insegnamento di filosofia del diritto “il diritto come fatto

INSEGNAMENTO DI
FILOSOFIA DEL DIRITTO
LEZIONE V
“IL DIRITTO COME FATTO”
PROF. CATERINA BORRAZZO
Filosofia del diritto
Lezione V
Indice
1 Introduzione ----------------------------------------------------------------------------------------------- 3 2 La natura della norma giuridica ---------------------------------------------------------------------- 9 2.1 Il contenuto della norma giuridica -------------------------------------------------------------------- 9 2.2 La forma della norma giuridica --------------------------------------------------------------------- 10 2.3 Un comando non è una dichiarazione di volontà ------------------------------------------------- 10 2.4 La norma non è un vero e proprio comando------------------------------------------------------- 11 2.5 Il diritto non è una creazione dello Stato ---------------------------------------------------------- 12 2.6 Le norme come imperativi indipendenti ----------------------------------------------------------- 12 3 La creazione delle norme ----------------------------------------------------------------------------- 15 3.1 La legislazione ordinaria ----------------------------------------------------------------------------- 15 3.2 Metodi non formali di creazione delle norme ----------------------------------------------------- 18 3.3 L’origine della costituzione ------------------------------------------------------------------------- 19 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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1 Introduzione
Grande merito di Karl Olivecrona è l’aver contribuito al diffondersi delle idee del realismo
giuridico scandinavo, di cui fu uno dei maggiori esponenti. Punto di partenza dei realisti scandinavi
è che tutte le nozioni che non reggono la verifica empirica sono solo delle creazioni arbitrarie. Nel
mondo giuridico esistono varie nozioni di questo tipo, si pensi all’obbligatorietà o forza vincolante
del diritto e ai concetti di diritto soggettivo e di dovere corrispondente. Oltre ai realisti scandinavi,
anche altri movimenti hanno tentato di situare il diritto nel contesto della realtà sensibile,
sforzandosi di identificare il dover essere giuridico o il diritto soggettivo con i fatti concreti che vi
sono connessi. Ma gli scandinavi realizzano che ogni riduzione naturalistica di questo tipo è votata
al fallimento. Ad es., secondo l’Olivecrona, non ha senso dire che l’obbligatorietà del diritto sta nel
fatto che certe conseguenze spiacevoli (le sanzioni) avranno luogo in caso di disobbedienza. Le
sanzioni vengono applicate perché il dovere di rispettare la legge è stato violato, ciò significa che
l’obbligatorietà del diritto è qualcosa di antecedente ed indipendente dalle sanzioni. Del pari non
possibile sostenere che il diritto soggettivo coincida con la posizione di favore di cui gode il
titolare del diritto per effetto della regolare applicazione delle leggi: infatti, il diritto soggettivo è la
causa della protezione da parte dell’ordinamento giuridico.
Tali nozioni si riferiscono ad entità fittizie esistenti solo nell’immaginazione e la forza
vincolante del diritto è una realtà solo in quanto contenuto di un’idea nella mente umana; il diritto
soggettivo e il dovere giuridico sono vincoli e poteri immaginari che esistono solo nella psiche
degli individui. Ecco in sintesi la soluzione offerta realisti scandinavi. Nel pensiero dell’Olivecrona
è centrale il concetto di “imperativo indipendente”: le norme giuridiche sono degli imperativi
indipendenti, cioè delle immagini di azioni e situazioni che il legislatore propone alla popolazione
come modelli di comportamento, esprimendoli mediante la forma imperativa. Però non si tratta di
veri e propri comandi: nel comando, infatti, vi è un rapporto diretto tra chi comanda e chi
obbedisce, e l’efficacia del comando dipende dal potere di suggestione che il primo esercita sul
secondo. Nel diritto, invece, e in tutte le regole morali e sociali, il rapporto personale è sostituito da
quello tra la popolazione ed il complesso delle norme che governano la comunità: complesso che
vive di una vita propria, indipendente dalle singole persone che di volta in volta agiscono in qualità
di legislatore ed intervengono a modificarlo. La forma attraverso la quale si esprimono gli
imperativi indipendenti non è quella diretta del comando, es. “Fa cosi!”, ma quella indiretta e
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impersonale: “questa azione deve essere fatta”. Tali norme, seppure spersonalizzate, continuano ad
esercitare un forte potere di suggestione sugli uomini. Per spiegare la capacità dei comandi
impersonali di influenzare la condotta, 1’Olivecrona si rifà alla segnaletica stradale, dalla quale è
scomparsa la caratteristica del comando e che, tuttavia, induce efficacemente gli uomini a tenere un
determinato comportamento. L’impulso di costrizione a compiere una data azione che gli
imperativi indipendenti fanno sorgere nei destinatari, è proiettato al di fuori del soggetto, come
consapevolezza di un dovere oggettivamente esistente. I motivi del potere di suggestione delle
norme giuridiche stanno soprattutto nel fatto che, anche quando siano formulate come schemi di
condotta per i privati, in sostanza, le norme non sono che istruzioni dirette ai giudici concernenti
l’impiego della forza. Questo non significa che gli uomini obbediscano alle leggi perché mossi dal
timore delle sanzioni il quale agisce in maniera indiretta, modellando quell’atteggiamento di
rispetto verso le norme che permette alla suggestione esercitata dagli imperativi di entrare in
funzione.
Fondamentale è l’analisi dell’Olivecrona della nozione di diritto soggettivo. Tale
espressione non denota nessuna realtà oggettivamente esistente e quando gli uomini la usano, non
si soffermano sull’esistenza o meno di una realtà corrispondente essendo l’attenzione polarizzata
sulle conseguenze pratiche di tale uso. L’Olivecrona rivendica la legittimità d’uso da parte del
linguaggio scientifico e della giurisprudenza di nozioni fittizie ed immaginarie quali quelle di
diritto soggettivo e dovere giuridico, in quanto le funzioni del linguaggio non si esauriscono nella
descrizione della realtà, e quindi possono esplicare un compito importante anche dei termini a cui
non corrisponde nessun oggetto. Si consideri l’unità monetaria, o la parola “sterlina” che serve ad
indicarla: non è possibile individuare un qualsiasi oggetto a cui tale parola si riferisca. Quando
parliamo di tali unità abbiamo presente soltanto la parola, accompagnata dall’idea che essa si
riferisce ad un oggetto, il che rende possibile effettuare dei conteggi di tali oggetti. In questo modo
la parola “sterlina” o le sue equivalenti producono importanti conseguenze giuridiche, economiche
e morali, e svolgono perciò una funzione tecnica rilevante per la vita sociale. La stessa cosa si
verifica per l’espressione “diritto soggettivo”: anche se ad essa non corrisponde nessuna entità
reale, ed è solo una parola, tuttavia esplica, all’interno del linguaggio giuridico, una funzione
insostituibile, in quanto viene usata per indicare che il titolare del diritto può tenere un determinato
comportamento, che è invece vietato agli altri soggetti.
