Biotecnologie applicate all`esplorazione, produzione e

3.4
Biotecnologie applicate
all’esplorazione, produzione
e conversione di oil & gas
Le applicazioni biotecnologiche vengono qui intese
come sfruttamento di processi biocatalizzati, per migliorare o definire nuove tecnologie nel mondo dell’esplorazione e produzione del petrolio. Il petrolio, come
miscela complessa di idrocarburi, è facile substrato per
l’attività degradativa di microrganismi selezionati che,
per poterne utilizzare le componenti necessarie alla crescita cellulare, devono avere caratteristiche di resistenza
ai solventi organici; questo li contraddistingue come
oleofili e solvente-resistenti. Tradizionalmente, importanti applicazioni associate alle attività petrolifere riguardano l’utilizzazione di processi microbiologici per il
trattamento di suoli e acque contaminati. Vengono altresì descritti reazioni e processi strettamente attinenti alle
attività di esplorazione e produzione, quale la gestione
di fenomeni microbiologici dei giacimenti a temperature moderate.
L’impatto economico dei fenomeni di sintesi biologica di H2S nei giacimenti (con conseguente souring o
acidificazione da solfuro d’idrogeno) rende importante
per l’industria la prevenzione di questo fenomeno, non
ancora capito né tantomeno controllato. La vecchia idea
di utilizzare efficacemente batteri indigeni dei giacimenti, o aggiungerne dall’esterno per stimolare un aumento produttivo (MEOR, Microbial Enhanced Oil Recovery), è ancora controversa ma non è stata mai completamente abbandonata. Sempre in ambito industriale è
vivo l’interesse per le vaste riserve di idrati di metano,
abbondantemente presenti sui fondali profondi oceanici, che si ipotizza vengano prodotti da batteri metanogeni che vivono al di sotto dei depositi.
I primi due paragrafi riguardano una breve descrizione delle comunità microbiche attive nelle reazioni di
biotrasformazione degli idrocarburi naturali e una descrizione delle reazioni principali o di più recente scoperta.
Nel paragrafo successivo vengono descritte alcune delle
applicazioni alle attività di E&P attualmente allo stadio
di sviluppo, innovazione o prime prove in campo. Nella
VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ
parte finale vengono quindi descritte attività e prospettive sulla funzionalizzazione biologica del metano.
3.4.1 Microbiologia associata
agli idrocarburi
Gran parte degli spazi che sul nostro pianeta sono occupati da giacimenti di petrolio nelle sue varie composizioni (greggio pesante, leggero, liquido o gassoso) è abitata anche da forme di vita semplici quali batteri, archeobatteri e funghi. Si stima infatti che la gran parte dei
microrganismi del pianeta risieda nella cosiddetta biosfera profonda (deep biosphere), dove i microrganismi
stessi contribuiscono in modo sostanziale ai cicli di trasformazione degli elementi chimici quali carbonio, zolfo,
metalli e minerali. L’importanza dell’interazione della
biosfera profonda con la porzione della crosta terrestre
che ospita accumuli di idrocarburi è dimostrata dal fatto
che la maggior parte del greggio scoperto in giacimenti a temperature inferiori a 70 °C è interessata da una storia più o meno severa di biodegradazione (Larter e Aplin,
2003) e di trasformazione della sua composizione.
Quando il petrolio (o alcune sue componenti) raggiunge
la superficie terrestre o i fondali marini mediante percorsi di rilascio naturale (seepage) o tramite attività legate alla
produzione, in condizioni compatibili con la vita batterica vengono a crearsi i presupposti principali per la formazione di ecosistemi aerobici o microaerofili basati sulle
reazioni ossidative dei componenti idrocarburici.
Microbiologia del sottosuolo
La ricerca sulla biologia del sottosuolo costituisce una
disciplina relativamente giovane e in veloce evoluzione.
Dal punto di vista della ricerca di base gli sforzi si concentrano soprattutto sull’ampliamento delle conoscenze
sulla biodiversità, sulle capacità metaboliche dei microrganismi sotterranei e sulla comprensione dei meccanismi
271
NUOVE TECNOLOGIE PER UPSTREAM
che hanno regolato le origini della vita sul nostro pianeta.
Gli ambienti ottimali per le indagini sulla cosiddetta biosfera profonda sono costituiti dai pozzi di trivellazione.
Attualmente i pozzi che si addentrano in ambienti superprofondi sono molto pochi e nessuno di questi è stato realizzato con finalità esclusivamente scientifiche. Le poche
perforazioni finalizzate al puro scopo di esplorare la vita
microbica non superano i 1.000 m, mentre le più profonde trivellazioni terrestri raggiungono i 12.000 m. La distanza dalla superficie del pianeta non è tuttavia il più importante fattore limitante per la sopravvivenza, costituito,
piuttosto, dalla temperatura.
Fino a oggi il limite superiore di temperatura misurato per la permanenza in vita di un organismo ipertermofilo è di 113 °C, limite che può essere raggiunto sia
a livello delle superfici oceaniche in corrispondenza di
fonti idrotermali, sia a 10.000 metri di profondità in formazioni rocciose sedimentarie. Considerando che a livello globale esistono pochissimi pozzi di trivellazione che
raggiungono tale profondità, a causa degli elevati costi
e delle difficoltà tecniche, se ne deduce che l’esplorazione della biosfera superprofonda è semplicemente agli
albori e che molti aspetti permangono pertanto oscuri.
In particolare, un elemento fondamentale deve essere
ancora chiarito ed è quello che riguarda lo stato metabolico della comunità microbica sotterranea: i microbi
intraterrestri sono metabolicamente attivi a tutti i livelli
in modo costante oppure possono resistere per lunghi
periodi in stato di quiescenza? E per quanto tempo? È
noto comunque che i batteri sono capaci di utilizzare
qualsiasi forma di energia che sia termodinamicamente
disponibile nell’ambiente in cui si trovano. Questa energia può essere rappresentata da materiale organico trasportato dalla superficie terrestre tramite lenti processi
di diffusione delle acque, da carbonio organico rimasto
intrappolato nei sedimenti fin dai tempi della loro formazione, dagli idrocarburi presenti nei giacimenti e da
flussi di geogas come CO2, H2 e CH4 che diffondono
dagli strati profondi del mantello. Potenzialmente queste
fonti energetiche costituiscono una riserva inesauribile
fig. 1. Il ciclo
del carbonio
nella biosfera profonda
(Pedersen, 2000).
per la biomassa del sottosuolo e potrebbero formare la
fonte di sostentamento di veri e propri ecosistemi autonomi, come mostra la fig. 1 che illustra il ciclo del carbonio nella biosfera profonda. Questo ciclo non richiede energia solare come fonte energetica. Idrogeno e CO2
provenienti dagli strati più interni della crosta terrestre
sono metabolizzati dai microrganismi a condizioni di
temperatura compatibili con la vita batterica e in presenza di acqua. Inoltre, su campioni provenienti da perforazioni eseguite su antiche formazioni saline dell’Europa settentrionale, sono stati isolati batteri alofili che apparentemente sono rimasti in stato quiescente per più di
250 milioni di anni. Queste osservazioni implicano il
fatto che esistono alcuni microrganismi nel sottosuolo
che, nelle opportune condizioni, possono essere considerati immortali.
Il fattore che attualmente limita l’espandersi delle
conoscenze sulla geobiosfera è legato alla reperibilità e
alla qualità dei campioni da analizzare, poiché i processi di perforazione profonda sono molto costosi e tecnicamente complessi. I campioni disponibili molto spesso provengono da trivellazioni petrolifere tradizionali.
Su fanghi e acque di formazione degli strati oleosi è stato
possibile identificare e classificare diverse specie microbiche, molte delle quali apparentemente non legate al
metabolismo degli idrocarburi.
Le tecniche utilizzate per la ricerca sono di tipo sia
tradizionale coltura-dipendente, sia molecolare colturaindipendente. I metodi coltura-dipendenti prevedono l’isolamento su terreno selettivo specifico e la successiva
classificazione dei ceppi batterici presenti in un certo
ambiente. Sulle colture pure è poi possibile effettuare
una serie di sperimentazioni mirate alla caratterizzazione biochimica e genetica dei ceppi in esame. La concentrazione e l’insieme caratterizzante di condizioni
ambientali (principalmente temperatura), donatori di elettroni, concentrazione salina e nutrienti hanno un forte
peso nel determinare la composizione del consorzio
microbico nell’ecosistema della roccia serbatoio (reservoir), che in tipiche condizioni di assenza di ossigeno
batteri ferro-riduttori
polimeri
organici
batteri solfato-riduttori
batteri
acetogeni
CH4
CH4
acetato
degradazione
anaerobica
acetato
metanogeni
autotrofi
metanogeni
acetoclastici
H2
CO2
geogas
272
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
BIOTECNOLOGIE APPLICATE ALL’ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E CONVERSIONE DI OIL & GAS
può essere composto da batteri metanogeni associati a
batteri fermentativi o acetogeni o, spesso in alternativa,
da batteri solfato-riduttori, ferro-riduttori e fermentativi. Poco si sa sulle fonti di azoto e fosforo utilizzate,
anche se l’azoto potrebbe essere fissato direttamente, o
utilizzato tramite la biodegradazione di componenti azotoorganici del greggio. I microrganismi isolati più frequentemente negli ambienti correlati ai giacimenti petroliferi appartengono ai generi Desulfovibrio, Thermotoga (batterio fermentativo resistente ad alte temperature
e concentrazioni saline), Thermoanaerobacter, Geobacillus, Petrotoga, Thermosipho e Thermococcus. Si
tratta di microbi anaerobici meso- o termofili caratterizzati da temperature di crescita ottimali comprese
tra 40 e 90 ºC. Alcuni tipi di Archaea solfato-riduttori e fermentativi sono stati isolati ripetutamente, come
per esempio Archaeoglobus fulgidus, archeobatterio
ipertermofilo e solfato-riduttore, isolato da impianti
petroliferi dove può causare fenomeni di produzione
di solfuro di idrogeno ad alta temperatura (80-85 °C)
e corrosione metallica e che può formare biofilm, e
Methanococcus sp., archeobatterio anaerobio autotrofo, che trasforma CO2 e H2 in metano e per il quale
il valore ottimale di temperatura per la crescita è 85
°C, anche se alcune specie resistono bene a pressioni
di circa 200 bar (fig. 2).
I metodi coltura-dipendenti sono tuttavia fortemente limitati nel loro campo d’azione perché solo una piccola frazione dei ceppi batterici (0,1-1%) può essere
coltivata in laboratorio. Per l’identificazione di quei
microrganismi che non possono essere coltivati in vitro
esistono tecniche di biologia molecolare che, attraverso l’utilizzazione di sonde di DNA (primer) specifiche
per certe sequenze geniche, permettono di stabilire l’appartenenza filogenetica degli organismi presenti nel
campione di suolo o d’acqua analizzato. Mediante questo tipo di approccio è stato possibile ampliare sensibilmente la conoscenza sui microrganismi coinvolti nella
microbiologia del giacimento, anche se occorrono ancora ulteriori indagini per avere un quadro chiaro sulla
A
B
loro distribuzione, funzione e interazione ecologica
(Magot et al., 2000).
Gli stessi approcci sopra descritti sono stati adottati
per la caratterizzazione metabolica e filogenetica dei batteri che popolano altri ambienti estremi tipici delle zone
profonde della Terra, come i vulcanetti di fango (mud volcanoes) e i sedimenti profondi e freddi delle fosse oceaniche. Di particolare interesse scientifico si sono rivelati
gli studi sulle proprietà di alcuni microrganismi capaci di
regolare il proprio metabolismo in funzione delle altissime pressioni di quegli ambienti (fino a 700 bar), attraverso meccanismi biochimici specifici e inducibili dalle
condizioni di iperbarofilia. Particolarmente rilevante per
l’industria petrolifera negli sviluppi della ricerca in questo campo potrebbe essere l’individuazione di specie o
geni associati alla presenza di idrocarburi in ambienti
anossici, potenzialmente utilizzabili come marcatori della
presenza di idrocarburi in ambienti poveri di ossigeno.
Microbiologia aerobica degli idrocarburi
Microrganismi in grado di utilizzare metano, alcani
e componenti aromatiche del petrolio come fonte di carbonio in presenza di ossigeno sono estremamente diffusi in natura, in ambienti sia acquatici sia terrestri. In particolare, studi molecolari effettuati negli anni Novanta
hanno fatto luce sulle popolazioni microbiche ‘specializzate’ che contribuiscono alla risposta naturale degli
ecosistemi marini e terrestri al rilascio accidentale di
grandi quantità di idrocarburi nell’ambiente.
L’utilizzazione di consorzi o ceppi batterici aerobi
selezionati per la rimozione di idrocarburi dall’ambiente è spesso rivendicata anche commercialmente. L’uso
di ceppi non autoctoni per applicazioni di tipo ambientale deve essere tuttavia valutato accuratamente in alternativa a strategie di stimolazione, mediante aggiunta di
nutrienti, della flora microbica locale, generalmente
meglio adattata all’ambiente in cui si trova. Per il tipo di
reazioni e i generi batterici associati alla degradazione
aerobica e anaerobica di varie classi di composti del
petrolio, v. oltre.
C
fig. 2. Immagini al microscopio di cellule batteriche isolate da acque provenienti da giacimenti petroliferi:
A, sezione di cellule di Thermotoga; B, cellule di Archaeoglobus fulgidus; C, Methanococcus sp.
VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ
273
NUOVE TECNOLOGIE PER UPSTREAM
Negli anni Novanta hanno suscitato particolare interesse alcuni microrganismi aerobi specializzati capaci di
rimuovere selettivamente composti organosolforati da
prodotti petroliferi, quali i distillati più pesanti. I generi batterici più attivi in questo tipo di reazione sono in
gran parte limitati a microrganismi quali Rhodococcus,
Gordonia e Mycobacterium, un gruppo di batteri ubiquitari sulla superficie terrestre, filogeneticamente vicini tra loro ed estremamente versatili dal punto di vista
metabolico. Per le potenziali applicazioni nel campo dell’upgrading petrolifero, v. par. 3.4.3.
3.4.2 Reazioni
Biotrasformazione aerobica delle principali
componenti del petrolio
Biodegradazione degli alcani
I sistemi biologici di ossidazione aerobica degli alcani differiscono in base al numero di atomi di carbonio
che compongono la catena idrocarburica: C1, C2-C4 (gassosi), C6-Cn (liquidi). Non è ben nota la collocazione di
C5 (pentano), in quanto in letteratura spesso questo composto non viene considerato come molecola modello per
la sperimentazione.
Mentre il metano viene abbondantemente prodotto in
natura per via biogenica, non è nota alcuna sintesi biologica di etano, propano o butano. Per questa ragione, la presenza di questi idrocarburi nell’ambiente è associabile a
rilasci naturali da depositi soggiacenti (microseep) o, in
alternativa, da contaminazione dovuta all’attività di uso o
produzione. Le molecole che più spesso sono presenti nei
microseep sono C1-C6. L’etano viene considerato il migliore indicatore di olio, seguito da propano e butano.
