignorare, ad esempio, che i principi islamici di gestione dello Stato nella «fratellanza» e nella «solidarietà» precedono di molti secoli quelli propugnati dall’attuale «Stato sociale». Sarebbe compito di ciascuno di noi, prendendo esempio dall’Islām, guardare alle origini cristiane del nostro ordinamento per ricercare nei «testi sacri» le fonti storiche degli analoghi principi e regole di vita e di convivenza che l’Islām impone da sempre ai suoi fedeli, e che l’imperante agnosticismo religioso e la vigente cultura laicista e individualista dell’Occidente ci hanno fatto mettere in secondo piano. In appendice, per comodità di studio, è allegato un glossario dei principali lemmi giuridico-religiosi e una rassegna dei principali protagonisti dell’Islām. Per consentire una corretta lettura dei nomi e dei termini arabi in lingua originale, è stato allegato un CD con l’esatta pronunzia, nonché il codice di trascrizione ufficiale della lingua araba. • Questo volume analizza i principi giuristici dell’Islām astenendosi da velleitari giudizi di valore, nella sola prospettiva comparativistica con le regole giuridiche occidentali. • La complessità delle diverse «sfumature» terminologiche dei lemmi arabi, non trova piena corrispondenza nella nostra lingua e, pertanto, determina una traduzione non sempre fedele degli istituti. • La traduzione dei versetti coranici è interamente tratta da Il Corano, M.R. Picardo (a cura di), Grandi Tascabili Economici Newton, 2006. Avvertenze Il diritto islamico è la fonte materiale del vigente diritto positivo dei Paesi musulmani, ma non si identifica esattamente con nessuno di questi ultimi. In ciascuno ordinamento, ai principi giuridico-religiosi del Corano e della Sharı̄’ah (che sono il cuore del diritto islamico) si affiancano consuetudini, legislazioni positive, usi locali etc. che disciplinano la vita dei fedeli. Nei Paesi musulmani non esiste (e non lo potrebbe), dunque, una completa identificazione tra comunità religiosa e società civile in quanto i principi dell’Islām dai tempi del Corano hanno incontrato numerose difficoltà per adeguarsi alle nuove problematiche della società civile che è, comunque, dal VII sec. d.C., progredita. Nei Paesi musulmani, soprattutto tra il XIX e XX secolo, si sono verificati tre importanti fenomeni di mutamento: — l’occidentalizzazione del diritto, al fine di consentire lo sviluppo di branche completamente nuove (es. diritto costituzionale) e rinnovare regole (es. diritto penale, commerciale, bancario etc.) cristallizzate dall’ortodossia coranica per mettersi al passo con il mondo contemporaneo; — le codificazioni, per dare ordine alla materia anche attinente allo statuto personale (matrimonio, famiglia etc.) talvolta in inevitabile contrasto con le norme tradizionali islamiche; — la decadenza degli organi giudiziali tradizionali (qāddı̄, mazālim, muhtasib: v. appendice) con l’istituzione di tribunali, sul modello occidentale, chiamati ad applicare il diritto moderno, ispirata, comunque, ai principi dell’Islām. Questa «complessa evoluzione» non è stata uniforme (si è sviluppata in maniera disomogenea nei singoli ordinamenti), né contestuale (si è maturata in luoghi e tempi diversi), né pacifica (dopo un iniziale entusiasmo verso la modernizzazione e l’occidentalizzazione, alcuni Paesi sono regrediti sulla via dell’integralismo). La conseguenza è che il quadro attuale del diritto positivo dei Paesi musulmani si presenta molto diversificato, frammentato e di difficile analisi e ciò stimola l’interesse degli studiosi del diritto comparato che ne seguono l’evoluzione. Indefettibili punti di partenza sono, e restano, il Corano e la Sharı̄’ah che costituiscono il nucleo fondante della comunità religiosa e civile islamica e costituiscono l’oggetto di questo volume, con gli opportuni paralleli e differenze con il nostro diritto e con i necessari cenni alla sua evoluzione-involuzione nei diversi Paesi che rappresentano l’Islām moderno. Estratto della pubblicazione 冟 Capitolo 1 Introduzione al diritto islamico Sommario 冟 1. Premessa. - 2. Cenni storici. - 3. Caratteri generali del diritto islamico. 1. Premessa Il diritto islamico costituisce, per diffusione, accanto ai sistemi di common e civil law, il terzo grande sistema giuridico mondiale. All’Islām (1) attualmente fanno capo milioni di fedeli di religione musulmana presenti nelle varie parti del mondo (v. infra), uniti da vincoli di solidarietà e fratellanza, che costituiscono una comunità islamica di carattere sovranazionale. Non essendo infatti nell’Islām la sfera religiosa distinta dalla sfera giuridica, il diritto islamico rappresenta un momento di coinvolgimento globale e di regole di vita con le quali ogni musulmano è chiamato a confrontarsi, a prescindere dallo Stato o dall’etnia di appartenenza, e la sua evoluzione è strettamente correlata allo sviluppo del pensiero religioso, per cui la scienza giuridica è intimamente legata alla teologia. Inoltre, anche se non tutti i musulmani sono arabi, resta il fatto che, secondo la tradizione, Allah scelse Maometto, un arabo, per inviare il Suo messaggio, che la lingua depositaria dello stesso fu l’arabo e che dall’Arabia partì la spinta universalista che sollevò l’Islām da religione locale e nazionale a fede sovranazionale. Oggi si parla di «diritto degli Stati musulmani» in quanto, pur essendo ampiamente ispirate al Corano e ai precetti giuridici in esso contenuti, le norme vigenti nei diversi Paesi arabi, adeguate alle esigenze giuridiche e sociali attuali, differiscono a seconda di ciascun ordinamento che è frutto della sovrapposizione alle «norme del Libro» di altre norme successive, ispirate soprattutto alle codificazioni europee del XIX secolo (ad esempio in Turchia, Tunisia e Alba(1) «Islām» significa «totale sottomissione a Dio » ed ha la stessa radice delle parole Silm e Salām, «pace». I suoi dettami sono composti essenzialmente dai principi rivelati dall’Arcangelo Gabriele nel 610 d.C. a Maometto successivamente raccolti nel Corano. 6 冟 Capitolo 1 nia è vietata la poligamia, ammessa in altri Stati arabi, pur essendo questo un istituto legittimato, a certe condizioni, dal Corano: v. cap. 4, §3, lett. e). 