PRIMO BLOCCO DIO CHE SI RIVELA

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PRIMO BLOCCO
DIO CHE SI RIVELA
TERZO INCONTRO - MERCOLEDÌ 18 NOVEMBRE
Partiamo dalla fine: esiste una questione islamica oggi?
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esiste una strana paura dell’islam dovuta a una grande ignoranza (da destra)
la stessa ignoranza dell’islam porta (da sinistra) a combattere il cristianesimo sfruttando
l’islam come un “presunto docile” strumento (pensiamo alla questione dei crocifissi)
esiste un problema di dialogo tra persone (risolvibile con la coscienza personale) e un
problema di dialogo tra istituzioni (pensiamo alla questione della reciprocità nella
costruzione chiese-moschee)
esiste un problema fondamentalismo-terrorismo anche in Italia, le cui dimensioni
conosciamo poco
Definiamo il fondamentalismo: non libro sacro a fondamento della fede ma libro sacro senza
alcun errore umano e senza alcuna necessità interpretativa.
Quali sono le rappresentanze istituzionali in Italia
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UCOOI
Unione musulmani in Italia (imam di Torino)
Associazione culturale islamica in Italia (organizza corsi di arabo e incontri interreligiosi)
Istituto culturale islamico di Milano (a rischio fondamentalismo)
Associazione musulmani italiani (fondata da italiani convertiti)
L’Unione musulmani in Italia di Adel Smith
Alcune cose che dobbiamo sapere subito dell’islam
1. si definisce religione rivelata per eccellenza. Una rivelazione radicalmente differente da
quella ebraico-cristiana: all’ispirazione si sostituisce la dettatura
2. definisce l’ebraismo e il cristianesimo “gente del libro” ma in realtà nessuno è più
attaccato al libro di un muslim. Il Corano è l’unico libro sacro tutto in prima persona,
tutto rivolto all’anima ma tutto utilizzabile come libro sociale
3. definisce Maometto un profeta (anzi “l’ultimo e il solo”) criticando la messianità di Gesù,
Figlio di Dio, ma nessuno come un muslim venera Maometto come un dio. Nessuna
religione è più accentrata su un solo uomo come quelal islamica. Di fatto la parola profeta
lo accredita molto più in alto di un profeta biblico
4. Maometto (Muhammàd = l’inviato) ha vissuto una sorte assolutamente diversa dai profeti
biblici: scarse le persecuzioni / forte il legame con il mondo / forte il legame con le armi /
gloriosa la morte
Cenni alla vita di Maometto
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nasce nel 570
rimane solo all’età di sei anni
si sposa con Kadigia
iniziano nel 610 le rivelazioni
inizia la predicazione alla Kaaba della Mecca
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Egira nel 622 a Medina
formazione della ummah
conquista della Mecca nel 630
morte a Medina nel 632
Semplici considerazioni sulla fede (e teologia) islamica
1. è una teologia limitata e semplicissima. Il Credo (sahada) è essenziale. Non ha la
complessità del Credo cristiano né la bellezza dello Shemà Israel
2. è una teologia pratica. Impone una serie di cose “possibili” nelle quali ciò che conta è la
precisione/fedeltà: la salat cinque volte al giorno/ la zakat secondo una prescrizione libera
(per i poveri) e rigida (per i ricchi) / lo sawm nel mese di Ramadam / lo hagg alla Mecca e
alla pietra nera
3. è una teologia universale, nel senso di valida ovunque. Non esiste lontanamente il
concetto di inculturazione. Quest’ultima aiuta ogni rigido principio a ritrovare se stesso.