I microrganismi in grado di metabolizzare il metano vengono denominati metanotrofi. I metanotrofi
maggiormente caratterizzati appartengono a due gruppi distinti che differiscono per caratteristiche sia filogenetiche sia fisiologiche. Le specie note del tipo I appartengono ai generi Methylococcus, Methylomicrobium,
Methylobacter e Methylomonas; quelle del tipo II sono
Methylosinus e Methylocystis. Numerosi studi hanno
dimostrato che i batteri metano-ossidanti sono estremamente diffusi nei più disparati ambienti.
La molecola di metano viene ‘attivata’ e resa disponibile per il metabolismo cellulare attraverso una reazione di ossidazione catalizzata dall’enzima metanomonossigenasi. I metanotrofi di entrambi i tipi sono in
grado di sintetizzare una metano-monossigenasi detta
insolubile (pMMO, particulate Methane-MonOxygenase) mentre i metanotrofi di tipo II e Methylomonas (tipo
I) sono in grado di sintetizzare una seconda metanomonossigenasi detta solubile (sMMO, soluble MethaneMonOxygenase). Le metano-monossigenasi catalizzano la trasformazione di metano in metanolo; il metanolo viene a sua volta trasformato in formaldeide, come è
schematicamente rappresentato in fig. 3. La formaldeide entra nel circuito del metabolismo cellulare seguendo diverse vie, caratteristiche delle diverse specie.
Le metano-monossigenasi insolubili sono costituite
da tre subunità, codificate dai geni pmoA, pmoB e pmoC.
Le tre subunità probabilmente sono associate a formare
un dimero (ABC)2; pmoA contiene il sito catalitico. La
sequenza amminoacidica di pmoA, intera o parziale, è
nota per molte specie: essa ha alte omologie con le ammonio-monossigenasi che catalizzano la trasformazione di
ammonio in idrossilammina.
Le metano-monossigenasi solubili sono costituite da
tre componenti principali: una idrossilasi (mmoH), una
reduttasi (mmoR) e una proteina regolatrice detta proteina B (component B, mmoB). L’idrossilasi, responsabile diretta della ossidazione del metano a metanolo, è
costituita a sua volta da più subunità e si trova nella forma
sMMO
H2O
O2
CH4
CytCox
CH3OH
O2
CytCred
X
HCHO
XH2
HCOOH
CO2
H2O
CytCred
CytCox
pMMO
fig. 3. Cammino metabolico di ossidazione del metano da parte di microrganismi aerobi. NAD⫹,
CytCox e X (un generico composto) rappresentano i cofattori enzimatici delle reazioni nella forma ossidata,
indicati come NADH, CytCred e XH2 nella forma ridotta.
274
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
BIOTECNOLOGIE APPLICATE ALL’ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E CONVERSIONE DI OIL & GAS
dimerica (abl)2. La subunità a contiene il sito catalitico ed è codificata da un gene denominato mmoX: un centinaio di sequenze amminoacidiche, complete o parziali, è stato depositato nelle banche dati pubbliche.
Mentre in alcuni casi sono note le sequenze di tutti i
geni che codificano le diverse subunità delle metanomonossigenasi e delle altre proteine ancillari, per quanto riguarda le pMMO e le sMMO nella maggior parte
delle specie è conosciuta solamente la sequenza della
subunità catalitica o di parte di essa. Inoltre le metanomonossigenasi sono enzimi estremamente conservati e
tra le sequenze delle diverse specie il livello di omologia è alto, mentre sMMO e pMMO non sono omologhe
tra loro.
Microrganismi in grado di crescere utilizzando alcani gassosi diversi dal metano, cioè C2-C4, sono presenti
nell’ambiente e sono ritenuti indicatori significativi della
presenza di giacimenti di petrolio. Alcuni dei ceppi in
grado di crescere su propano e/o butano sono stati isolati: dal punto di vista biochimico e genetico questi sono
gli alcano-ossidanti meno conosciuti.
Analogamente al caso del metano, gli alcani vengono trasformati in alcoli primari, secondari o di entrambi i tipi dipendentemente dalla specie presa in considerazione.
Tra i sistemi studiati è stato ampiamente caratterizzato quello della butano-monossigenasi di Pseudomonas (Thauera) butanovora. In questa specie batterica la
monossigenasi che catalizza l’ossidazione del butano ha
notevoli omologie con le metano-monossigenasi solubili. Recentemente sono stati identificati altri sistemi, non
ancora ben caratterizzati, attraverso i quali propano e
butano vengono utilizzati come fonti di carbonio. Un
ceppo di Gordonia (Gordonia sp., ceppo TY-5) in grado
di utilizzare butano contiene enzimi con caratteristiche
simili alla famiglia delle diferro-monossigenasi, come
nel caso della butano-monossigenasi di P. butanovora.
Le omologie con la butano-monossigenasi di P. butanovora, tuttavia, non sono elevate, sebbene evidenti, e sono
concentrate nelle porzioni della catena polipeptidica con
funzioni specifiche, per esempio quelle che sono in grado
di legare ioni Fe2⫹/Fe3⫹, fondamentali per l’attività. Le
diferro-monossigenasi sono state suddivise in gruppi in
funzione sia dei substrati sui quali sono attive, sia delle
omologie di sequenza dell’enzima.
I microrganismi in grado di utilizzare alcani non gassosi hanno frequentemente in comune il sistema enzimatico alk: una alcano-idrossilasi legata alla membrana,
alkB, trasforma la molecola di alcano nel suo alcol primario; nella reazione intervengono una rubredossina e
una rubredossina-reduttasi. Il sistema è stato studiato a
fondo in Pseudomonas putida Gpo1, di cui è presentato
uno schema in fig. 4. I geni alk sono presenti in numerose specie batteriche e di alcune sono note le sequenze
degli interi operoni che codificano le proteine coinvolte.
Tra queste la più studiata è alkB. Alcune specie contengono nel proprio genoma più di una copia del gene codificante, alkB: fino a cinque in alcuni Rhodococcus, due
alkL
alcano-idrossilasi
(alkB)
membrana
plasmatica
trasporto interno?
alkB
alkN
alkJ
alkG
OH
alkT
rubredossina
(alkG)
chemiotassi?
O
alkH
cammino
metabolico
OH
alkF
O
alkK
citoplasma
SCoA
NADH
FAD
O
ciclo
b-ossidativo
sS
alkSp1
alkST
alkSp2
alcani o DCPK
alkS
regolazione
rubredossinareduttasi (alkT)
alkBp
alkBFGHJKL (alkN)
fig. 4. Il sistema enzimatico alk (van Beilen et al., 2001): cammino metabolico di degradazione degli alcani
e ruolo dei geni alk. L’operone alk codifica l’alcano-monossigenasi (alkB), due rubredossine (alkF e alkG),
un alcol- e un’aldeide-deidrogenasi (alkJ e alkH), un alchil-CoA-sintetasi (alkK) e una proteina esterna
di membrana con funzione sconosciuta. DCPK (DiCycloPropylKetone), induttore genico che mima gli effetti degli alcani.
VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ
275
NUOVE TECNOLOGIE PER UPSTREAM
in Pseudomonas aeruginosa. All’interno dello stesso
ceppo i geni alkB, pur essendo omologhi, possono differire tanto quanto quelli appartenenti a specie diverse: non
è chiaro se essi siano specifici per alcani a diversa lunghezza oppure se vengano attivati in condizioni differenti.
Tutte le proteine alkB sono, comunque, omologhe tra loro.
Biodegradazione dei composti aromatici
Fino a oggi sono noti almeno cinque sistemi biocatalitici diversi di funzionalizzazione del benzene in microrganismi aerobi. L’introduzione di uno o due gruppi idrossilici da parte di ossigenasi specifiche è tipicamente il
primo passaggio nella catena di reazioni che portano dal
benzene alla sua mineralizzazione parziale o totale ad
acqua e CO2. Analogamente, il primo attacco biocatalizzato che porta alla trasformazione di anelli policiclici aromatici a crescente complessità è l’introduzione di
uno o due gruppi ⫺OH, a cui segue l’apertura dell’anello idrossilato. I microrganismi in cui queste reazioni
sono maggiormente studiati appartengono ai generi Pseudomonas, Burkholderia e, negli anni più recenti, Rhodococcus. Vi sono ampie evidenze sperimentali che i
geni che codificano le proteine coinvolte nella biodegradazione di composti aromatici siano presenti nell’ambiente in modo trasversale, in batteri molto diversi
tra loro. Per esempio, sono stati descritti omologhi sia
dei geni alk sia dei geni per la degradazione dei composti aromatici in microrganismi marini che utilizzano queste molecole come fonte di carbonio, nei consorzi batterici che evolvono in seguito a rilascio accidentale di
petrolio nel mare (Harayama et al., 2004).
Biodesolforazione ossidativa
Alcuni ceppi batterici sono caratterizzati dalla capacità di utilizzare eteroatomi presenti in componenti organiche del petrolio per supplire a concentrazioni limitanti di questi elementi nell’ambiente. Ceppi di Rhodococcus, Nocardia, Gordonia, Mycobacterium, Pseudomonas,
Sphingomonas e altri, in assenza di zolfo nel mezzo di
coltura possono sfruttare sistemi enzimatici specializzati nell’ossidazione di composti organosolforati (quali
fig. 5. Cammino
metabolico di
ossidazione 4-S di
composti organosolforati
da parte del sistema
enzimatico dszABCD.
DBT, dibenzotiofene;
DBTO,
dibenzotiofensolfone;
DBTO2,
dibenzotiofensolfossido;
HBPS, acido sulfinico;
2-HBP, 2-idrossibifenile;
MO, monossigenasi.
276
DBT
S
benzo- e dibenzotiofeni) e nella scissione del legame tra
carbonio e zolfo, con conversione di questo in solfito o
solfato, facilmente assimilabili dalla cellula batterica.
Analogamente sono noti sistemi di utilizzazione dello
zolfo presente nei mercaptani. I cammini metabolici di
assimilazione dello zolfo sono diversi; negli anni Novanta particolare interesse hanno suscitato i cammini metabolici che preservano lo ‘scheletro’ carbonioso del composto organosolforato (fig. 5), per processi biocatalitici
di rimozione di distillati del petrolio ricchi in zolfo organico (Monticello, 2000).
Deazotazione
Diverse specie microbiche sono in grado di ossidare
composti organici contenenti azoto e utilizzare i gruppi
azotati per la propria crescita. I composti modello noti che
possono essere utilizzati in questo tipo di reazioni sono
pirrolo, pirimidine, indolo, quinolina e carbazolo, selettivamente deazotati da ceppi batterici appartenenti ai generi Pseudomonas, Comamonas, Rhodococcus e Nocardia.
Biotrasformazione anaerobica delle principali
componenti del petrolio
È noto che esistono consorzi batterici in grado di ossidare metano in assenza di ossigeno, sebbene non siano
ancora disponibili informazioni dettagliate sulle specie
batteriche coinvolte e sui possibili meccanismi enzimatici responsabili. Informazioni maggiori si hanno sugli
alcani a catena più lunga (non gassosi) e sugli aromatici. A tutt’oggi la degradazione anaerobica degli idrocarburi è un fenomeno studiato in relazione alla biodegradazione di idrocarburi nei giacimenti o per applicazioni
di carattere ambientale, mentre alcune società commerciali attive nell’esplorazione hanno rivolto la propria
attenzione ai fenomeni legati all’ossidazione aerobica.
La letteratura scientifica ha cominciato ad annoverare un numero sempre crescente di articoli riguardanti l’ossidazione anaerobica degli idrocarburi solo a partire dagli
inizi degli anni Novanta. Grazie al continuo sviluppo tecnologico dei mezzi d’indagine è stato possibile isolare
e caratterizzare nuovi microrganismi capaci di ossidare
DBTO
DBTO2
HBPS
DBT MO
DBTO MO
DBTO2 MO
dszC
dszC
dszA
S
O
S
S
O
O
O
OH
Oⴚ
dszB
2-HBP
OH
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
BIOTECNOLOGIE APPLICATE ALL’ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E CONVERSIONE DI OIL & GAS
Lo schema di reazione proposto e generalmente accettato è il seguente:
⫺
CH4 ⫹SO42⫺⫺ HCO⫺
3 ⫹HS ⫹H2O
䉴
Biodegradazione degli alcani
5 mm
fig. 6. Immagine al microscopio di un consorzio
batterico metanotrofo anaerobico isolato
da sedimenti ricchi in idrati di metano, marcato
mediante ibridazione in situ con sonde specifiche
per archeobatteri (cellule in rosso) e solfato-riduttori
(cellule in verde; Boetius et al., 2000).
La degradazione massiccia e preferenziale degli alcani nei processi di biodegradazione naturale nei giacimenti incide in modo significativo sul valore del materiale di estrazione. Per anni la possibilità di una loro ossidazione biologica in ambienti anossici è stata valutata
solo a livello teorico. La dimostrazione sperimentale di
quanto ipotizzato è stata possibile grazie alla misurazione quantitativa di consumo degli alcani da parte di
batteri solfato-, nitrato- o metallo-riduttori.
I meccanismi biochimici responsabili dell’attacco
agli n-alcani sono tuttora in fase di approfondimento.
Fino a oggi sono state discusse tre vie metaboliche principali, due delle quali sono illustrate in fig. 7.
n-esano
svariate molecole presenti nel petrolio, utilizzando nitrati, solfati, metalli ossidati – quali ferro(III) e manganese(IV) – e CO2 come accettori finali di elettroni.
Vengono di seguito illustrati i principali meccanismi
noti di attivazione anaerobica degli idrocarburi, a partire dai più semplici fino ad arrivare ai più complessi.
(1-metilpentil)succinato
A
H
H
C
C
H
[CO2]
H
H3C
VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ
(
C
)n CH3
H
(I)
Biodegradazione del metano
La comprensione dei meccanismi biodegradativi del
metano costituisce un significativo elemento di sfida dal
punto di vista dell’ecologia del sottosuolo.
Fino a oggi non è stato ancora isolato alcun microrganismo capace di ossidare in maniera autonoma il metano in assenza di ossigeno molecolare come accettore
finale di elettroni. Tuttavia esistono forti evidenze geochimiche sulla possibilità di trasferimento di elettroni
dal metano al solfato da parte di popolazioni eterogenee
di batteri anaerobi. Queste evidenze, supportate da esperimenti condotti con radioisotopi, sono state confermate di recente mediante mezzi d’indagine puramente biologici. Tramite tecniche di ibridazione a fluorescenza in
situ (FISH, Fluorescent In Situ Hybridization) sono state
evidenziate, in associazione a idrati di metano, aggregazioni sintrofiche di archeobatteri circondati da uno
strato di microrganismi solfato-riduttori (fig. 6). Sempre
in corrispondenza degli idrati di metano nei sedimenti
oceanici sono stati rilevati, tramite l’impiego di apposite sonde genetiche, ceppi di archeobatteri coinvolti nel
metabolismo del metano.
H
O
H3C
OH
H
C
C
C
H
H
H
O
H
H
C
C
H
(
C
)n CH3
(II)
C2
HO
H
(
C
)n CH3
H
(III) b-ossidazione
(IV)
catabolismo
B
CO2
trasformazione
degli acidi grassi
(per es. allungamento
della catena,
metilazione del C10)
fig. 7. Due meccanismi alternativi
di degradazione anaerobica di alcani presenti
in cellule dei ceppi HxN1 (A; Widdel e Rabus, 2001)
e HxD3 (B; So et al., 2003).
