INSEGNAMENTO DI FILOSOFIA DEL DIRITTO LEZIONE V “IL DIRITTO COME FATTO” PROF. CATERINA BORRAZZO Filosofia del diritto Lezione V Indice 1 Introduzione ----------------------------------------------------------------------------------------------- 3 2 La natura della norma giuridica ---------------------------------------------------------------------- 9 2.1 Il contenuto della norma giuridica -------------------------------------------------------------------- 9 2.2 La forma della norma giuridica --------------------------------------------------------------------- 10 2.3 Un comando non è una dichiarazione di volontà ------------------------------------------------- 10 2.4 La norma non è un vero e proprio comando------------------------------------------------------- 11 2.5 Il diritto non è una creazione dello Stato ---------------------------------------------------------- 12 2.6 Le norme come imperativi indipendenti ----------------------------------------------------------- 12 3 La creazione delle norme ----------------------------------------------------------------------------- 15 3.1 La legislazione ordinaria ----------------------------------------------------------------------------- 15 3.2 Metodi non formali di creazione delle norme ----------------------------------------------------- 18 3.3 L’origine della costituzione ------------------------------------------------------------------------- 19 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 2 di 21 Filosofia del diritto Lezione V 1 Introduzione Grande merito di Karl Olivecrona è l’aver contribuito al diffondersi delle idee del realismo giuridico scandinavo, di cui fu uno dei maggiori esponenti. Punto di partenza dei realisti scandinavi è che tutte le nozioni che non reggono la verifica empirica sono solo delle creazioni arbitrarie. Nel mondo giuridico esistono varie nozioni di questo tipo, si pensi all’obbligatorietà o forza vincolante del diritto e ai concetti di diritto soggettivo e di dovere corrispondente. Oltre ai realisti scandinavi, anche altri movimenti hanno tentato di situare il diritto nel contesto della realtà sensibile, sforzandosi di identificare il dover essere giuridico o il diritto soggettivo con i fatti concreti che vi sono connessi. Ma gli scandinavi realizzano che ogni riduzione naturalistica di questo tipo è votata al fallimento. Ad es., secondo l’Olivecrona, non ha senso dire che l’obbligatorietà del diritto sta nel fatto che certe conseguenze spiacevoli (le sanzioni) avranno luogo in caso di disobbedienza. Le sanzioni vengono applicate perché il dovere di rispettare la legge è stato violato, ciò significa che l’obbligatorietà del diritto è qualcosa di antecedente ed indipendente dalle sanzioni. Del pari non possibile sostenere che il diritto soggettivo coincida con la posizione di favore di cui gode il titolare del diritto per effetto della regolare applicazione delle leggi: infatti, il diritto soggettivo è la causa della protezione da parte dell’ordinamento giuridico. Tali nozioni si riferiscono ad entità fittizie esistenti solo nell’immaginazione e la forza vincolante del diritto è una realtà solo in quanto contenuto di un’idea nella mente umana; il diritto soggettivo e il dovere giuridico sono vincoli e poteri immaginari che esistono solo nella psiche degli individui. Ecco in sintesi la soluzione offerta realisti scandinavi. Nel pensiero dell’Olivecrona è centrale il concetto di “imperativo indipendente”: le norme giuridiche sono degli imperativi indipendenti, cioè delle immagini di azioni e situazioni che il legislatore propone alla popolazione come modelli di comportamento, esprimendoli mediante la forma imperativa. Però non si tratta di veri e propri comandi: nel comando, infatti, vi è un rapporto diretto tra chi comanda e chi obbedisce, e l’efficacia del comando dipende dal potere di suggestione che il primo esercita sul secondo. Nel diritto, invece, e in tutte le regole morali e sociali, il rapporto personale è sostituito da quello tra la popolazione ed il complesso delle norme che governano la comunità: complesso che vive di una vita propria, indipendente dalle singole persone che di volta in volta agiscono in qualità di legislatore ed intervengono a modificarlo. La forma attraverso la quale si esprimono gli imperativi indipendenti non è quella diretta del comando, es. “Fa cosi!”, ma quella indiretta e Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 3 di 21 Filosofia del diritto Lezione V impersonale: “questa azione deve essere fatta”. Tali norme, seppure spersonalizzate, continuano ad esercitare un forte potere di suggestione sugli uomini. Per spiegare la capacità dei comandi impersonali di influenzare la condotta, 1’Olivecrona si rifà alla segnaletica stradale, dalla quale è scomparsa la caratteristica del comando e che, tuttavia, induce efficacemente gli uomini a tenere un determinato comportamento. L’impulso di costrizione a compiere una data azione che gli imperativi indipendenti fanno sorgere nei destinatari, è proiettato al di fuori del soggetto, come consapevolezza di un dovere oggettivamente esistente. I motivi del potere di suggestione delle norme giuridiche stanno soprattutto nel fatto che, anche quando siano formulate come schemi di condotta per i privati, in sostanza, le norme non sono che istruzioni dirette ai giudici concernenti l’impiego della forza. Questo non significa che gli uomini obbediscano alle leggi perché mossi dal timore delle sanzioni il quale agisce in maniera indiretta, modellando quell’atteggiamento di rispetto verso le norme che permette alla suggestione esercitata dagli imperativi di entrare in funzione. Fondamentale è l’analisi dell’Olivecrona della nozione di diritto soggettivo. Tale espressione non denota nessuna realtà oggettivamente esistente e quando gli uomini la usano, non si soffermano sull’esistenza o meno di una realtà corrispondente essendo l’attenzione polarizzata sulle conseguenze pratiche di tale uso. L’Olivecrona rivendica la legittimità d’uso da parte del linguaggio scientifico e della giurisprudenza di nozioni fittizie ed immaginarie quali quelle di diritto soggettivo e dovere giuridico, in quanto le funzioni del linguaggio non si esauriscono nella descrizione della realtà, e quindi possono esplicare un compito importante anche dei termini a cui non corrisponde nessun oggetto. Si consideri l’unità monetaria, o la parola “sterlina” che serve ad indicarla: non è possibile individuare un qualsiasi oggetto a cui tale parola si riferisca. Quando parliamo di tali unità abbiamo presente soltanto la parola, accompagnata dall’idea che essa si riferisce ad un oggetto, il che rende possibile effettuare dei conteggi di tali oggetti. In questo modo la parola “sterlina” o le sue equivalenti producono importanti conseguenze giuridiche, economiche e morali, e svolgono perciò una funzione tecnica rilevante per la vita sociale. La stessa cosa si verifica per l’espressione “diritto soggettivo”: anche se ad essa non corrisponde nessuna entità reale, ed è solo una parola, tuttavia esplica, all’interno del linguaggio giuridico, una funzione insostituibile, in quanto viene usata per indicare che il titolare del diritto può tenere un determinato comportamento, che è invece vietato agli altri soggetti. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 4 di 21 Filosofia del diritto Lezione V Il diritto è un insieme di norme che esercitano un potere vincolante sui membri di una data comunità. Secondo l’Olivecrona primo obiettivo è determinare in cosa consista esattamente l’obbligatorietà o forza vincolante del diritto e se si tratti di una realtà. La forza vincolante è generalmente ritenuta un elemento essenziale, infatti, una legge che non sia obbligatoria è inconcepibile. L’autore ritiene necessario investigare sulla natura del diritto mettendo in discussione la sua obbligatorietà. Il diritto vincola concretamente i membri di una comunità, i quali devono contenere la propria condotta entro certi limiti stabiliti dalle leggi per non incorrere in gravi sanzioni. Trasgredendo tali limiti il soggetto si espone a dei rischi, in quanto verrà punito o condannato al risarcimento dei danni, ed inoltre, incorrerà in altre reazioni negative da parte dell’ambiente sociale, come, per es., la perdita della reputazione. Evidentemente le leggi esercitano un forte potere sugli individui: ma non è questo che si vuole indicare quando si parla di forza vincolante, la quale non coincide col fatto che determinate conseguenze spiacevoli colpiscono i comportamenti illegali, altrimenti, secondo lo studioso, sarebbe sostenibile l’esistenza di una norma obbligatoria che vieta di mettere mani sul fuoco, a causa delle spiacevoli conseguenze derivanti da tale atto; invece, stare lontani dal fuoco non è un dovere bensì un nostro interesse. Il diritto è vincolante senza alcun riferimento all’interesse personale; gli interessi che spingono ad osservare le leggi sono solo un aspetto secondario della questione. La sanzione viene inflitta in seguito alla violazione di una norma obbligatoria, ciò implica che la forza vincolante è anteriore alla sanzione. Una regola obbligatoria dice, ad es. “Non devi rubare”, un’altra “Se rubi sarai punito”. Il significato dell’obbligatorietà della prima norma non può essere spiegato mediante il riferimento alla seconda (anch’essa obbligatoria) che ordina la punizione in caso di trasgressione. Inoltre, mentre la forza vincolante del diritto è assoluta ed incondizionata, i vincoli concreti che le leggi ci impongono sono sempre relativi. L’applicazione delle sanzioni dipende dall’efficienza dell’organizzazione sociale e da altre circostanze, invece, la forza vincolante del diritto è esente da tali imperfezioni: la legge vincola chiunque, indipendentemente dal potere effettivo che esercita. La forza vincolante del diritto, perciò, è qualcosa di diverso dal fatto che, superando i limiti imposti dalle leggi, gli uomini si espongono al rischio di sanzioni. Serve, dunque, per l’Olivecrona, un’altra spiegazione. Si potrebbe dire che è il sentimento per cui ci sentiamo vincolati dalle norme a trattenerci dall’agire in modo illegale, ma è errato identificare la forza obbligatoria con le inibizioni. Il sentimento di obbligazione e le conseguenti inibizioni vanno tenuti distinti dalla forza vincolante in sé; infatti, la legge è vincolante anche per chi non si sente obbligato a rispettarla. La forza vincolante del diritto non è qualcosa di esistente nel mondo reale, un fatto. Nella vita sociale concreta, tra i fatti che influiscono sulle azioni degli uomini, ci sono le regole giuridiche, ma il loro effetto è sempre Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 5 di 21 Filosofia del diritto Lezione V condizionato da altri elementi. Il carattere di assolutezza della forza vincolante del diritto sfugge ad ogni tentativo di situarla nel contesto sociale e, quindi, bisognerebbe concludere che la forza vincolante del diritto esiste solo nell’immaginazione degli uomini. Ma Olivecrona considera assurdo sostenere che il diritto appartiene ad una realtà soprasensibile, in quanto esso deve necessariamente essere messo in relazione con i fenomeni di questo mondo. Le norme sono sempre state emanate dagli uomini, cioè, prodotte da cause naturali e, a loro volta, producono effetti naturali perché esercitano una pressione psicologica sui membri della comunità. In conclusione, secondo l’autore, il diritto è un anello di una catena causale ed appartiene agli eventi del mondo spazio-temporale. Egli ritiene, poi, che conduca a contraddizioni sostenere che la forza vincolante del diritto è qualcosa di diverso dalla pressione psicologica che esso esercita sulla popolazione. Alcuni filosofi hanno compreso la necessità di situare il diritto al di fuori del mondo spaziotemporale qualora lo si concepisca vincolante nel senso tradizionale. Per es., la teoria del Kelsen illustra la necessità, conseguente all’assunzione della forza vincolante del diritto, di separare il mondo del diritto da quello dei fatti. Una norma crea tra due fatti, ad es. un delitto e la sua punizione, una connessione diversa da quella causale. La punizione deve seguire al delitto. Questo “deve” indica una connessione oggettiva stabilita dal diritto: “La legge naturale (cioè causale) dice: se A è, B sarà. La norma dice: se A è, B deve essere... Evidentemente questa non è una connessione di causa ed effetto. La sanzione non segue al delitto come l’effetto alla sua causa. Il legislatore pone in relazione i due eventi in un modo del tutto diverso dalla causalità, eppure con una connessione certa quanto quella causale. Infatti nel sistema giuridico la sanzione segue sempre al delitto anche se di fatto, per qualche ragione, non viene eseguita. E anche nel caso in cui venga effettivamente eseguita, tuttavia non si pone rispetto al delitto in una relazione di tipo causale”. Qui abbiamo in sintesi l’intera teoria kelseniana. Tutto ruota attorno al presupposto che la connessione del “dover essere” sia qualcosa di oggettivamente presente, oltre a quella causale. Per questa ragione “il diritto deve essere distinto nel modo più netto possibile dalla natura”, e ad esso va attribuita la sfera del Dovere. Vi è, in realtà, una relazione di causa ed effetto tra il delitto e la sua punizione; infatti, l’assassino è condotto in tribunale perché sospettato di aver ucciso, ed è