Invece i musulmani più si allontanano dal centro (dal paese con la shaarìa) più diventano
rigidi
4. è una teologia che non rischia per l’uomo l’amicizia con Dio. Dio è Allah (potente), ha 99
appellativi amorevoli ma non affettivi, l’uomo è muslim (= sottomesso). La sottomissione
ad Allah è un valido sistema per la sottomissione all’autorità religiosa
5. è una teologia che si preoccupa meno dell’ortodossia (= retta dottrina) rispetto a quella
guidaico-cristiana. Vige più il “consenso dei dotti” che l’autorità religiosa (sempre per il
rispetto del Corano e della Sunna). Ma al tempo stesso un muslim è più sottoposto
all’autorità politica che religiosa e insieme si trova a scegliere tra fazioni anche nemiche
tra loro (come Sunniti e Sciiti)
6. è una teologia poco mistica. Ma va ricordato il movimento sufi (così detto da un
particolare tipo di copricapo) che cercò di incoraggiare una esperienza diretta di Dio. ma si
mantenne nella inalterata alterità di Dio. un avvicinamento che ebbe fortuna in Al Rumi,
fondatore dei Dervisci danzanti (a Iconio).
Come si mantiene la fede islamica
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una ummah molto unita (insegnamento del Corano e dell’arabo). Nota sull’insegnamento
dell’islam nelle scuole pubbliche
il potere dell’imam
il controllo della shaarìa
l’immigrazione come rebus: porterà una ripulita all’estremismo del pensiero islamico o
conquisterà l’Occidente?
È leggibile il Corano?
- Maometto non è l’autore del Corano. È una bestemmia dirlo. L’autore del Corano è Allah.
- Maometto dormiva è l’arcangelo Gabriele più volte gli disse “ Leggi!”. Al Quran significa lettura
ad alta voce
- non è mai esistita una critica o interpretazione coranica
- solo il califfo Utman nel 657 redasse definitivamente il Corano per iscritto nella lingua di allora
- i suoi tre generi letterari sono: precetti, storie ed esortazioni
- le sue fonti sono: AT e NT (citati a memoria e malamente conosciuti), leggende apocrife del NT,
leggende del paganesimo preislamico e leggende manichee (un’eresia del III secolo d.C. di in
teologo sassanide) e zoroastriane (religione del VII sec a.C. diffusa in Iran)
- molti sospetti sulle traduzioni odierne del Corano
I rapporti del cristianesimo con l’islam nella NOSTRA AETATE 3
Il caso Magdi Allam.
Da D'Alema al crocifisso. Noi dominati dagli islamici
«Sottomessi ai taglialingua abbiamo ormai rinunciato all'uso della ragione»
Silvia Zingaropoli (E-Polis, 13 novembre 2009)
Dai nemici del crocifisso, all'eretico D'Alema, dai giornalistiperbenisti, ai buonisti-materialisti. E poi c'è Bersani,
Berlusconi e... persino qualche “taglialingua”. All'insegna dell'islamicamente scorretto, Magdi Cristiano Allam fila
dritto come un rullo compressore.E fioccano anatemi.
Inutile chiederle cosa ne pensa della querelle sul crocifisso..
Dobbiamo ringraziare la Corte europea per i diritti dell'uomo, perché esprimendosi in modo politicamente scorretto, e
manifestando quella realtà di laicismo, di relativismo religioso, che si traduce nella negazione di qualsiasi riferimento
alle nostre radici, ci costringe ad essere anche noi politicamente scorretti.
Fino a che punto?
Ci spinge ad assumere un atteggiamento molto chiaro nell'indicare che non siamo una landa deserta, né vogliamo
diventare una terra di conquista. L'attaccamento al crocifisso, oggi più che mai, rappresenta la frontiera più impegnativa
sul piano della simbologia per contrastare il tracollo, la spinta suicida relativista di un'Europa che è sempre più un
colosso di materialità, e sempre più priva di un'anima
Ma la maggioranza dei paesi europei hanno un'ottica laica della politica. Non si sente un po' demodé?
Se le cose andassero bene, potrei ricredermi. Il punto è che le cose vanno male, sia sul piano economico sia su quello
socio-culturale. È un paradosso che coloro che oggi rappresentano la forza egemone sul piano intellettuale, culturale e
politico, assumano delle posizioni di condanna o di critica nei confronti della fede e della spiritualità, come se al
governo dell'Italia, dell'Europa o del mondo ci fosse il Papa e non loro.
Quindi per lei la fede è la chiave di svolta per le questioni terrene...