277
NUOVE TECNOLOGIE PER UPSTREAM
La prima, simile a quella descritta per l’attivazione
del toluene trattata in seguito, vede la formazione di
alchilsuccinati come conseguenza dell’aggiunta di una
molecola di fumarato all’alcano.
La reazione è stata riscontrata sia in ceppi solfatoriduttori coltivati su n-dodecano, sia nel ceppo nitratoriduttore HxN1, capace di crescere su n-esano. La reazione è complessa e non è stato ancora possibile chiarirne tutti gli aspetti. Dalle analisi condotte sugli acidi
grassi delle cellule cresciute su alcano come unica fonte
di carbonio è emerso che c’è un diretto coinvolgimento
di un radicale organico e che gli alchilsuccinati sono presenti sotto forma di due diastereoisomeri non racemici.
La biochimica che segue all’aggiunta di fumarato a formare gli alchilsuccinati non è stata ancora compresa nel
dettaglio, anche se si ipotizza che possa essere riconducibile al metabolismo degli acidi grassi.
La seconda via metabolica di attacco anaerobico degli
alcani è stata sviluppata principalmente su un ceppo solfato-riduttore denominato HxD3. Studi condotti con
radioisotopi sugli acidi grassi hanno dimostrato che l’attacco iniziale potrebbe consistere in una carbossilazione con bicarbonato inorganico in posizione C-3 e la contemporanea rimozione di due atomi di carbonio dalla
posizione terminale dell’alcano a formare un acido grasso, con un atomo di carbonio in meno rispetto alla lunghezza originale.
Una terza via metabolica, individuata molto recentemente, è stata osservata nella conversione dell’esadecano in metano e CO2. Gli esperimenti sono stati condotti non su campioni derivati da un giacimento petrolifero ma a partire da sedimenti anossici contaminati da
petrolio e privi di solfati (inferiori a 10 mM), di nitrati
(inferiori a 5 mM) e con un contenuto di Fe(III) trascurabile. Mediante ripetuti trasferimenti su terreno fresco
è stato possibile ottenere una coltura mista, libera dal
sedimento, capace di convertire l’esadecano in metano.
La produzione di biogas sarebbe stimolata da basse concentrazioni di solfato (inferiore a 2 mM). Gli studi genetici sulla popolazione microbica coinvolta hanno evidenziato almeno tre gruppi di microrganismi: uno di
acetogeni sintrofici che degradano l’esadecano ad acetato e H2, uno di archeobatteri degradanti l’acetato a
CH4 e CO2 e un secondo gruppo di archeobatteri capaci di convertire CO2 e H2 in CH4. Il processo è stato
definito come microbial alkane cracking e viene visto
come la potenziale fonte di degradazione in quei giacimenti caratterizzati dalla mancanza dei tradizionali accettori di elettroni.
Biodegradazione dei composti aromatici
Indagini su popolazioni anaerobie presenti all’interno di sedimenti anossici contaminati hanno dimostrato la possibilità di biodegradazione del benzene in
condizioni di solfato-, nitrato- e Fe(III)-riduzione. I
278
meccanismi genetici e biochimici che stanno alla base
dell’attacco e del successivo metabolismo del benzene
sono ancora ignoti. Tuttavia durante la fase degradativa è stato osservato un transitorio accumulo di benzoato, fenolo, p-idrossibenzoato, cicloesano, catecolo
e acetato come ipotetici intermedi di reazione. Recentemente sono stati isolati due ceppi nitrato-riduttori
RCB e JJ, appartenenti al genere Dechloromonas, capaci di mineralizzare, in coltura pura, il benzene a CO2.
Dechloromonas è un tipo di batterio ubiquitario nelle
falde acquifere anaerobiotiche.
Insieme agli xileni e agli alchilbenzeni il toluene rappresenta la categoria di idrocarburi meglio caratterizzata dal punto di vista della biochimica della biodegradazione anaerobica. L’identificazione del benzilsuccinato
come intermedio di reazione in colture di batteri solfato- e nitrato-riduttori ha costituito il primo importante
passo verso la comprensione di molti meccanismi legati alla degradazione del toluene e di altri idrocarburi: è
stato dimostrato che il benzilsuccinato è il primo intermedio di reazione tra il toluene e il fumarato.
Per la caratterizzazione degli enzimi responsabili
della reazione sono stati adottati approcci sia genetici
sia biochimici. Una serie di geni organizzati all’interno dell’operone bss (benzilsuccinato-sintasi) sono stati
isolati in Thauera aromatica, Geobacter metallireducens e Azoarcus sp. e caratterizzati dal punto di vista
strutturale e funzionale. Due di questi geni hanno mostrato un’alta omologia con altri geni codificanti enzimi
conosciuti: la piruvato-formiato-liasi e la ribonucleotide-reduttasi. Queste due proteine sono note per ospitare radicali glicilici all’interno della loro catena polipeptidica.
L’attività dell’operone bss è schematizzata in fig. 8.
Alla formazione del benzilsuccinato fanno seguito reazioni riconducibili alla b-ossidazione degli acidi grassi
che portano alla formazione di acetil-CoA e benzoilCoA. Gli enzimi responsabili e i relativi geni (organizzati nell’operone bbs) coinvolti nella loro biosintesi sono
stati identificati. Lo schema di reazione dal benzilsuccinato a benzoil-CoA è riportato in fig. 9.
Per la successiva degradazione del benzoil-CoA
seguono reazioni di dearomatizzazione riduttiva con conseguente rottura dell’anello aromatico e reazioni ancora una volta assimilabili alla b-ossidazione degli acidi
grassi. Le modalità di attacco anaerobico all’etilbenzene finora identificate sono due. Nella prima, caratteristica dei batteri nitrato-riduttori, è evidente la comparsa
di 1-feniletanolo e acetofenone come intermedi di reazione. L’enzima responsabile della reazione, isolato da
un ceppo di Azoarcus, è l’etilbenzene-deidrogenasi, una
eme/molibdeno/ferro-zolfo proteina periplasmatica, di
cui recentemente sono stati isolati i geni.
Nei microrganismi solfato-riduttori l’ossidazione dell’etilbenzene sembra seguire una via completamente
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
BIOTECNOLOGIE APPLICATE ALL’ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E CONVERSIONE DI OIL & GAS
CH3
toluene
xileni
diversa, che include la formazione di (1-fenilpentil)succinato come metabolita intermedio specifico. Tale reazione è riconducibile a quella individuata per la degradazione degli n-alcani e del toluene, in cui una molecola di fumarato viene aggiunta all’idrocarburo (v.
ancora fig. 9).
Nonostante la nota resistenza alla biodegradazione
da parte degli idrocarburi policiclici aromatici (PAH,
Polycyclic Aromatic Hydrocarbons), studi condotti su
comunità di microrganismi solfato-riduttori e nitratoriduttori hanno dimostrato l’ossidazione anaerobica di
composti quali naftalene, fenantrene, metilnaftalene,
fluorene, fluorantrene e bifenile a CO2. Tra gli intermedi di reazione identificati, il 2-naftoato e l’acido fenantrencarbossilico sono il risultato dell’incorporazione di
CO2 rispettivamente nel naftalene e nel fenantrene. Anche
per la degradazione anaerobica dei PAH è stata osservata una reazione che coinvolge il fumarato nel processo iniziale di attivazione: a partire dal 2-metilnaftalene,
in presenza di una popolazione microbica di solfatoriduttori, è stato isolato l’acido naftil-2-metilsuccinico
come intermedio della reazione degradativa.
CH3
benzilsuccinato
(metilbenzil)succinati
OH
H2O
etilbenzene
propilbenzene
1-feniletanolo
1-fenilpropanolo
etilbenzene
(1-feniletil)succinati
CO2
naftalene
2-naftoato
Analisi biomolecolari di microrganismi che utilizzano
componenti del petrolio nell’ambiente
2-metilnaftalene
Nelle indagini ambientali, quando si studia la distribuzione di specie con proprietà peculiari è possibile effettuare una ricerca mirata a geni specifici: il DNA viene
estratto direttamente dai campioni di suolo e, una volta
purificato, viene analizzato con l’ausilio di sonde di DNA
specifiche.
Le sonde vengono progettate (e sintetizzate chimicamente) per lo più in base alla conoscenza pregressa
(2-naftilmetil)succinato
fig. 8. Reazioni di attacco ossidativo iniziale
di composti aromatici in microrganismi anaerobi
(Widdel e Rabus, 2001).
CH3
HOOC
toluene
COOH
fumarato
2[H]
1
bssABC
7 sdh
succinato
COOH
COOH
2
benzilsuccinato
bbsEF
succinil-CoA
COSCoA
COOH
COSCoA
COOH
3
4
bbsG
bbsH
2[H]
H 2O
HO
COSCoA
COOH
O
COSCoA
COOH
5
COSCoA
6
bbsB
bbsCD
2[H]
benzoil-CoA
CoASH
succinil-CoA
fig. 9. Cammino metabolico di conversione anaerobica del toluene a opera dei geni bss (Leuthner e Heider, 2000).
I numeri indicano i passaggi ossidativi della reazione complessiva da toluene a benzoil-CoA, catalizzati dagli enzimi
bssABC e bbsBCDEFGH. Sdh, succinato-deidrogenasi.
VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ
279
NUOVE TECNOLOGIE PER UPSTREAM
di geni con funzione e sequenza note, depositati nelle
banche dati pubbliche (per esempio, quella presso il
National Center for Biotechnology Information o presso lo European Molecular Biology Laboratory - European Bioinformatics Institute). Le sequenze amminoacidiche (proteine) o nucleotidiche (DNA) vengono confrontate tra loro con programmi di allineamento: in tal
modo vengono identificate porzioni identiche, o quasi
identiche, all’interno di famiglie di geni (o proteine).
Queste porzioni, con sequenza identica o molto simile,
vengono utilizzate per la sintesi chimica di corte molecole di DNA con sequenza specifica o quasi specifica
(primer), che fungono da sonde per la ricerca successiva di geni simili (omologhi) nei DNA campionati. La
tecnica elettiva per analisi di questo tipo è la PCR (Polymerase Chain Reaction): i frammenti specifici di DNA,
presenti, anche in piccole quantità, nei campioni ambientali, vengono amplificati enzimaticamente in modo da
ottenere una quantità adeguata di materiale per applicazioni successive.
I prodotti di PCR possono essere direttamente sequenziati nel caso in cui i frammenti amplificati appartengano a un singolo gene e quindi presentino una sequenza
unica. Se il prodotto di amplificazione viene da un campione ambientale è però probabile che contenga frammenti provenienti da geni omologhi appartenenti a diverse specie: in questo caso la sequenza non è unica e i frammenti specifici devono essere separati. La separazione
può essere effettuata attraverso il clonaggio su plasmide (o altro vettore di DNA) oppure mediante l’uso di tecniche alternative. La DGGE (Denaturing Gradient Gel
Electrophoresis) consente di separare elettroforeticamente, in un gel di poliacrilammide, frammenti di DNA
che differiscono anche di un solo nucleotide; questa tecnica si fonda sulla presenza di agenti denaturanti nel gel
e sull’alta temperatura. Una volta separati, i frammenti
possono essere clonati o sequenziati direttamente.
Con un’applicazione particolare, denominata PCR
quantitativa o real time PCR, può essere misurata indirettamente la quantità di DNA specifico presente in un
campione. La tecnica prevede l’utilizzazione di una molecola fluorescente in grado di intercalarsi nella doppia
elica, man mano che questa si forma, durante la reazione di amplificazione; la quantità di molecola legata è
all’incirca proporzionale alla quantità di DNA a doppia
elica presente. La costruzione di curve di taratura con
quantità note di DNA iniziale permette una quantificazione precisa.
Tra le tecnologie che trovano applicazione nel settore della ricerca ambientale, quella legata all’uso di
microarray a DNA è estremamente promettente: in questo modo è possibile rilevare la presenza di parecchi geni
simultaneamente e farne un’analisi semiquantitativa.
Sebbene i costi attuali siano elevati, in futuro essa diventerà sicuramente una tecnica di routine.
280
Analisi biomolecolare di batteri aerobi
alcano-ossidanti
Sebbene esistano altre tecniche utilizzabili nelle indagini ambientali, attualmente quelle derivanti dalle applicazioni della PCR sembrano essere le più efficaci per
un’ analisi delle popolazioni microbiche legate alla presenza di microseep. La letteratura disponibile fornisce
numerosi esempi di come le tecnologie biomolecolari
siano state adoperate nella caratterizzazione delle popolazioni microbiche idrocarburo-ossidanti.
Il gruppo maggiormente studiato è quello dei batteri
metanotrofi, che è stato caratterizzato mediante l’impiego di sonde specifiche per i geni degli RNA ribosomali (16S rRNA), delle subunità catalitiche delle metano-monossigenasi (geni mmoX e pmoA) e della metanolo-deidrogenasi (mxaF). Le sonde di elezione per questi
studi sono quelle per le subunità catalitiche delle metano-monossigenasi, specifiche del sistema. Le sonde
per le metanolo-deidrogenasi hanno un livello di specificità inferiore, avendo omologie evidenti con altre alcoldeidrogenasi; inoltre esse sono in grado di riconoscere
tutti i batteri metanolo-ossidanti (molti metilotrofi), che
contano un numero di specie molto superiore rispetto a
quello dei metanotrofi. Batteri metano-ossidanti sono
stati identificati in acque, sedimenti e suoli asciutti in
corrispondenza di laghi, fiumi, coltivazioni di riso, prati,
impianti di trattamento e pozzi petroliferi a diverse latitudini, compresi i suoli artici.
In molti laboratori sono in corso ricerche volte alla
caratterizzazione molecolare dei sistemi implicati nell’uso degli alcani gassosi. Fino a oggi non sono stati pubblicati studi ambientali, basati sulle tecniche biomolecolari, in quanto non vi sono ancora sonde considerate
sufficientemente universali. È possibile che una parte
delle specie contenga sistemi enzimatici omologhi alle
metano-monossigenasi solubili (famiglia delle diferromonossigenasi).
Nel caso dei batteri in grado di utilizzare gli alcani a
catena più lunga (liquidi), le sonde specifiche per i geni
alk si sono dimostrate insostituibili essendo questo un
sistema ben distribuito tra le specie. All’interno del sistema il gene target ottimale è alkB (alcano-idrossilasi), in
quanto conservato a livello di sequenza e specifico del
sistema. Una delle applicazioni delle sonde basate sui
geni alk è stata l’analisi delle popolazioni batteriche che
si sviluppano in aree contaminate da idrocarburi o in
conseguenza di sversamenti (oil spill).
Analisi biomolecolare di microrganismi anaerobi
associati agli idrocarburi
Analogamente alle indagini molecolari delle specie
che utilizzano componenti del petrolio nell’ambiente di
superficie, esistono oggi i presupposti che rendono possibile l’identificazione di specie degradative di idrocarburi in assenza di ossigeno. Alcuni sistemi genici di
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
BIOTECNOLOGIE APPLICATE ALL’ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E CONVERSIONE DI OIL & GAS
riferimento sono già noti (i geni bss) e possono essere
utilizzati per l’identificazione di specie anaerobie degradative (Nivens et al., 2004). Sicuramente l’avanzare delle
conoscenze nel campo della genomica e della microbiologia della biosfera più profonda consentirà un grande sviluppo delle applicazioni in questo campo.