sospettato in quanto nella maggior parte dei casi ha veramente commesso il crimine. Dopo che il fatto è stato provato, il giudice emette la sentenza, tenendo conto dell’atto commesso dall’imputato e di quanto prescritto dalla legge; quindi, tanto l’azione criminosa quanto il diritto sono cause della punizione. Il Kelsen nega che il diritto faccia parte del contesto fattuale-causale. Egli ammette che l’azione del giudice sia determinata da certe cause: ma trattasi semplicemente di una questione “di processi Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 6 di 21 Filosofia del diritto Lezione V paralleli” non concernente il diritto, poiché esso si occupa soltanto della relazione di “dover essere”. Secondo Kelsen è impossibile spiegare razionalmente come degli eventi del mondo sensibile possano produrre effetti nel “mondo del Dovere”. La parola “dovere” e le altre dello stesso tipo, sono espressioni imperative che non denotano una realtà, ma sono usate dai legislatori per influenzare il comportamento degli uomini. Di conseguenza le leggi sono anelli di una catena causale. Secondo la teoria classica del “diritto naturale” la forza vincolante del diritto positivo derivava da un “diritto naturale” eterno ed immutabile ed i membri della comunità erano obbligati a rispettare le norme emanate dal legislatore sovrano perché si erano vincolati mediante il contratto sociale, la cui forza vincolante si basava su di una norma fondamentale del diritto naturale che stabilisce che i contratti devono essere osservati. L’essenza del diritto naturale è, per Grozio, la volontà di Dio. Negli ultimi cento anni il diritto è stato più spesso definito come volontà dello Stato, concepita come un fatto del mondo concreto. Si compie, quindi, un passo avanti rispetto alla teoria del diritto naturale, in quanto non si fa più dipendere il diritto da principi immutabili, esso si fonda sulla volontà dello Stato, e la sua esistenza è subordinata al permanere di tale volontà che è vincolante per i membri della comunità. Le leggi scritte sono semplici segni esterni della volontà statuale che è la sostanza del diritto. La teoria in esame sostiene che il diritto si identifica con la volontà dello Stato, ma l’Olivecrona trova assurda tale teoria perché la “volontà dello Stato” è pura fantasia, non esistendo una volontà sovraumana. Egli ritiene d’altra parte impossibile definire il diritto come il contenuto della volontà di una o più persone particolari, quali coloro che detengono il potere; infatti, il fatto che essi lavorino affinché il diritto venga fatto rispettare, non implica che quest’ultimo coincida con la loro volontà. La differenza fra la loro situazione nei confronti del diritto e quella del resto della popolazione sta solo nel fatto che essi possono accedere al meccanismo di produzione delle leggi. Ancora più assurdo sarebbe ipotizzare che il diritto coincida con la volontà del popolo, in quanto i singoli individui possono solo conformare la propria condotta alle leggi per non incorrere nelle sanzioni e le leggi verranno applicate che incontrino o meno il loro favore. Anche se un’insoddisfazione generale della popolazione provoca, dopo un certo tempo, delle modificazioni nelle leggi, non si può solo perciò sostenere che il diritto è la volontà del popolo. Per poter giungere ad una definizione del diritto occorre, secondo l’Olivecrona, esaminare i fatti. Si esamineranno, dunque, le “norme giuridiche” articolando la ricerca in quattro parti: 1) contenuto e forma della norma giuridica; 2) modo di introduzione delle norme nel meccanismo sociale ad opera dell’attività legislativa e di altri procedimenti; 3) concetti di diritto e dovere e loro rapporti con l’ordinamento giuridico; 4) infine, relazioni esistenti tra diritto e forza. Si vuole descrivere ed analizzare Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 7 di 21 Filosofia del diritto Lezione V i fatti al fine di ridimensionare il concetto di diritto e farlo quadrare con la realtà oggettiva esistente. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 8 di 21 Filosofia del diritto Lezione V 2 La natura della norma giuridica Secondo l’Olivecrona, scopo dell’attività dei legislatori è quello di influenzare il comportamento degli uomini, quindi, egli ritiene che contenuto e forma delle norme debbano venire esaminati da questo punto di vista. 2.1 Il contenuto della norma giuridica Al fine di influenzare il comportamento degli uomini, i legislatori tracciano delle linee di condotta, rappresentandosi l’immagine della condotta desiderata: se, per es., la legge prescrive la condanna a morte per chi ha commesso un omicidio, viene rappresentata l’azione finale del giudice in un processo per omicidio. L’azione immaginata nella legge serve al giudice da modello di comportamento per tutti i casi in .cui egli si trovi in una situazione analoga, cioè ogni volta che una persona accusata di omicidio viene condotta davanti a lui e riconosciuta colpevole. Il contenuto di una regola giuridica di questo tipo è, quindi, l’idea dell’azione immaginaria di un giudice in una situazione immaginaria. La norma non va considerata isolatamente, bensì in rapporto con altre norme. Per es., la norma circa la condanna da infliggere all’omicida è in relazione con parecchie norme: l’accusato deve aver raggiunto una certa età, deve essere stato sano di mente nel momento in cui ha commesso il fatto, etc. . Il contenuto delle norme può essere, dunque, per l’Olivecrona, definito come un insieme di rappresentazioni di azioni immaginarie da parte di persone determinate (ad es. i giudici) in situazioni immaginarie. Applicare il diritto significa prendere tali azioni immaginarie come modelli per la condotta ogni volta che le situazioni corrispondenti si verificano nella realtà. Secondo l’autore, il vero intento delle norme è oscurato dalla tecnica della legislazione, che, basandosi sui concetti di diritto e di dovere, dà l’impressione che le regole giuridiche non si riferiscano alle azioni degli uomini, bensì all’esistenza di diritti, doveri etc.. Ad es., nella norma concernente l’acquisto della proprietà mortis causa, nulla si dice riguardo le azioni compiute da un soggetto, pur riferendosi la norma alla condotta degli uomini. Unica funzione delle norme è quella di contribuire alla rappresentazione delle situazioni in cui le azioni desiderate devono essere compiute, nonché di descrivere le azioni stesse. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 9 di 21 Filosofia del diritto 2.2 Lezione V La forma della norma giuridica L’Olivecrona afferma che i legislatori, nel formulare le norme, non usano un linguaggio descrittivo, e, avendo come fine quello di fare si che gli uomini tengano un determinato comportamento, essi portano le azioni immaginarie a conoscenza degli individui attraverso la forma imperativa, che è il modo più idoneo a far sorgere l’idea che esse debbano venire necessariamente eseguite. La forma imperativa delle norme sta all’origine della teoria del diritto come insieme di comandi dello Stato, teoria che è stata abbinata a quella del diritto come volontà dello Stato. I comandi sarebbero espressioni di tale volontà e servirebbero a farne conoscere il contenuto. Ma, secondo l’Olivecrona, dietro a questo modo di concepire il diritto si nascondono due errori fondamentali: il primo riguarda la vera natura del comando, il secondo il ruolo effettivo svolto dallo Stato. 2.3 Un comando non è una dichiarazione di volontà La convinzione che il comando sia una dichiarazione di volontà è molto diffusa. Hobbes, per es., afferma che “Un comando consiste in una dichiarazione o manifestazione della volontà di colui che comanda”. L’Olivecrona trova, invece, tale convinzione erronea; infatti, il fatto che dall’emanazione del comando il destinatario di esso possa trarre delle conclusioni sulla volontà di chi comanda, non implica che il comando in sé sia una dichiarazione di tale volontà. L’autore afferma che, se un uomo accende un fiammifero e lo avvicina alla pipa, se ne deduce che desidera fumare: ma il gesto non è stato eseguito per informare gli eventuali spettatori dell’intenzione di fumare. Inoltre, se un comando fosse veramente una dichiarazione di volontà, potrebbe essere espresso sotto forma di asserzione senza alcuna alterazione del significato, mentre ciò non è possibile. Il significato delle due proposizioni “soffiati il naso!” e “è un fatto che io desidero che ti soffi il naso” è diverso: nel primo caso non vi è un giudizio di fatto, ma un enunciato con la funzione di spingere la persona a cui è rivolto ad agire in un certo modo. Cioè, esso non viene usato per trasmettere delle informazioni, ma per influenzare la volontà; nel secondo caso, invece, si ha un enunciato fattuale, che serve soprattutto per trasmettere informazioni. In conclusione, per Olivecrona, un comando va distinto da una dichiarazione di volontà di colui che parla. Il comando è un atto attraverso cui un individuo cerca di influenzare la volontà di un altro attraverso parole, gesti o altro, senza fare alcun appello ai valori del destinatario, ma agendo direttamente sulla volontà: ciò significa che possiede un forte potere di suggestione. Qualunque sia il mezzo usato, lo scopo è sempre la suggestione. E’ evidente la confusione presente dietro all’identificazione della concezione del diritto come volontà dello Stato e come insieme di comandi Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 10 di 21 Filosofia del diritto Lezione V dello Stato. Se le norme fossero veramente “espressioni o dichiarazioni della volontà dello Stato”, non potrebbero al tempo stesso essere dei comandi, visto che un comando non è una dichiarazione di volontà. Questa diffusa confusione ha contribuito a tenere in vita le due teorie appena esposte. La teoria del diritto come volontà dello Stato, è già stata analizzata e confutata. Rimane da esaminare la cosiddetta teoria “imperativa” del diritto. 2.4 La norma non è un vero e proprio comando Scopo della teoria imperativa è dimostrare che il diritto è un fatto del mondo reale: i comandi sono dei fatti naturali. Ma, afferma l’Olivecrona, essa dà un’errata interpretazione dei fatti quando sostiene che le norme sono dei veri e propri comandi. Dal momento che un comando presuppone una persona che comanda ed un’altra a cui il comando viene rivolto, la teoria imperativa ha cercato di individuare la fonte da cui promanano i comandi che dovrebbero costituire le norme. Tale fonte non è stata identificata con la volontà di un individuo singolo, essendo difficile sostenere che tutte le norme dello Stato possano essere costituite dai comandi di una sola persona; perciò i comandi vengono attribuiti allo Stato. Tuttavia, essendo lo Stato un’organizzazione, non si può affermare che esso emetta dei comandi. Secondo l’Olivecrona, la teoria imperativa costituisce, dunque, una spiegazione accettabile del diritto solo se si può dimostrare che le norme coincidono con i comandi di una o più persone agenti internamente all’organizzazione statale. Anche questo però è impossibile: ciascun membro dell’organizzazione statale (monarchi, presidenti, capi e membri del governo, membri del parlamento e così via) si trova al cospetto di norme già in vigore e può solo apportare qualche mutamento parziale all’ordinamento giuridico esistente. Inoltre, non ha senso dire che le norme, che permettono ai legislatori di occupare i loro posti, sono comandi emanati dai legislatori stessi. E ancora, osserva l’autore, se le norme fossero comandi di un singolo o di un gruppo di individui, ciò risulterebbe nel procedimento di emanazione delle leggi. Ed invece, di nessuna delle persone implicate in tale procedimento si può dire che comanda: - che i membri del parlamento non comandano nello svolgimento della loro attività è confermato anche dal fatto che il destino della proposta di legge viene deciso dal risultato della votazione. Il contributo di un membro del parlamento consiste solo nell’aggiungere un voto a tutti gli altri; - i membri del governo non comandano ma agiscono di solito come “consiglieri” del capo dello Stato e si limitano a “sottomettere” le loro proposte all’autorità superiore; - il capo dello Stato, infine, non comanda quando rende esecutiva una nuova legge. Egli si limita ad apporre la sua firma in fondo ad un documento presentatogli da un ministro, compiendo solo un atto previsto dalla costituzione. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 11 di 21 Filosofia del diritto Lezione V E’, pertanto, evidente, secondo l’Olivecrona, come non si possa definire il diritto come l’insieme di comandi di uno o più individui. Neppure al momento in cui l’atto legislativo viene emanato si può parlare di comando. Ancora meno si può dire che i legislatori continuino a comandare ininterrottamente tutto ciò che è prescritto dalle leggi. Quando si definisce il diritto come il complesso dei comandi dello Stato, la parola “Stato” non denota soltanto un’organizzazione, ma anche un’entità sovraumana, esistente solo nell’immaginazione, alla quale vengono attribuiti i comandi. E, afferma l’autore, l’assurdità della teoria imperativistica si manifesta immediatamente col confronto con la realtà. 