Vie urinarie superiori e inferiori nell`anziano: modificazioni età

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CAPITOLO 44
Vie urinarie superiori e inferiori nell’anziano:
modificazioni età-correlate e patologie più comuni
Mario Molaschi, Elisa Martinelli
Il rene senile
L’invecchiamento induce nel rene un progressivo deterioramento anatomico e funzionale che di per sé non crea particolari problematiche cliniche. L’insorgenza di patologie o di noxae esterne può palesare i limiti compensatori dell’organo, in particolare per
quel che riguarda il bilancio idrosalino ed emodinamico. Inoltre, la ridotta funzionalità renale è alla base della patologia iatrogena da farmaci: in forma diretta (medicamenti nefrotossici - antinfiammatori non steroidei, aminoglicosidi, mezzi di contrasto) o indiretta, da accumulo di sostanze escrete per via renale (es. digossina).
Alle alterazioni correlate all’invecchiamento, genericamente definite con il termine
di rene senile, si sovrappongono quelle secondarie a patologie verificatesi nel corso
della vita, quali nefropatie, aterosclerosi, ipertensione arteriosa, diabete mellito, infezioni
batteriche e, non da ultime, quelle conseguenti a cause tossiche, a errate abitudini di
vita e a situazioni di malnutrizione.
Le principali modificazioni morfologiche del rene senile sono caratterizzate da una
diminuzione del volume, che a 80 anni si riduce di circa il 20-30%, e da un calo di peso,
che passa dai 250-270 grammi del soggetto giovane adulto, ai 180-200 grammi. Vi è un
aumento di consistenza dell’organo che assume spesso aspetto pseudolobare, per la
presenza di infossamenti, da cui il termine improprio di “rene grinzo arteriosclerotico”.
La capsula renale risulta ispessita e vi è un incremento del tessuto adiposo perirenale,
in particolare a livello dell’ilo. A carico della corticale renale vi è una diminuzione del
numero e delle dimensioni dei glomeruli con aumento relativo di quelli sclerotici. I
tubuli si riducono numericamente e di lunghezza; il loro tratto distale, per la presenza
di diverticoli, assume spesso un aspetto sacciforme con cisti da ritenzione, probabile
espressione di reazioni infiammatorie e di fatti infettivi.
Il calibro dell’arteria renale e dei suoi rami principali risulta ridotto. Le arterie interlobari e arciformi, come quelle di calibro inferiore, perdono di elasticità. Le unità arteriolo-glomerulari presentano spesso una occlusione del lume delle arteriole preglomerulari e a livello iuxtamidollare sono presenti shunt tra arteriole afferenti ed efferenti. Tali alterazioni sono per lo più indistinguibili da quelle conseguenti ad arteriosclerosi e/o a ipertensione arteriosa. A livello dell’interstizio renale vi è un incremento delle
fibre collagene e del tessuto fibroso; spesso sono presenti infiltrati di linfociti e di plasmacellule.
Le alterazioni funzionali correlate all’invecchiamento sono principalmente caratterizzate da una diminuzione progressiva del flusso plasmatico renale (FPR), che a 80
anni raggiunge valori di poco superiori al 50% rispetto a quello del soggetto giovane adul-
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to (dai 600 ml/min ai 300 ml/min) e del filtrato glomerulare (FG) che dai valori medi di
130-145 ml/min si riduce ai 60-80 ml/min dopo gli 80 anni. Le modificazioni della funzionalità tubulare sono prevalentemente la conseguenza del ridotto numero di nefroni e sono responsabili della minor capacità di concentrare e diluire le urine.
Mentre nel soggetto giovane-adulto la creatininemia rappresenta un buon parametro di valutazione della funzionalità renale, non altrettanto si può affermare per il soggetto anziano, in cui la ridotta massa muscolare determina una minor produzione di creatinina e, quindi, basse concentrazioni ematiche. Poiché la valutazione della clearance
della creatinina è poco attuabile in età avanzata, soprattutto per la difficoltà di raccogliere
scrupolosamente le urine, Cockeroft e Gault hanno proposto una formula che tiene
conto non solo della creatininemia, ma anche dell’età, del peso corporeo e del sesso del
soggetto. Il valore di FG così calcolato è sicuramente più vicino al reale; limiti di tale formula sono l’estrema variabilità della massa muscolare dell’anziano, la presenza di
importanti edemi o situazioni di cachessia.
Patologie urogenitali non neoplastiche
Insufficienza renale acuta e cronica
Affezioni renali o extrarenali, in grado di deprimere il FG, possono condurre rapidamente l’anziano allo sviluppo di insufficienza renale. Una eccessiva o ridotta somministrazione di liquidi, una rilevante perdita di questi o di soluti per via renale (diuretici) o extrarenale (vomito, diarrea, ecc.) sono spesso responsabili di un rapido peggioramento della funzionalità renale. L’incidenza dell’insufficienza renale cronica è
circa dieci volte più frequente in età avanzata rispetto all’adulta e le cause sono sostanzialmente simili, sebbene relativamente più frequente nell’anziano sia l’insufficienza
renale secondaria ad amiloidosi e diabete mellito.
Infezioni delle vie urinarie
Tra i 65 e i 70 anni, una batteriuria è presente in circa il 20% delle donne e nel 2-3%
degli uomini, dopo gli 80 anni nel 30-50% dei soggetti di sesso femminile e nel 10%
degli individui di sesso maschile. Spesso si tratta di batteriuria asintomatica, transitoria e con mutamento dell’agente microbico. Responsabili di tali infezioni sono le ostruzioni al flusso urinario a vari livelli e un abbondante ristagno vescicale postminzionale. Scadute condizioni generali, deterioramento cognitivo, alterazioni meccaniche e neurologiche dei meccanismi di minzione, incontinenza urinaria, patologie cronico-degenerative e deficit immunitari sono fattori predisponenti. I microrganismi coinvolti sono
più frequentemente l’Escherichia coli, ma anche proteus, klebsiella, pseudomonas ed
enterococco. L’aumentata prevalenza di germi diversi dall’E. coli nell’anziano sembra
dovuta alla maggior tendenza all’ospedalizzazione dei soggetti di età avanzata, al più
frequente impiego del cateterismo vescicale e di indagini strumentali invasive.
Capitolo 44 · Vie urinarie superiori e inferiori nell’anziano
Uropatia ostruttiva
Con questo termine, si definisce qualsiasi ostruzione a livello delle vie escretrici renali in grado di determinare un ostacolo al flusso urinario. La stasi urinaria, a seconda
della sede dell’ostruzione, provoca un aumento della pressione nelle vie escretrici a
monte, con conseguente dilatazione degli ureteri e idronefrosi, cui seguono solitamente infezioni delle vie urinarie. Negli stadi più avanzati, quando l’innalzamento
della pressione idrostatica all’interno del tubulo renale raggiunge un valore tale da
compromettere il gradiente pressorio tra capillari glomerulari e capsula di Bowman,
si ha riduzione del FG con possibilità di insufficienza renale. L’uropatia ostruttiva è
una delle patologie più frequenti nell’anziano, spesso ignorata in rapporto al suo lento
progredire e, almeno negli stadi iniziali, alla scarsa sintomatologia. Solo in caso di
ostruzione acuta si ha dolore con sintomi gastrointestinali quali nausea, vomito e, talora, ileo paralitico. Cause più frequenti sono: a carico del rene, la nefropatia uratica e calcica; a livello degli ureteri, tutte le calcolosi e le stenosi conseguenti a precedenti interventi urologici o le compressioni sulle vie urinarie escretrici esercitate da malattie del
retroperitoneo (fibrosi retroperitoneale, neoplasie); a livello di vescica e uretra, l’adenoma e il carcinoma della prostata, le neoplasie vescicali e pelviche, la litiasi e la vescica
neurologica. Alla rimozione dell’ostruzione, quando possibile, segue abbondante diuresi, che può durare anche qualche giorno, con grave rischio di ipovolemia e di disidratazione.
Urolitiasi
Si distinguono: una calcolosi calcica (ossalica, fosfatica) radiopaca; una uratica, cistinica
radiotrasparente; una struvitica fosfoammoniomagnesiaca (infetta). Le concrezioni,
uniche o multiple, sono di dimensioni variabili da fine sabbia (microlitiasi) sino ad
arrivare alla calcolosi a stampo e coralliforme. In molti casi non è individuabile un fattore eziopatogenetico (calcolosi idiopatica). Alterazioni metaboliche, che determinano ipercalciuria, iperossaluria, iperuricuria, rappresentano il fattore determinante in
una discreta percentuale di casi (iperparatiroidismo, sindromi con alterato metabolismo
delle purine, quali la gotta, ecc.). Determinanti sono la stasi urinaria, un carente apporto idrico e la sindrome da immobilizzazione, che causa riassorbimento di calcio dalle
ossa. Nell’ipertrofia prostatica frequente è la litiasi vescicale da ristagno urinario. Una
calcolosi inveterata e recidivante è responsabile di circa il 20% delle insufficienze renali croniche in età avanzata.
Stenosi dell’arteria renale
In circa il 60% degli ultrasessantenni sono presenti lesioni aterosclerotiche delle arterie renali, per lo più placche ateromasiche all’origine dell’arteria, in grado di indurre stenosi e responsabili di ipertensione arteriosa e di nefropatia ischemica.
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Ipertrofia prostatica
L’ipertrofia prostatica è presente nel 25% degli uomini nella quinta decade di vita e in
oltre l’80% dei settantenni: si tratta di una iperplasia nodulare che interessa in modo
variabile la componente ghiandolare e stromale della prostata. L’ostruzione meccanica
secondaria all’iperplasia, determinata sull’uretra, si ripercuote sulle vie urinarie a monte;
il muscolo detrusore della vescica compensa l’ostruzione ipertrofizzandosi e determina il quadro noto come vescica da sforzo, o a celle e colonne, in cui sono spesso presenti
diverticoli.
La sintomatologia minzionale (disuria, stranguria, pollachiuria, nicturia, ischiuria
paradossa, ecc.) è in relazione al grado di ostruzione e alta è l’incidenza di complicanze, soprattutto infettive. Al fine di un efficace inquadramento diagnostico e terapeutico è opportuno valutare la funzionalità renale, dosare l’antigene prostatico specifico
(PSA), valutare il residuo post-minzionale ed eventualmente effettuare una flussimetria.
Nella scelta terapeutica bisogna sia escludere la concomitanza di turbe neurologiche
associate, che porterebbero a un insuccesso, sia evitare inutili ipertrattamenti, che sarebbero rischiosi per un paziente anziano. In conclusione, bisogna tenere conto dell’impatto
della terapia sulla qualità di vita.
Patologie urogenitali neoplastiche
I tumori urologici rappresentano una chiara dimostrazione del suggerito rapporto tra
età, decadimento del sistema immunitario, mutazioni cromosomiche, prolungata esposizione a cancerogeni ambientali e oncogenesi.
Carcinoma renale
Il carcinoma renale origina dalle cellule epiteliali del tubulo contorto prossimale con due
istotipi: a cellule chiare con citoplasma ricco di lipidi (80%) o a cellule granulose con citoplasma eosinofilo e abbondanti mitocondri (20%). Non è un tumore tipico dell’età
molto avanzata, in quanto il picco massimo di insorgenza è intorno ai 60 anni e solo il
6,8% si sviluppa sopra i 70 anni. È generalmente dotato di una elevata aggressività e
precoce è l’invasione delle vie escretrici, della vena renale e della cava, con conseguenti metastasi a distanza (polmone, fegato, ossa) e dei linfonodi regionali (ilari, aortocavali). La terapia è essenzialmente chirurgica e l’età non influisce sulla prognosi, che
è strettamente legata all’invasione della vena renale e alla presenza di metastasi.
Carcinoma a cellule transizionali delle vie escretrici urinarie (uroteliomi)
Oltre il 90% dei tumori delle vie escretrici sono carcinomi uroteliali e l’età di più frequente insorgenza è 70-80 anni. Fattori di rischio sono, oltre al fumo di sigaretta, esposizioni occupazionali (coloranti anilinici, gas di combustione, aldeidi impiegate nella industria tessile, plastica, ecc.), infezioni croniche e calcolosi delle vie urinarie. Sono loca-
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lizzati nel 5% dei casi a livello della pelvi renale e dei calici, nello 0,8% in sede ureterale, nel 93,6% in vescica e nello 0,6% in uretra. Circa il 35-75% dei pazienti con carcinoma uroteliale delle vie escretrici superiori ne sviluppa, in tempi più o meno brevi, anche
uno a livello vescicale; negli anziani è significativa l’incidenza delle forme infiltranti
ad alto grado di malignità, con propensione a invadere il parenchima renale e le strutture circostanti e con tendenza a metastatizzare a livello linfonodale e a distanza.
Il sintomo d’esordio più comune è l’ematuria, generalmente macroscopica; a seconda della sede della neoplasia il paziente potrà lamentare una differente sintomatologia. L’approccio terapeutico per i carcinomi uroteliali delle vie escretrici superiori è
chirurgico (nefroureterectomia). Per i carcinomi vescicali, invece, esso è stabilito in
base allo stadio e al grado di malignità istologica: endoscopico (TURB, transurethral
resection of bladder - resezione transuretrale vescicale); cistectomia radicale; trattamento endovescicale chemioterapico o con bacillo di Calmette e Guérin (BCG).
Carcinoma prostatico
L’adenocarcinoma origina dagli acini ghiandolari della porzione periferica della prostata (lobi laterali e posteriore). È il tumore più frequente del sesso maschile, dopo il carcinoma polmonare, e il numero di casi diagnosticati tende ad aumentare a causa dell’invecchiamento della popolazione e dei programmi di screening. È caratterizzato da
una lenta proliferazione delle cellule neoplastiche, per cui è ipotizzabile che in alcuni soggetti occorrano dai 10 ai 15 anni perché il tumore si manifesti. Questa sua peculiarità
fa sì che tale neoplasia possa essere classificata come: carcinoma prostatico latente (evidenziato autopticamente), riscontrato nel 30% dei soggetti deceduti per altre cause con
più di 50 anni e ben nel 60-70% di coloro con più di 80 anni senza che vi sia stata alcuna manifestazione clinica in vita; carcinoma prostatico incidentale, diagnosticato su
reperti istologici di adenomectomie, o di resezioni endoscopiche prostatiche, o a seguito di biopsia eseguita per valori anormali di PSA; carcinoma prostatico occulto, diagnosticato in seguito alla sintomatologia metastatica, in quanto dotato di lenta evolutività locale; carcinoma prostatico clinicamente manifesto, infine, con reperto obiettivo,
laboratoristico e strumentale diagnostico.
Il grado di malignità istologica è attualmente valutato secondo il punteggio di Gleason.
Per quel che riguarda la diffusione intraghiandolare della neoplasia, la varietà monofocale, rilevata in particolare dopo i 70 anni, ha scarse possibilità evolutive, mentre
quella plurifocale ha una potenzialità aggressiva statisticamente significativa. Il carcinoma prostatico che non si associ a una ipertrofia prostatica può rimanere a lungo
clinicamente silente (il 38% circa è diagnosticato in stadio avanzato e metastatico).
Quando si estende verso il collo vescicale, determina una sintomatologia minzionale
sovrapponibile a quella della ipertrofia prostatica; in alcuni casi, tuttavia, le prime
manifestazioni cliniche sono quelle legate a metastasi (sciatalgia da compressione
radicolare, fratture patologiche, ecc.), a infiltrazione ureterale (idronefrosi) o, più raramente, a compressione linfonodale (edemi agli arti inferiori). Dal punto di vista diagnostico l’esplorazione rettale può essere indicativa di un carcinoma prostatico nel
50% dei casi; il dosaggio del PSA (PSA totale e PSA libero) interviene a tutti i livelli dell’iter diagnostico, nei programmi di screening, nonché nel follow-up di tutte le terapie.
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M. Molaschi, E. Martinelli
Letture consigliate
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