3.4.3 Applicazioni
Biotecnologie applicate all’esplorazione
Biosurvey
Negli ultimi decenni le compagnie di esplorazione
petrolifera si sono orientate verso l’impiego di tecniche
economiche, da affiancare alle costose tecniche consolidate, nella ricerca di giacimenti sia di petrolio sia di
gas. Molti dati si sono accumulati in favore di quelle tecniche che riguardano la cosiddetta surface exploration:
l’esplorazione superficiale rappresenta un modo più o
meno indiretto per rilevare la presenza di giacimenti sottostanti, basandosi sui cambiamenti, denominati anomalie, prodotti nell’ambiente superficiale o subsuperficiale dalla migrazione di idrocarburi provenienti dai giacimenti stessi. Tale rilascio può avvenire in forme eclatanti,
come nei fenomeni di macroseepage, oppure può essere appena percepibile (microseepage): in quest’ultimo
caso le molecole che migrano alla superficie, generalmente alcani a catena corta allo stato gassoso, sono rilevabili solo tramite tecniche analitiche sensibili.
I metodi di esplorazione superficiale adottati sono
svariati e possono essere classificati approssimativamente in diretti o indiretti. I metodi diretti sono quelli
che permettono di individuare e quantificare la presenza delle molecole target con analisi, generalmente cromatografiche. Con i metodi indiretti si cerca invece di
individuare le anomalie indotte nell’ambiente a causa
della concentrazione inusuale di idrocarburi in determinate aree: tali anomalie possono essere di tipo geologico, chimico, oppure riguardare la presenza di vegetazione particolare, di batteri con caratteristiche peculiari, ecc. Le anomalie vengono rilevate in quanto in alcune
aree i valori dei parametri presi in considerazione differiscono significativamente rispetto ai valori basali di riferimento ottenuti in aree adiacenti.
In molti casi è stato notato che alla superficie, in corrispondenza di giacimenti di olio o gas, si installano popolazioni batteriche che, presumibilmente, sfruttano la presenza degli alcani gassosi o volatili migrati dai reservoir
sottostanti. Queste osservazioni sono alla base delle tecnologie di prospezione microbiologica o biosurvey.
La rilevazione di batteri specifici può essere effettuata
con mezzi economici e in tempi estremamente ridotti.
Attualmente le popolazioni microbiche vengono individuate e caratterizzate dal punto di vista qualitativo e quantitativo grazie alla loro capacità di crescere in coltura utilizzando come fonte di carbonio idrocarburi specifici.
Seepage
Una volta prodotti nella roccia madre, olio e gas
migrano attraverso rocce permeabili in cui pori e microfratture sono interconnessi e creano spazi sufficienti per
permettere il movimento dei fluidi. Olio e gas sono meno
densi dell’acqua che riempie gli spazi nella roccia e quindi tendono a dirigersi verso l’alto. Essi possono essere
intrappolati durante la migrazione se questa viene interrotta o rallentata a causa della presenza di rocce impermeabili (fig. 10).
In molti casi i reservoir non hanno tenuta perfettamente stagna e la migrazione può proseguire fino alla
superficie, in base alla natura delle molecole in movimento e a quella del suolo che esse attraversano. Tale rilascio (seepage o seep) può essere visibile macroscopicamente in aree di accumulo: in tal caso il fenomeno viene
profondità temperatura
(°C)
(km)
giacimento
a olio e gas
giacimento
a olio
1
maturità
della roccia
madre
50
2
assenza di
gas o olio
olio
giacimento
a gas
3
4
gas
olio kerogene:
e gas assenza di
olio e gas
100
150
5
6
200
fig. 10. Modello in sezione in cui sono rappresentati giacimenti a olio, gas e gas con olio a diversi stadi di maturazione.
VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ
281
NUOVE TECNOLOGIE PER UPSTREAM
definito macroseepage (macroseep). I macroseep generalmente sono localizzati al termine di faglie o fratture.
In altri casi il rilascio riguarda una quantità ridotta di
idrocarburi a catena corta, allo stato gassoso; tali tracce
possono essere rilevate solamente con analisi specifiche:
in questo caso si parla di microseepage (microseep). Tra
i due estremi vi possono essere manifestazioni intermedie che dipendono dalle caratteristiche del giacimento
stesso e dalle caratteristiche geologiche dello strato sovrastante. I seepage sono evidenziabili sia sulla terraferma
sia offshore.
I seep sono fenomeni noti nelle loro diverse manifestazioni, siano esse molto o poco eclatanti, mentre i meccanismi attraverso i quali vengono generati sono tuttora
ampiamente dibattuti. Particolare attenzione viene rivolta ai microseep, in quanto gli idrocarburi gassosi si muovono verticalmente al di sopra dei giacimenti, permettendo di localizzarli, mentre di rado la migrazione può
avvenire lateralmente.
Sebbene non vi sia ancora un modello in grado di
spiegare il modo e la velocità con cui gli idrocarburi arrivano alla superficie, i microseep sono comunemente considerati possibili indicatori della presenza di accumuli
di olio o gas. Numerosi sono i casi in cui è stata dimostrata un’anomala presenza superficiale di idrocarburi
in corrispondenza di giacimenti. In alcuni esempi, queste anomale presenze erano esattamente al di sopra di
anomalia da rilascio
al bordo
idrocarburi
bloccati
dal Delta C
depo
siti r
ecen
ti
intrappolamento di idrocarburi
(in soluzione)
(bloccato)
(in soluzione)
(bloccato)
soluzione di minerali di calcio e ferro
Ca(HCO3)2
(in soluzione)
giacimenti individuati in precedenza con metodi sismici; in altri casi è stata individuata una dispersione laterale di poche centinaia di metri rispetto al giacimento.
Anomalie superficiali
La presenza di seep determina variazioni alla superficie di diverso genere (anomalie), che sono direttamente
o indirettamente dipendenti dalle concentrazioni relativamente alte di idrocarburi nel suolo. Diverse anomalie
possono essere indotte dalla presenza di batteri in grado
di metabolizzare idrocarburi: per esempio il metabolismo batterico stesso può indurre variazioni nell’equilibrio redox dell’ambiente e provocare la formazione di
precipitati magnetici del ferro, quali magnetite (Fe3O4),
maghemite (g-Fe2O3), pirrotite (Fe7S8) e greigite (Fe3S4).
La presenza di questi minerali in associazione a seep
idrocarburici è stata spesso rilevata in aree sovrastanti
accumuli di gas o petrolio. La presenza di seep è d’altra
parte solo una delle varie possibili cause della formazione di tali precipitati magnetici (Schumacher, 1996).
I batteri hanno anche un ruolo nel deposito di calcite
(calcite cement), nella formazione, attraverso la produzione di solfuro di idrogeno, di pirite, nell’abbassamento del livello di potassio e, in alcuni casi, nell’innalzamento del livello dell’uranio (misurati con la spettrometria gamma). In fig. 11 si riassumono alcune delle
anomalie prodotte.
anomalia apicale interstiziale
degli idrocarburi
affioramento attivo
diretto e rilascio di idrocarburi
zona influenzata dall’acqua piovana
anomalia da rilascio
al bordo
idrocarburi
bloccati
dal Delta C
ri
affioramenti bloccati da calcite
rbu
oca
di
r
d
e
siderite
i
cal
di
cite
ato
occ
e si
derite con rilascio bl
rilascio di idrocarburi
bicarbonato di calcio e ferro
in soluzione
biossido di carbonio, solfuro
d’idrogeno e acqua
rilascio gassoso di idrocarburi
Fe(HCO3)2
(bloccato) (acqua piovana)
(in soluzione)
(bloccato) (acqua piovana)
(in soluzione)
degradazione chimica o batterica
degli idrocarburi
anaerobia:
aerobia:
(in soluzione)
petrolio
fig. 11. Modello ipotetico di meccanismi di formazione di anomalie di superficie (Saunders et al., 1999).
Delta C rappresenta il carbone ferroso.
282
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
BIOTECNOLOGIE APPLICATE ALL’ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E CONVERSIONE DI OIL & GAS
L’esplorazione petrolifera richiede uno sforzo coordinato, basato sull’integrazione delle conoscenze geologiche, geofisiche e geochimiche. La prospezione geologica di superficie rappresenta un utile strumento per
ridurre i rischi esplorativi, portando a una diminuzione
dei costi e dei tempi. L’analisi dei gas nei suoli e le tecniche di prospezione sismica permettono soprattutto di:
a) valutare rapidamente il potenziale produttivo di regioni inesplorate; b) differenziare tra aree del giacimento
che producono olio o gas; c) integrare i dati geofisici di
prospezioni precedenti; d ) seguire l’evoluzione di siti
già sfruttati.
Nei seep, con le tecniche dirette, vengono rilevati
principalmente, e in quantità decrescenti, metano, etano,
propano e butano, di cui gli ultimi tre vengono considerati maggiori indicatori di olio. Alcani con catena superiore a C4 sono rari, sebbene i volatili, come pentano o
esano, possano essere presenti in quantità misurabili. Il
metano ha lo svantaggio di essere prodotto da diverse
specie microbiche ed è quindi diffuso nell’ambiente (origine biogenica). Anomalie nella quantità di metano possono essere comunque utilizzate per la ricerca di giacimenti di gas.
Fino alla prima metà degli anni Cinquanta i metodi
gravimetrici, magnetometrici e di sismica a rifrazione
erano quelli utilizzati dalle grandi compagnie petrolifere. Successivamente, grazie anche a una serie di innovazioni tecnologiche, il metodo di esplorazione geofisica che è progressivamente diventato di gran lunga più
utilizzato è quello della sismica a riflessione. La sismica a riflessione fornisce un’immagine del sottosuolo che
può essere a due dimensioni, distanza e profondità, o tridimensionale. Le indagini sismiche sono considerate
indispensabili per l’identificazione delle strutture in cui
si trovano olio e/o gas.
Altre tecniche indirette vengono comunemente affiancate alla sismica, specie nella fase iniziale della prospezione; alcune di queste vengono utilizzate in base alle
condizioni ambientali mentre per altre non è ancora nota
la reale applicabilità.
Prospezione microbiologica
La prospezione microbiologica utilizza l’applicazione delle comuni tecniche microbiologiche per l’individuazione indiretta di microseep. Come detto precedentemente, la presenza di batteri determina una modificazione dell’ambiente con la conseguente insorgenza di
anomalie. Piuttosto che le anomalie prodotte, è più facile individuare direttamente le specie batteriche che le
producono o, in modo ancora più mirato, quelle che utilizzano i gas presenti a livello dei seep come fonte di carbonio per il proprio metabolismo.
La MOST (Microbial Oil Survey Technique) e la
MPOG (Microbial Prospection for Oil and Gas) sono tecniche analoghe, introdotte da società concorrenti,
VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ
basate sulla ricerca diretta di batteri in grado di utilizzare alcani a catena corta (gassosi o molto volatili). Tali
specie batteriche sono presenti a livello dei microseep
dove gas come metano, etano, propano e butano giungono alla superficie. Gli alcani vengono ossidati, in presenza di ossigeno, ai loro rispettivi alcoli (per esempio
il metano a metanolo). Gli alcoli entrano nel circuito del
metabolismo batterico e le cellule ne traggono energia e
carbonio per il proprio ciclo vitale.
Batteri alcano-ossidanti sono normalmente presenti
nell’ambiente e non solamente associati alla presenza di
idrocarburi superficiali; è stato però verificato che laddove vi siano anomalie nella presenza di idrocarburi viene
segnalata anche un’anomalia nella presenza di batteri
idrocarburo-ossidanti, tanto da poter individuare una correlazione positiva tra la concentrazione di idrocarburi e
la densità di tali popolazioni batteriche.
Durante le survey microbiologiche vengono raccolti campioni di terreno a 20-150 cm al di sotto della superficie (sia onshore sia offshore). Il campionamento viene
fatto generalmente in base a una griglia, l’ampiezza delle
cui maglie dipende dalle caratteristiche geofisiche e geografiche dell’area oppure dalla finalità del campionamento stesso: nel caso di prospezioni preventive in ampie
aree sconosciute, la distanza tra un campione e l’altro
può essere superiore a 1 km; nel caso di una caratterizzazione fine di un sito, già noto dal punto di vista geofisico, eventualmente in corso di sfruttamento, i punti di
campionamento distano anche poche decine di metri. In
fig. 12 sono mostrati i risultati derivati da griglie con
diversa spaziatura.
Sia la MOST sia la MPOG prevedono la coltivazione delle cellule batteriche presenti nel campione di suolo.
Metano, propano, butano oppure una miscela di gas vengono utilizzati come unica fonte di carbonio; in queste
condizioni crescono selettivamente le specie in grado di
nutrirsi con le molecole specifiche.
Le cellule batteriche vengono raccolte lavando una
quantità standard di suolo con un volume fisso di un
liquido di eluizione. Dalla sospensione iniziale vengono preparate diluizioni seriali; una piccola quantità di
ciascuna diluizione può essere seminata su un terreno di
coltura solido, dove ogni cellula darà origine a una colonia: la conta delle colonie fornirà un’indicazione della
quantità di cellule iniziali presenti nel suolo. In alternativa le diluizioni vengono fatte direttamente nel terreno
di coltura: dopo incubazione per un tempo adeguato tutte
le diluizioni in cui è presente almeno una cellula vivente daranno origine a una coltura visibilmente cresciuta.
Alcune delle diluizioni, non contenendo nemmeno una
cellula, non daranno crescita. Replicando opportunamente ciascuna diluizione (almeno in triplo) si otterrà
una stima del numero iniziale di cellule presenti nel campione di suolo. La tecnica MOST prevede anche un’analisi dell’attività alcano-ossidante delle popolazioni
283
NUOVE TECNOLOGIE PER UPSTREAM
fig. 12. Rappresentazione
grafica di dati raccolti
da una campagna
di prospezione
ed esemplificati
per campionamenti
a griglie di dimensioni
diverse.
spaziatura campioni:
130 1.600 m
.
batteriche: le cellule raccolte in un’area in cui sono presenti idrocarburi superficiali esprimono l’attività ossidante con una rapidità superiore a quelle che sono state
campionate in zone prive di livelli significativi di gas.
I risultati dell’analisi microbiologica vengono visualizzati, come per i dati geochimici, su mappe bidimensionali in cui vengono mostrate l’area di distribuzione e
la densità delle popolazioni dei batteri idrocarburo-ossidanti (eventualmente separati in classi metaboliche in
funzione delle specifiche molecole usate come fonte di
carbonio); i dati vengono trattati similmente a quelli geochimici e geofisici.