2. Cenni storici A) Arabia e Medio Oriente preislamici La penisola arabica, all’epoca di Maometto, era una vasta pianura arida e in parte desertica, povera di risorse, popolata da tribù disorganizzate, spesso nomadi, che vivevano per lo più di pastorizia. Isolata rispetto alle grandi vie di comunicazione, essa rappresentava comunque un punto di partenza ideale per la diffusione di nuove idee, grazie anche alla sua particolare collocazione geografica tra Maghreb e Mashreq, tra Mar Mediterraneo e Oceano Indiano. In generale, il Medio Oriente costituiva a quel tempo un grande crocevia di commerci internazionali attraversato dalle Vie della seta e dalle Vie delle spezie, che permettevano di raggiungere, rispettivamente, la Cina e l’Indonesia. Lungo queste grandi vie di comunicazione erano fiorite numerose città carovaniere, quali Palmira, Petra, Damasco e Antiochia. Il sistema giuridico delle popolazioni beduine era imperniato su norme di tipo consuetudinario caratterizzato, da un lato, da procedure sacrali come la divinazione, dall’altro, da una visione estremamente concreta del diritto positivo, come testimonia la riduzione dei delitti a fatti illeciti transigibili tra le parti (es.: legge del taglione). L’antico sistema tribale arabo, in forza del quale l’individuo non riceveva alcuna protezione al di fuori della tribù, permeava il diritto delle persone, penale, della famiglia e delle successioni all’interno di tutta la società araba preislamica. Non esisteva, infine, un sistema giudiziario strutturato e la risoluzione delle controversie veniva affidata ad un arbitro (h· akam) (2), scelto in base alle sue doti personali, al prestigio e alla provenienza familiare, la cui decisione era inappellabile ma non esecutiva e rappresentava sostanzialmente un’affermazione autorevole sulla consuetudine normativa (Schacht). B) Vita di Maometto Secondo alcune fonti tradizionali Maometto (Muh·ammad) nasce tra il 562 e il 572 a Mecca, un importante centro commerciale e cosmopolita dell’Arabia (2) Avviso: la traslitterazione nei nostri caratteri data la differenza dei suoni e delle lettere dell’alfabeto arabo non sempre consente al lettore l’esatta pronuncia delle parole arabe. Estratto della pubblicazione Introduzione al diritto islamico 冟7 dove convivevano diverse comunità religiose, da un importante famiglia di mercanti. Rimasto orfano in tenera età, viene affidato inizialmente al nonno ‘Abd al-Muttalı̄b (capo dei Quraysh) e, in seguito alla morte di quest’ultimo, allo zio Abū T· alı̄b. I numerosi viaggi intrapresi, dapprima con lo zio e successivamente alle dipendenze della ricca vedova Khadı̄ja (che qualche anno dopo diventerà sua sposa), gli permettono di entrare in contatto con le diverse realtà sociali e religiose del Medio Oriente. Sempre secondo la tradizione, nel 610, durante un ritiro sul monte Hira, gli appare l’arcangelo Gabriele che lo esorta a diventare Messaggero (rasūl) e Profeta, incaricato da Dio di rivelare agli uomini la Propria volontà: è questa la fatidica «Notte del destino», che cade in pieno mese di Ramadān. Il Corano (Qur-ān: recitazione, testo da salmodiare) rappresenta dunque per i musulmani la diretta e letterale trascrizione della parola di Dio che, in quanto espressione di tale Suprema, l’uomo non può modificare. Le Rivelazioni hanno luogo in diversi momenti nell’arco della vita di Maometto e vengono in seguito trascritte sotto forma di versetti (ayāt), ordinati all’interno di capitoli (Sure), dai suoi discepoli. Maometto ne inizia la predicazione, esortando i propri concittadini (perlopiù pagani e politeisti) ad abbandonare le altre divinità per sottomettersi ai comandamenti di Allah, unico Dio (Allah e Dio sono sinonimi), nella sua città natale dove ottiene, però, uno scarso consenso. Tra i primi discepoli, oltre alla moglie Khadı̄ja, il suo amico Abū Bakr ed il cugino ‘Ali ibn Abū T·alı̄b, entrambi destinati a succedergli, rispettivamente, come primo e quarto califfo. Perseguitato dai propri parenti e concittadini, Maometto, accompagnato da una settantina di correligionari, si rifugia a Yathrib, città natale della madre, successivamente rinominata Medina (Città del Profeta). È il 622, l’anno dell’Egira (Emigrazione), che diverrà in seguito il primo anno del calendario islamico. Qui egli fonda l’Umma, la prima comunità politica di credenti, il cui fondamento giuridico poggia sul consenso dei membri come inderogabile presupposto di legittimazione del potere di colui che ne assume la guida. Alla comunità tribale chiusa, fondata su vincoli di sangue, si sostituisce dunque una nuova forma di aggregazione sociale aperta e fondata sulla comunanza di ideali religiosi. In seguito ad un periodo di lotte tra Mecca e Medina, nel 630 il Profeta ritorna alla Mecca in testa ad un esercito e la conquista. Due anni dopo Maometto muore prematuramente a Medina, senza precisare chi debba succedergli nel governo dell’Umma. Ciò spiega perché, successivamente, si verificano una serie di contrasti e scissioni all’interno della Comunità islamica destinate a protrarsi fino ai giorni nostri. Estratto della pubblicazione 8 冟 Capitolo 1 C) Nascita del Califfato La scissione tra Sunniti (coloro che si riconoscono nella Sunnah) e Sciiti (shı̄’a, partito di ‘Ali) risale all’assassinio di ‘Ali, quarto califfo dopo Abū Bakr, ‘Umar e ‘Uthmān, e alle controversie insorte alla morte di Maometto sui criteri di successione. Per i Sunniti, con Maometto (definito «Sigillo dei Profeti») termina la Rivelazione, nessuno può succedergli in quanto profeta e il Califfo (Kh·alı̄fa), suo vicario, è il custode dell’eredità profetica che deve essere scelto nel novero dei più fedeli al Profeta stesso per guidare i credenti e amministrare la comunità secondo i dettami del Corano. Gli Sciiti, concentrati soprattutto in Iran e nell’attuale territorio dell’Iraq e appartenenti principalmente alla scuola duodecimana o imamita (la più diffusa) rivendicano, invece, la successione su base ereditaria in quanto ‘Ali, cugino e genero di Maometto, sarebbe stato da lui istruito poco prima di morire sui più profondi segreti dell’Islām e indicato come suo successore. Secondo la tradizione sciita, alla luce di una più attenta lettura di alcuni versetti poco espliciti del Corano (3), la sapienza ricevuta da ‘Ali sarebbe stata trasmessa ai suoi discendenti, che sono pertanto considerati guide (Imām) dotati di incontrastata autorità. D) Le dinastie successive ai califfi Con i primi quattro califfi elettivi (i cosiddetti «ben Guidati») ha inizio l’espansione dell’Islām oltre i confini dell’Arabia, fino a raggiungere a oriente le rive dell’Indo e a occidente la Spagna durante i califfati successivi. Dai califfi successivi originano quattro principali dinastie. La dinastia degli Omayydi, che sposta la capitale a Damasco e mantiene il potere fino al 750 d.C., quando viene rovesciata dalla dinastia degli Abbasidi (che trasferiscono nuovamente la capitale a Baghdad). Questa, come la dinastia dei Fatimidi, la più importante dinastia sciita ismailita con capitale in Egitto che deve il suo nome alla sua discendenza da Fāt· ima, figlia di Maometto, viene soppiantata dalla dinastia dei Turchi Selgiuchidi tra la fine del X e la metà dell’XI secolo. Al loro dominio pone fine l’invasione mongola in seguito alla quale le tribù turcomanne sono costrette a spostarsi ai confini dell’Impero bizantino. (3) Nel Corano sono presenti vari versetti che alludono alla «sacralità della Famiglia del Profeta», «Gente della Casa» o «Ahl Al-Bayt», di cui ‘Ali fa parte in quanto cugino e genero di Maometto. Secondo gli Sciiti , uno dei principali versetti che designano ‘Ali come successore del Profeta recita: «In verità tu non sei che un ammonitore e ogni popolo ha la sua guida» (Corano XIII, 7). Dopo tale Rivelazione, Maometto avrebbe ripetuto: «Io sono un ammonitore, e ogni popolo ha la sua guida »; indicando ‘Ali, avrebbe poi aggiunto «O ‘Ali, dopo di me i Credenti saranno guidati da te». Estratto della pubblicazione Introduzione al diritto islamico 冟9 Tra esse, la tribù di Otsman i cui seguaci, gli Ottomani, danno vita all’Impero turco che, dopo la presa di Costantinopoli nel 1453, estenderà la propria dominazione fino al cuore dell’Europa attraverso i Balcani, mantenendo il potere fino alla prima guerra mondiale. Esso rappresenta la realtà statuale di tradizione islamica tra