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Il diritto è un insieme di norme che esercitano un potere vincolante sui membri di una data
comunità. Secondo l’Olivecrona primo obiettivo è determinare in cosa consista esattamente
l’obbligatorietà o forza vincolante del diritto e se si tratti di una realtà. La forza vincolante è
generalmente ritenuta un elemento essenziale, infatti, una legge che non sia obbligatoria è
inconcepibile. L’autore ritiene necessario investigare sulla natura del diritto mettendo in discussione
la sua obbligatorietà. Il diritto vincola concretamente i membri di una comunità, i quali devono
contenere la propria condotta entro certi limiti stabiliti dalle leggi per non incorrere in gravi sanzioni.
Trasgredendo tali limiti il soggetto si espone a dei rischi, in quanto verrà punito o condannato al
risarcimento dei danni, ed inoltre, incorrerà in altre reazioni negative da parte dell’ambiente sociale,
come, per es., la perdita della reputazione. Evidentemente le leggi esercitano un forte potere sugli
individui: ma non è questo che si vuole indicare quando si parla di forza vincolante, la quale non
coincide col fatto che determinate conseguenze spiacevoli colpiscono i comportamenti illegali,
altrimenti, secondo lo studioso, sarebbe sostenibile l’esistenza di una norma obbligatoria che vieta di
mettere mani sul fuoco, a causa delle spiacevoli conseguenze derivanti da tale atto; invece, stare lontani
dal fuoco non è un dovere bensì un nostro interesse. Il diritto è vincolante senza alcun riferimento
all’interesse personale; gli interessi che spingono ad osservare le leggi sono solo un aspetto secondario
della questione. La sanzione viene inflitta in seguito alla violazione di una norma obbligatoria, ciò
implica che la forza vincolante è anteriore alla sanzione. Una regola obbligatoria dice, ad es. “Non devi
rubare”, un’altra “Se rubi sarai punito”. Il significato dell’obbligatorietà della prima norma non può
essere spiegato mediante il riferimento alla seconda (anch’essa obbligatoria) che ordina la punizione in
caso di trasgressione. Inoltre, mentre la forza vincolante del diritto è assoluta ed incondizionata, i
vincoli concreti che le leggi ci impongono sono sempre relativi. L’applicazione delle sanzioni dipende
dall’efficienza dell’organizzazione sociale e da altre circostanze, invece, la forza vincolante del diritto è
esente da tali imperfezioni: la legge vincola chiunque, indipendentemente dal potere effettivo che
esercita. La forza vincolante del diritto, perciò, è qualcosa di diverso dal fatto che, superando i limiti
imposti dalle leggi, gli uomini si espongono al rischio di sanzioni. Serve, dunque, per l’Olivecrona,
un’altra spiegazione. Si potrebbe dire che è il sentimento per cui ci sentiamo vincolati dalle norme a
trattenerci dall’agire in modo illegale, ma è errato identificare la forza obbligatoria con le inibizioni. Il
sentimento di obbligazione e le conseguenti inibizioni vanno tenuti distinti dalla forza vincolante in sé;
infatti, la legge è vincolante anche per chi non si sente obbligato a rispettarla. La forza vincolante del
diritto non è qualcosa di esistente nel mondo reale, un fatto. Nella vita sociale concreta, tra i fatti che
influiscono sulle azioni degli uomini, ci sono le regole giuridiche, ma il loro effetto è sempre
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condizionato da altri elementi. Il carattere di assolutezza della forza vincolante del diritto sfugge ad
ogni tentativo di situarla nel contesto sociale e, quindi, bisognerebbe concludere che la forza vincolante
del diritto esiste solo nell’immaginazione degli uomini. Ma Olivecrona considera assurdo sostenere che
il diritto appartiene ad una realtà soprasensibile, in quanto esso deve necessariamente essere messo in
relazione con i fenomeni di questo mondo. Le norme sono sempre state emanate dagli uomini, cioè,
prodotte da cause naturali e, a loro volta, producono effetti naturali perché esercitano una pressione
psicologica sui membri della comunità. In conclusione, secondo l’autore, il diritto è un anello di una
catena causale ed appartiene agli eventi del mondo spazio-temporale.
Egli ritiene, poi, che conduca a contraddizioni sostenere che la forza vincolante del diritto è
qualcosa di diverso dalla pressione psicologica che esso esercita sulla popolazione.
Alcuni filosofi hanno compreso la necessità di situare il diritto al di fuori del mondo spaziotemporale qualora lo si concepisca vincolante nel senso tradizionale. Per es., la teoria del Kelsen illustra
la necessità, conseguente all’assunzione della forza vincolante del diritto, di separare il mondo del
diritto da quello dei fatti. Una norma crea tra due fatti, ad es. un delitto e la sua punizione, una
connessione diversa da quella causale. La punizione deve seguire al delitto. Questo “deve” indica una
connessione oggettiva stabilita dal diritto: “La legge naturale (cioè causale) dice: se A è, B sarà. La
norma dice: se A è, B deve essere... Evidentemente questa non è una connessione di causa ed effetto.
La sanzione non segue al delitto come l’effetto alla sua causa. Il legislatore pone in relazione i due
eventi in un modo del tutto diverso dalla causalità, eppure con una connessione certa quanto quella
causale. Infatti nel sistema giuridico la sanzione segue sempre al delitto anche se di fatto, per qualche
ragione, non viene eseguita. E anche nel caso in cui venga effettivamente eseguita, tuttavia non si pone
rispetto al delitto in una relazione di tipo causale”.