La casistica riportata in letteratura generalmente
mostra una notevole efficacia delle tecniche microbiologiche nell’individuazione di giacimenti. Sono stati
riportati, per esempio, i risultati di un’indagine che, tramite prospezione microbiologica in zona inesplorata, ha
individuato come produttivi 13 pozzi su 18 trivellati: il
successo in questo caso è stato del 72%; gli autori hanno
ammesso che in assenza di MOST il successo sarebbe
stato del 30%. In un secondo caso è stato riportato lo studio effettuato su 225 pozzi, di cui 101 in produzione (olio
o gas) e 124 non produttivi. In corrispondenza di 83 pozzi
produttivi sono state individuate anomalie, mentre 119
pozzi improduttivi sono risultati in aree prive di anomalie: in questo caso, il successo nella predizione basata
sui metodi microbiologici ha oscillato attorno al 90%.
Le tecniche microbiologiche hanno alcuni importanti
vantaggi rispetto ad altre tecniche di prospezione superficiale, tra cui: a) l’acquisizione dei campioni non richiede particolare strumentazione e l’impatto ambientale è
pressoché nullo; b) i costi sono estremamente limitati,
per esempio con una delle tecniche proposte il costo complessivo ammonta a 100-750 dollari per miglio lineare;
284
spaziatura campioni:
130 800 m
.
spaziatura campioni:
130 130 m
.
c) l’assenza di limiti di carattere geologico o geografico; d ) la scarsa dipendenza dalla geologia dei suoli al di
sotto della superficie e la possibilità di fare previsioni
sulle caratteristiche del giacimento relativamente alla
qualità degli idrocarburi presenti. Di contro non è possibile avere informazioni sulla collocazione e la consistenza dei giacimenti.
Per questi motivi la prospezione microbica viene considerata un’alternativa efficace ed economica rispetto ad
altre tecniche in una fase precedente alla esplorazione
sismica. In una recente survey in Guyana sono state localizzate 22 anomalie microbiche per un’area totale di
250 km2; una successiva indagine sui gas (sorbed gas
analysis) ha dimostrato che queste anomalie erano associate a microseepage di idrocarburi: differentemente dall’indagine microbiologica l’analisi chimica dei seep ha
avuto un’efficacia limitata, a causa della natura particolarmente acida dei suoli che non ha consentito un campionamento esteso sull’intera area.
È prevedibile che nei prossimi anni vengano sviluppati strumenti biomolecolari per l’esplorazione terrestre e offshore, sia per la rapidità nell’acquisizione
delle informazioni, sia per la possibilità di analizzare
in dettaglio le popolazioni microbiche senza la necessità della coltivazione. Con le metodologie avanzate
appropriate è inoltre possibile tracciare in un ambiente
la presenza di un singolo gene mediante l’uso di sonde
specifiche. La possibilità di misurare la quantità dei
geni responsabili dell’ossidazione degli alcani presenti in un campione mediante le tecniche di amplificazione o, in futuro, grazie all’uso di microarray, potrebbe rendere queste tecnologie preferenziali in indagini
esplorative o presuntive da integrare con le irrinunciabili analisi sismiche.
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
BIOTECNOLOGIE APPLICATE ALL’ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E CONVERSIONE DI OIL & GAS
Analisi del rischio di biodegradazione del greggio
Nell’ambito dell’esplorazione e produzione petrolifera, uno dei maggiori fattori di rischio è costituito dalla
possibilità di imbattersi in un giacimento contenente un
olio la cui qualità sia fortemente compromessa dall’attacco microbico alle sue componenti più pregiate, con
significative ricadute dal punto di vista sia economico
sia operativo.
Particolare attenzione viene posta su giacimenti poco
profondi e relativamente freddi, caratterizzati da temperature che non superano 65-80 ºC. In questi ambienti, nonostante le condizioni ecologiche e le popolazioni batteriche possano differire significativamente tra
un sito e un altro, la probabilità di riscontrare un forte
indice di biodegradazione degli idrocarburi estraibili è
estremamente alta. Tipicamente, la sequenza degradativa dei composti presenti nel petrolio vede al primo posto
gli n-alcani seguiti dai ramificati saturi, dai ciclici saturi, dagli aromatici ciclici e policiclici, da sterani, hopani e cerani (fig. 13).
L’azione microbica può dunque incidere sensibilmente su parametri fondamentali della qualità dell’olio
estraibile, quali: l’abbassamento del grado API (American Petroleum Institute), l’aumento della viscosità e della
concentrazione di elementi indesiderati come metalli
pesanti (soprattutto nichel, vanadio e ferro), asfalteni,
cere e zolfo. Un olio con queste caratteristiche ha un
basso valore commerciale a causa delle basse rese di
distillazione e del conseguente aumento dei residui di
lavorazione, per la presenza consistente di acidi naftenici
livello di biodegradazione
molto basso
basso
moderato
alto
molto alto
gas C1-C5
metano
etano
propano
isobutano
n-butano
pentani
idrocarburi
C6-C15
n-alcani
isoalcani
isoprenoidi
aromatici BTEX
alchilcicloesani
idrocarburi
C15-C35
n-alcani, isoalcani
isoprenoidi
naftaleni (C10+)
fenantreni, DBT
criseni
sterani regolari
hopani C30-C35
hopani C27-C29
biomarker C15-C35
sterani triaromatici
sterani monoaromatici
gammacerano
oleanano
sterani C21-C22
terpani triciclici
diasterani
diahopani
25-nor-hopani*
sec-hopani*
*comparsa, piuttosto che diminuzione, dei livelli (si ritiene che queste molecole siano prodotte durante la degradazione)
fig. 13. Livelli di biodegradazione del greggio basati sulla concentrazione relativa di diversi composti presenti
nel petrolio (Wenger et al., 2002). BTEX, benzene-toluene-etilbenzene-xileni; DBT, dibenzotiofene.
VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ
285
NUOVE TECNOLOGIE PER UPSTREAM
(fonte di corrosione e di emulsioni) e per i molteplici
problemi di raffinazione conseguenti alla presenza di
metalli pesanti e zolfo. Negli oli degradati lo zolfo è presente sia in forma organica (a causa della sua resistenza
all’attacco microbico), sia in forma inorganica come H2S,
che costituisce il prodotto finale della solfato-riduzione
microbica. Il solfuro di idrogeno è tossico, causa gravi
problemi di corrosione e forma precipitati di solfuro di
ferro che rendono difficoltosa la separazione delle emulsioni olio/acqua e riducono la permeabilità delle rocce
del giacimento qualora venga iniettata acqua in fase di
estrazione. Inoltre, l’alta viscosità incide negativamente sulla produttività dei pozzi e sul fattore di recupero
dal giacimento, riducendone la convenienza rispetto a
un accumulo di olio leggero.
Attività di ricerca e sviluppo tipicamente legate all’industria del settore petrolifero vengono focalizzate sulla
possibilità di comprendere i meccanismi di azione, gli
attori biologici coinvolti e le condizioni ambientali necessarie per l’attivazione dei microrganismi anaerobi idrocarburo-clastici, al fine di poter sviluppare dei modelli
matematici capaci di prevedere, a livello di semplice prospezione, l’eventuale livello di degradazione dell’olio
con la massima accuratezza possibile. Lo sviluppo di
uno strumento di questo tipo potrebbe consentire di valutare meglio le aree esplorative, con un importante sgravio degli onerosi costi di perforazione.
L’obiettivo è sicuramente ambizioso, dal momento
che la nicchia ecologica occupata dai batteri capaci di
sfruttare gli idrocarburi come fonte di carbonio ed energia per la propria crescita è strettamente correlata a un
ambiente la cui esplorazione presenta molti elementi problematici dal punto di vista tecnico (come la reperibilità
dei campioni e il loro trattamento) e che è, a oggi, in gran
parte sconosciuto.
Fino alla fine degli anni Ottanta la comunità scientifica concordava sul fatto che l’ossidazione degli idrocarburi potesse avvenire esclusivamente in condizioni
aerobiche, tramite il costante apporto di ossigeno molecolare veicolato da acque meteoriche. Tale principio è
stato poi smentito, dal punto di vista sia geochimico sia
biologico, con la scoperta di giacimenti profondi (quindi non soggetti a esposizione ad acque fresche ossigenate) ad alto grado di biodegradazione e l’isolamento, a
partire dai primi anni Novanta, di microrganismi capaci
di ossidare gli idrocarburi in assoluta anaerobiosi. Quest’ultima scoperta ha avuto un importante impatto sui
criteri applicati dai geochimici e ha aperto le porte a
nuovi studi per i numerosi ricercatori e tecnici che si
occupano di microbiologia del sottosuolo e dell’ancora
poco noto ecosistema del giacimento.
Nel modello ExxonMobil (Wenger et al., 2002) l’ipotesi della biodegradazione del petrolio per via anaerobica è accettata con favore perché ben si concilia con
situazioni sperimentate nell’esplorazione offshore. Tra i
286
fattori limitanti della biodegradazione sono riconosciute
non solo la temperatura (convenendo sul limite di circa 80 °C) e la disponibilità di ossidante – per esempio
O2, Fe(III), SO42⫺, HCO3⫺ – e nutrienti (N, P, K), ma anche
la salinità (possibile limite a 150 g/l, Total Dissolved Solids),
l’acidità, la porosità (area superficiale) e la permeabilità
delle rocce. In particolare, è presa in seria considerazione la possibilità che la biodegradazione possa svilupparsi in giacimento oltre la zona del contatto con la tavola
d’acqua, grazie all’acqua comunque presente nei pori.
Wenger et al. hanno inoltre elaborato una propria scala di
biodegradazione crescente per gli oli. Tale scala si basa
sulla presenza di composti di riferimento, visualizzati come
picchi in analisi scelte a seconda della natura di tali composti: GC (Gas Cromatografia) per gli idrocarburi, GC/MS
(Mass Spectrometry; gas cromatografia abbinata alla spettrometria di massa), e GC/MS/MS per i biomarker.
È particolarmente interessante il confronto con la
scala di Peters e Moldowan (1993), rispetto alla quale
quella di Wenger et al. si distingue per la semplificazione dei livelli di degradazione (cinque contro dieci) e,
allo stesso tempo, per il maggior numero di specie idrocarburiche e di biomarker considerati e il maggior dettaglio nella definizione delle componenti idrocarburiche. La sequenza di crescente resistenza alla biodegradazione delle specie chimiche rimane nei tratti generali
sovrapponibile a quella di Peters e Moldowan (n-paraffine⬍isoprenoidi⬍sterani⬍hopani e diasterani⬍steroidi aromatici), ma l’attenzione è ora decisamente spostata sulle fasi iniziali della biodegradazione. Infatti, a differenza della scala di Peters e Moldowan, per definire il
confine del primo stadio di biodegradazione si suggerisce l’utilizzazione degli isoalcani leggeri C6-C15 (oltre
agli isoprenoidi più leggeri), mentre l’attacco differenziato ad alcuni idrocarburi ciclici e aromatici (insieme
agli isoprenoidi più pesanti) segna e distingue i livelli di
biodegradazione intermedia (per esempio: BTEX⬍alchilcicloesani, naftaleni⬍fenantreni e dibenzotiofeni⬍criseni). L’attacco ai biomarker definisce lo stadio di biodegradazione più severa, con possibili distinzioni tra le
diverse specie, anche se ritenute meno rilevanti per applicazioni in produzione (v. oltre). La comparsa della serie
dei 25-nor-dimetilhopani è considerata un prodotto della
biodegradazione nello stadio più avanzato, quindi un
importante marker per riconoscere, per esempio, situazioni di refreshing (rinnovo della fase liquida con nuovi
fluidi) di giacimenti biodegradati in ere precedenti.
Come sempre, la sequenza descritta non viene interpretata rigidamente, perché si riconosce una certa specificità ai meccanismi di biodegradazione per tipi diversi di oli. L’utilizzazione degli indici di biodegradazione
rimane comunque critica, in relazione al possibile succedersi nel tempo – su scala geologica – di processi quali il recharging (ricarica della fase liquida con nuovi
fluidi) dei giacimenti, il dilavamento del petrolio, la
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
BIOTECNOLOGIE APPLICATE ALL’ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E CONVERSIONE DI OIL & GAS
separazione di fase, la segregazione gravitazionale, la
precipitazione asfaltenica o il cracking termico. Sviluppi futuri prevedono un’analisi degli acidi organici, soprattutto gli acidi naftenici (ben noti e temuti prodotti della
biodegradazione), per definire nuovi indicatori di bioalterazione in corso nei giacimenti.
Appare evidente lo sforzo di migliorare l’applicabilità delle scale di biodegradazione all’ambito produttivo. In effetti, la progressiva scomparsa di intere classi
idrocarburiche (come quella degli n-alcani o degli isoprenoidi, per non parlare dei biomarker) è in genere rilevata per via gascromatografica quando la biodegradazione ha già da tempo intaccato la qualità dell’olio, ovvero quando le proprietà di interesse produttivo sono già
state almeno in parte compromesse. È però importante
anche il contesto produttivo, perché nel caso delle acque
profonde (deep water) i gradienti geotermici sono piccoli e differenze di pochi gradi API indotte da uno stadio ancora iniziale di biodegradazione spesso comportano il superamento delle soglie di economicità nello
sfruttamento di un giacimento. Per altro verso, una moderata biodegradazione può invece migliorare significativamente alcune caratteristiche degli oli a elevato contenuto di paraffine, come il punto di scorrimento (pour
point) e la tendenza alla formazione di cere (situazione
comune nei campi petroliferi del Sud-Est asiatico).
Per quanto riguarda la biodegradazione del gas naturale, il modello prevede che, nella fase iniziale, i batteri
attacchino principalmente il propano, che viene degradato preferenzialmente rispetto all’n-butano, determinando effetti misurabili sotto diversi parametri: diminuzione del GOR (Gas/Oil Ratio) per l’olio associato; incremento della concentrazione relativa di metano e, spesso,
di CO2 (sottoprodotto di biodegradazione); frazionamento isotopico (il gas non ancora biodegradato – tipicamente il propano – viene via via ad appesantirsi nella
frazione più ricca di 13C, mentre i sottoprodotti – tipicamente CO2 – mostrano un arricchimento in 12C).
Più recentemente, in ambito offshore e deep water,
sono emersi elementi importanti per lo sviluppo di sistemi di riferimento su cui fondare analisi di rischio, basati sulla biodegradazione degli idrocarburi che costituiscono affioramenti sui fondali marini. La biodegrazione in tale ambiente ha caratteristiche differenti rispetto
a quella degli affioramenti terrestri e dei sottostanti giacimenti (per esempio, non è mai stata rilevata la serie dei
25-nor-hopani, nemmeno nei casi di biodegradazione
ultrasevera). Nel caso degli affioramenti sottomarini
occorre sempre distinguere l’apporto di materia organica ‘recente’ e indigena ai sedimenti; tuttavia, l’identificazione di serie biodegradative proprie dei fondali
ha permesso la calibrazione di parametri molecolari
(biomarker) utilizzabili con largo anticipo come affidabili indicatori di origine, maturità e proprietà degli oli
presenti in giacimenti sottostanti. La calibrazione ha
VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ
carattere locale perché vi è evidenza di attività da parte
di ceppi batterici diversi, con vie di biodegradazione differenti per famiglie diverse di oli.