L'intervento della fede si impone, perché le cose vanno male. A chi nutre pregiudizi nei confronti di un contributo della
fede al fianco della ragione, dico che è la fede che porta avanti la battaglia della ragione. Sono loro che hanno sostituito
la ragione con l'ideologia.
Uscendo dal seminato, pure la corsa al Pd si è battuta a colpi di laicità.
C'è un male diffuso che si traduce nel fatto che la politica è sempre più appiattita su una dimensione virtuale. E il
consenso lo si ottiene non più per ciò che fai, ma per come appari. L'esponente di punta di questa realtà è Berlusconi.
Ma anche nel Pd ha prevalso la realtà mediatica. E si sono imposti i poteri forti che si concentrano nella persona di
D'Alema, che ha messo alla guida del Pd un suo uomo, Bersani: una brava persona, ma tutt'altro che carismatica.
A proposito di D'Alema, come vede la sua candidatura a MrPesc?
Così come credo che dobbiamo gratitudine alla Corte europea dei diritti umani, auspico che D'Alema diventi
superministro Ue. Perché è il personaggio che corrisponde alla realtà di un'Europa laicista, buonista e islamicamente
corretta. Nutre dei pregiudizi nei confronti degli Usa, della civiltà dell'Europa cristiana, di Israele, amico di Hezbollah,
simpatizzante di Hamas... Se D'Alema riuscisse a farcela sarebbe un bene, perché solo quando toccheremo il fondo ci
renderemo conto di aver incurvato troppo la schiena. E dovremo a invertire la rotta.
Lei oggi vive sotto scorta. Se tornasse indietro rifarebbe e ridirebbe tutto quello che ha fatto e detto?
Secondo lei finora ho parlato in modo politicamente corretto?
Assolutamente no. Del resto è già nella lista dei "cattivi".
Vorrei invitarla a ribaltare la logica della sua domanda. Non sono responsabile della condizione di sicurezza in cui mi
trovo. Io dico solo la verità. Evidentemente la verità di tutti noi è minacciata.
A proposito di libertà, il giornalismo italiano è libero o no?
Se per libertà, intendiamo la possibilità di dire ciò che si vuole senza rischiare di essere incarcerati, allora in Italia la
libertà d'espressione c'è. Tuttavia, c'è un problema di qualità dell'informazione. E l'Ordine dei giornalisti dovrebbe farsi
carico di questo problema, anziché andare in piazza.
Ultima. Dopo l'uscita su Maometto, l'Ucoii querela la Santanché
La Santanché ha solo detto la verità. Anche qui siamo così islamicamente corretti, siamo a tal punto sottomessi al
terrorismo dei “taglialingua” islamici, da aver rinunciato all'uso della ragione.
PERCHÉ PREOCCUPA L’ANNUNCIO SPAGNOLO
Se l’Islam diventa partito
La politica democratica è strutturalmente vincolata a un orizzonte di breve periodo. La natura del
sistema democratico spinge gli uomini politici ad occuparsi solo dei problemi che agitano il
presente. Le altre grane, quelle che già si intravedono ma che ci arriveranno addosso solo domani o
dopodomani non possono essere prese in considerazione. A differenza di ciò che fa la migliore medicina, la politica democratica non si occupa di prevenzione. Se così non fosse, una notizia appena
giunta dalla Spagna dovrebbe provocare grandi discussioni entro le classi politiche di tutti i Paesi
europei, Italia inclusa. La notizia è che, come era prima o poi inevitabile che accadesse, c’è già su
piazza un partito islamico che scalda i muscoli, che è pronto a presentarsi con le sue insegne nella
competizione elettorale di un Paese europeo. Si tratta del Prune, un partito fondato da un noto
intellettuale marocchino, da anni residente in Spagna, Mustafá Bakkach.