2.5 Il diritto non è una creazione dello Stato Secondo l’Olivecrona, il diritto non è costituito dai comandi dello Stato, né è una creazione di esso. Se lo Stato non esiste indipendentemente dal diritto, di conseguenza non si può sostenere che il diritto derivi dallo Stato. Il termine “Stato” in senso realistico significa organizzazione; ma ogni organizzazione si fonda su di un insieme di norme che vengono di fatto applicate all’interno di un certo gruppo sociale. In altri termini, è necessario che vi siano delle linee di condotta, più o meno conosciute all’interno di un gruppo sociale, che esercitano una certa influenza sulla condotta dei membri. Solo così, secondo l’autore, si può parlare dell’esistenza di un’organizzazione, altrimenti si parlerà di anarchia. Ora, l’organizzazione statale è retta da regole giuridiche: ciò significa che lo Stato, inteso in senso realistico, presuppone il diritto e non può esistere senza di esso. Di conseguenza, non ha senso sostenere che il diritto è una creazione dello Stato. L’errore, afferma l’Olivecrona, deriva dal fatto che l’organizzazione statale, per mezzo della legislazione, provvede al meccanismo che rende le norme psicologicamente efficaci. Ma per determinare la portata reale dell’attività legislativa, bisogna determinare prima la natura delle norme giuridiche. 2.6 Le norme come imperativi indipendenti Benché non siano veri e propri comandi, le norme vengono formulate in modo imperativo. Il significato della norma è sempre: “questa azione deve essere eseguita se si verificano le seguenti circostanze, tale diritto deve sorgere in conseguenza dei seguenti fatti, ecc.”. Ciò non implica, afferma l’Olivecrona, che le norme siano dei comandi, le espressioni imperative vanno tenute distinte dai veri e propri comandi. Un vero e proprio comando implica una relazione personale: esso viene impartito da una persona ad un’altra per mezzo di parole e gesti che hanno la funzione di influenzare la volontà. Ma, Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 12 di 21 Filosofia del diritto Lezione V parole dello stesso genere sono usate anche in assenza di una relazione personale tra chi comanda e chi riceve il comando, continuando ad avere un effetto analogo. In tali casi, secondo l’autore, sarebbe opportuno usare il termine di “imperativi indipendenti”. L’Olivecrona si rifà al Decalogo, come esempio di imperativi indipendenti. Non si può dire, egli afferma, che Mosé comandi di fare o non fare certe azioni. Il Decalogo non è costituito dai comandi di Dio, esso è un insieme di sentenze imperative, che non sono i comandi di nessuno. Le norme appartengono allo stesso genere: sono degli enunciati imperativi su azioni, diritti e doveri immaginari; non sono i comandi di qualcuno. I legislatori formali, nel formulare o emanare le norme, non agiscono come persone che comandano e all’attenzione di coloro a cui le norme sono dirette si propongono solo degli enunciati imperativi staccati dalle persone dei legislatori. In termini diversi, secondo l’autore, le proposizioni imperative funzionano da modelli della condotta umana, indipendentemente da qualsiasi soggetto che emetta ordini. Ma gli imperativi indipendenti differiscono dai comandi anche per altri aspetti. Un comando vero e proprio é rivolto ad una persona determinata e tende a farle compiere una data azione; un imperativo indipendente non si rivolge a nessuno in particolare, non dice ad un singolo “tu devi fare così”, ma afferma in modo astratto “questa azione deve essere compiuta”, ad es. un omicida deve essere condannato a morte. Il “deve” è connesso con l’idea di una azione e non direttamente con un individuo. E’ impossibile per i legislatori rivolgersi direttamente a tutti i giudici che possono trovarsi nelle situazioni corrispondenti a quelle immaginate dalle leggi. In altri casi la norma prescrive che una certa “relazione giuridica” venga stabilita in seguito al verificarsi di determinate circostanze: ad es. che il vincolo coniugale sorga dopo la celebrazione del matrimonio. Qui l’espressione imperativa si riconnette con la nascita di un rapporto giuridico, qualificato come matrimonio, e non è diretta a nessuna persona. Analogamente, per l’Olivecrona, il dover essere di una norma può essere connesso con il sorgere di un diritto o di un dovere, per es. la norma che prescrive in quali modi si può acquistare il diritto di proprietà. Un’ulteriore differenza tra comandi ed imperativi indipendenti sta, per l’Olivecrona, nel fatto che un vero comando non può venire trascritto sotto forma di proposizione esprimente un giudizio: il comando “soffiati il naso!” non può essere rimpiazzato da una proposizione del tipo “è vero che tu devi soffiarti il naso”. Un imperativo indipendente, invece, può talora essere sostituito da un giudizio: per es., l’imperativo “non devi rubare!” può essere sostituito dalla frase “è tuo dovere non rubare”. Formalmente queste proposizioni si presentano come giudizi, ma in realtà, afferma l’autore, dicendo Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 13 di 21 Filosofia del diritto Lezione V che un’azione deve o non deve essere fatta, non si descrive nessuna qualità oggettiva di essa. Dietro all’apparenza del giudizio si svolge un procedimento diverso: un’espressione imperativa si associa nella nostra mente con l’idea di un’azione. Si tratta di una relazione meramente psicologica che, tuttavia, ci appare come esistente oggettivamente, e, di conseguenza, siamo portati a credere in una realtà illusoria indicata dalla parola “dovere”. Siamo di fronte alle origini dell’idea della forza vincolante del diritto. Riassumendo, secondo l’Olivecrona, le regole morali sono degli imperativi indipendenti che promanano da fonti diverse ed esercitano un grande potere di suggestione per cui ci sentiamo obbligati a rispettarle. Per questo cerchiamo qualcosa di solido al di là della forma verbale, finendo con l’imputarle alla divinità. Un analogo misticismo si riscontra nel campo giuridico, ma qui al posto di Dio c’è lo Stato. Le norme sono viste come espressioni della volontà statale o come comandi dello Stato. Però, lo Stato, rettamente inteso, non può emettere comandi; solo se lo si concepisce come un vero e proprio dio in terra, può essere considerato come un’entità che comanda ed esprime il suo volere attraverso le norme. Ma tutto questo è, per l’autore, puro misticismo. E’ impossibile attribuire un’esistenza continua ad una norma: essa esiste solo in quanto contenuto di un’idea nella mente degli uomini e non vi è nessuna idea del genere perennemente presente nella mente di qualcuno; gli imperativi sono presenti nella coscienza soltanto a intervalli. In realtà il diritto si compone di un’immensa massa di idee concernenti la condotta umana, espresse mediante il linguaggio imperativo, specialmente attraverso la legislazione formale e conservate nei testi legislativi. Non è possibile, secondo l’Olivecrona, stabilire una netta linea di divisione tra le norme giuridiche e quelle morali, in quanto non esistono differenze fondamentali. Molte norme giuridiche, infatti, sono al tempo stesso norme morali. La regola morale non può essere distinta da quella giuridica in base a qualche caratteristica oggettiva, bensì a causa della diversità dei sentimenti che essa suscita. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 14 di 21 Filosofia del diritto Lezione V 3 La creazione delle norme L’Olivecrona sostiene che gli imperativi indipendenti vengano introdotti nell’ordinamento giuridico principalmente per mezzo dell’attività legislativa, ma anche attraverso il sistema dei precedenti e l’influenza esercitata in certi paesi dalla giurisprudenza. 3.1 La legislazione ordinaria Secondo l’autore, l’atto con cui viene posta in essere una legge implica qualcosa di inesplicabile; non si spiega, infatti, come mai il progetto legislativo cambi natura con la sua trasformazione in legge. Il progetto legislativo è solo un insieme di articoli che vengono sottoposti alle autorità competenti per essere approvati; la legge, invece, una volta promulgata, è costituita da norme “vincolanti”. Mediante l’atto della promulgazione il progetto di legge subisce, dunque, un profondo mutamento. Mentre il progetto legislativo non fa parte dell’ingranaggio della macchina statale, la legge si ed esplica un’efficacia sociale importante per la comunità. Essa, secondo l’Olivecrona, è considerata dai pubblici funzionari come un modello per le loro azioni e dalla popolazione come ostacolo rispetto a certi comportamenti ed incoraggiamento rispetto ad altri. Con la trasformazione del progetto in legge si manifesta, immediatamente, la sua forza vincolante che è un rapporto di causa ed effetto avente luogo nel mondo empirico, a livello psicologico. Scopo dei legislatori, infatti, è quello di influenzare la condotta degli uomini esercitando su di loro una pressione psicologica. In circostanze normali la legislazione si svolge secondo quanto stabilito dalle norme costituzionali. La sua efficacia, afferma l’autore, deriva innanzi tutto dall’atteggiamento abituale di obbedienza della popolazione verso la costituzione. Presso i popoli esiste un complesso di idee in ordine al governo del paese, obbedite perché considerate “obbligatorie”; tali idee sono relative al procedimento attraverso cui certe persone assumono le più alte cariche ed è dall’esistenza di esse che deriva il potere di queste persone. Infatti, l’attitudine generale al rispetto della costituzione colloca alcuni uomini nelle posizioni chiave, dando loro la possibilità di esercitare una pressione psicologica sui concittadini e dirigerne la condotta. Tale situazione esiste in ciascun paese, salvo che non sia temporaneamente sospesa da una rivoluzione. Ovviamente l’atteggiamento di rispetto verso la costituzione deve essere continuamente sorretto da un’ininterrotta pressione psicologica sui membri della comunità. L’atteggiamento abituale di Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 15 di 21 Filosofia del diritto Lezione V obbedienza nei confronti della costituzione ha un duplice significato: in primo luogo fa sì che tutti accettino come vincolanti le norme emesse conformemente alla costituzione, adottandole come schemi di comportamento; in secondo luogo, il potere di legiferare diventa monopolio esclusivo di coloro che sono designati come legislatori dalla costituzione. Tale atteggiamento produce, dunque, un duplice effetto: anzitutto i legislatori costituzionali possono accedere ad un meccanismo psicologico che permette loro di influenzare la vita della comunità; inoltre, ciò è permesso soltanto a loro. L’atteggiamento della maggior parte dei cittadini è, normalmente, così uniforme che l’attività legislativa si realizza senza alcuno sforzo da parte dei legislatori. Si tratta, afferma l’Olivecrona, di una situazione a noi così familiare che non ci rendiamo conto che l’efficacia della legislazione è condizionata al nostro atteggiamento psicologico, grazie al quale legislatori manipolano la nostra volontà. Oltre all’attitudine psicologica, l’autore ritiene che sia necessarie un’altra condizione per assicurare l’efficacia del procedimento legislativo: l’organizzazione. Essendo impossibile governare una comunità solo attraverso l’influenza psicologica esercitata dall’attività legislativa, è indispensabile l’esistenza di un corpo di persone pronte ad applicare le leggi, se occorre anche con la forza. L’organizzazione statale è, infatti, composta da uomini addestrati ad eseguire automaticamente le leggi e funziona con grande regolarità. E’ ormai chiaro all’Olivecrona il significato dell’atto di promulgazione di una legge. Il progetto legislativo è oggetto di procedure formali dotate di un particolare effetto psicologico. L’atto del legiferare, in ultima analisi, si riduce ai procedimenti formali. Disposizioni identiche a quelle contenute in una legge, anche se emanate dalle stesse persone, ma senza che sia stata osservata la forma prevista dalla costituzione, non assumono rilevanza sociale. Non esiste nessuna volontà dello Stato, e neppure dei veri e propri comandi di legislatori individuali. Il fenomeno che si verifica nella realtà è, per l’Olivecrona, il seguente: le formalità previste dalla costituzione applicate agli imperativi indipendenti contenuti nel progetto legislativo, conferiscono loro un’importanza peculiare per la vita sociale, tanto che gli uomini li assumono come modelli di comportamento. Naturalmente una legge è sempre opera di uno o più individui, e non di un’astrazione chiamata “Stato”. Per mezzo delle leggi si fa in modo che gli uomini svolgano una serie di attività indispensabili per la vita civile, e ciò è possibile grazie all’atteggiamento di rispetto della popolazione nei confronti della costituzione. Tale atteggiamento può continuare a sussistere solo se la costituzione viene regolarmente applicata ed il potere esercitato secondo le sue prescrizioni. Dunque la macchina Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 16 di 21 Filosofia del diritto Lezione V legislativa e l’atteggiamento psicologico nei confronti della costituzione sono due elementi che si condizionano a vicenda. Che la costituzione sia la fonte del potere dell’attività legislativa, non implica, afferma l’Olivecrona, che la forza e l’efficacia delle leggi dipendano esclusivamente dalla costituzione in vigore. Spesso un sistema legislativo mantiene intatto il suo potere nonostante la costituzione sia stata rovesciata da una rivoluzione. L’osservanza della forma costituzionale è indispensabile per inserire il progetto di legge nel meccanismo sociale e far sì che le disposizioni in esso contenute siano rispettate. Dopo di che la costituzione può essere rovesciata senza che ciò metta necessariamente in pericolo le leggi emanate in precedenza secondo i requisiti da essa prescritti. Il rispetto per la legge può sopravvivere alle cause che lo hanno fatto sorgere, intervenendo altri elementi che concorrono a mantenerlo in funzione. Infatti, dopo che una legge è diventata parte integrante della struttura della società, numerosi interessi crescono attorno ad essa e nel corso di una rivoluzione, i nuovi detentori del potere hanno quasi sempre interesse a conservare la maggior parte delle vecchie leggi. Tuttavia, precisa l’autore, per garantire l’efficacia di una legge, deve sempre essere in vigore una costituzione, sia pure diversa da quella esistente al tempo della sua promulgazione, perché è necessaria un’organizzazione che esegua le disposizioni contenute nella legge. L’organizzazione presuppone una costituzione, non potendo esistere senza regole, e le regole fondamentali per l’organizzazione della società sono appunto contenute nella costituzione. In questo senso la costituzione è fonte di potere non solo per la creazione ma anche per il mantenimento delle leggi. Riassumendo, secondo Karl Olivecrona, il significato dell’atto legislativo non consiste nell’acquisizione di un’ipotetica “forza vincolante” da parte del progetto di legge al momento della sua trasformazione in legge, bensì nel fatto che le disposizioni in esso contenute sono rese psicologicamente efficaci. Questo risultato si ottiene attraverso l’applicazione di determinate formalità che esercitano una certa influenza sull’animo dei cittadini. Fattore essenziale del procedimento legislativo è, dunque, la forma. Tuttavia, per l’efficacia dell’attività legislativa non è indispensabile che la forma prescritta dalla costituzione venga rigidamente osservata, infatti, nella maggior parte dei casi i legislatori godono di un certo margine di discrezionalità, potendosi allontanare dai requisiti formali previsti dalla costituzione senza che ciò annulli l’efficacia delle leggi da loro emanate. Questo dipende dai pubblici funzionari, in special modo dai giudici, che a volte esercitano un controllo inflessibile sull’osservanza delle forme costituzionali, mentre altre volte accettano qualsiasi legge promulgata dal governo, senza discutere il procedimento seguito. Tutto ciò significa che, in pratica, i requisiti richiesti si riducono alla sola Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 17 di 21 Filosofia del diritto Lezione V condizione dell’emanazione delle leggi da parte degli organi competenti. Punto centrale della questione è che l’attività legislativa è sempre una pura formalità che conferisce al progetto di legge un carattere di rilevanza, incorporandolo così nell’ingranaggio della macchina sociale. 3.2 Metodi non formali di creazione delle norme Olivecrona afferma che per la creazione di nuove norme non è impiegato solo il metodo formale. Il diritto consuetudinario si sviluppa in modo più o meno inconscio, e non si può, pertanto, affermare che le nuove norme sono comandi o manifestazioni di volontà. Partendo, invece, da una concezione realistica del fenomeno giuridico, la soluzione del problema riguardante la formazione del diritto consuetudinario si presenta, secondo l’autore, simile a quella data per la legislazione formale. In entrambi i casi siamo di fronte all’introduzione di imperativi nuovi in un sistema di imperativi vincolanti e dotati di efficacia pratica. In entrambi i casi non vi è che una catena di cause ed effetti naturali a livello psicologico. Come es. di diritto consuetudinario l’Olivecrona prende la common-law, per lo più basata sul sistema dei precedenti. Il presupposto è che i giudici applichino soltanto le norme già esistenti; essi però sono frequentemente chiamati a decidere su casi non contemplati dalla legislazione in vigore e, quindi, modificano il diritto esistente emettendo, qualche volta, addirittura delle sentenze in contraddizione con esso. Molte decisioni giudiziarie non si basano, dunque, afferma l’autore, su regole giuridiche preesistenti e, mediante la dottrina della forza vincolante dei precedenti, tali decisioni assumono lo stesso significato degli atti legislativi veri e propri, in quanto i giudici saranno vincolati per il futuro dai principi in esse contenuti. Di conseguenza la common-law subisce un continuo processo di rinnovamento e di sviluppo, nonostante si continui ufficialmente a sostenere che tutte le decisioni dei giudici si basano esclusivamente sul diritto esistente. A conferire efficacia pratica alle norme create dai giudici sono, per l’Olivecrona, forze simili a quelle che rendono operativa la legislazione formale. Il fattore dominante è sempre l’atteggiamento di rispetto nei confronti della costituzione: la posizione dei giudici, infatti, dipende dalla costituzione e la teoria della forza vincolante dei precedenti può considerarsi un elemento della costituzione. A volte nuove norme vengono introdotte per opera della giurisprudenza. Spesso agli scritti dei giuristi consegue la creazione di nuove norme, pur non assumendo essi il ruolo di legislatori. Secondo l’opinione comune, afferma l’Olivecrona, i giuristi si limitano a descrivere quanto è già contenuto nelle norme, ma, in realtà, essi tentano di colmare le lacune del diritto esistente. Infatti, se i giuristi Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 18 di 21 Filosofia del diritto Lezione V convincono i giudici della bontà delle loro teorie, le norme da essi proposte diventano oggetto di applicazione pratica da parte dei tribunali ed assumono la stessa validità della Statute Law. E’ per questa ragione che alcuni autori elencano la giurisprudenza tra le fonti del diritto, benché ciò contraddica la concezione del diritto come comando dello Stato. Nello sviluppo del diritto consuetudinario, il presupposto secondo cui i giudici applicano sempre norme preesistenti è stato, dunque, un mezzo per l’introduzione di nuove norme. Ma tale presupposto, osserva l’Olivecrona, non è necessario: anche se è chiaro che i giudici non si limitano ad applicare le norme esistenti, ma tendono, invece, a completare l’ordinamento giuridico esistente, i precedenti mantengono la loro fondamentale importanza per le decisioni future riguardanti casi simili. L’esigenza di continuità nell’amministrazione della giustizia è così sentita che i tribunali non possono non tener conto dei precedenti. L’autore conclude affermando che, sia nel caso del diritto consuetudinario che in quello della legislazione formale si tratta di modi diversi di rendere efficaci, all’interno della comunità, un certo numero di imperativi indipendenti ed è legittimo che, a tale scopo, si usino metodi diversi, per quanto la legislazione formale sia il più importante. 