È stato inoltre osservato che il livello di biodegradazione sui fondali interessati dagli affioramenti cresce con
la quantità totale di idrocarburi nei sedimenti e, forse,
con l’entità delle stesse riserve sottostanti; è anche ipotizzata l’esistenza di una soglia del flusso di idrocarburi al di sotto della quale i processi biodegradativi diventano insostenibili. L’attività batterica è poi chiaramente
influenzata dalla tipologia stessa dei sedimenti (porosità
e permeabilità).
I fattori più significativi per lo sviluppo di nuovi modelli di biodegradazione, definiti nel corso di studi e progetti industriali recenti, possono essere riassunti come segue:
• la biodegradazione degli idrocarburi nel giacimento
è un processo principalmente anaerobico e pertanto
non sono necessarie esposizioni ad acque ossigenate;
• i flussi di degradazione sono stati stimati nell’ordine di 10⫺4 kg/m2/a e variano al variare della temperatura del giacimento, con valori prossimi a zero intorno agli 80 °C;
• più del 50% della frazione dell’olio superiore ai 12
atomi di carbonio può essere utilizzato a diversi livelli di biodegradazione;
• la biodegradazione dell’olio in giacimenti relativamente freddi e affiorati dagli strati profondi è un processo che può essere evitato con una precedente
‘pastorizzazione’ del petrolio, avvenuta quando l’olio occupava strati più profondi dove le temperature
superavano gli 85 °C;
• l’interfaccia olio/acqua sembra essere il punto più
probabile per l’attività degradativa: i donatori di elettroni vengono forniti dall’olio e gli accettori finali,
insieme ai nutrienti, dall’acqua.
Gli sviluppi conoscitivi recenti in questo campo, che
riguardano principalmente la scoperta di nuovi microrganismi anaerobi attivi nel sottosuolo nell’ossidazione
di idrocarburi, i relativi cammini metabolici di degradazione e le interazioni tra geochimica e fisiologia microbica del sottosuolo, avranno un impatto importante nella
formulazione di nuovi modelli predittivi. Il recente ritrovamento di intermedi di reazione nei percorsi ossidativi
di idrocarburi in ambienti anaerobiotici (Aitken et al.,
2004) è un esempio di sviluppo di nuovi indicatori utili
nella valutazione delle zone identificate per l’esplorazione petrolifera.
Biotecnologie applicate alla produzione
Prevenzione da produzione e accumulo di solfuro
di idrogeno (souring) nei giacimenti
La presenza di solfuro di idrogeno nei pozzi petroliferi è stata rilevata fin dal 1920 e solo nel 1926 si è capito che, a temperature inferiori a 100 °C, essa può essere
287
NUOVE TECNOLOGIE PER UPSTREAM
fatta risalire all’attività di batteri solfato-riduttori presenti nei pozzi stessi. Esiste anche un meccanismo ‘termogenico’di produzione di H2S negli strati più profondi della
crosta terrestre, ma in generale, nei giacimenti più freddi,
l’origine di questo gas è prevalentemente biogenica.
I notevoli danni che interessano reservoir e impianti di produzione contaminati da popolazioni batteriche
solfato-riduttrici attive nella produzione di H2S devono
essere contenuti tramite onerose operazioni di manutenzione e trattamenti ad alto costo che richiedono l’uso
di biocidi e di anticorrosivi. Il solfuro di idrogeno è un
composto pericoloso per la salute umana, induce corrosione metallica e la sua presenza in associazione al greggio in fase produttiva ne abbassa notevolmente la qualità e richiede tecnologie di rimozione specializzate. Questo composto viene prodotto da una varietà notevole di
microrganismi solfato-riduttori (SRB, Sulphate-Reducing Bacteria), in assenza di ossigeno e in seguito alla
trasformazione enzimatica di solfati, solfiti e tiosolfati.
Questi microrganismi possono essere autoctoni del giacimento, o provenire dall’acqua iniettata in fase di estrazione secondaria, che può contenere sia i batteri sia le
quantità di solfato necessarie per sostenerne l’attività. I
meccanismi che governano i fenomeni di souring e la
loro propagazione nel giacimento non sono stati ancora
chiariti ed esistono modelli contrastanti per la predizione delle cinetiche di sviluppo di H2S nella vita produttiva dei giacimenti interessati dal fenomeno. Due modelli alternativi sono schematizzati in fig. 14.
acqua marina
mixing zone
Le tecnologie tradizionali di controllo dei fenomeni
di souring prevedono l’utilizzazione di biocidi ad ampio
spettro o di inibitori della solfato-riduzione a carico degli
SRB. Il trattamento con agenti chimici quali HCl, aldeidi, ammine è costoso, spesso poco efficace, soprattutto
a lungo termine, e poco ecocompatibile. Inoltre, i prodotti di degradazione delle stesse sostanze biocide possono fornire substrati addizionali per gli SRB. Tecnologie alternative prevedono la rimozione mediante nanofiltrazione del solfato presente nell’acqua utilizzata nel
processo di flussazione con acqua (water flooding). A
causa dell’alto costo, questo metodo è applicato solo di
rado, principalmente quando la filtrazione è necessaria
per prevenire problemi di formazione di incrostazioni
(scaling).
Negli anni Novanta sono state utilizzate sperimentalmente nuove tecnologie di controllo e prevenzione dell’attività sulfidogenica, basate sul trattamento dell’acqua con nitrati. Concentrazioni adeguate di nitrato inducono cambiamenti nella composizione delle popolazioni
microbiche dell’ambiente del giacimento e l’instaurarsi
della cosiddetta esclusione biocompetitiva, cioè la competizione tra SRB e NRB (Nitrate-Reducing Bacteria).
Sono stati ipotizzati diversi meccanismi concorrenti che rendono possibile il fenomeno di esclusione biocompetitiva:
• l’attività degli SRB è inibita direttamente dalla produzione di intermedi tossici derivanti dalla riduzione del nitrato (per esempio NO2, N2O);
acqua di formazione
iniettore
produttore
H2S
zona di reazione (SRB attivi)
acqua marina
acqua di formazione
mixing zone
DX
solfati
origine di H2S
0,02
acidi grassi
zona di reazione
convezione, diffusione, adsorbimento
produttore
0,03
iniettore
concentrazione (kmol/m3)
0,04
0,01
H2S prodotto
0
xa
biofilm
distanza x dall'iniettore
senza attività SRB
A
con attività SRB
gli SRB non migrano nel mezzo poroso
simulatore
B
fig. 14. Confronto tra due modelli alternativi di souring del giacimento: A, il modello a mixing zone
(Lingthelm et al., 1991); B, il modello a biofilm (Sunde et al., 1993). La zona colorata in giallo indica la regione
di attività dei batteri solfato-riduttori e di sintesi di H2S.
288
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
BIOTECNOLOGIE APPLICATE ALL’ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E CONVERSIONE DI OIL & GAS
•
i batteri nitrato-riduttori competono efficientemente
con i solfato-riduttori per i comuni donatori di elettroni, così come per le possibili fonti di C;
• la presenza di NRB zolfo-ossidanti (NR-SOB, Nitrate-Reducing Sulfide Oxidizing Bacteria) produce
un effetto inibitorio sulla crescita degli SRB, e dunque sulla produzione di H2S, probabilmente dovuto
all’aumento del potenziale redox ambientale (gli SRB
necessitano di un potenziale redox molto negativo
per una crescita ottimale);
• in presenza di nitrato sufficiente, l’H2S già presente
viene riossidato per via chimica, in parte a zolfo elementare e in parte a solfato.
La presenza di attività nitrito-reduttasica può rappresentare un fattore di resistenza delle popolazioni batteriche trattate, eliminando uno dei possibili intermedi
che inibiscono attività e crescita della popolazione SRB.
I meccanismi del fenomeno sono quindi piuttosto ben
studiati in sistemi modello in condizioni controllate, ma
il risultato dei trattamenti reali può dipendere in modo
rilevante dalla diversa composizione dei consorzi presenti nel giacimento e dalle condizioni nell’ambiente circostante (concentrazione di solfato e di acidi grassi volatili). Per queste ragioni le applicazioni nel campo della
tecnologia sono spesso legate alle situazioni contingenti del sito.
Dopo le prime evidenze sperimentali, sono stati condotti o sono in corso numerosi trattamenti sperimentali
con nitrato in campo e in sistemi modello, di cui si riportano alcuni esempi (Hitzman e Dennis, 2004).
Statoil-Norsk Hydro. Esperimenti di laboratorio su
un modello in piccola scala avevano dimostrato la possibile inibizione della formazione di H2S dopo l’immissione del nitrato. Quest’esperimento è stato quindi effettuato in campo, a Veslefrikk nel Mare del Nord, dopo
l’utilizzazione di water flooding, sostituendo i trattamenti
biocidi di gluteraldeide con nitrato. Dopo qualche mese
dall’immissione sono stati osservati una riduzione dell’attività degli SRB (misurata come produzione di H2S)
di 20.000 volte e simultaneamente un aumento dei batteri NRB. La corrosione di provini metallici è variata da
0,7 a 0,2 mm/a.
Trattamento a Skjold. Questo campo a gas in Danimarca ha una produzione associata di H2S che negli
anni è salita da 100 a 700 kg/d. Per tenere sotto controllo questo fenomeno è stato usato il THPS –
Tetrakis(Hydroxymethyl)Phosphonium Sulfate –, battericida che riesce a ridurre anche del 40% la quantità di
H2S prodotto e a diminuire i fenomeni di contaminazione e danneggiamento dovuti alla crescita di microrganismi (biofouling) nel sistema di iniezione. Il battericida è stato sostituito con nitrato a 250-150 mg/l per uno
o due mesi in due diversi pozzi iniettori dello stesso campo. Il trattamento ha portato alla riduzione di
circa 10 kg/d di H2S prodotto. Una volta terminato il
VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ
trattamento, riprende l’attività degli SRB. Trattamenti
più prolungati potrebbero avere un effetto più marcato
sull’intero campo.
Trattamento di Phillips Petroleum. Il campo di
Coleville in Canada è stato sottoposto a trattamento in
continuo per 50 giorni con 500 ppm di nitrato e ne è risultato il controllo totale della produzione di H2S in un pozzo e del 50-60% nei due pozzi adiacenti.
Generalmente si stima che le condizioni più favorevoli ai trattamenti possano essere legate a una situazione ‘preventiva’ dello sviluppo microbiologico di solfuro di idrogeno, che rende importante l’esistenza di modelli predittivi affidabili del fenomeno di souring dei
giacimenti.
Processi di rimozione di H2S da miscele gassose
I processi biologici di rimozione di H2S da miscele
gassose nell’ambito della produzione sono basati sulla
capacità di alcuni ceppi aerobi di ossidare lo zolfo secondo la reazione H2S⫹1/2O2⫺
⫺S⫹H2O. Il solfuro di idrogeno, disciolto in acqua sotto forma di HS⫺, viene ossidato dai microrganismi a zolfo elementare e come tale
si accumula fuori dalle cellule e viene separato fisicamente dal mezzo acquoso. Le varianti del processo si
differenziano in base alle caratteristiche metaboliche dei
ceppi utilizzati come biocatalizzatori (Thiobacillus,
Thioalkalivibrio e Thioalkalimicrobium). Per una discussione dettagliata sull’applicabilità di questi processi di
recente realizzazione, v. cap. 3.3.
䉳
䉴
Microbial enhanced oil recovery
Il MEOR (Microbial Enhanced Oil Recovery) consente lo sfruttamento di attività microbiche per facilitare il recupero della frazione di petrolio non prodotta da
giacimenti giunti alla fine del periodo di produzione primaria e secondaria. Queste tecniche, proposte fin da qualche decennio fa, sono applicate raramente su larga scala,
per l’ampio margine di rischio di insuccesso stimato a
causa della scarsa comprensione dei meccanismi che ne
sono alla base. Nonostante questo, negli ultimi anni il
MEOR incontra rinnovato interesse da parte degli operatori, soprattutto in Cina, in America Meridionale e nei
mari del Nord, probabilmente anche a causa dell’avanzamento nelle conoscenze della microbiologia di ambienti estremi quali sono i giacimenti petroliferi. Il MEOR
comporta la gestione delle popolazioni microbiche presenti nel giacimento mediante stimolazione con nutrienti o aggiunta di colture batteriche di tipo appropriato, è
potenzialmente poco costoso rispetto ad altri tipi di trattamento terziario e ha impatto ambientale nullo (Brown
et al., 2002).
Il funzionamento ipotetico del MEOR si basa generalmente su meccanismi complessi e diversificati: secondo uno dei meccanismi più attendibili (allo stato delle
conoscenze attuali) la crescita di biomassa negli strati
289
NUOVE TECNOLOGIE PER UPSTREAM
più permeabili del reservoir, associata o meno alla produzione di esopolimeri cellulari (alginati, polisaccaridi,
pullulani), può facilitare il plugging (intasamento o ostruzione) selettivo di strati permeabili. Sistemi controllati
in vitro basati sull’attività di ceppi selezionati quali Leuconostoc hanno dimostrato la possibilità di questi fenomeni. D’altra parte, gli stessi esopolimeri cellulari prodotti da cellule coltivate ‘in superficie’, per esempio la
resina xantano, sono stati utilizzati tradizionalmente, e
con successi alterni, in trattamenti di iniezione di acqua
addizionata con polimeri (polymer flooding) per indurre modificazione dei profili di permeabilità del giacimento.
Un meccanismo alternativo e potenzialmente vincente è basato sulla produzione di biosurfattanti da parte
di microrganismi residenti, in grado di indurre un aumento della produzione basato sullo spiazzamento dell’olio
residuo dai pori, mediante abbassamento della tensione interfacciale olio/acqua. Questo è un fenomeno interessante a livello teorico, ma è stata messa in dubbio la
reale possibilità sia numerica sia fisiologica delle popolazioni batteriche residenti in situ di poter sintetizzare
quantità sufficienti di surfattanti (Bryant e Lockhart,
2000). D’altra parte, in alcuni report le caratteristiche
chimico-fisiche delle miscele prodotte dopo stimolazione MEOR sembrano avvalorare modifiche compatibili con queste ipotesi. Altri prodotti del metabolismo
cellulare batterico che possono teoricamente influenzare la mobilitazione del greggio residuo sono i gas (CO2,
metano) e gli acidi che in condizioni favorevoli possono indurre solubilizzazione di matrici contenenti carbonati e indurre modificazioni nei profili di mobilitazione acqua/olio.
Come per i trattamenti di rimozione di composti inquinanti dalle falde acquifere del sottosuolo mediante stimolazione delle popolazioni microbiche autoctone, è
presumibile che occorra adattare i trattamenti alle caratteristiche del sito (o del giacimento) in esame. Questo
impone limiti notevoli all’applicabilità della tecnologia
che richiederebbe studi importanti di caratterizzazione
e prefattibilità.
Nel tentativo di migliorare le prospettive dei trattamenti MEOR, le attività di ricerca in corso, sia in laboratorio sia in campo, sono basate sulla definizione di
schemi di iniezione di nutrienti limitanti, che usualmente scarseggiano nel sottosuolo, quali azoto e fosforo, per stimolare in modo generalizzato la crescita e l’attività microbica, e/o sulla coltivazione e la caratterizzazione di ceppi selezionati in situ per caratteristiche
favorevoli ad attività desiderabili, quali: a) diminuzione della viscosità dell’olio; b) produzione di biosurfattanti; c) produzione di esopolimeri; d ) produzione di
acidi organici dall’olio. Una proposta recentemente
presentata dalla Statoil si basa sulla stimolazione dell’attività microbica nativa o residente dopo iniezione
290
di acqua di mare mediante ossigenazione dell’acqua
iniettata. Un approccio diverso prevede infine l’ingegnerizzazione di batteri produttori di surfattanti per adattarne le modalità di espressione genica alla fase di recupero dopo iniezione nel reservoir.