Qui abbiamo in sintesi l’intera teoria kelseniana. Tutto ruota attorno al presupposto che la
connessione del “dover essere” sia qualcosa di oggettivamente presente, oltre a quella causale. Per
questa ragione “il diritto deve essere distinto nel modo più netto possibile dalla natura”, e ad esso va
attribuita la sfera del Dovere. Vi è, in realtà, una relazione di causa ed effetto tra il delitto e la sua
punizione; infatti, l’assassino è condotto in tribunale perché sospettato di aver ucciso, ed è sospettato in
quanto nella maggior parte dei casi ha veramente commesso il crimine. Dopo che il fatto è stato
provato, il giudice emette la sentenza, tenendo conto dell’atto commesso dall’imputato e di quanto
prescritto dalla legge; quindi, tanto l’azione criminosa quanto il diritto sono cause della punizione.
Il Kelsen nega che il diritto faccia parte del contesto fattuale-causale. Egli ammette che l’azione
del giudice sia determinata da certe cause: ma trattasi semplicemente di una questione “di processi
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paralleli” non concernente il diritto, poiché esso si occupa soltanto della relazione di “dover essere”.
Secondo Kelsen è impossibile spiegare razionalmente come degli eventi del mondo sensibile possano
produrre effetti nel “mondo del Dovere”. La parola “dovere” e le altre dello stesso tipo, sono
espressioni imperative che non denotano una realtà, ma sono usate dai legislatori per influenzare il
comportamento degli uomini. Di conseguenza le leggi sono anelli di una catena causale.
Secondo la teoria classica del “diritto naturale” la forza vincolante del diritto positivo derivava
da un “diritto naturale” eterno ed immutabile ed i membri della comunità erano obbligati a rispettare le
norme emanate dal legislatore sovrano perché si erano vincolati mediante il contratto sociale, la cui
forza vincolante si basava su di una norma fondamentale del diritto naturale che stabilisce che i
contratti devono essere osservati. L’essenza del diritto naturale è, per Grozio, la volontà di Dio. Negli
ultimi cento anni il diritto è stato più spesso definito come volontà dello Stato, concepita come un fatto
del mondo concreto. Si compie, quindi, un passo avanti rispetto alla teoria del diritto naturale, in quanto
non si fa più dipendere il diritto da principi immutabili, esso si fonda sulla volontà dello Stato, e la sua
esistenza è subordinata al permanere di tale volontà che è vincolante per i membri della comunità. Le
leggi scritte sono semplici segni esterni della volontà statuale che è la sostanza del diritto. La teoria in
esame sostiene che il diritto si identifica con la volontà dello Stato, ma l’Olivecrona trova assurda tale
teoria perché la “volontà dello Stato” è pura fantasia, non esistendo una volontà sovraumana. Egli
ritiene d’altra parte impossibile definire il diritto come il contenuto della volontà di una o più persone
particolari, quali coloro che detengono il potere; infatti, il fatto che essi lavorino affinché il diritto venga
fatto rispettare, non implica che quest’ultimo coincida con la loro volontà. La differenza fra la loro
situazione nei confronti del diritto e quella del resto della popolazione sta solo nel fatto che essi
possono accedere al meccanismo di produzione delle leggi. Ancora più assurdo sarebbe ipotizzare che
il diritto coincida con la volontà del popolo, in quanto i singoli individui possono solo conformare la
propria condotta alle leggi per non incorrere nelle sanzioni e le leggi verranno applicate che incontrino
o meno il loro favore. Anche se un’insoddisfazione generale della popolazione provoca, dopo un certo
tempo, delle modificazioni nelle leggi, non si può solo perciò sostenere che il diritto è la volontà del
popolo. Per poter giungere ad una definizione del diritto occorre, secondo l’Olivecrona, esaminare i
fatti. Si esamineranno, dunque, le “norme giuridiche” articolando la ricerca in quattro parti: 1)
contenuto e forma della norma giuridica; 2) modo di introduzione delle norme nel meccanismo sociale
ad opera dell’attività legislativa e di altri procedimenti; 3) concetti di diritto e dovere e loro rapporti con
l’ordinamento giuridico; 4) infine, relazioni esistenti tra diritto e forza. Si vuole descrivere ed analizzare
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i fatti al fine di ridimensionare il concetto di diritto e farlo quadrare con la realtà oggettiva esistente.
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2 La natura della norma giuridica
Secondo l’Olivecrona, scopo dell’attività dei legislatori è quello di influenzare il
comportamento degli uomini, quindi, egli ritiene che contenuto e forma delle norme debbano venire
esaminati da questo punto di vista.
2.1
Il contenuto della norma giuridica
Al fine di influenzare il comportamento degli uomini, i legislatori tracciano delle linee di
condotta, rappresentandosi l’immagine della condotta desiderata: se, per es., la legge prescrive la
condanna a morte per chi ha commesso un omicidio, viene rappresentata l’azione finale del giudice in
un processo per omicidio. L’azione immaginata nella legge serve al giudice da modello di
comportamento per tutti i casi in .cui egli si trovi in una situazione analoga, cioè ogni volta che una
persona accusata di omicidio viene condotta davanti a lui e riconosciuta colpevole.
Il contenuto di una regola giuridica di questo tipo è, quindi, l’idea dell’azione immaginaria di
un giudice in una situazione immaginaria. La norma non va considerata isolatamente, bensì in rapporto
con altre norme. Per es., la norma circa la condanna da infliggere all’omicida è in relazione con
parecchie norme: l’accusato deve aver raggiunto una certa età, deve essere stato sano di mente nel
momento in cui ha commesso il fatto, etc. .
Il contenuto delle norme può essere, dunque, per l’Olivecrona, definito come un insieme di
rappresentazioni di azioni immaginarie da parte di persone determinate (ad es. i giudici) in situazioni
immaginarie. Applicare il diritto significa prendere tali azioni immaginarie come modelli per la
condotta ogni volta che le situazioni corrispondenti si verificano nella realtà.
Secondo l’autore, il vero intento delle norme è oscurato dalla tecnica della legislazione, che,
basandosi sui concetti di diritto e di dovere, dà l’impressione che le regole giuridiche non si riferiscano
alle azioni degli uomini, bensì all’esistenza di diritti, doveri etc.. Ad es., nella norma concernente
l’acquisto della proprietà mortis causa, nulla si dice riguardo le azioni compiute da un soggetto, pur
riferendosi la norma alla condotta degli uomini. Unica funzione delle norme è quella di contribuire alla
rappresentazione delle situazioni in cui le azioni desiderate devono essere compiute, nonché di
descrivere le azioni stesse.