Ufficialmente, il suo intento programmatico è di ispirarsi all’islam per contribuire alla rigenerazione
morale della Spagna. In realtà, cercherà di difendere e diffondere l’identità islamica. Avrà il suo
battesimo elettorale nelle elezioni amministrative del 2011. Se otterrà un successo, come è
possibile, solleverà un’onda (ce lo dicono i flussi migratori e la demografia) che attraverserà l’intera
Europa. L’effetto imitativo sarà potente e partiti islamici si formeranno probabilmente in molti
Paesi europei. A quel punto, la strada della auspicata «integrazione» di tanti musulmani che risiedono in Europa diventerà molto ripida e impervia. Perché? Perché la scelta del partito islamico è
la scelta identitaria, la scelta della separazione, dell’auto- ghettizzazione. Si potrebbe anche dire,
paradossalmente, che quando nasceranno i partiti islamici sarà possibile valutare davvero quale sia,
per ciascun Paese europeo, il reale tasso di integrazione dei musulmani. Perché è evidente che il
musulmano integrato (per fortuna, ce ne sono già moltissimi), quello che vive quietamente la sua fede e non ha rivendicazioni identitario-religiose da avanzare nei confronti della società europea in
cui risiede e lavora, non voterà per il partito islamico. A votarlo però saranno comunque molti altri,
sia per adesione spontanea (in nome di un senso di separatezza identitaria) sia a causa della pressione degli ambienti musulmani che frequentano.
Al pari del partito islamico spagnolo, si capisce, ogni futuro partito islamico europeo dichiarerà (e
non ci sarà ragione di credere il contrario) di rifiutare la violenza. Non potrà infatti rischiare (pena il
fallimento del progetto politico) vicinanze o contaminazioni con cellule terroriste più o meno attive
o più o meno dormienti in Europa. Ma ciò non toglie che l’ideologia dei partiti islamici sarà comunque quella tradizionalista/ fondamentalista.
Sarà l’ideologia della cosiddetta Rinascita islamica, impregnata di valori antioccidentali e, alla luce
del metro di giudizio europeo, illiberali. Si tratterà di forze illiberali che useranno la politica per
strappare nuovi spazi, risorse e mezzi di indottrinamento e propaganda. Per questo, il loro ingresso
nel mercato politico-elettorale europeo bloccherà o ritarderà a lungo l'integrazione di tanti
musulmani. Che fare? La politica democratica non può facilmente difendersi da questa insidia. Però
le possibilità di successo o di insuccesso dei partiti islamici nei vari Paesi europei dipenderanno da
un insieme di condizioni.
Conteranno certamente anche le maggiori o minori chances che ciascun singolo musulmano avrà di
ben inserirsi nel lavoro, e di poter accedere, per sé e per la propria famiglia, a condizioni di
benessere (ma guai a credere che basti solo questo per annullare le spinte identitarie). Conteranno
anche, e forse soprattutto, le caratteristiche istituzionali dei vari Paesi europei. Si difenderanno
meglio, io credo, le democrazie dotate di sistemi elettorali maggioritari (che rendono difficile
l’ingresso di nuovi partiti) rispetto a quelle che usano l’una o l’altra variante del sistema
proporzionale.
La Gran Bretagna ha commesso errori colossali con la sua politica verso l’immigrazione
musulmana. Il suo scriteriato «multiculturalismo» ha finito per consegnare all’Islam, e anche
all’Islam più radicale, importanti porzioni del suo territorio urbano (al punto che oggi la Gran
Bretagna deve persino fronteggiare il fenomeno dei numerosi cittadini britannici, di lingua inglese,
che combattono in Afghanistan insieme ai loro correligionari talebani). Tuttavia, quegli errori sono
forse ancora rimediabili. Il sistema maggioritario rende infatti molto difficile l’ingresso nel mercato
politico britannico di un partito islamico. Diverso è il caso dei Paesi ove vige la proporzionale
nell’una o nell'altra variante: l'ingresso è relativamente facile e la politica delle alleanze e delle
coalizioni, tipicamente associata ai sistemi proporzionali, garantisce influenza e potere anche a
piccoli partiti. Una circostanza che i futuri partiti islamici potranno sfruttare a proprio vantaggio. Da
antico, e non pentito, sostenitore del sistema maggioritario penso che quella qui descritta
rappresenti una ragione in più per adottarlo.
Angelo Panebianco
18 novembre 2009
MADRID — Si allunga la memoria storica spagnola. Più indietro, molto più indietro della guerra
fratricida della seconda metà degli anni 30, che tuttora il paese fatica a metabolizzare. Altri ricordi,
assai più antichi, rimordono alcune coscienze: come la cacciata dal Regno di Castiglia dei moriscos,
300 mila musulmani convertiti, più con le cattive che con le buone, e infine espulsi da Filippo III
nel 1609. Esattamente quattro secoli fa. Acqua passata, che però macina ancora nella mente di
scrittori, come Ildefonso Falcones, autore di un migliaio di pagine al riguardo, il best seller
intitolato «La Mano di Fatima»; e di politici, come il deputato socialista di Granada, José Antonio
Pérez Tapias, autore di una proposta in grado di suscitare un probabile vespaio al Congresso.
La sua mozione, presentata dal gruppo parlamentare del Psoe, sollecita il governo a trovare una
forma di compensazione per i discendenti, ovunque essi siano, di quelle popolazioni ripudiate
quattrocento anni fa: «Non erano immigrati, erano spagnoli per davvero, da 800 anni», ricordava
Falcones, che narrando le tribolazioni di uno di loro, il giovane Fernando, intendeva interpretare il
dolore di tutti. Ma i loro pronipoti, in maggioranza, ormai vivono altrove: in Algeria, in Marocco, in
Tunisia, in Libia, in Mauritania, in Mali. Ritrovarli sarebbe comunque abbastanza arduo: «Occorre
fare il possibile per rafforzare i vincoli economici, sociali e culturali con la gente del Maghreb e dei
paesi subsahariani», ritiene José Antonio Pérez Tapias. Una sorta di risarcimento collettivo, a
pioggia, quattrocento anni dopo.
Non è mai troppo tardi per fare ammenda, sostiene il deputato di Granada, rivolgendosi al governo
del suo stesso colore: «È necessario un riconoscimento istituzionale dell'ingiustizia che fu
commessa a suo tempo, con l'espulsione in massa dei moriscos». E sottolinea «ingiustizia storica»,
come una colpa non casuale o involontaria: «Fu commessa per intolleranza religiosa, per quella
politica di assimilazione plasmata sull'alternativa tra conversione ed esilio, per il risentimento della
popolazione cristiana e per la pretesa di configurare un regno integrato nel cristianesimo, senza
minoranze che potessero mettere in dubbio questa coesione».
L'occasione è offerta da un'altra ricorrenza: il millennio del Regno di Granada. Sarebbe
imperdonabile trascurare questo capitolo: «Uno dei più terribili esili della storia di Spagna» insiste
Pérez Tapias. Secondo il quale questo è, per i socialisti, il momento migliore per «recuperare la
memoria storica di una popolazione vittima di una convivenza negata». Pur non rischiando di opporre nuovamente i due fronti nemici della guerra civile, anche queste memorie dividono l'opinione
pubblica. Non tutti condannano Filippo III per aver firmato il decreto di espulsione, non tutti
pensano che la Spagna di oggi sia in debito con i «fratellastri» di allora. Non tutti condividono
l'opinione di Falcones sull'esistenza di un altro fanatismo religioso, quello cristiano. E nei forum dei
giornali on line spagnoli sono più le critiche del plauso alla mozione presentata al Congresso:
«L'ingiustizia storica fu nel 711 — scrive un lettore nel sito di Abc.es, dove in poche ore si sono
accumulati 460 commenti —, quando ci invasero devastando vite e terre». Oppure: «E perché non
fare causa all'Italia per i danni che i legionari romani inflissero alla nostra penisola?».
Pérez Tapias, 54 anni, è docente di filosofia all'Università di Granada, è stato eletto deputato alle
ultime legislative, nel 2008, ed è autore di libri e articoli piuttosto conflittuali con il conservatorismo della gerarchia ecclesiastica spagnola. Quindi, abituato alle polemiche.
(articolo di Elisabetta Rosaspina apparso sul Corriere della Sera il 25 novembre 2009)
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