le più significative con la quale l’Europa si è confrontata per secoli. E) L’espansione dell’Islām L’espansione territoriale dell’Islām costituisce un fenomeno complesso, in quanto non determina il semplice rovesciamento delle istituzioni politico-amministrative dei territori conquistati, ma comporta una serie di conseguenze legate alla conversione dei sudditi alla fede musulmana (proselitismo). L’adesione all’Islām è favorita soprattutto nei territori degli Imperi bizantino e persiano, caratterizzati da ancestrali inconciliabili differenze sociali, perché conferisce alle popolazioni assoggettate gli stessi diritti di cui sono titolari i conquistatori, permettendo così ai nuovi adepti di aderire ad un ideale di fratellanza e di fare parte di una comunità che ignora le differenze di razza e di casta. In secondo luogo, essa determina l’adozione dell’arabo (classico) in quanto lingua sia ufficiale che liturgica e impone l’assoggettamento ad uno stile di vita e a regole sociali e giuridiche scandite dai precetti religiosi del Corano (4) che permeano l’intera esistenza, pubblica e privata, dei convertiti. Con l’Islām i confini tra potere temporale e potere spirituale si sfumano, le cariche pubbliche hanno anche una natura confessionale e coloro che le ricoprono debbono professare la fede musulmana ed assumere atteggiamenti conformi al dettato coranico. Premettendo che esistono differenze terminologiche tra le diverse regioni e delle evoluzioni nel loro uso nel corso del tempo, si distinguono le seguenti figure di vertice dell’Islām: — il sultano, ovvero il sovrano di uno Stato indipendente, che gode del titolo di «Comandante dei credenti» sul quale fonda la propria legittimità (come in Marocco); — il vicerè o delegato del sovrano (il dey di Algeri, il bey di Tunisi, chedivè in Egitto); — il pascià o governatore della città; — lo sceicco, governatore della provincia, o meglio, dei territori tribali della provincia; — il capo del villaggio (muqaddam); — i visir, che sono i ministri del governo. Si veda il cap. 7, §3, lett. D), per l’analisi dei rapporti Califfo-Sultano. (4) L’adesione di tutti indistintamente ai principi del Corano costituisce una garanzia per le classi più deboli che, in ossequio ai precetti religiosi, possono controllare e imporre ai governanti condotte conformi allo spirito e alla lettera del «Gran Libro». Estratto della pubblicazione 10 冟 Capitolo 1 Regola basilare dell’Islām è una generale tolleranza nei confronti della Gente del Libro (ahl al-kitāb), ovvero le comunità monoteiste, che trova la propria fonte nel Corano (5). Le comunità degli ebrei e dei cristiani, infatti, godono della dhimma, ovvero di un patto di protezione illimitato in cambio del pagamento di un tributo, grazie al quale ad esse viene altresì riconosciuta piena libertà religiosa. Ancora oggi in alcuni Paesi musulmani come la Giordania, il Libano, la Siria, l’Iraq, le comunità non musulmane possiedono i propri tribunali e le proprie leggi nelle materie rientranti nello statuto personale. F) La diffusione dell’Islām nel mondo: situazione attuale Oggi il numero dei musulmani nel mondo è stimato intorno a 1200 milioni di seguaci (il 19,4% della popolazione mondiale) di cui 780 in Asia, 380 in Africa, 32 in Europa, 6 in America del Nord, 1,3 in America Latina, 0,3 in Oceania. In 43 Paesi i musulmani rappresentano più del 50% della popolazione e 57 Paesi fanno parte dell’Organizzazione della Conferenza Islamica. In questo quadro, gli Sciiti rappresentano circa il 10% del totale dei musulmani, i Sunniti la schiacciante maggioranza. Forniamo di seguito alcuni dati in dettaglio: Paesi a maggioranza musulmana che applicano la Sharı̄’ah: — Penisola arabica: Arabia Saudita, Kuwait, Yemen, Emirati del Golfo Persico (Mascate, Oman, Bahrein, Qatar); — Africa: Tunisia, Libia, Algeria, Marocco, Egitto, Sudan, Mauritania, Eritrea, Somalia, Mali, Niger, Nigeria, Guinea etc.; — Repubbliche dell’ex Unione sovietica, con assetti istituzionali in evoluzione e non ancora rigidamente definiti: Arzebaigian, Kirghizistan, Uzbekistan, Tagikistan, Turkmenistan etc. Un cenno a parte meritano Turchia e Albania, Paesi a maggioranza musulmana e facenti parte dell’Organizzazione della Conferenza Islamica ma con ordinamenti costituzionali ispirati a principi di laicità. Paesi non musulmani con popolazioni autoctone di fede musulmana: Israele, Cipro (metà turca e metà greca), Etiopia, Eritrea, Ciad, Madagascar, Repubblica sudafricana, Comore, Cina (Yunnah, Mongolia), Repubbliche africane affacciate sull’oceano Indiano, Gibuti, Kenya, Zimbawe, India, Borneo, alcuni stati malesi, minoranze in Tailandia, Vietnam e Filippine, Balcani (Serbia, Bosnia, Bulgaria, Macedonia, Montenegro, Croazia). (5) Il rispetto verso i seguaci della Torah e della Bibbia deriva dal fatto che il Corano si ispira in larga parte a questi «Libri sacri» e ne rappresenta una continuazione che conclude la Rivelazione divina, tanto che venera la figura di Gesù, considerato il buon Profeta, e sua madre Maria cui dedica la sūra XIV. Introduzione al diritto islamico 冟 11 Minoranze musulmane immigrate in Europa: — La Gran Bretagna ha accolto, in seguito alla concessione dell’indipendenza all’India, un numero considerevole di immigrati provenienti dal Bangladesh e dal Pakistan. Dal 1989 esiste un partito politico islamico e dal 1996 è entrata in vigore una norma sui cd. «tribunali d’arbitrato», che sancisce l’applicabilità del diritto islamico alle controversie che le parti vogliano affidare ad un terzo detto, appunto, « arbitro» (in materia di dispute finanziarie, eredità, divorzi, etc.). Dal settembre 2008, inoltre, la Sharı̄’ah è ufficialmente applicabile dai Tribunali civili inglesi. — La Germania ha accolto musulmani provenienti da diversi Paesi, tra i quali spicca la Turchia. Il fenomeno risente delle difficoltà derivanti sia dalla non facile integrazione con la popolazione locale che dalla scarsa coesione interna della comunità musulmana (ostilità tra turchi e kurdi). — In Francia la popolazione musulmana proviene per lo più dalle ex colonie o protettorati francesi. Il processo di integrazione è favorito dalla comunanza della lingua e i musulmani, in gran parte regolarizzati, rappresentano la seconda religione (assieme ai protestanti) presente sul territorio francese. — La Svizzera ha contenuto il fenomeno dell’immigrazione attraverso l’emanazione di norme molto restrittive. L’Islām non è soltanto la seconda religione mondiale, ma rappresenta anche la seconda confessione religiosa per numero di fedeli presente in Italia. Esistono infatti Paesi a maggioranza non musulmana in cui vivono minoranze musulmane, come in Italia, e viceversa. I movimenti islamisti rivendicano nei Paesi arabo-musulmani l’applicazione integrale del diritto islamico, ma anche le minoranze musulmane dei Paesi occidentali, in continuo aumento per i flussi migratori e grazie al tasso di natalità superiore alla media della popolazione europea, chiedono sempre più insistentemente che le legislazioni nazionali tengano conto delle esigenze religiose delle comunità islamiche. Tutto questo e le problematiche che ne derivano sul piano della compatibilità culturale, sociale e giuridica (si pensi, ad esempio, a quella parte delle norme di diritto islamico ritenute inconciliabili con la nozione di diritti fondamentali dell’uomo di tradizione occidentale) impone al mondo occidentale una riflessione e un approfondimento in ordine alla natura e ai principali fondamenti del diritto islamico quali necessari presupposti per la costruzione di un dialogo costruttivo con l’Islām, oggi non più rimandabile. 12 冟 Capitolo 1 3. Caratteri generali del diritto islamico A) Diritto islamico come diritto sacro Il termine Islām significa totale sottomissione a Dio, una sottomissione che coinvolge ogni aspetto della vita di un musulmano, dalla vita privata a quella sociale, dai rapporti giuridici a quelli economici. Il diritto islamico è, anzi, considerato il cuore dell’Islām e rappresenta la scienza religiosa per eccellenza. Nel diritto islamico ritroviamo: — una teologia (Aquı̄da) che fissa i dogmi e stabilisce ciò in cui ogni musulmano deve o non deve credere; — una Legge rivelata (Sharı̄’ah o Via da seguire) che prescrive cosa un musulmano deve o non deve fare; — una scienza del diritto (Fiqh), intesa come l’esatta interpretazione e comprensione della Sharı̄’ah (6). Mentre nei sistemi di common e civil law (v. glossario) la norma giuridica è concepita come prodotto della ragione umana, nel diritto islamico il legislatore per eccellenza è Dio che ha rivelato la Legge al Profeta. La norma giuridica riceve, dunque, la sua legittimazione dal fatto che è emanata direttamente da Dio e metterla in discussione equivale a mettere in dubbio la parola di Dio. Il fatto di essere un diritto confessionale rende, quello islamico, uno strumento che mira non solo al conseguimento di una pacifica convivenza sociale, ma anche e soprattutto al perseguimento di fini di natura ultraterrena. Strettamente legato ad un testo sacro (il Corano), il diritto islamico è dunque subordinato al rituale religioso e risente dello spirito, della lingua e della cultura araba. Per questi motivi esso presenta caratteri propri e peculiari che lo rendono difficilmente assimilabile e comparabile agli altri sistemi giuridici in generale e al diritto canonico in particolare. B) Differenza con il diritto canonico Mentre in Europa il processo di laicizzazione (v. glossario in appendice al capitolo) ha permesso l’integrazione tra diversi sistemi religiosi, etici e filoso(6) È ad essa o alla sua potenziale evoluzione che si guarda con fiducia perché adotti tutti i metodi esegetici per modernizzare il modo di pensare della comunità islamica, abbandonando quelle regole coraniche che sono solo uno storico retaggio della vita sociale del VII secolo, e riaffermare, invece, i grandi principi universali di fratellanza, pacifismo, solidarietà e buon senso che hanno ispirato i credenti e che costituiscono le idee guida dell’Islām. Introduzione al diritto islamico 冟 13 fici e ne ha riconosciuto la legittimità, la visione olistica della Legge sacra che caratterizza il diritto islamico permea ogni aspetto dell’esistenza dei fedeli e dell’Umma (comunità dei credenti) e non consente nessun travisamento di quella che è considerata la parola di Dio, rivelata attraverso il Corano. Anche il diritto canonico nei Paesi occidentali si configura come un diritto «sacro», finalizzato al raggiungimento di fini ultraterreni ma, pur riposando sui principi della fede rivelata e della morale cristiana, esso non costituisce in alcun modo un diritto «rivelato» che si contrappone al diritto statuale, e non ha mai preteso di costituire un sistema giuridico completo e chiuso, bensì sempre in evoluzione sotto l’autorevole guida autocratica del Papa. C) Peculiarità e tratti distintivi dell’Islām rispetto ai sistemi giuridici occidentali A differenza del diritto romano, con il quale presenta alcune analogie in materia di diritti reali e di possesso, il diritto islamico non è strutturato intorno ad un corpo di leggi. Premesso che le norme giuridiche non vengono prodotte dall’uomo, bensì ricavate dal Corano e dalla Sunnah (che si rifà, essenzialmente, ai «detti» e alle «azioni» del Profeta), i principi fondamentali per l’individuazione delle norme stesse sono l’esegesi e, in riferimento alle fattispecie nuove, il ragionamento autonomo o ijtihād, di tipo analogico, che procede per paratassi e associazioni di idee e viene preferito a quello analitico, tipico della tradizione giuridica europea continentale. Anche il metodo casistico rappresenta una delle particolarità del diritto islamico: il suo scopo non è tanto quello di analizzare separatamente gli elementi giuridicamente rilevanti per ricondurli a regole generali, quanto quello di stabilire delle serie graduali di casi. Le stesse categorie giuridiche sono più sfumate rispetto a quelle europee, nei cui ordinamenti vige la logica binaria del lecito e dell’illecito: per il diritto islamico l’atto dell’uomo può essere caratterizzato da diverse valutazioni, può essere obbligatorio, raccomandato, permesso, riprovato o vietato. Invece che un’antitesi tra due concetti (il permesso e il vietato) come in Occidente, ritroviamo nell’Islām una serie di passaggi graduali che conducono dal nucleo principale del primo concetto al secondo. A tali concetti intermedi corrispondono altrettanti effetti graduali anche sul piano giuridico. Un altro elemento di tipicità, connesso al modo di ragionare per analogia, è costituito dal carattere privato e individualistico del diritto islamico, concepito, sotto il profilo formale, come la somma dei diritti soggettivi (o privilegi) e dei doveri degli individui. Estratto della pubblicazione 14 冟 Capitolo 1 Questa visione pervade anche la sfera del diritto pubblico (v. cap. 7) dove non esiste una definizione giuridica dei pubblici poteri, che vengono, invece, descritti in termini di diritti e doveri di privati chiamati ad una funzione istituzionale (ad esempio, i diritti e doveri delle persone che hanno il compito di nominare un califfo e i diritti e doveri di quest’ultimo). Anche le istituzioni fondamentali dello Stato islamico non sono definite in quanto funzioni, ma in termini di doveri che fanno capo a tutti gli individui investiti di pubblici poteri in nome di Allah. Non esiste una suddivisione sistematica per materie nell’ambito del diritto islamico. Accanto a norme procedurali possiamo trovare norme sostanziali e anche le norme di diritto privato sono frammiste a norme fiscali, penali, o di diritto bellico. Infine, se la molteplicità di casi particolari, la mancanza di principi generali e le modalità con le quali le sue fonti scritte vengono integrate dalle opinioni dei dottori delle leggi, avvicinano il sistema giuridico islamico ai sistemi di common law (v. glossario), retti dal principio giurisprudenziale dello «stare decisis» (v. glossario), non è comunque possibile assimilarlo ad essi dal momento che si configura più come un diritto di produzione dottrinale, fondato imprescindibilmente sulla lettura ed interpretazione dei principi coranici, che come un diritto di produzione di nuovi precetti derivanti dall’attività giurisprudenziale. D) Immutabilità e capacità di adeguamento Se da un lato è vero che il diritto islamico, in quanto riflesso dell’ordine divino sulla condotta umana, è considerato intangibile per definizione, caratteristica che lo porrebbe in contrasto con il naturale e necessario adeguamento al mutare dei tempi (cd. immobilismo del diritto islamico), è anche vero che al suo interno si rinvengono una molteplicità di istituti e procedure quali la consuetudine, le convenzioni tra le parti, le finzioni giuridiche o l’intervento del principe, che gli hanno permesso di evolversi almeno in parte, integrando, così, le disposizioni coraniche formalmente non modificabili, disposizioni che risentono di un retaggio di una società civile e religiosa sviluppatasi oltre 14 secoli fa. Inoltre, esso ha potuto sopravvivere nel corso del tempo grazie anche alla sua capacità di poter convivere senza contrasti con altri ordinamenti. Il diritto islamico, infatti, non pretende di avere validità universale: mostrando di tenere conto della propria natura sacrale, è pienamente vincolante solo per i musulmani residenti nel territorio dello Stato islamico, mentre lo è in misura leggermente minore per i musulmani residenti nello Stato non islamico, e solo limitatamente applicabile ai non musulmani residenti in territorio islamico. Estratto della pubblicazione Introduzione al diritto islamico 冟 15 Questo aspetto ha dato luogo nel tempo a fenomeni di co-vigenza di ordinamenti, come è avvenuto per esempio nella penisola iberica successivamente all’invasione e alla cacciata degli arabi (X sec. d.C.), dove ai musulmani rimasti è stato consentito di vivere pacificamente nel territorio conquistato dai cristiani e viceversa. Glossario Abū Bakr: primo califfo dell’Islām dal 632 al 634, il suo vero nome era Abdullah, ma veniva meglio conosciuto come «Siddı̄q» (il veritiero). Ricco mercante e membro del clan coreiscita dei Banu Taym, fu il primo compagno di Maometto a convertirsi all’Islām dopo la moglie Khadı̄ja ed il cugino ‘Ali. Fu eletto al califfato secondo due criteri innovativi rispetto al Corano e alla Sunnah, ovvero la Qarāba (prossimità al profeta) e la Sābiqa (antichità della conversione). Una volta a capo dell’Umma, intraprese la cd. guerra della ridda per combattere l’apostasia di alcune tribù e completare, così, la conquista della Penisola arabica. ‘Ali ibn Abū Talib: nato alla Mecca nel 600 ca., era cugino di Maometto, e nel 622 ne divenne anche · genero sposando la figlia Fāt·ima. Fu quarto califfo dell’Islām e primo imām per lo Sciismo. Partecipò a tutte le campagne militari intraprese dai musulmani, ad eccezione della battaglia di Tabuk, quando Maometto volle che ‘Ali rimanesse come suo rappresentante a Medina. Alla morte del Profeta, nel 632, fu lui a compiere il rito funebre del lavacro del cadavere, e per tale ragione non partecipò alla riunione che lo escluse dal primo califfato designando Abū Bakr. Diventato califfo solo alla morte di Uthmān, dovette fronteggiare le proteste alla sua elezione prima da parte di due compagni di Maometto (che sconfisse nella cd. «battaglia del Cammello» nel 656), e in seguito da parte dell’allora governatore della Siria. I più duri oppositori furono però i Kharijiti, che lo uccisero a Kufa (Iraq) nel 661 per vendicarsi dopo una dura sconfitta subita a Nahrawan nel 658. Civil law: termine con cui viene indicato, nei Paesi di common law, il diritto fondato sulla tradizione giuridica romanistica e germanica. Corrisponde, in pratica, a quella tradizione giuridica che costituisce il fondamento del diritto dei Paesi dell’Europa continentale e dell’America latina Common law: sistema giuridico inglese (e dei paesi anglosassoni, in genere) sviluppatosi ad opera delle Corti regie di giustizia. La struttura giuridica elaborata dalle Corti è profondamente diversa da quella di tradizione romanistica. La (—) si è sviluppata essenzialmente come diritto giurisprudenziale per cui sono gli stessi giudici, attraverso le loro pronunce, a creare il diritto, vincolando anche le decisioni giurisprudenziali successive (cd. case law). Caratteristico dei sistemi di (—) è l’inesistenza della tradizionale partizione romanistica tra diritto privato e diritto pubblico. Diritto canonico: è costituito dall’insieme delle norme giuridiche formulate dalla Chiesa cattolica, che regolano l’attività dei fedeli nel mondo nonché le relazioni interecclesiastiche e quelle con la società esterna. Poiché la Chiesa costituisce un’unica realtà composta da un elemento divino e da un elemento umano, il (—) si compone di norme di origine divina, il diritto divino (es.: la Rivelazione), che si ritiene siano assolutamente inderogabili da leggi umane, civili o ecclesiastiche, e norme di diritto umano che scaturiscono, invece, dal volere delle autorità costituite dalla Chiesa per il governo della comunità dei fedeli, quali ad esempio il Pontefice e il Concilio Ecumenico. Diritto romano: la storia del diritto dei Paesi di tradizione latino-germanica ha come punto di partenza il sistema giuridico romano. I principali lemmi giuspubblicistici e giusprivatistici odierni (potestà, legge, giustizia, giurisprudenza, persona, beni, obbligazioni, contratti, rapporto debitorio, etc.) derivano dal diritto romano che, accanto al diritto naturale e fino alla nascita del Code Civil (1804), ha costituito il fondamentale referente di ogni ricerca giuridica. Per la tradizione giuridica «colta» il diritto romano, soprattutto quello che ha dato origine al sistema del Corpus iuris civilis giustinianeo, è la fonte per eccellenza, ove l’anteriorità e l’autorevolezza hanno addirittura prevalso sul «potere» costituito (Thomas). 16 冟 Capitolo 1 Imām: termine che deriva dalla radice ‘mm che vuol dire «dirigersi verso», «stare davanti», «dirigere», «condurre la gente sulla retta via». Alla morte di Maometto, i suoi vicari vennero chiamati imām (guida della comunità) o khalı̄fa (califfo). Mentre l’imām è colui che distribuisce i credenti nello spazio, la · funzione del kh·alı¯fa (dalla radice khlf ‘venir e dopo’ ‘succedere’) si sviluppa nel tempo. Nell’evoluzione storica e nelle letture occidentali il termine kh·alı̄fa tese a riferirsi al potere temporale mentre il termine imām venne appiattito su aspetti prevalentemente religiosi (VERCELLIN). Mashreq o Mashriq: (dalla radice shrq «sorgere») corrisponde al nostro «Levante» e comprendeva i ricchi territori che andavano dal Mediterraneo orientale all’altopiano iranico. Maghreb o Maghrib: (dalla radice ghrb «tramontare») corrisponde al nostro «Ponente» e si estende nell’area occidentale del Nord Africa a partire dalla Cirenaica; comprende tutti gli attuali Paesi che vanno, in linea orizzontale, dal Marocco all’Egitto. Metodo casistico: metodo induttivo che consiste nel trarre delle regole giuridiche a partire da casi concreti, tipico della tradizione giuridica romana e dei paesi di Common law. Processo di laicizzazione del diritto: intorno al sec. XV l’avvento del Rinascimento e della Riforma protestante contribuirono ad operare un progressivo sganciamento tra diritto e teologia. Emersero nuove istanze legislative che contemplavano i rapporti sociali come patto tra sovrani e sudditi e il diritto naturale fu ritenuto conoscibile con la sola ragione. In modi diversi l’opera di Ugo Grozio, Samuel Pufendorf, John Locke, Thomas Hobbes e dei pensatori illuministi condusse progressivamente, tra ‘600 e ‘700, all’idea di norme costruite razionalmente e scientificamente. Organizzazione della Conferenza Islamica: organizzazione internazionale fondata a Rabat, in Marocco, il 25 settembre 1969, con delegazione permanente alle Nazioni Unite, avente come finalità lo sviluppo e la salvaguardia delle popolazioni musulmane nel mondo. Stare decisis: principio fondamentale degli ordinamenti anglosassoni secondo cui i giudici inferiori sono tenuti a rispettare le sentenze precedenti dei giudici superiori, al fine di assicurare uniformità di orientamento giurisprudenziale. Si noti, inoltre, che una sentenza di incostituzionalità da parte del più alto organo giudiziario (ad esempio, la Corte Suprema negli USA), equivale in pratica, per il principio dello (—), ad un annullamento. Umma: significa letteralmente «Comunità di fedeli». Il termine fu coniato in riferimento alla prima organizzazione politica musulmana a cui Maometto diede origine nel 622, dopo la fuga dalla Mecca a Yathrib (da allora rinominata Medina). La prima rottura all’interno dell’Umma avvenne nel 910, quando il fatimide Ubayd Allah al-Mahdi si autoproclamò califfo contestando il califfato abbasside di Baghdad. Il termine è rimasto in uso ancora oggi, seppure con una valenza diversa: dopo la nascita degli Stati, esso non indica più una forma organizzata di potere politico, bensì la comunità religiosa dei musulmani, che prescinde dalla loro nazionalità. Estratto della pubblicazione 冟 Capitolo 2 Fondamenti e interpretazione del diritto islamico: le scuole giuridiche Sommario 冟 1. La Legge Sacra. - 2. La scienza del diritto. - 3. Le fonti tradizionali del diritto islamico. - 4. Le scuole giuridiche. 1. La Legge Sacra A) Generalità La Legge Sacra o Sharı̄’ah (Corano e Sunnah) (v. glossario), di origine rivelata, è costituita dall’insieme delle norme religiose, giuridiche e sociali nonché dai doveri incombenti su ogni musulmano alla luce del principio «comandare il bene e proibire il male» (Cor. III, 110; V, 78-79)*. Essa è definita nel Corano come il «sentiero», il «cammino che porta alla fonte», la «via da seguire» per arrivare a Dio e comporta la completa sottomissione del fedele, senza riserve, ai comandamenti divini. La Sharı̄’ah delinea sia un ideale di vita basato sulla volontà divina che un progetto realmente applicabile all’attuale contesto storico, anche se si sente impellente una interpretazione evolutiva della legge religiosa adattabile alla diversa epoca in cui viviamo (Cilardo). In quanto tale, la Sharı̄’ah organizza tutta la vita individuale e collettiva della comunità islamica, e viene tradizionalmente distinta in due parti: — una riguardante gli aspetti della vita interiore del credente (dogmatica e morale); — l’altra concernente i suoi atti esteriori nella relazione con Dio, con se stesso e con gli altri uomini (pratiche di culto e rapporti giuridici) (Cilardo). Qualsiasi atto posto in essere dal credente, perché acquisti rilevanza agli occhi di Dio, deve essere accompagnato dalla nı̄ya, ossia dalla precisa e chiara intenzione di compierlo. * I numeri romani si riferiscono alla Sūra, quelli arabi al versetto. 18 冟 Capitolo 2 Questo principio costituisce un concetto chiave di tutto il diritto islamico, che attribuisce una grande importanza alla responsabilità individuale del fedele nell’adempimento dei doveri giuridico-religiosi. B) I cinque Pilastri (arkān addı¯n) Sulla definizione dei doveri fondamentali del musulmano non esiste un’opinione perfettamente concorde tra i giuristi. L’Islām di tradizione sunnita distingue tra quelli che riguardano il rapporto dell’uomo con Dio, ovvero i precetti più propriamente religiosi, e quelli che disciplinano le relazioni tra esseri umani. I primi sono definiti ‘ibādāt, i secondi mu’āmalāt. Le ‘ibādāt, riconosciute come atti di culto fondamentali, consistono nei cinque pilastri (arkān addı̄n) ovvero: — la professione di fede islamica (shahāda), cioè la dichiarazione che «non esiste altra divinità al di fuori di Dio e che Maometto è il Messaggero e il Profeta di Allah (1)» al quale i musulmani devono obbedienza; in seguito a tale dichiarazione, che è un atto personale e volontario, si diventa membri effettivi della comunità islamica con tutto quello che ne consegue sul piano dei diritti e doveri; — l’adorazione quotidiana (s·alāt), che costituisce il secondo atto di culto fondamentale dell’Islām, trova la propria fonte in numerosi versetti del Corano ed è soggetta a precise modalità rituali in termini di periodicità (cinque volte al giorno), orari, luogo, gestualità ed orientamento della posizione del fedele durante la preghiera (in direzione della Mecca), vestiario e purezza rituale (che si ottiene attraverso una preventiva abluzione purificatrice). La preghiera si svolge in maniera comunitaria soltanto il venerdì alle ore 12 nella Moschea; — l’imposta coranica (zakāt), espressione di solidarietà sociale, è dovuta dai musulmani che hanno capacità contributiva (è pari al 2,50% – o al 20% secondo gli Sciiti – del valore dei cespiti patrimoniali superiori ad una sorta di minimo imponibile chiamato nisab) a titolo di assistenza pubblica ai più poveri, a partire dai propri parenti; — il digiuno nel mese di Ramadān (sawm Ramadān), dura un mese lunare ed è obbligatorio per tutti i musulmani che presentino condizioni psico-fisiche tali da poter sostenere la totale astensione da fumo, acqua, cibo, bevande, medicinali e rapporti coniugali dall’alba al tramonto; chi non può sopportarlo ha l’obbligo per lo stesso periodo di nutrire un povero; (1) In arabo traslitterato la shahāda così suona: Ashhadu (credo, sono testimone) anna (che ) lā (non c’è ) ilāha (divinità) illā (eccetto ) Allah (Dio) wa (e) ashhadu (credo) anna (che ) Muhammad (Maometto ) rasūl (il profeta) Allah (di Dio). · Estratto della pubblicazione Fondamenti e interpretazione del diritto islamico: le scuole giuridiche 冟 19 — il Pellegrinaggio alla Mecca (H · ajj), che ogni musulmano dotato dei mezzi economici necessari e di normali condizioni psico-fisiche deve compiere almeno una volta nella vita in un determinato periodo dell’anno (Grande Pellegrinaggio). Il Corano cita anche un altro pellegrinaggio, l’Umra, (Piccolo Pellegrinaggio) che, se svolto nel mese di Ramadān, ha lo stesso valore del Grande Pellegrinaggio. Solo una minima parte della dottrina considera invece la guerra santa (jihād) (2) come il sesto e più importante pilastro dell’Islām, posto a salvaguardia degli altri cinque (v. cap. 7, §4, lett. D). C) Le categorie delle azioni umane Le prescrizioni della Sharı̄’ah non hanno tutte lo stesso grado di assolutezza e i giuristi musulmani hanno classificato gli atti umani in cinque categorie (alahkām al-hamsa) a secondo del loro grado di obbligatorietà: — l’atto obbligatorio o doveroso (fard· ) o necessario (wājib) è quello che il musulmano deve compiere inderogabilmente e senza indugi. Se la sua esecuzione, accompagnata dalla nı̄ya, comporta una ricompensa nell’Aldilà, l’omissione costituisce un peccato punibile nell’altra vita e, qualora incida sulla collettività, un reato contemplato dalla legge positiva e dunque perseguibile. Occorre innanzitutto distinguere tra obblighi incidenti esclusivamente sul rapporto Dio-uomo (es. l’obbligo di assolvere alle cinque preghiere) ed obblighi la cui violazione produce conseguenze negative anche sul corpo sociale (es. la zakāt). Solo per ottenere l’adempimento dei secondi può essere intentata un’azione giudiziaria. Un’altra distinzione riguarda gli obblighi individuali (fard·‘aïn) (es. la preghiera) e gli obblighi comunitari (fard· kifāya) incombenti su una parte della comunità o su un membro della stessa competente ad assolverli (es. ogni comunità deve dotarsi di un giudice e di tutti gli altri professionisti di cui ha bisogno). L’intera comunità è ritenuta, comunque, responsabile in caso di mancata esecuzione. In questo quadro si colloca il dibattito sull’appartenenza della jihād (guerra santa) agli obblighi individuali, incombenti su ogni musulmano, o a quelli collettivi, assolvibili per la comunità da una parte qualificata di essa (in questo caso l’esercito); — l’atto meritorio, raccomandato o desiderabile (mandūb, mustah·abb) è quello che il legislatore raccomanda in modo non categorico e rende colui che lo compie meritevole di lode in questa vita e degno di ricompensa nell’altra (2) La jihād va genericamente intesa come sforzo individuale, prima che collettivo, per la «sconfitta del male» che deve iniziare all’interno di noi stessi per scacciare dalla nostra anima il diavolo e le tentazioni. 20 冟 Capitolo 2 (es. il matrimonio). Tra questi ritroviamo atti più fortemente raccomandati, come quelli che completano gli obblighi religiosi (es. chiamare i fedeli alla preghiera), o gli atti compiuti regolarmente da Maometto (es. leggere qualche passaggio del Corano in occasione della preghiera); — l’atto permesso, indifferente o lecito (mubāh· , h·alāl, jāïz) è quello che il legislatore lascia completamente libero il fedele di compiere o meno e che pertanto non è associato a nessuna ricompensa o punizione; — l’atto riprovevole o reprensibile (makrūh) rappresenta l’opposto dell’atto raccomandato: rende colui che non lo compie degno di lode e colui che lo compie rimproverabile (es. il ripudio che Maometto definisce «l’atto lecito più detestabile»). Tali atti possono essere autorizzati in caso di necessità assoluta (es. mangiare carne di maiale se altrimenti si rischia la morte); — l’atto illecito o vietato (harām, mah·dūr) è punibile in questa e nell’altra vita e rende colui che non lo compie degno di ricompensa nell’aldilà. Anche in questa ipotesi occorre distinguere tra atti che incidono negativamente sul corpo sociale e sono per questo perseguibili (es. il furto) e atti proibiti che, se compiuti, inficiano il rapporto di obbedienza dell’uomo a Dio (es. mangiare intenzionalmente durante il mese di Ramadān), con conseguenze sul piano strettamente intimo. Al secondo gruppo appartengono atti vietati per una causa incidentale (es. la preghiera eseguita in un luogo considerato impuro). Sui loro effetti i giuristi ritengono, da un lato, che siano atti viziati o imperfetti, dall’altro, che possano essere eccezionalmente autorizzati al verificarsi di particolari circostanze. Sulla diversa incidenza delle consuetudini (‘urf) sulle categorie di atti sopra descritte vedasi il par. 2 del capitolo terzo, sulla valutazione del matrimonio vedasi, invece, il cap. 4, §3. 2. La scienza del diritto A) Ruolo dei dottori (‘ulamā ') e dei giuristi (fuqahā ') Dal momento che nell’Islām il potere legislativo appartiene esclusivamente a Dio, il compito dello Stato, sotto questo profilo, si esaurisce nel garantirne la difesa applicando il diritto islamico, vigilando sull’integrità della versione canonica ed emanando delle disposizioni di natura amministrativa non contrarie alla legge religiosa islamica e tali da facilitarne l’applicazione. Esiste altresì una legge laica (qānūn, dal greco kanon), che consiste in tutti quegli atti normativi promulgati dal potere legislativo dello Stato per disciplinare fattispecie non esplicitamente contemplate dalla legge religiosa (v. cap. 3, §2, lett. E). Estratto della pubblicazione Fondamenti e interpretazione del diritto islamico: le scuole giuridiche 冟 21 D’altro canto, non esiste nell’ambito dell’Islām un clero o una gerarchia religiosa, né una figura paragonabile al giurista della tradizione occidentale. L’interpretazione della Sharı̄’ah (v. glossario) è infatti riservata agli ‘Ulamā' (dottori: v. glossario) e ai Fuqahā' (giuristi: singolare faqı̄h), ovvero agli studiosi ed esperti della legge religiosa che, in quanto tali, sono gli unici teorici del diritto in grado di comprendere i testi sacri che costituiscono il fondamento del fiqh (diritto, scienza giuridica, giurisprudenza) e di pronunziarsi sugli stessi. Ponendo la propria opera al servizio della Sharı̄’ah e operando in maniera indipendente dallo Stato, dal momento che le fonti del diritto non promanano dallo stesso, ‘Ulamā' (giuristi, teorici) e Fuqahā' (operatori del diritto pratico) hanno svolto un’importante opera di sistematizzazione e di integrazione del diritto islamico a partire dal Corano e dalla raccolta della Sunnah. B) Il Fiqh Possiamo definire il fiqh (diritto: v. glossario) come «il sistema di norme tratte dalle fonti canoniche dell’Islām per opera dei Dottori ai quali la comunità musulmana ha riconosciuto l’autorità a ciò necessaria e regolanti gli atti esteriori dei musulmani nei doveri verso la Divinità e nei rapporti giuridici con gli altri uomini» (Nallino). Esso presenta i seguente caratteri: confessionalità, personalità del diritto in base alla confessione religiosa, eticità, extra territorialità, imperatività, inviolabilità, ed ha il suo campo di applicazione limitato all’emanazione di regole non contrarie alla Sharı̄’ah, ma tali da agevolarne l’applicazione (siyāsa shar’iya) (Cilardo). La scienza giuridica (‘ilm al-fiqh) viene tradizionalmente distinta in radici della giurisprudenza (ussūl al-fiqh) o fonti del diritto (Corano, Sunnah, ijmā' o consenso, qiyās o analogia) e rami della giurisprudenza (furū’ al-fiqh). Questi ultimi, a propria volta, sono suddivisi in: — obblighi del credente verso la divinità (‘ibādāt), rappresentati essenzialmente dai cinque Pilastri della religione; — rapporti giuridici con gli altri esseri umani (mu’āmalāt) che comprendono la capacità delle persone, la famiglia, le successioni, l’atto di ultima volontà, i diritti reali, la proprietà, il possesso, le obbligazioni, i contratti, le pene, il diritto processuale, la divisione del bottino di guerra. Come si può vedere, all’interno dei furū’ (o rami della giurisprudenza), da un lato sono disciplinate materie che per la tradizione giuridica occidentale non sarebbero qualificabili come tali sotto il profilo normativo, dall’altro, sempre Estratto della pubblicazione 22 冟 Capitolo 2 rispetto ai sistemi occidentali, non trovano alcuna collocazione discipline giuridicamente rilevanti come, ad esempio, il diritto amministrativo; compito del musulmano è di operare nel senso che sia esteso il più possibile l’ambito di applicazione della Sharı̄’ah (Cilardo). Tale operazione va fatta conservando sempre il buon senso e la giustizia; devianti e dannose possono considerarsi le dottrine esasperatamente tradizionaliste (definite fondamentaliste) che vorrebbero applicare integralmente, dopo circa 14 secoli dalla pubblicazione del Corano, la Sharı¯’ah a tutti gli ambiti della vita privata e pubblica del musulmano. 3. Le fonti tradizionali del diritto islamico A) Generalità Le fonti del diritto islamico sono state oggetto di differenti classificazioni, fondate sulla diversità di supporto formale o in funzione della loro origine (trasmesse, a carattere rivelato o razionale). Nelle pagine che seguono ci occuperemo di quelle che sono state definite come le fonti tradizionali del diritto, le cosiddette «radici», adottando il modello di classificazione che le suddivide in due grandi sottoinsiemi: le fonti originarie, di carattere rivelato (Corano e Sunnah) e le fonti derivate, di carattere razionale (ijmā' e qiyās). B) Le fonti originarie: Corano e Sunnah Il Corano (Qur-ān: recitazione ad alta voce, testo da salmodiare (3)) è il libro sacro dell’Islām e rappresenta la prima e incontrastata fonte della Sharı̄’ah. Esso è costituito dall’insieme delle rivelazioni che Maometto afferma di aver ricevuto da Dio e, in quanto tale, è considerato immutabile. Per i sunniti il Corano è increato ed immutabile, essendo la Parola di Dio, secondo gli sciiti esso è creato. Per la tradizione islamica nel suo complesso il Corano fu rivelato al Profeta a brani isolati, sulla base di un archetipo celeste detto «Tavola ben custodita» o «Originale della Scrittura». Le rivelazioni contenute nel Corano furono tramandate oralmente dai discepoli del Profeta fino al momento in cui il califfo ‘Uthmān, nel 776 d.C., ne affidò a Zayd Ben T · ārek la raccolta e sistematizzazione in un testo scritto al fine di crearne una versione unitaria ed ufficiale. (3) Dalla parola «Corano» per alcuni deriverebbe l’appellativo «Al Karı¯m» che significa «generoso» (opinione controversa), oggi, però, si preferisce l’etimologia « Qur-ān», recitazione ad alta voce. Estratto della pubblicazione Fondamenti e interpretazione del diritto islamico: le scuole giuridiche 冟 23 In realtà, secondo la tradizione, i versi venivano annotati per iscritto dagli scribi sui vari supporti disponibili (cocci, foglie di palma, pezzi di cuoio, etc.) immediatamente dopo che Maometto aveva ricevuto una rivelazione e secondo l’ordine indicato dal Profeta. Contemporaneamente, i compagni di Maometto li imparavano a memoria (4). All’epoca della redazione del primo manoscritto non esistevano né i segni per la notazione delle vocali, né i punti diacritici (che servono a distinguere alcune lettere che altrimenti avrebbero la stessa forma). Ecco perché la tradizione orale, senza la quale sarebbe stato impossibile leggere e interpretare il Corano, ha mantenuto la sua importanza nel tempo, al punto che ancor oggi molti studiosi musulmani la privilegiano a quella manoscritta. Il Corano non può essere paragonato ad un codice o ad un testo giuridico-dottrinale in senso stretto, sia per la struttura e lo stile che lo caratterizzano, che per i contenuti che lo contraddistinguono, ma si presenta come opera globale che indirizza le azioni umane dalla culla alla tomba e guida tutti i fedeli senza alcuna distinzione tra loro. Da un punto di vista strutturale, l’opera si presenta suddivisa in 114 Sure o capitoli scritti in prosa rimata, di lunghezza variabile (le ultime sono molto brevi). Esse non furono disposte seguendo un criterio di progressione cronologica, ma in ordine decrescente rispetto alla loro lunghezza (sebbene in modo approssimativo e ad eccezione della prima Sura, «L’Aprente»). Sotto il profilo dei contenuti, l’opera si connota come una raccolta di testi abbastanza eterogenei che contemplano una serie di precetti riguardanti aspetti della vita spirituale, sociale e giuridica dei fedeli e che, se non integrate dalla Sunnah del Profeta e da un’analisi del contesto storico in cui sono state rivelate, presentano apparenti contraddizioni. Al suo interno ritroviamo il richiamo ai principi di vita (come la solidarietà, l’uguaglianza e la fratellanza senza distinzioni di ceto sociale o etnico) di equità e di buon senso, accanto ad una serie di regole pratiche volte alla soluzione di casi concreti più che alla speculazione teologica. Le antinomie, cioè le divergenze tra alcuni versetti, vengono giustificate sulla base del procedimento progressivo con il quale le diverse rivelazioni sono state date da Dio, che si ritiene possa, con disposizioni successive, abrogare le precedenti. Di qui la necessità di stabilire quali versetti sono stati abrogati da altri, argomento sul quale i giuristi musulmani non hanno tutt’oggi un’opinione unanime. (4) L’apprendimento a memoria, oggi ancora utilizzato in alcune scuole coraniche, più che un profondo e puntuale indottrinamento è una tecnica che crea un automatismo psicologico con cui il fedele, con un semplice richiamo alla memoria, trae dalla sua mente la regola coranica di vita da seguire. Estratto della pubblicazione 24 冟 Capitolo 2 Lo strumento dell’abrogazione viene citato esplicitamente dallo stesso Corano ai seguenti versetti: «Non abroghiamo un versetto né te lo facciamo dimenticare, senza dartene uno migliore o uguale» (II, 106) e «Quando sostituiamo un versetto con un altro […]» (XVI, 101). Com’è noto, il Corano fu rivelato lungo un arco di 23 anni, in base alle esigenze della Comunità islamica che si stava allora costituendo; Dio volle, pertanto, che alcuni versetti (in gran parte relativi a questioni legali ed istituzionali) venissero abrogati ( mansūkh) e sostituiti da altri (nası̄kh). Quanto ai contenuti di carattere strettamente giuridico, ad essi sono dedicati circa il 3% dei 6342 versetti che lo compongono (i cosiddetti «versetti legali»). Gli autori musulmani distinguono tra versetti disciplinanti lo statuto personale (70), versetti in materia di diritto civile (70), versetti dedicati al diritto penale (30), versetti che regolano le procedure giudiziarie (13), versetti in materia di diritto pubblico (10), versetti riguardanti l’economia e le finanze (10) e infine versetti in materia di diritto internazionale e bellico (25). Dal momento che le disposizioni coraniche coprono soltanto una parte delle possibili problematiche legate alle relazioni umane, risulta evidente la necessità per cui i giuristi hanno, nel corso del tempo, sentito l’esigenza di integrare il Corano con altre fonti giuridiche autorizzate dallo stesso. C) La Sunnah La Sunnah (condotta, comportamento) o «tradizione» rappresenta il principale punto di riferimento per integrare le disposizioni coraniche e costituisce, dunque, la seconda fonte della Sharı̄’ah. Essa, riferendosi alla vita, agli esempi e agli atteggiamenti del Profeta in vita, offre una serie di regole tradizionali per disciplinare fattispecie non immediatamente contemplate dal Corano. Sul concetto di Sunnah quale fonte del diritto, si dividono ancora una volta le posizioni all’interno del mondo islamico: — per i Sunniti essa comprende, oltre a tutto quello che riguarda la vita del Profeta (il suo comportamento, i suoi taciti assensi, i suoi silenzi, le sue parole), anche la condotta dei primi califfi (Sunnah dei Compagni di Maometto); — diversamente, gli Sciiti riconoscono dignità di fonte normativa soltanto alla Sunnah della Gente della Casa del Profeta (Maometto, sua figlia Fāt· ima il marito ‘Ali — nonché cugino del Profeta — e i loro discendenti). La ricostruzione dei comportamenti di Maometto, dunque, è avvenuta attraverso racconti dei singoli discepoli trasmessi prima oralmente (h·adı̄th, pl. ahādı̄t) e poi fissati in sei raccolte tra l’870 e il 915 d.C. Estratto della pubblicazione