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2.2
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La forma della norma giuridica
L’Olivecrona afferma che i legislatori, nel formulare le norme, non usano un linguaggio
descrittivo, e, avendo come fine quello di fare si che gli uomini tengano un determinato
comportamento, essi portano le azioni immaginarie a conoscenza degli individui attraverso la forma
imperativa, che è il modo più idoneo a far sorgere l’idea che esse debbano venire necessariamente eseguite. La forma imperativa delle norme sta all’origine della teoria del diritto come insieme di comandi
dello Stato, teoria che è stata abbinata a quella del diritto come volontà dello Stato. I comandi sarebbero
espressioni di tale volontà e servirebbero a farne conoscere il contenuto. Ma, secondo l’Olivecrona,
dietro a questo modo di concepire il diritto si nascondono due errori fondamentali: il primo riguarda la
vera natura del comando, il secondo il ruolo effettivo svolto dallo Stato.
2.3
Un comando non è una dichiarazione di volontà
La convinzione che il comando sia una dichiarazione di volontà è molto diffusa. Hobbes, per
es., afferma che “Un comando consiste in una dichiarazione o manifestazione della volontà di colui che
comanda”. L’Olivecrona trova, invece, tale convinzione erronea; infatti, il fatto che dall’emanazione
del comando il destinatario di esso possa trarre delle conclusioni sulla volontà di chi comanda, non
implica che il comando in sé sia una dichiarazione di tale volontà. L’autore afferma che, se un uomo
accende un fiammifero e lo avvicina alla pipa, se ne deduce che desidera fumare: ma il gesto non è
stato eseguito per informare gli eventuali spettatori dell’intenzione di fumare. Inoltre, se un comando
fosse veramente una dichiarazione di volontà, potrebbe essere espresso sotto forma di asserzione senza
alcuna alterazione del significato, mentre ciò non è possibile. Il significato delle due proposizioni
“soffiati il naso!” e “è un fatto che io desidero che ti soffi il naso” è diverso: nel primo caso non vi è un
giudizio di fatto, ma un enunciato con la funzione di spingere la persona a cui è rivolto ad agire in un
certo modo. Cioè, esso non viene usato per trasmettere delle informazioni, ma per influenzare la volontà; nel secondo caso, invece, si ha un enunciato fattuale, che serve soprattutto per trasmettere
informazioni.
In conclusione, per Olivecrona, un comando va distinto da una dichiarazione di volontà di colui
che parla. Il comando è un atto attraverso cui un individuo cerca di influenzare la volontà di un altro
attraverso parole, gesti o altro, senza fare alcun appello ai valori del destinatario, ma agendo
direttamente sulla volontà: ciò significa che possiede un forte potere di suggestione. Qualunque sia il
mezzo usato, lo scopo è sempre la suggestione. E’ evidente la confusione presente dietro
all’identificazione della concezione del diritto come volontà dello Stato e come insieme di comandi
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dello Stato. Se le norme fossero veramente “espressioni o dichiarazioni della volontà dello Stato”, non
potrebbero al tempo stesso essere dei comandi, visto che un comando non è una dichiarazione di
volontà. Questa diffusa confusione ha contribuito a tenere in vita le due teorie appena esposte. La teoria
del diritto come volontà dello Stato, è già stata analizzata e confutata. Rimane da esaminare la cosiddetta
teoria “imperativa” del diritto.
2.4
La norma non è un vero e proprio comando
Scopo della teoria imperativa è dimostrare che il diritto è un fatto del mondo reale: i comandi
sono dei fatti naturali. Ma, afferma l’Olivecrona, essa dà un’errata interpretazione dei fatti quando
sostiene che le norme sono dei veri e propri comandi. Dal momento che un comando presuppone una
persona che comanda ed un’altra a cui il comando viene rivolto, la teoria imperativa ha cercato di
individuare la fonte da cui promanano i comandi che dovrebbero costituire le norme. Tale fonte non è
stata identificata con la volontà di un individuo singolo, essendo difficile sostenere che tutte le norme
dello Stato possano essere costituite dai comandi di una sola persona; perciò i comandi vengono
attribuiti allo Stato. Tuttavia, essendo lo Stato un’organizzazione, non si può affermare che esso emetta
dei comandi. Secondo l’Olivecrona, la teoria imperativa costituisce, dunque, una spiegazione
accettabile del diritto solo se si può dimostrare che le norme coincidono con i comandi di una o più
persone agenti internamente all’organizzazione statale. Anche questo però è impossibile: ciascun
membro dell’organizzazione statale (monarchi, presidenti, capi e membri del governo, membri del
parlamento e così via) si trova al cospetto di norme già in vigore e può solo apportare qualche
mutamento parziale all’ordinamento giuridico esistente. Inoltre, non ha senso dire che le norme, che
permettono ai legislatori di occupare i loro posti, sono comandi emanati dai legislatori stessi.
E ancora, osserva l’autore, se le norme fossero comandi di un singolo o di un gruppo di
individui, ciò risulterebbe nel procedimento di emanazione delle leggi. Ed invece, di nessuna delle
persone implicate in tale procedimento si può dire che comanda: - che i membri del parlamento non
comandano nello svolgimento della loro attività è confermato anche dal fatto che il destino della
proposta di legge viene deciso dal risultato della votazione. Il contributo di un membro del parlamento
consiste solo nell’aggiungere un voto a tutti gli altri; - i membri del governo non comandano ma
agiscono di solito come “consiglieri” del capo dello Stato e si limitano a “sottomettere” le loro proposte
all’autorità superiore; - il capo dello Stato, infine, non comanda quando rende esecutiva una nuova
legge. Egli si limita ad apporre la sua firma in fondo ad un documento presentatogli da un ministro,
compiendo solo un atto previsto dalla costituzione.
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E’, pertanto, evidente, secondo l’Olivecrona, come non si possa definire il diritto come
l’insieme di comandi di uno o più individui. Neppure al momento in cui l’atto legislativo viene
emanato si può parlare di comando. Ancora meno si può dire che i legislatori continuino a comandare
ininterrottamente tutto ciò che è prescritto dalle leggi. Quando si definisce il diritto come il complesso
dei comandi dello Stato, la parola “Stato” non denota soltanto un’organizzazione, ma anche un’entità
sovraumana, esistente solo nell’immaginazione, alla quale vengono attribuiti i comandi. E, afferma
l’autore, l’assurdità della teoria imperativistica si manifesta immediatamente col confronto con la
realtà.