3.3 L’origine della costituzione Secondo l’Olivecrona, una costituzione può contenere delle norme destinate a regolare la sua stessa trasformazione e in alcuni casi, attraverso un procedimento regolato dal diritto, può essere creata una costituzione completamente nuova. Può anche accadere che una costituzione si evolva lentamente come diritto consuetudinario da una forma primitiva. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, le costituzioni dei paesi civili traggono origine da una rivoluzione o da una guerra, vale a dire dalla forza. E’ con tali mezzi che i detentori del potere si sono affermati: ad un certo punto, la catena del processo legale di sviluppo della costituzione è stata interrotta da atti illegali. L’Olivecrona trova difficile comprendere come degli atti di violenza possano dar luogo a “norme vincolanti”, considerato che il diritto di emanarle è attribuito ai legislatori costituzionali e che i capi rivoluzionari non solo sono privi di questo diritto, ma agiscono addirittura contro le leggi esistenti. Tuttavia, la costituzione rivoluzionaria serve da base per le nuove leggi, la cui forza vincolante non è messa in discussione. In realtà il fenomeno della nascita del Diritto dalla Forza, e, in particolare, della costituzione da atti rivoluzionari, non è, secondo l’autore, più misterioso di quello della legislazione ordinaria. In entrambi i casi alcuni individui pongono in essere un complesso di imperativi diretti alla popolazione, Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 19 di 21 Filosofia del diritto Lezione V esigendone l’obbedienza. La differenza sta, per l’Olivecrona, nelle cause che rendono efficaci tali imperativi. Mentre la legislazione ordinaria attinge la sua forza vincolante dal generale rispetto per la costituzione esistente, una costituzione rivoluzionaria viene imposta alla popolazione con altri mezzi. Si deve verificare una coalizione temporanea di forze abbastanza potente da determinare nei cittadini il cambiamento di attitudine che è implicito nell’accettazione di una nuova costituzione come vincolante. Mentre al legislatore ordinario non è richiesto alcuno sforzo per rendere efficaci le leggi che emana, disponendo egli di un meccanismo già pronto, i rivoluzionari devono orientare l’atteggiamento della popolazione verso nuove direzioni, rendendo così possibile l’efficacia psicologica dei loro imperativi. Per rompere l’abitudine all’obbedienza verso una costituzione già consolidata è necessario, secondo l’Olivecrona, che si verifichino delle circostanze eccezionali, la cosiddetta “situazione rivoluzionaria”. Le vecchie regole circa il governo di un paese vengono respinte solo sotto la pressione di condizioni economiche disperate, di disastri di una guerra e così via, unitamente a nuovi ideali capaci di infiammare gli animi. I detentori del potere perdono poco alla volta la loro influenza sulla popolazione, fino a venire spodestati anche con la forza e nuovi uomini salgono al potere. Se la rivoluzione riesce e un governo si stabilisce sulla base dei nuovi imperativi, essi diventano automaticamente la nuova costituzione. In breve, nei confronti della nuova costituzione, l’esito vittorioso della rivoluzione rappresenta l’equivalente del rispetto delle formalità costituzionali per la legislazione ordinaria. Nuove norme vengono in seguito emanate secondo la costituzione appena affermata e sono automaticamente accettate come vincolanti. Oltre alla “situazione rivoluzionaria” sono necessari, per l’Olivecrona, altri due fattori per poter effettuare il mutamento: la forza e la propaganda. La forza, per rovesciare coloro che occupano le posizioni chiave, scoraggiare i loro sostenitori e vincere l’eventuale resistenza; la propaganda, per preparare gli animi ad accogliere i nuovi imperativi. In seguito interviene il lavorio del tempo. Come le leggi ordinarie restano efficaci anche se la costituzione che ha servito loro da fondamento è stata, nel frattempo, abolita, così la costituzione può sopravvivere alle cause che l’hanno originata: l’ardore rivoluzionario può sparire, il disagio diminuire e così via, tuttavia, la costituzione sorta da queste condizioni mantiene la sua efficacia pratica, essendosi venuti a raggruppare attorno ad essa numerosi interessi ed essendo i suoi ideali penetrati nel profondo della coscienza popolare. L’efficacia psicologica della costituzione implica un certo atteggiamento da parte della popolazione, che non può venire cambiato radicalmente da un giorno all’altro, perciò il potere dei goAttenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 20 di 21 Filosofia del diritto Lezione V vernanti è sempre limitato entro confini ristretti, indipendentemente dal fatto che abbiano conquistato le loro posizioni con mezzi legali oppure mediante una rivoluzione. L’ostacolo immediato che ogni tentativo rivoluzionario incontra è sempre la lealtà verso la costituzione esistente. Ma, osserva l’Olivecrona, dopo che la costituzione è stata sostituita, l’abitudine all’obbedienza diventa fonte di forza per quella nuova: in sostanza viene trasferita da un complesso di regole ad un altro. Parlando in termini più generali, la fonte principale di forza per la costituzione risiede nelle abitudini e negli istinti sociali della popolazione, e ciò vale sia per il tempo di durata di una costituzione, sia per il sorgere e l’affermarsi di una nuova. I rivoluzionari riescono ad impadronirsi del potere solo se sanno utilizzare adeguatamente tale forza. Le forze sociali di una comunità debbono essere unificate per mezzo di una costituzione che sia rispettata dalla quasi totalità della popolazione, dando luogo ad un’attitudine generale di obbedienza nei confronti dell’autorità legislativa. In caso contrario si avranno caos e distruzione. Non è possibile, secondo l’Olivecrona, tracciare una linea netta di divisione tra la legislazione rivoluzionaria e quella ordinaria. Abbiamo detto che i legislatori costituzionali spesso dispongono del potere di discostarsi più o meno dalle formalità richieste dalla costituzione. Inoltre, le leggi costituzionali sono molto più esposte di quelle ordinarie ad interpretazioni arbitrarie, perché la loro applicazione non è generalmente affidata a giudici imparziali bensì agli uomini politici, e spesso l’unico controllo possibile sull’operato di questi ultimi è costituito dall’opinione pubblica, suscettibile di influenze e manipolazioni. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 21 di 21