Qualsiasi metodo di trattamento che si basi sull’aggiunta di popolazioni non autoctone deve comunque prevedere le problematiche aggiuntive legate alla
sopravvivenza del ceppo batterico iniettato nelle condizioni ambientali del reservoir e nella competizione
con le popolazioni residenti, oltre alle limitazioni dei
fenomeni di trasporto dei batteri nei mezzi porosi. Dopo
alcuni decenni di interventi MEOR piuttosto empirici
e poco controllati è possibile che il potenziamento dei
metodi di caratterizzazione delle popolazioni microbiche nell’ambiente possa portare a una nuova fase
conoscitiva dei fenomeni implicati nei meccanismi di
interazione dei sistemi acqua/olio con le popolazioni
microbiche del sottosuolo, anche se le difficoltà intrinseche nella gestione di biomasse complesse, poco caratterizzate fisiologicamente e probabilmente diversificate anche all’interno dello stesso sito, rimangono
comunque notevoli.
Upgrading
Metanazione in situ
La difficoltà di recupero della maggior parte del
greggio residente nel giacimento ha stimolato proposte
e progetti di tecnologie nuove nello sfruttamento secondario e terziario dei giacimenti. Tra queste un gruppo
selezionato di tecnologie, presentate sotto forma di
comunicazioni e brevetti, si basa sullo sfruttamento di
microrganismi che possono trasformare componenti
idrocarburici del petrolio (ma anche di sabbie bituminose, rocce argillose o carbone) in metano. Anderson e
Lovley (2000) hanno proposto l’esistenza nella biosfera profonda, e in particolare nei giacimenti, di meccanismi di trasformazione di alcani, ma anche di idrocarburi aromatici, in metano a opera di comunità batteriche che comprendano batteri produttori di metano
(metanogeni). In generale la coesistenza di batteri fermentativi che possono trasformare gli idrocarburi in
molecole più piccole, quali alcoli, acidi, idrogeno, CO2,
con batteri metanogeni porta alla trasformazione di parte
del greggio in metano, con velocità di conversione che
sono materia di dibattito (Anderson e Lovley) ma che
si stima possano variare da estremamente lente a gestibili su scala di sfruttamento.
Come per altri processi biotici, le trasformazioni
microbiche sono spesso limitate da basse concentrazioni di nutrienti o da dinamiche di competizione con altri
gruppi trofici, per cui rimane la possibilità teorica di
manipolare il sistema ‘giacimento’ e di governarlo su basi
razionali allo scopo di favorire la produzione accelerata
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
BIOTECNOLOGIE APPLICATE ALL’ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E CONVERSIONE DI OIL & GAS
fig. 15. Biocracking:
schema delle interazioni
ipotetiche tra i sette tipi
batterici presenti
in un consorzio attivo
nella trasformazione
da esadecano a metano.
I tipi batterici sono
in blu, mentre substrati
e prodotti sono in verde;
in rosso sono indicati
i cammini metabolici
predominanti
(Parkes, 1999).
metanogeno
(1 tipo)
acetogeni
(3 tipi)
esadecano
(C16H34)
acetato
(CH3COOH)
metanogeni
(2 tipi)
CH4
batteri solfatoriduttori (1 tipo)
H2S
di metano da alcani (biocracking). Questi processi, attualmente presenti solo a livello di proposte nella letteratura tecnica e brevettuale, richiederebbero una caratterizzazione completa delle comunità microbiche presenti e
la comprensione delle interazioni complesse tra queste
e le condizioni ambientali (temperatura, acqua, nutrienti, sali, gas, ecc.), difficile da ottenere con le tecnologie
attualmente disponibili.
Come per i processi di bioremediation, in cui l’intervento razionale può modificare processi di biotrasformazione dell’inquinante a opera dei microrganismi
indigeni del sottosuolo, potrebbe comunque essere possibile manipolare le condizioni ambientali del giacimento
per favorire processi di recupero della frazione di greggio rimasta intrappolata nella formazione, mediante conversione degli idrocarburi liquidi in prodotti più facilmente recuperabili (metano, idrogeno) nei giacimenti
con le caratteristiche più favorevoli in termini di temperatura e salinità. In fig. 15 viene riportato schematicamente un possibile processo di trasformazione in situ
sfruttabile per recupero secondario.
Fluidificazione e deparaffinazione
Nella letteratura tecnica del settore sono spesso
riportate applicazioni basate sulla modificazione dei
parametri chimico-fisici del greggio provocata da trattamenti microbiologici. In particolare trattamenti localizzati a livello di singolo pozzo possono portare plausibilmente alla rimozione selettiva di precipitati di paraffine a lunga catena. Vengono inoltre rilevati casi in cui
il presunto accumulo di prodotti del metabolismo cellulare – quali proteine o biosurfattanti – può portare a
un abbassamento locale della tensione interfacciale
olio/acqua. Mentre questi possono essere fenomeni
reali, visto che rispecchiano uno spettro di reazioni già
osservate in sistemi controllati, o comunque teoricamente possibili, questo campo di applicazione, che ha
importanti ricadute anche sui problemi di trasporto del
VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ
greggio, rimane ancora fenomenologico, poco circostanziato e spesso legato alle caratteristiche locali del
sistema trattato.
Desolforazione, deazotazione e demetallizzazione
L’inasprimento dei limiti che regolano le emissioni
da carburanti ha portato, nel più recente passato, alla
concezione e allo sviluppo, fino alla scala pilota, di processi biocatalizzati sofisticati per la rimozione dei composti organosolforati dai prodotti petroliferi. Nonostante gli avanzamenti nel settore, principalmente attribuibili allo sviluppo di nuovi ceppi ingegnerizzati efficienti,
il limite di costo imposto a processi di upgrading dei prodotti petroliferi (qualche decimo di centesimo di dollaro per litro di gasolio trattato) ha limitato fortemente
l’applicabilità dei processi. Le stesse considerazioni
riguardano i potenziali processi di deazotazione, rimozione dei metalli e rimozione del benzene, che rimangono teoricamente interessanti solo in mancanza di processi chimici alternativi e che come vantaggio caratterizzante possono sfruttare l’estrema specificità delle
reazioni biocatalizzate. È tuttavia possibile che lo sviluppo di processi anaerobici catalizzati da consorzi di
specie estremamente oleofile e attive direttamente sul
greggio fornisca un nuovo approccio ai problemi di trattamento di greggi ‘difficili’ prodotti in quantità sempre
maggiori.
3.4.4 Funzionalizzazione biologica
del metano
Il metanolo si candida certamente come un vettore energetico di sintesi di grande interesse, dal momento che si
può produrre via gas di sintesi a partire da varie fonti
fossili (gas naturale, residui di raffinazione, carbone), è
liquido a temperatura ambiente e ha un bilancio favorevole tra atomi di carbonio e idrogeno e un buon potere
291
NUOVE TECNOLOGIE PER UPSTREAM
calorifico. In linea di principio appare molto promettente la prospettiva di produrre il metanolo per ossidazione diretta del metano ma, come si è visto, non esistono catalizzatori in grado di realizzare questa reazione
efficientemente su scala industriale. La funzionalizzazione selettiva del metano rimane quindi una delle grandi sfide della chimica contemporanea.
D’altro canto, i biocatalizzatori che realizzano l’ossidazione degli alcani (metano incluso) permettono a una
grande varietà di microrganismi di utilizzare questi idrocarburi per crescere. Di fatto, l’attività naturale di questi microrganismi influenza in modo importante il ciclo
del carbonio sul nostro pianeta e indirettamente anche il
controllo del clima, per quanto questo è determinato dalle
concentrazioni di alcuni gas serra. Si stima che la cattura e il turnover del metano da parte dei batteri che consumano metano (metanotrofi) contribuiscano al consumo di una gran parte del metano emesso o prodotto sulla
superficie terrestre, partecipando così in modo decisivo
a determinare il livello all’equilibrio di questo gas nell’atmosfera.
La grande varietà di sistemi enzimatici caratterizzati da capacità ossidativa sugli alcani ha ispirato curiosità
e tentativi di ricrearli sperimentalmente per la capacità
di catalisi in condizioni estremamente facili di pressione e temperatura. D’altra parte, la bassa velocità di turnover, la scarsa stabilità degli enzimi e la complessità
dei sistemi a multicomponenti hanno limitato l’applicazione industriale a pochi esempi di sintesi di prodotti ad
alto valore aggiunto. Nell’ultimo decennio l’applicazione di tecniche innovative di evoluzione enzimatica in
vitro ha permesso la sintesi di varianti più efficienti degli
enzimi naturali. Lo studio delle varianti ottenute in vitro
del biocatalizzatore della reazione di ossidazione del
metano promette almeno di colmare un gap di conoscenza tra i meccanismi di attivazione selettiva del legame C⫺H e lo sviluppo di processi applicativi convenienti. In questo paragrafo si accenna al processo biologico di conversione ossidativa del metano, allo studio
dei biocatalizzatori, ai tentativi di mutagenesi e di riproduzione sperimentale e ai processi biologici alternativi
per la produzione di metanolo.
Metano-monossigenasi
Sono noti due tipi di biocatalizzatori dedicati alla
funzionalizzazione del metano: pMMO (particulate
Methane-MonOxygenase) e sMMO (soluble MethaneMonOxygenase). Entrambi gli enzimi fanno parte del
gruppo delle monossigenasi a due atomi di ferro. Non
si conoscono altre ossigenasi capaci di accettare il metano come substrato, mentre le MMO possono accettare
e funzionalizzare substrati diversi, quali alcani di varia
lunghezza e idrocarburi clorurati (questo rende l’uso
dei batteri metanotrofi interessante per applicazioni
pratiche di ripristino di siti contaminati). Entrambi gli
292
enzimi sono stati cristallizzati: la sMMO in varie conformazioni nel corso dell’ultimo decennio (Rosenzweig
et al., 1993), mentre la pMMO solo di recente (Lieberman e Rosenzweig, 2005). I batteri che utilizzano
questi enzimi (metanotrofi aerobi) vivono in ambienti
al confine tra zone aerobiche e anossiche, laddove coesistono i livelli necessari di metano e di ossigeno molecolare (falde acquifere sotterranee o superficiali stagnanti, strati superficiali di sedimenti). La sMMO include tre diverse componenti proteiche (fig. 16), ognuna
delle quali è essenziale per garantire un livello efficiente di catalisi.
La pMMO è a sua volta costituita da un trimero nel
quale ogni componente è formato da tre subunità diverse, in cui la subunità catalizzatrice contiene due centri
metallici con, rispettivamente, uno e due atomi di rame.
La catalizzazione effettuata da tutte le MMO consiste nell’ossidazione selettiva di metano a metanolo secondo la reazione:
CH4 ⫹NADH⫹H⫹ ⫹O2⫺ CH3OH⫹
⫹NAD⫹ ⫹H2O
䉴
dove NADH e NAD⫹ rappresentano i cofattori enzimatici rispettivamente ridotti e ossidati (fig. 3). È proprio la complessità del sistema enzimatico naturale, formato da enzimi composti da più subunità e dipendenti
da cofattori ossidati e ridotti a loro volta secondo cammini metabolici cellulari complessi, che limita la manipolazione dei sistemi catalitici naturali volta ad aumentarne l’efficienza e l’applicabilità industriale. I leader
‘storici’ della ricerca in questo campo (Merkx et al.,
NADH
MMOR
MMOB
NAD⫹
Fe
Fe
regolazione
e⫺
H
O
Fe
Fe
CH4⫹O2
O O
CH3OH
⫹H2O
MMOH
CH4⫹O2⫹2H⫹⫹2e⫺
CH3OH⫹H2O
fig. 16. Struttura del complesso enzimatico sMMO e schema
di reazione (Merkx et al., 2001).
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
BIOTECNOLOGIE APPLICATE ALL’ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E CONVERSIONE DI OIL & GAS
alcuni dei quali sono stati caratterizzati mediante indagini spettroscopiche EPR (Electron Paramagnetic Resonance), Mossbauer ed EXAFS (Extended X-ray Absorption Fine Structure) in combinazione con altre tecniche
di spettroscopia. Molto rimane da capire sui meccanismi di interazione con il metano dello stato intermedio
reattivo del centro catalitico (MMOHQ), la cui struttura viene riportata in fig. 17, e sul meccanismo della reazione di scissione del legame C⫺H.
Fe
Mutagenesi
Fe
substrato
fig. 17. Centro catalitico biferrico nello stato
MMOHQ con una molecola di etano come substrato
(Guallar et al., 2002).
Le MMO hanno meritatamente la fama di essere
enzimi ‘difficili’. I tentativi di mutagenesi (diretta) finora effettuati sul gene che le codifica sono stati ostacolati dalla scarsità di strumenti genetici adatti per la selezione su grandi numeri di mutanti; inoltre la stragrande maggioranza delle mutazioni descritte non ha portato
ad aumenti significativi dell’attività enzimatica o all’acquisizione di caratteristiche favorevoli a impieghi industriali, quali potrebbero essere per esempio mutazioni
che rendono gli enzimi indipendenti da cofattori esterni. Pertanto la mutagenesi delle MMO ha finora chiarito alcuni aspetti sul funzionamento degli enzimi, ma
non ha ancora portato alla sintesi di varianti appetibili
industrialmente. Dalla letteratura non risulta che sia
ancora stato possibile applicare i sistemi di directed
evolution in vitro alle MMO, vista l’assenza di sistemi
efficienti di espressione e di screening dei geni codificanti questi enzimi.
Mutagenesi delle ossigenasi P450
2001; Astier et al., 2003; Urlacher et al., 2004) ritengono che più che un’applicazione diretta degli enzimi
su scala industriale, la comprensione del meccanismo
enzimatico di reazione potrà guidare lo sviluppo di catalizzatori sintetici più efficienti di quelli esistenti.
Meccanismo d’azione e sito attivo della sMMO
Il meccanismo catalitico della sMMO è stato studiato approfonditamente nell’ultimo decennio ed è stato
raggiunto un buon livello di dettaglio sul succedersi
degli stati reattivi del centro catalitico, formato da due
atomi di ferro nella subunità idrolitica. Il ruolo essenziale delle due componenti ausiliarie è il trasferimento
di elettroni, mediato da NADH, da parte della reduttasi; per la terza subunità l’ossigenasi ha un ruolo regolatore e stabilizzante, secondo un meccanismo ancora
oscuro. Il sito catalitico a due atomi di ferro complessato da gruppi carbossilici è presente anche in altri enzimi che catalizzano una gran varietà di reazioni diverse
(legame reversibile con O2, desaturazione specifica di
un doppio legame di un acido grasso, ossidazione e cattura di ferro, rilevazione della presenza di ossigeno). Il
ciclo di legame e l’attivazione dell’ossigeno avvengono secondo un succedersi di stadi intermedi transienti,
VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ
Nel gruppo degli enzimi in grado di ossidare composti idrocarburici (ma non metano), la classe delle ossigenasi P450 si distingue per alcune caratteristiche che
ne fanno un prototipo vantaggioso per applicazioni industriali future.