2.5
Il diritto non è una creazione dello Stato
Secondo l’Olivecrona, il diritto non è costituito dai comandi dello Stato, né è una creazione di
esso. Se lo Stato non esiste indipendentemente dal diritto, di conseguenza non si può sostenere che il
diritto derivi dallo Stato.
Il termine “Stato” in senso realistico significa organizzazione; ma ogni organizzazione si fonda
su di un insieme di norme che vengono di fatto applicate all’interno di un certo gruppo sociale. In altri
termini, è necessario che vi siano delle linee di condotta, più o meno conosciute all’interno di un
gruppo sociale, che esercitano una certa influenza sulla condotta dei membri. Solo così, secondo
l’autore, si può parlare dell’esistenza di un’organizzazione, altrimenti si parlerà di anarchia. Ora,
l’organizzazione statale è retta da regole giuridiche: ciò significa che lo Stato, inteso in senso realistico,
presuppone il diritto e non può esistere senza di esso. Di conseguenza, non ha senso sostenere che il
diritto è una creazione dello Stato. L’errore, afferma l’Olivecrona, deriva dal fatto che l’organizzazione
statale, per mezzo della legislazione, provvede al meccanismo che rende le norme psicologicamente
efficaci. Ma per determinare la portata reale dell’attività legislativa, bisogna determinare prima la
natura delle norme giuridiche.
2.6
Le norme come imperativi indipendenti
Benché non siano veri e propri comandi, le norme vengono formulate in modo imperativo. Il
significato della norma è sempre: “questa azione deve essere eseguita se si verificano le seguenti
circostanze, tale diritto deve sorgere in conseguenza dei seguenti fatti, ecc.”. Ciò non implica, afferma
l’Olivecrona, che le norme siano dei comandi, le espressioni imperative vanno tenute distinte dai veri e
propri comandi. Un vero e proprio comando implica una relazione personale: esso viene impartito da
una persona ad un’altra per mezzo di parole e gesti che hanno la funzione di influenzare la volontà. Ma,
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parole dello stesso genere sono usate anche in assenza di una relazione personale tra chi comanda e chi
riceve il comando, continuando ad avere un effetto analogo. In tali casi, secondo l’autore, sarebbe
opportuno usare il termine di “imperativi indipendenti”.
L’Olivecrona si rifà al Decalogo, come esempio di imperativi indipendenti. Non si può dire,
egli afferma, che Mosé comandi di fare o non fare certe azioni. Il Decalogo non è costituito dai
comandi di Dio, esso è un insieme di sentenze imperative, che non sono i comandi di nessuno. Le
norme appartengono allo stesso genere: sono degli enunciati imperativi su azioni, diritti e doveri
immaginari; non sono i comandi di qualcuno. I legislatori formali, nel formulare o emanare le norme,
non agiscono come persone che comandano e all’attenzione di coloro a cui le norme sono dirette si
propongono solo degli enunciati imperativi staccati dalle persone dei legislatori. In termini diversi,
secondo l’autore, le proposizioni imperative funzionano da modelli della condotta umana,
indipendentemente da qualsiasi soggetto che emetta ordini.
Ma gli imperativi indipendenti differiscono dai comandi anche per altri aspetti. Un comando
vero e proprio é rivolto ad una persona determinata e tende a farle compiere una data azione; un
imperativo indipendente non si rivolge a nessuno in particolare, non dice ad un singolo “tu devi fare
così”, ma afferma in modo astratto “questa azione deve essere compiuta”, ad es. un omicida deve
essere condannato a morte. Il “deve” è connesso con l’idea di una azione e non direttamente con un
individuo. E’ impossibile per i legislatori rivolgersi direttamente a tutti i giudici che possono trovarsi
nelle situazioni corrispondenti a quelle immaginate dalle leggi.
In altri casi la norma prescrive che una certa “relazione giuridica” venga stabilita in seguito al
verificarsi di determinate circostanze: ad es. che il vincolo coniugale sorga dopo la celebrazione del
matrimonio. Qui l’espressione imperativa si riconnette con la nascita di un rapporto giuridico,
qualificato come matrimonio, e non è diretta a nessuna persona.
Analogamente, per l’Olivecrona, il dover essere di una norma può essere connesso con il sorgere di un diritto o di un dovere, per es. la norma che prescrive in quali modi si può acquistare il diritto
di proprietà.
Un’ulteriore differenza tra comandi ed imperativi indipendenti sta, per l’Olivecrona, nel fatto
che un vero comando non può venire trascritto sotto forma di proposizione esprimente un giudizio: il
comando “soffiati il naso!” non può essere rimpiazzato da una proposizione del tipo “è vero che tu devi
soffiarti il naso”. Un imperativo indipendente, invece, può talora essere sostituito da un giudizio: per
es., l’imperativo “non devi rubare!” può essere sostituito dalla frase “è tuo dovere non rubare”.
Formalmente queste proposizioni si presentano come giudizi, ma in realtà, afferma l’autore, dicendo
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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che un’azione deve o non deve essere fatta, non si descrive nessuna qualità oggettiva di essa. Dietro
all’apparenza del giudizio si svolge un procedimento diverso: un’espressione imperativa si associa
nella nostra mente con l’idea di un’azione. Si tratta di una relazione meramente psicologica che, tuttavia, ci appare come esistente oggettivamente, e, di conseguenza, siamo portati a credere in una realtà
illusoria indicata dalla parola “dovere”. Siamo di fronte alle origini dell’idea della forza vincolante del
diritto.
Riassumendo, secondo l’Olivecrona, le regole morali sono degli imperativi indipendenti che
promanano da fonti diverse ed esercitano un grande potere di suggestione per cui ci sentiamo obbligati
a rispettarle. Per questo cerchiamo qualcosa di solido al di là della forma verbale, finendo con
l’imputarle alla divinità. Un analogo misticismo si riscontra nel campo giuridico, ma qui al posto di Dio
c’è lo Stato. Le norme sono viste come espressioni della volontà statale o come comandi dello Stato.
Però, lo Stato, rettamente inteso, non può emettere comandi; solo se lo si concepisce come un vero e
proprio dio in terra, può essere considerato come un’entità che comanda ed esprime il suo volere
attraverso le norme. Ma tutto questo è, per l’autore, puro misticismo.
E’ impossibile attribuire un’esistenza continua ad una norma: essa esiste solo in quanto
contenuto di un’idea nella mente degli uomini e non vi è nessuna idea del genere perennemente
presente nella mente di qualcuno; gli imperativi sono presenti nella coscienza soltanto a intervalli. In
realtà il diritto si compone di un’immensa massa di idee concernenti la condotta umana, espresse
mediante il linguaggio imperativo, specialmente attraverso la legislazione formale e conservate nei testi
legislativi.
Non è possibile, secondo l’Olivecrona, stabilire una netta linea di divisione tra le norme
giuridiche e quelle morali, in quanto non esistono differenze fondamentali. Molte norme giuridiche,
infatti, sono al tempo stesso norme morali. La regola morale non può essere distinta da quella giuridica
in base a qualche caratteristica oggettiva, bensì a causa della diversità dei sentimenti che essa suscita.
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3 La creazione delle norme
L’Olivecrona sostiene che gli imperativi indipendenti vengano introdotti nell’ordinamento
giuridico principalmente per mezzo dell’attività legislativa, ma anche attraverso il sistema dei precedenti
e l’influenza esercitata in certi paesi dalla giurisprudenza.
3.1
La legislazione ordinaria
Secondo l’autore, l’atto con cui viene posta in essere una legge implica qualcosa di inesplicabile;
non si spiega, infatti, come mai il progetto legislativo cambi natura con la sua trasformazione in legge. Il
progetto legislativo è solo un insieme di articoli che vengono sottoposti alle autorità competenti per
essere approvati; la legge, invece, una volta promulgata, è costituita da norme “vincolanti”. Mediante
l’atto della promulgazione il progetto di legge subisce, dunque, un profondo mutamento.
Mentre il progetto legislativo non fa parte dell’ingranaggio della macchina statale, la legge si ed
esplica un’efficacia sociale importante per la comunità. Essa, secondo l’Olivecrona, è considerata dai
pubblici funzionari come un modello per le loro azioni e dalla popolazione come ostacolo rispetto a certi
comportamenti ed incoraggiamento rispetto ad altri. Con la trasformazione del progetto in legge si manifesta, immediatamente, la sua forza vincolante che è un rapporto di causa ed effetto avente luogo nel
mondo empirico, a livello psicologico. Scopo dei legislatori, infatti, è quello di influenzare la condotta
degli uomini esercitando su di loro una pressione psicologica.
In circostanze normali la legislazione si svolge secondo quanto stabilito dalle norme
costituzionali. La sua efficacia, afferma l’autore, deriva innanzi tutto dall’atteggiamento abituale di
obbedienza della popolazione verso la costituzione. Presso i popoli esiste un complesso di idee in ordine
al governo del paese, obbedite perché considerate “obbligatorie”; tali idee sono relative al procedimento
attraverso cui certe persone assumono le più alte cariche ed è dall’esistenza di esse che deriva il potere
di queste persone. Infatti, l’attitudine generale al rispetto della costituzione colloca alcuni uomini nelle
posizioni chiave, dando loro la possibilità di esercitare una pressione psicologica sui concittadini e
dirigerne la condotta.
Tale situazione esiste in ciascun paese, salvo che non sia temporaneamente sospesa da una
rivoluzione. Ovviamente l’atteggiamento di rispetto verso la costituzione deve essere continuamente
sorretto da un’ininterrotta pressione psicologica sui membri della comunità. L’atteggiamento abituale di
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obbedienza nei confronti della costituzione ha un duplice significato: in primo luogo fa sì che tutti
accettino come vincolanti le norme emesse conformemente alla costituzione, adottandole come schemi
di comportamento; in secondo luogo, il potere di legiferare diventa monopolio esclusivo di coloro che
sono designati come legislatori dalla costituzione. Tale atteggiamento produce, dunque, un duplice
effetto: anzitutto i legislatori costituzionali possono accedere ad un meccanismo psicologico che
permette loro di influenzare la vita della comunità; inoltre, ciò è permesso soltanto a loro.
L’atteggiamento della maggior parte dei cittadini è, normalmente, così uniforme che l’attività legislativa
si realizza senza alcuno sforzo da parte dei legislatori. Si tratta, afferma l’Olivecrona, di una situazione a
noi così familiare che non ci rendiamo conto che l’efficacia della legislazione è condizionata al nostro
atteggiamento psicologico, grazie al quale legislatori manipolano la nostra volontà.
Oltre all’attitudine psicologica, l’autore ritiene che sia necessarie un’altra condizione per
assicurare l’efficacia del procedimento legislativo: l’organizzazione. Essendo impossibile governare una
comunità solo attraverso l’influenza psicologica esercitata dall’attività legislativa, è indispensabile l’esistenza di un corpo di persone pronte ad applicare le leggi, se occorre anche con la forza.
L’organizzazione statale è, infatti, composta da uomini addestrati ad eseguire automaticamente le leggi e
funziona con grande regolarità.
E’ ormai chiaro all’Olivecrona il significato dell’atto di promulgazione di una legge. Il progetto
legislativo è oggetto di procedure formali dotate di un particolare effetto psicologico. L’atto del
legiferare, in ultima analisi, si riduce ai procedimenti formali. Disposizioni identiche a quelle contenute
in una legge, anche se emanate dalle stesse persone, ma senza che sia stata osservata la forma prevista
dalla costituzione, non assumono rilevanza sociale.
Non esiste nessuna volontà dello Stato, e neppure dei veri e propri comandi di legislatori
individuali. Il fenomeno che si verifica nella realtà è, per l’Olivecrona, il seguente: le formalità previste
dalla costituzione applicate agli imperativi indipendenti contenuti nel progetto legislativo, conferiscono
loro un’importanza peculiare per la vita sociale, tanto che gli uomini li assumono come modelli di
comportamento.
Naturalmente una legge è sempre opera di uno o più individui, e non di un’astrazione chiamata
“Stato”. Per mezzo delle leggi si fa in modo che gli uomini svolgano una serie di attività indispensabili
per la vita civile, e ciò è possibile grazie all’atteggiamento di rispetto della popolazione nei confronti
della costituzione. Tale atteggiamento può continuare a sussistere solo se la costituzione viene
regolarmente applicata ed il potere esercitato secondo le sue prescrizioni. Dunque la macchina
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legislativa e l’atteggiamento psicologico nei confronti della costituzione sono due elementi che si
condizionano a vicenda.
Che la costituzione sia la fonte del potere dell’attività legislativa, non implica, afferma
l’Olivecrona, che la forza e l’efficacia delle leggi dipendano esclusivamente dalla costituzione in vigore.
Spesso un sistema legislativo mantiene intatto il suo potere nonostante la costituzione sia stata
rovesciata da una rivoluzione. L’osservanza della forma costituzionale è indispensabile per inserire il
progetto di legge nel meccanismo sociale e far sì che le disposizioni in esso contenute siano rispettate.
Dopo di che la costituzione può essere rovesciata senza che ciò metta necessariamente in pericolo le
leggi emanate in precedenza secondo i requisiti da essa prescritti. Il rispetto per la legge può
sopravvivere alle cause che lo hanno fatto sorgere, intervenendo altri elementi che concorrono a
mantenerlo in funzione. Infatti, dopo che una legge è diventata parte integrante della struttura della
società, numerosi interessi crescono attorno ad essa e nel corso di una rivoluzione, i nuovi detentori del
potere hanno quasi sempre interesse a conservare la maggior parte delle vecchie leggi.
Tuttavia, precisa l’autore, per garantire l’efficacia di una legge, deve sempre essere in vigore una
costituzione, sia pure diversa da quella esistente al tempo della sua promulgazione, perché è necessaria
un’organizzazione che esegua le disposizioni contenute nella legge. L’organizzazione presuppone una
costituzione, non potendo esistere senza regole, e le regole fondamentali per l’organizzazione della
società sono appunto contenute nella costituzione. In questo senso la costituzione è fonte di potere non
solo per la creazione ma anche per il mantenimento delle leggi.
Riassumendo, secondo Karl Olivecrona, il significato dell’atto legislativo non consiste
nell’acquisizione di un’ipotetica “forza vincolante” da parte del progetto di legge al momento della sua
trasformazione in legge, bensì nel fatto che le disposizioni in esso contenute sono rese psicologicamente
efficaci. Questo risultato si ottiene attraverso l’applicazione di determinate formalità che esercitano una
certa influenza sull’animo dei cittadini. Fattore essenziale del procedimento legislativo è, dunque, la
forma. Tuttavia, per l’efficacia dell’attività legislativa non è indispensabile che la forma prescritta dalla
costituzione venga rigidamente osservata, infatti, nella maggior parte dei casi i legislatori godono di un
certo margine di discrezionalità, potendosi allontanare dai requisiti formali previsti dalla costituzione
senza che ciò annulli l’efficacia delle leggi da loro emanate. Questo dipende dai pubblici funzionari, in
special modo dai giudici, che a volte esercitano un controllo inflessibile sull’osservanza delle forme
costituzionali, mentre altre volte accettano qualsiasi legge promulgata dal governo, senza discutere il
procedimento seguito. Tutto ciò significa che, in pratica, i requisiti richiesti si riducono alla sola
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condizione dell’emanazione delle leggi da parte degli organi competenti. Punto centrale della questione
è che l’attività legislativa è sempre una pura formalità che conferisce al progetto di legge un carattere di
rilevanza, incorporandolo così nell’ingranaggio della macchina sociale.
3.2
Metodi non formali di creazione delle norme
Olivecrona afferma che per la creazione di nuove norme non è impiegato solo il metodo
formale. Il diritto consuetudinario si sviluppa in modo più o meno inconscio, e non si può, pertanto,
affermare che le nuove norme sono comandi o manifestazioni di volontà. Partendo, invece, da una
concezione realistica del fenomeno giuridico, la soluzione del problema riguardante la formazione del
diritto consuetudinario si presenta, secondo l’autore, simile a quella data per la legislazione formale. In
entrambi i casi siamo di fronte all’introduzione di imperativi nuovi in un sistema di imperativi vincolanti
e dotati di efficacia pratica. In entrambi i casi non vi è che una catena di cause ed effetti naturali a livello
psicologico.
Come es. di diritto consuetudinario l’Olivecrona prende la common-law, per lo più basata sul
sistema dei precedenti. Il presupposto è che i giudici applichino soltanto le norme già esistenti; essi però
sono frequentemente chiamati a decidere su casi non contemplati dalla legislazione in vigore e, quindi,
modificano il diritto esistente emettendo, qualche volta, addirittura delle sentenze in contraddizione con
esso. Molte decisioni giudiziarie non si basano, dunque, afferma l’autore, su regole giuridiche
preesistenti e, mediante la dottrina della forza vincolante dei precedenti, tali decisioni assumono lo
stesso significato degli atti legislativi veri e propri, in quanto i giudici saranno vincolati per il futuro dai
principi in esse contenuti.
Di conseguenza la common-law subisce un continuo processo di rinnovamento e di sviluppo,
nonostante si continui ufficialmente a sostenere che tutte le decisioni dei giudici si basano
esclusivamente sul diritto esistente.
A conferire efficacia pratica alle norme create dai giudici sono, per l’Olivecrona, forze simili a
quelle che rendono operativa la legislazione formale. Il fattore dominante è sempre l’atteggiamento di
rispetto nei confronti della costituzione: la posizione dei giudici, infatti, dipende dalla costituzione e la
teoria della forza vincolante dei precedenti può considerarsi un elemento della costituzione.
A volte nuove norme vengono introdotte per opera della giurisprudenza. Spesso agli scritti dei
giuristi consegue la creazione di nuove norme, pur non assumendo essi il ruolo di legislatori. Secondo
l’opinione comune, afferma l’Olivecrona, i giuristi si limitano a descrivere quanto è già contenuto nelle
norme, ma, in realtà, essi tentano di colmare le lacune del diritto esistente. Infatti, se i giuristi
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convincono i giudici della bontà delle loro teorie, le norme da essi proposte diventano oggetto di
applicazione pratica da parte dei tribunali ed assumono la stessa validità della Statute Law. E’ per questa
ragione che alcuni autori elencano la giurisprudenza tra le fonti del diritto, benché ciò contraddica la
concezione del diritto come comando dello Stato.
Nello sviluppo del diritto consuetudinario, il presupposto secondo cui i giudici applicano sempre
norme preesistenti è stato, dunque, un mezzo per l’introduzione di nuove norme. Ma tale presupposto,
osserva l’Olivecrona, non è necessario: anche se è chiaro che i giudici non si limitano ad applicare le
norme esistenti, ma tendono, invece, a completare l’ordinamento giuridico esistente, i precedenti
mantengono la loro fondamentale importanza per le decisioni future riguardanti casi simili. L’esigenza
di continuità nell’amministrazione della giustizia è così sentita che i tribunali non possono non tener
conto dei precedenti.
L’autore conclude affermando che, sia nel caso del diritto consuetudinario che in quello della
legislazione formale si tratta di modi diversi di rendere efficaci, all’interno della comunità, un certo
numero di imperativi indipendenti ed è legittimo che, a tale scopo, si usino metodi diversi, per quanto la
legislazione formale sia il più importante.
3.3
L’origine della costituzione
Secondo l’Olivecrona, una costituzione può contenere delle norme destinate a regolare la sua
stessa trasformazione e in alcuni casi, attraverso un procedimento regolato dal diritto, può essere creata
una costituzione completamente nuova. Può anche accadere che una costituzione si evolva lentamente
come diritto consuetudinario da una forma primitiva. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, le costituzioni dei paesi civili traggono origine da una rivoluzione o da una guerra, vale a dire dalla forza. E’ con
tali mezzi che i detentori del potere si sono affermati: ad un certo punto, la catena del processo legale di
sviluppo della costituzione è stata interrotta da atti illegali. L’Olivecrona trova difficile comprendere
come degli atti di violenza possano dar luogo a “norme vincolanti”, considerato che il diritto di
emanarle è attribuito ai legislatori costituzionali e che i capi rivoluzionari non solo sono privi di questo
diritto, ma agiscono addirittura contro le leggi esistenti. Tuttavia, la costituzione rivoluzionaria serve da
base per le nuove leggi, la cui forza vincolante non è messa in discussione.
In realtà il fenomeno della nascita del Diritto dalla Forza, e, in particolare, della costituzione da
atti rivoluzionari, non è, secondo l’autore, più misterioso di quello della legislazione ordinaria. In
entrambi i casi alcuni individui pongono in essere un complesso di imperativi diretti alla popolazione,
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esigendone l’obbedienza. La differenza sta, per l’Olivecrona, nelle cause che rendono efficaci tali
imperativi. Mentre la legislazione ordinaria attinge la sua forza vincolante dal generale rispetto per la
costituzione esistente, una costituzione rivoluzionaria viene imposta alla popolazione con altri mezzi. Si
deve verificare una coalizione temporanea di forze abbastanza potente da determinare nei cittadini il
cambiamento di attitudine che è implicito nell’accettazione di una nuova costituzione come vincolante.
Mentre al legislatore ordinario non è richiesto alcuno sforzo per rendere efficaci le leggi che emana,
disponendo egli di un meccanismo già pronto, i rivoluzionari devono orientare l’atteggiamento della
popolazione verso nuove direzioni, rendendo così possibile l’efficacia psicologica dei loro imperativi.
Per rompere l’abitudine all’obbedienza verso una costituzione già consolidata è necessario,
secondo l’Olivecrona, che si verifichino delle circostanze eccezionali, la cosiddetta “situazione
rivoluzionaria”. Le vecchie regole circa il governo di un paese vengono respinte solo sotto la pressione
di condizioni economiche disperate, di disastri di una guerra e così via, unitamente a nuovi ideali capaci
di infiammare gli animi. I detentori del potere perdono poco alla volta la loro influenza sulla
popolazione, fino a venire spodestati anche con la forza e nuovi uomini salgono al potere. Se la
rivoluzione riesce e un governo si stabilisce sulla base dei nuovi imperativi, essi diventano
automaticamente la nuova costituzione. In breve, nei confronti della nuova costituzione, l’esito
vittorioso della rivoluzione rappresenta l’equivalente del rispetto delle formalità costituzionali per la
legislazione ordinaria. Nuove norme vengono in seguito emanate secondo la costituzione appena
affermata e sono automaticamente accettate come vincolanti.
Oltre alla “situazione rivoluzionaria” sono necessari, per l’Olivecrona, altri due fattori per poter
effettuare il mutamento: la forza e la propaganda. La forza, per rovesciare coloro che occupano le
posizioni chiave, scoraggiare i loro sostenitori e vincere l’eventuale resistenza; la propaganda, per
preparare gli animi ad accogliere i nuovi imperativi.
In seguito interviene il lavorio del tempo. Come le leggi ordinarie restano efficaci anche se la costituzione che ha servito loro da fondamento è stata, nel frattempo, abolita, così la costituzione può
sopravvivere alle cause che l’hanno originata: l’ardore rivoluzionario può sparire, il disagio diminuire e
così via, tuttavia, la costituzione sorta da queste condizioni mantiene la sua efficacia pratica, essendosi
venuti a raggruppare attorno ad essa numerosi interessi ed essendo i suoi ideali penetrati nel profondo
della coscienza popolare.
L’efficacia psicologica della costituzione implica un certo atteggiamento da parte della
popolazione, che non può venire cambiato radicalmente da un giorno all’altro, perciò il potere dei goAttenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
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vernanti è sempre limitato entro confini ristretti, indipendentemente dal fatto che abbiano conquistato le
loro posizioni con mezzi legali oppure mediante una rivoluzione.
L’ostacolo immediato che ogni tentativo rivoluzionario incontra è sempre la lealtà verso la
costituzione esistente. Ma, osserva l’Olivecrona, dopo che la costituzione è stata sostituita, l’abitudine
all’obbedienza diventa fonte di forza per quella nuova: in sostanza viene trasferita da un complesso di
regole ad un altro.
Parlando in termini più generali, la fonte principale di forza per la costituzione risiede nelle
abitudini e negli istinti sociali della popolazione, e ciò vale sia per il tempo di durata di una costituzione,
sia per il sorgere e l’affermarsi di una nuova. I rivoluzionari riescono ad impadronirsi del potere solo se
sanno utilizzare adeguatamente tale forza. Le forze sociali di una comunità debbono essere unificate per
mezzo di una costituzione che sia rispettata dalla quasi totalità della popolazione, dando luogo ad
un’attitudine generale di obbedienza nei confronti dell’autorità legislativa. In caso contrario si avranno
caos e distruzione.
Non è possibile, secondo l’Olivecrona, tracciare una linea netta di divisione tra la legislazione
rivoluzionaria e quella ordinaria. Abbiamo detto che i legislatori costituzionali spesso dispongono del
potere di discostarsi più o meno dalle formalità richieste dalla costituzione. Inoltre, le leggi
costituzionali sono molto più esposte di quelle ordinarie ad interpretazioni arbitrarie, perché la loro
applicazione non è generalmente affidata a giudici imparziali bensì agli uomini politici, e spesso l’unico
controllo possibile sull’operato di questi ultimi è costituito dall’opinione pubblica, suscettibile di
influenze e manipolazioni.
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