In primo luogo l’attività di alcune P450 (P450 BM-3)
è indipendente dalla presenza di cofattori, l’enzima non
è composto da subunità diverse che devono interagire
con perdite di efficienza notevoli e l’attività ossidativa
su substrati naturali delle P450 è centinaia di volte superiore a quella di altre alcano-monossigenasi. Il sito catalitico delle ossigenasi P450 contiene un anello porfirinico e il meccanismo di ossidazione del substrato differisce da quello delle MMO (fig. 18). In fig. 19 è schematizzato un confronto tra alcuni passaggi essenziali
della reazione ossidativa catalizzata dai due enzimi.
In secondo luogo, a differenza delle MMO, nelle P450
esistono sistemi di espressione genica adeguati per renderne possibile l’ingegnerizzazione e l’evoluzione in
vitro. Sulla base di queste premesse, sono state generate mediante evoluzione in vitro nuove varianti P450, capaci di ossidare C3-C8, substrato non riconosciuto dall’enzima naturale, con attività superiore alle alcano-monossigenasi note (Glieder et al., 2002). L’ingegnerizzazione
293
NUOVE TECNOLOGIE PER UPSTREAM
di questo biocatalizzatore ha quindi permesso di dirigere le caratteristiche vantaggiose della chimica ossidativa delle P450 verso l’utilizzazione selettiva di alcani corti. È ovvio che il passo successivo sarà indirizzato alla creazione di varianti in grado di catalizzare le
reazioni ossidative metano-metanolo ed etano-etanolo;
di fatto recentemente è stato riportato l’isolamento dei
primi mutanti P450 attivi su etano (Meinhold et al.,
2005).
Processo di produzione biologica di metanolo
I processi biologici di produzione di alcol e di solventi sono spesso condizionati dalle rese di conversione, dalla tossicità del prodotto per il biocatalizzatore e
dagli alti costi di fermentazione. Il metanolo è il prodotto della prima reazione nella catena di utilizzazione del metano da metanotrofi e può essere ritrovato nel
mezzo acquoso di coltura dei batteri che esprimono
livelli insufficienti del secondo enzima nella catena
metabolica o nei quali questa attività viene parzialmente
inattivata. I livelli di conversione tipici descritti per le
MMO sono piuttosto bassi (turnover rate intorno a 200
molecole di substrato ossidate al minuto) e l’accumulo di intermedi di reazione è limitato in primo luogo
dall’inefficienza di questo primo passaggio della catena metabolica e secondariamente dalla richiesta di ulteriore energia per il riciclo di ossidazione/riduzione dei
cofattori. All’interno di questi limiti è stato proposto
un processo in cui l’attività metanolo-deidrogenasica
delle cellule viene inibita da alte concentrazioni di CO2
(prodotto finale della reazione). In queste condizioni è
stata riportata una produzione stabile di metanolo da
cellule di Methylosinus trichosporium di 0,13 mmol/h
(circa un quarto dell’attività metano-ossidativa delle
fig. 18. Meccanismo
di idrossilazione
del substrato
catalizzata
da ossigenasi P450:
il quadrato rappresenta
il gruppo eme
del centro catalitico
(Urlacher et al., 2004).
H
O
cellule utilizzate; Xin et al., 2004). L’attività metanoossidante del ceppo utilizzato è però meno di un centesimo di quanto osservato in altri ceppi della stessa
specie, per esempio in Methylosinus trichosporium
11131, di cui è stata infatti riportata la produzione di
100 mmol/h di metanolo da cellule immobilizzate (Metha
et al., 1991). Osaka Gas ha brevettato un processo basato sull’uso di metanotrofi in cui l’ulteriore ossidazione di metanolo a formaldeide viene inibita parzialmente
da condizioni fermentative del processo (Tsubota et al.,
2002). Analogamente in Lee et al. (2004) viene riportata la produzione continua da Methylosinus trichosporium di circa 8 mM di metanolo in 36 ore (utilizzando formiato nel mezzo di coltura e 1:4 metano/aria),
inibendo il consumo di metanolo con alte concentrazioni saline.
Clark e Roberto (2003) riportano un metodo fermentativo per la produzione di alcani idrossilati che utilizza una frazione di solvente apolare come carrier per
l’idrogeno necessario a rigenerare i cofattori ridotti che
coadiuvano l’attività enzimatica.
I processi che utilizzano varianti (sviluppate in vitro)
di ossigenasi tipo P450 secondo i meccanismi descritti dal gruppo di Caltech (Glieder et al., 2002; Meinhold
et al., 2005) e citati nei paragrafi precedenti, rientrano
in un primo gruppo di brevetti piuttosto generali che
riportano metodi utilizzabili nel processo di individuazione di mutanti più attivi nelle reazioni di ossidazione di alcani.
Lo sviluppo di processi basati su mutanti in vitro per
la sintesi di composti ossigenati da alcani e altri derivati di origine fossile è anche uno degli obiettivi dichiarati di legami pluriennali tra industria biotech e alcune
compagnie chimico-petrolifere.
H
Fe(III)
S
a
H2O
Fe(III)
b
Cys
Fe(II)
c
S
S
Cys
Cys
HOOH
O2
H2O
O
O
H2O
Fe(V)
f
S
Cys
294
O
H
O
Fe(III)
e
S
Cys
O
Fe(II)
d
S
Cys
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
BIOTECNOLOGIE APPLICATE ALL’ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E CONVERSIONE DI OIL & GAS
Hred
Hperoxo
C
O
O
C
O
C
O
H
O
Fe(I)
H
O
C
H
O
H
O
Fe(II)
O
H
O
C
C
H
O
H
O
O
H
Fe(II)
O
Fe(I)
Fe(II)
Fe(I)
C
C
O
C
H O
O
C
C
H
H
H
O
H
O
O
O
C
O
H
O
O
O
Fe(I)
O
O
Fe(II)
Fe(II)
H
H
O
Fe(III)
SR
Fe(I)
R3COH
Fe(II)
substrato ossigenato
Hox
H
H
O
R3CH
⫺1
R3CH
Fe(I)
Q
R3COH
O
O
Fe(II)
Fe(IV)
SR
O
SR
Fe(III)
SR
fig. 19. Confronto del meccanismo catalitico di ossidazione del substrato in MMO e ossigenasi P450
(Guallar et al., 2002).
Produzione biologica di metanolo e di altri composti
ossigenati da scarti della produzione agricola
La necessità di valorizzare gli scarti prodotti dalle
attività umane come fonte potenziale di prodotti energetici è alla base della rivalutazione di iniziative sviluppate negli anni passati e poi abbandonate in tempi di
sfruttamento esclusivo dei derivati petroliferi come fonte
di energia. Tra questi, ricordiamo che la produzione di
metanolo dalla termocombustione del legno è stata un
processo utilizzato nel Novecento, poi soppiantato dalla
produzione chimica da metano. Più recentemente sono
stati sviluppati processi di produzione per via fermentativa di metanolo o etanolo da prodotti agricoli ricchi
in zuccheri, per esempio gli scarti agricoli ad alto contenuto cellulosico derivanti dalla lavorazione del mais
e della canna da zucchero. Tra i due alcol, la produzione di etanolo da grano appare favorita rispetto a quella
di metanolo dalla stessa fonte.
La produzione di metanolo da scarti di barbabietola
(a uso non alimentare) è oggetto di ricerca intensiva da
parte di Atlantic Biomass Conversions in collaborazione
VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ
con varie università e con l’USDA (United States Department of Agriculture) in un progetto basato sull’industria agricola nel North Dakota (USA). Il processo, per
cui si prevede l’installazione di prototipi in raffinerie
di zuccheri da barbabietole entro il 2007, è basato sull’uso di ceppi batterici sviluppati in vitro per l’utilizzazione efficiente di materia prima di scarto. Dalla frazione di scarto umida delle raffinerie statunitensi potrebbe essere prodotto, secondo Clark e Roberto (2003), un
quantitativo di metanolo per uso energetico pari a 350
milioni di litri all’anno, comparabile a quanto ottenibile dalle raffinerie europee. In Europa il processo è
materia di studio da parte di società biotecnologiche
quali Biopract.
Le rese energetiche di biofuel (comprendenti additivi e biodiesel) da coltivazioni agricole, materia di
dibattito acceso tra sostenitori e detrattori, sono sempre legate alle situazioni locali nel loro complesso e
sembrano indicare in varie situazioni la possibile competitività dei biofuel con altre fonti di energia fossile.
Per sostenere la competizione devono comunque essere
295
NUOVE TECNOLOGIE PER UPSTREAM
prese in considerazione iniziative con disponibilità di
quantità adeguate di biomassa sul territorio.
Sistemi mimetici bioinorganici
Per ovviare ad alcuni dei limiti naturali dei sistemi
MMO, sono stati disegnati sistemi sperimentali ibridi
(Biomethanol [...], 2004) o completamente inorganici
(Astier et al., 2003) mirati alla reazione di ossidazione
selettiva del metano in condizioni blande. Uno di questi
sistemi prevede il trasferimento diretto di elettroni da un
elettrodo alla subunità catalitica di sMMO purificata. In
condizioni controllate (presenza di un enzima che regoli il livello di perossido di idrogeno), la reazione può
avvenire a velocità confrontabili con quelle dell’enzima
nativo. Mentre questo costituisce un vantaggio, riducendo la dipendenza del sistema produttivo dal cofattore NADH, il metodo di sintesi rimane basato su enzimi
purificati, quindi poco stabili, suscettibili di ossidazione e labili nel tempo.
Nuovi sistemi ibridi basati sull’utilizzo di molecole
shuttle di elettroni quali cobalto(II) sepulcrato tricloride o composti del rodio sono stati sperimentati con buoni
risultati in abbinamento ad altre ossigenasi NADH-dipendenti, quali alcune P450 (Schwaneberg et al., 2000) e
potrebbero essere utilizzati con le metano-ossigenasi.
Bioconversione del metano in assenza di ossigeno
L’ossidazione naturale del metano in ambienti anossici è mediata da microrganismi e funziona come importante reazione di controllo del flusso di metano dai sedimenti marini profondi verso l’atmosfera. Si stima che
questo processo, mediato da consorzi microbici che
utilizzano il solfato come ossidante, consumi il 5-20%
del flusso di metano globale immesso nell’atmosfera
(20-100⭈106 t/a). In aggiunta all’importanza di questa
reazione su scala globale nel ciclo del metano nella
nostra era, se ne ipotizza un ruolo fondamentale anche
durante l’evoluzione geochimica del pianeta, quando
alte concentrazioni atmosferiche di gas serra controbilanciavano la scarsa irradiazione dal sole. Si ipotizza
infatti che in quel periodo il gas atmosferico maggiormente responsabile dell’effetto serra fosse il metano
(mentre i ritrovati geologici evidenziano basse concentrazioni di CO2) e che pertanto il processo di ossidazione anaerobica del metano sia stato il modulatore
principale del clima terrestre.
Nonostante studi estensivi, le basi del processo naturale rimangono elusive, il meccanismo di reazione non
è ancora chiaro e le principali ipotesi rimangono aperte (Valentine e Reeburgh, 2000). Negli ultimi anni sono
stati compiuti però progressi importanti: studi su sedimenti marini evidenziano la partecipazione di nuove
classi di microrganismi, appartenenti al gruppo degli
Archea e vicini filogeneticamente ai Methanosarcinales, come catalizzatori primari nella funzionalizzazione
296
del metano, una reazione strettamente interdipendente
dalla presenza e dalla attività in consorzio di archeobatteri e batteri solfato-riduttori. Le specie chimiche che
favoriscono l’interdipendenza tra queste componenti del
consorzio microbico sono ancora poco chiare ma coinvolgono probabilmente idrogeno e forse acetato o acido
acetico. Le reazioni alla base della trasformazione di
metanazione solfatodipendente, ipotizzate assumendo
il trasferimento interspecie di idrogeno in acido acetico, sono:
2CH4 ⫹2H2O⫺ CH3COOH ⫹4H2
䉴
4H2⫹SO42⫺⫹H⫹⫺ HS⫺⫹4H2O
䉴
⫺
⫹
CH3COOH ⫹SO42⫺⫺ 2HCO⫺
3 ⫹HS ⫹H
䉴
2CH4 ⫹2SO42⫺⫺ 2HS⫺ ⫹2HCO⫺
3 ⫹2H2O
䉴
La resa termodinamica del complesso di reazioni nel
loro insieme è piuttosto bassa ma sarebbe favorita alle
alte concentrazioni di metano caratteristiche delle fonti
gassose a metano del fondo oceanico.
In conclusione, l’ossidazione biologica del metano
in sedimenti anossici è un processo fondamentale a livello globale, attribuito ad archeobatteri che vivono in consorzi sintrofici con batteri solfato-riduttori e probabilmente legato a reazioni di conservazione dell’energia e
di crescita batterica. Allo stato attuale, però, non è stato
ancora possibile studiare le reazioni identificate in laboratorio in specie isolate e le osservazioni più importanti sono per ora a livello di misurazioni sul campo. Pertanto lo sfruttamento dei (bio)catalizzatori coinvolti nel
processo di funzionalizzazione anaerobica del metano
dipende strettamente dai risultati di ulteriori studi necessari alla comprensione di questo processo.
Prospettive
L’utilizzo di microrganismi interi per biocatalizzare
reazioni ossidative soffre di alcune limitazioni dei sistemi enzimatici naturali: dipendenza della reazione da
cofattori ridotti e complessità dei sistemi enzimatici
multi-componenti. La risposta biotecnologica a queste
limitazioni è duplice e riguarda: lo sviluppo di sistemi
ospite ingegnerizzati per ottimizzare l’ambiente cellulare e favorire la reazione ossidativa, per esempio ottimizzando i livelli di espressione di cofattori e reduttasi; la creazione di varianti enzimatiche ‘evolute’ più attive o di enzimi più attivi su substrati di interesse poco
utilizzati dall’enzima naturale.
Nel caso delle metano-monossigenasi entrambi i punti sono da sviluppare, con la possibile eccezione della
recente sintesi di interessanti varianti dell’ossigenasi
P450 B-3, attive su alcani corti e che possono essere sottoposte a mutagenesi per riconoscere il metano. È anche
possibile intravedere sviluppi positivi nel sistema di
espressione degli enzimi stessi, passaggio necessario per
l’ingegnerizzazione di MMO, sfruttando per esempio
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
BIOTECNOLOGIE APPLICATE ALL’ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E CONVERSIONE DI OIL & GAS
sistemi di espressione di ossigenasi simili (propanomonossigenasi) in specie facilmente ingegnerizzabili.
Infine, le reazioni ossidative di metano in assenza di
ossigeno sono potenzialmente aperte allo sfruttamento
per la sintesi di derivati, nei quali il carbonio da metano
viene fissato in intermedi la cui natura non è ancora precisamente stabilita.
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Francesca de Ferra
EniTecnologie
San Donato Milanese, Milano, Italia
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI