Verso l`unità della Chiesa in Svizzera

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Für die Einheit der Kirche in der Schweiz
Verso l'unità della Chiesa in Svizzera
Vers l'unité de l'Église en Suisse
Ökumene-Kommission der Schweizer Bischofskonferenz
Für die Einheit der Kirche in der Schweiz
Eine ökumenische Orientierung
Verso l'unità della Chiesa in Svizzera
Orientamenti ecumenici
Vers l'unité de l'Église en Suisse
Orientations œcuméniques
Herausgegeben von der Ökumene-Kommission
der Schweizer Bischofskonferenz, Freiburg
© Schweizer Bischofskonferenz
Zu beziehen bei den Bischöflichen Ordinariaten und dem Sekretariat
der Schweizer Bischofskonferenz
Postfach 278, 1701 Freiburg, [email protected]
www.sbk-ces-cvs.ch/FRPHF
1
Presentazione
Il movimento ecumenico è giunto ad una svolta: si tratta di un giudizio oggi
diffuso. Spesso si accompagna alla constatazione negativa che l’ecumene si trova in
una profonda crisi o addirittura che la sua fine è incombente. Parlare di “svolta” però,
può anche essere inteso in un senso positivo: il risultato che il movimento ecumenico
ha finora raggiunto permette infatti di renderci riconoscenti, gioiosi e pieni di
speranza. D’altra parte, lo stesso risultato dà motivo a dolore ed a sofferenze. Questo
Giano bifronte che caratterizza l’attuale situazione ecumenica trova la sua ragione più
profonda nella constatazione che più ci si avvicina l’uno all’altro, più dolorosamente si
fa esperienza di tutto ciò che ci separa e che ancora ci impedisce di accostarci insieme
alla mensa eucaristica dell’unico Signore. Infatti, è un paradosso che il progresso
appena raggiunto sul piano ecumenico rimanga esso stesso uno tra i motivi principali
dell’attuale disagio ecumenico. Più che mai si impone con grande urgenza la domanda
su come si possa progredire in campo ecumenico.
L’attuale situazione richiede un’indagine storica e teologica riguardo
all’ecumene: sia attuale che futura. La presente pubblicazione, elaborata dalla
Commissione per l’ecumenismo della Conferenza dei vescovi svizzeri con lo scopo di
offrire un “orientamento ecumenico”, intende assicurare le tracce per continuare verso
il futuro. Sono molto grato non soltanto per questa pubblicazione ma anche per lo
spirito costruttivo con cui teologia e magistero hanno interagito in questa
Commissione. Innanzi tutto è necessario dar conto di come il cammino ecumenico,
avviato con grande speranza e con altrettanto slancio quarant’anni orsono, si è
sviluppato. A tale scopo vengono qui offerti tre contributi che delineano lo sviluppo
storico dell’ecumene nelle tre aree linguistiche della Svizzera, completati da altrettanti
brevi ritratti biografici di importanti personalità ecumeniche svizzere. Riguardo al
passato si può costatare un cambiamento importante che l’ecumenismo ha subìto: il
suo scopo principale - raggiungere insieme la ricomposizione dell’unità visibile della
Chiesa - generalmente, si è persa di vista. È vero che l’ecumenismo si è mosso
dall’inizio su due binari diversi, occupandosi da un lato di questioni concernenti il
credo e lo statuto della Chiesa (“Faith and Order”) e dall’altro lato questioni
concernenti la responsabilità secolare, sociale e politica delle Chiese cristiane e del
movimento ecumenico (“Life and Work”). Il saggio “La Chiesa si realizza nella carità”
vuole portare questa problematica alla nostra attenzione. Nel frattempo, l’impegno per
l’unità visibile viene sostituito sempre di più da un “ecumenismo secolare” che si
manifesta con obiettivi e progetti che sono, sì, fondati ed hanno carattere di una certa
necessità benchè non proprio ecumenico. Ne è conseguenza sintomatica la rilevante
caduta di importanza da parte della Commissione “Faith and Order” all’interno del
Consiglio ecumenico delle Chiese.
Seguendo il saggio del presente libro “Ecumenismo oggi e domani” ci troviamo
oggi di fronte ad una fondamentale distinzione di sensibilità che fa risaltare due
concezioni diverse dell’ecumenismo: da un lato c’è l’ecumenismo che aspira all’unità
visibile della Chiesa pregando e lavorando per l’unione; dall’altro, esiste un
ecumenismo radicale che considera sufficienti gli obiettivi finora raggiunti; si
accontenta che venga riconosciuto, in modo reciproco, lo status quo e di sanzionarlo
mediante la celebrazione dell’unione eucaristica manifestando così, in senso
peggiorativo, un atteggiamento “conservativo”. Non c’è dubbio però per chi vuole
rimanere impegnato al rinnovamento ecumenico del Vaticano II° che questo
ecumenismo radicale non trova riscontro nel Concilio, mentre soltanto quell’altro
atteggiamento ecumenico, delineato per primo, conserva fedeltà al Concilio e serve
all’“unitatis redintegratio”. Infatti il Decreto sull’ Ecumenismo del Concilio Vaticano II°
rivendica quale obbiettivo degli impegni ecumenici: “il ristabilimento dell’unità da
2
promuoversi fra tutti i Cristiani. […] Tale divisione non solo contraddice apertamente
alla volontà di Cristo, ma è anche di scandalo al mondo e danneggia la santissima
causa della predicazione del Vangelo ad ogni creatura” (Unitatis Redintegratio, 1).
Il superamento della frattura e il ricupero dell’unità visibile della Chiesa
premettono innanzitutto il riconoscimento reciproco dei ministeri ecclesiali. E proprio
questo è il nodo dell’attuale situazione ecumenica: che un tale riconoscimento non si è
ancora realizzato. Un nodo che solleva la questione fondamentale: in che modo si
deve e come si può realizzare in maniera autentica il riconoscimento, se da un lato la
Chiesa cattolica rimane sempre convinta che il ministero episcopale e il ministero di
Pietro nella successione apostolica siano voluti da Gesù Cristo e che siano, per questo
motivo, vincolanti mentre le Chiese e le Comunità ecclesiali nate dalla Riforma lo
contestano attribuendo, in determinate circostanze e per amor di pace, a questi
ministeri al massimo una certa utilità? In una situazione come questa, caratterizzata
da un contrasto che dura ancora, un riconoscimento reciproco potrebbe soltanto
significare che ambedue le parti non si prendono reciprocamente sul serio. Si
tratterebbe infatti di un atteggiamento che riconosce che nessuna delle due vuole
riconoscere l’altra: atteggiamento che non aiuterebbe a fare un passo avanti, ma che
lascerebbe tutto come prima. Questo sarebbe una contraddizione in sé stessa che non
si lascerebbe nascondere neppure da gesti di gentilezza. Anzi, pone la questione
principale che l’ecumenismo deve affrontare con decisione.
A mio avviso, l’ecumenismo attuale soffre innanzitutto di aspettative non
realistiche e di pretese eccessive che, naturalmente, possono mutarsi subito in
illusioni deludenti. È arrivato quindi il momento per l’ecumenismo che i diversi partner
debbano spiegarsi con tutto il rispetto reciproco, quali sono le convinzioni religiose
irrinunciabili per ognuno di essi. Dal punto di vista cattolico è da ricordare che
l’Eucaristia è cuore e centro della vita ecclesiale e che, quindi, la Chiesa cattolica deve
restare fedele alla convinzione che comunione ecclesiastica e comunione eucaristica
vanno inscindibilmente insieme. Si tratta di una convinzione che è di importanza
fondamentale per la tradizione della Chiesa e che le Chiese e le Comunità ecclesiali
nate dalla Riforma praticarono per oltre quattrocento anni fino a quando andò perduta
nella seconda metà dello scorso secolo. Inoltre ci si dovrebbe rendere conto del
sacramento dell’Ordine quale elemento essenziale della Chiesa che quindi non può mai
essere messo in discussione. La Chiesa cattolica, infine, non si può definire nel senso
dell’ecclesiologia protestante quale Chiesa parziale tra le altre, la cui somma
formerebbe l’unica Chiesa di Gesù Cristo; anzi, è convinta che l’unica Chiesa di Gesù
Cristo abbia trovato la sua concreta realizzazione storica nella Chiesa cattolica.
Ogni Chiesa cristiana deve partire da queste convinzioni imprescindibili. Il
dialogo ecumenico, quindi, deve sempre di più rifletterle con rispetto reciproco,
affrontando la questione della verità con risolutezza. Perché il problema più grande
dell’ecumenismo attuale si manifesta in una crescente erosione dei suoi fondamenti e
in un calo importante della conoscenza riguardo ai contenuti fondamentali della fede
cristiana ed alle differenze confessionali. Se si lanciasse una ricerca del tipo “Pisa”
esaminando le conoscenze sulla fede cristiana, i suoi risultati non superebbero quelle
della formazione generale media. In considerazione di questa situazione si possono
osservare reazioni diverse oppure contraddittorie: gli uni proclamano e praticano
un’apertura postmoderna trascurando le differenze teologiche con l’argomento che
esse siano nient’altro che sofisticherie che non si possono più capire. Gli altri
dimostrano un nuovo confessionalismo che ignora i risultati finora raggiunti nel
dialogo ecumenico.
Questa situazione contraddittoria richiede innanzi tutto un consolidamento dei
fondamenti teologici e spirituali dell’ecumenismo che riguardi soprattutto il Battesimo
e il suo compimento nell’Eucaristia. È il riferimento al battesimo che abbiamo in
comune e alla confessione battesimale recitata in ogni celebrazione della Veglia
3
pasquale, da cui parte ed a cui è legato ogni ecumenismo veritiero. I due contributi
dedicati al battesimo e alla comunione eucaristica spiegano il punto di vista teologico
e quello spirituale che la Chiesa cattolica porta nel dibattito ecumenico.
Questo “Vademecum” è completato da un piccolo dizionario che contiene i
termini più importanti riguardo all’ecumenismo. Si considera quindi il “Vademecum
ecumenico” un accompagnatore lungo la via ecumenica che il papa Giovanni Paolo II°,
ha dichiarata irrevocabile perché in essa si adempie la preghiera di Gesù che siano
tutti uno. Continua a procedere su questa via ovviamente il papa Benedetto XVI°.
Secondo la sua prima allocuzione tenuta il 20 aprile 2005 nella Cappella Sistina
davanti ai cardinali aventi diritto di voto, egli considerò del tutto consapevolmente
l’impegno “di lavorare per la reintegrazione dell’unità piena e visibile di tutti i discepoli
di Cristo” “un obbligo prioritario” ritenendolo una “convinzione sua” e non solo un
“dovere suo di grande urgenza”. Questo “Vademecum” è scritto nel senso e nello
spirito soprattutto del primo articolo fondamentale dell’impegno volontario della
“Charta Oecumenica” firmata da tutti i membri della “Comunità di lavoro delle Chiese
cristiane in Svizzera” durante la celebrazione della liturgia ecumenica il 23 gennaio
2005 a St-Ursanne: “Ci impegniamo a seguire l’esortazione apostolica della Lettera
agli Efesini e di lavorare per una comprensione comunitaria della buona novella di
Cristo nel Vangelo, di adoperarci nella potenza dello Spirito Santo per l’unità visibile
della Chiesa di Gesù Cristo in una fede che si manifesta nel battesimo riconosciuto tra
le diverse Chiese e nella comunione eucaristica come anche nella testimonianza e nel
servizio comuni.”
Nell’ottica d’una certezza di fede, l’ecumenismo è l’opera grandiosa dello Spirito
Santo; è lui che la conduce al compimento e che donerà più generosamente di quanto
osassimo sperare. Sta a tutti noi continuare a cooperare a questa opera dello Spirito
Santo. Invece di dedicarci a sogni ecumenici e di riaprire sempre di nuovo le ferite per
quello che oggi non è ancora realistico come per esempio la comunione eucaristica e il
riconoscimento reciproco dei ministeri, possiamo gioire dei doni che abbiamo già
ottenuto muovendo tranquillamente i passi che sono realistici. Sono lieto di poter
mandare animato da questa fiducia il ““Vademecum ecumenico”, sperando che esso
possa prestare un buon servizio alla causa dell’ecumenismo.
+ Kurt Koch
Vescovo di Basilea
Responsabile per l’ecumenismo in seno alla Conferenza dei vescovi svizzeri
4
Ecumenismo in Svizzera
La Riforma del Seicento divise la popolazione della Svizzera in una parte
cattolica e in una protestante ed il Paese in Cantoni e regioni cattoliche, protestanti e
paritetiche. L’antagonismo tra le due confessioni causò di tanto in tanto vicende
belliche che furono però concluse con la pace. In ogni caso, nei secoli che seguirono
l’epoca della Riforma non ci furono soltanto liti polemiche ma anche tentativi irenici di
avvicinamento per giungere ad un’intesa. Nel XX° secolo, la trasformazione della
società e l’amalgama confessionale della popolazione favorirono la disponibilità ad un
incontro ecumenico. Sebbene la Chiesa cattolico-romana rifiutasse dapprima e per
lungo tempo il movimento ecumenico nel suo insieme, anche in Svizzera ci furono
pionieri ed antesignani ecumenici. All’estero giocavano un ruolo importante
protagonisti come il Gruppo di Dombes, fondato da Paul-Irénée Couturier in Francia, e
il movimento tedesco Una Sancta. Non sono da sottovalutare le circostanze che hanno
sollecitato una comune responsabilità per impegni riguardanti lo Stato e la società
miranti a comprendersi sempre meglio l’un l’altro: il servizio militare1, le Esposizioni
Svizzere di Lavoro Femminile (SAFFA), tra cui quella del 1958 organizzata dalla
Federazione delle Associazioni femminili nella Svizzera che fece costruire persino una
chiesetta ecumenica2. Ciò fu reso possibile perché l’accoglimento dell’idea ecumenica
veniva crescendo pure da parte cattolica. La “riunificazione nella fede” era anche da
parte cattolica un desiderio risentito già da parecchio tempo, benché, sino alla
seconda guerra mondiale, si concentrasse quasi esclusivamente sulla preghiera. Nel
1929 fu fondata la Federazione di Preghiera di Einsiedeln per la Riunificazione della
Fede in Svizzera; mentre lo scopo di second’ordine dell’associazione Bruder-KlausenBund fondata nel 1927 era “la riunificazione del popolo elvetico nella fede mediante
l’intercessione del beato frate Klaus”. Dopo la seconda guerra mondiale, i teologi di
parte cattolica presero l’iniziativa di porre una base concettuale dell’ecumenismo per
sviluppare il pensiero ecumenico. L’11 agosto 1952, presso la curia vescovile di
Friburgo, fu quindi fondata una rete internazionale di teologi cattolici interessati
all’ecumenismo con lo scopo di favorire la collaborazione tra di loro ed esplicitamente
con i vescovi: la “Conferenza cattolica per questioni ecumeniche”. Nel corso delle sue
riunioni, che si chiamavano Giornate di studio ecumeniche, questa associazione
trattava, secondo opportunità, i temi che il Consiglio ecumenico delle Chiese discuteva
nel medesimo tempo. Sei anni e mezzo dopo la fondazione della Conferenza, il papa
Giovanni XXIII° annunciò il Concilio Vaticano Secondo. La Conferenza partecipò alla
preparazione del Concilio elaborando una petizione che ebbe un effetto importante
grazie ai buoni rapporti che suoi membri intrattenevano con i vescovi e con la Curia
romana. Il primo segretario della Conferenza, il professore Johannes Willebrands,
diventò nel 1960 segretario e poi presidente del Segretariato per la Promozione
dell’Unità dei Cristiani. Visto che la discussione dei temi della “Conferenza cattolica per
questioni ecumeniche” era in buone mani, dal 1963 la Conferenza non si riunì più.
I teologi Otto Karrer a Lucerna e Hans Urs von Balthasar a Basilea operavano in
Svizzera; la Svizzera, tuttavia, era piuttosto un “esordio” pe il loro lavoro. Era invece
diretta alla Svizzera l’attività efficiente dell’Istituto per Questioni ideologiche di Zurigo,
con la personalità esperta e di spicco ecumenico del p. Albert Ebneter SJ. Un interesse
ecumenico si poteva notare già da tempo tra i teologi che insegnavano alle Alte Scuole
di Teologia in Svizzera. Raymund Erni, docente a Lucerna, dedicava i suoi studi
ecumenici quasi esclusivamente alle Chiese dell’Oriente. Johannes Feiner, docente a
1
L’Associazione dei Cappellani Militari dell’Esercito Svizzero fu fondata già nel 1893.
Peter Vogelsanger, Über die Anfänge der ökumenischen Bewegung in der Schweiz, in: Jean-Louis Leuba/Heinrich
Stirnimann, Freiheit in der Begegnung, Frankfurt a.M./Stuttgart 1969, 147-161
2
5
Coira e consultore del Segretariato per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, era
impegnato in argomenti ecumenici soprattutto presso il Concilio. Questi, come anche il
p. Heinrich Stirnimann OP, docente a Friburgo, diventarono membri di numerose
commissioni ecumeniche. Attraverso la fondazione dell’Istituto per Studi ecumenici
presso la Facoltà di Teologia nel 1964, p. Heinrich Stirnimann ancorò in modo
istituzionale il pensiero ecumenico pure nell’Università cattolica. L’Istituto Ecumenico
di Lucerna fu fondato molto più tardi e collega la facoltà con le Chiese locali. Costituito
nel 1998 da una fondazione eretta dalla Chiesa cattolico-romana, dalla Chiesa
evangelica riformata, dalla Parrocchia cristiano-cattolica e dal Canton Lucerna, fu
associato alla Facoltà di Teologia dell’Università di Lucerna mediante un accordo di
cooperazione.
Le Chiese entrano in dialogo
Anche in Svizzera, il Vaticano II° suscitò un’apertura ecumenica. La Conferenza
dei vescovi svizzeri iniziò dialoghi ufficiali con la Chiesa evangelica e con quella
cristiano-cattolica un anno dopo la pubblicazione dell’incoraggiante Decreto
sull’ecumenismo. Si costituirono anzitutto due commissioni: la Commissione di dialogo
evangelica/cattolico-romana (ERGK) da parte del Consiglio della Federazione delle
Chiese protestanti della Svizzera e della Conferenza dei vescovi con l’incarico “di
eliminare i malintesi che regnano tra le Chiese; di promuovere una crescente
collaborazione delle Chiese e di testimoniare insieme l’ubbidienza al Vangelo”, ed
inoltre la Commissione di dialogo cristiano-cattolica/cattolico-romana (CRGK) da parte
del vescovo e del Consiglio sinodale della Chiesa cristiano-cattolica come pure della
Conferenza dei vescovi, con l’incarico “di eliminare i malintesi che regnano tra
ambedue le Chiese; di esaminare la tradizione cattolica in ordine ad una prassi
comunitaria e di promuovere la collaborazione particolarmente in campo liturgico e
pastorale”.
Nel 1971, la Chiesa cattolico-romana, quella cristiano-cattolica e le Chiese
protestanti, tutte e tre Chiese nazionali, si associarono nella Comunità di lavoro delle
Chiese cristiane in Svizzera (AGCK = Arbeitsgemeinschaft christlicher Kirchen in der
Schweiz), insieme con altre Chiese del tipo Chiesa libera e Chiesa di minoranza. I
membri fondatori sono oltre alle Chiese nazionali, la Chiesa evangelica metodista, la
Federazione delle Comunità battiste e l’Esercito di salvezza. Nel 1973 fu accolta la
Federazione delle Chiese evangeliche luterane. Scopo della Comunità di lavoro è la
riflessione su questioni che riguardano la fede e la vita per concretizzare una migliore
comprensione e comunicazione; lo sviluppo del dialogo teologico tra le Chiese
membro; la consulenza e l’organizzazione di manifestazioni ed iniziative comuni come
pure la mediazione nel caso di dissenso tra le Chiese membro.
Dal 1° gennaio 2003 la Comunità di lavoro delle Chiese cristiane in Svizzera è
costituita quale associazione, affinché le Chiese svizzere possano rafforzare le loro
attività ecumeniche. A seconda della volontà dei suoi membri3 la Comunità di lavoro si
considera quindi “strumento delle Chiese che permette loro di affrontare insieme le
attività e di mostrarsi insieme al pubblico mentre ciò aiuta ad approfondire la fiducia
reciproca perché l’unità che sussiste in Cristo diventi sempre più consistente”. Per lo
stesso motivo si aumentò la percentuale del segretariato al 50%.
Mentre le Chiese ortodosse si associano alla Comunità di lavoro solo nel 1990,
la Conferenza dei vescovi fondava già nel 1980 insieme con le Chiese ortodosse della
Grecia, della Romania, della Russia e della Serbia sotto il coordinamento del Centro
Chiesa anglicana in Svizzera; Federazione delle Comunità battiste; Chiesa cristiano-cattolica in Svizzera; Federazione
delle Chiese evangelico-luterane in Svizzera e nel Principato del Liechtenstein; Chiesa evangelica metodista; Esercito
della Salvezza; Chiesa greco-ortodossa, metropolia svizzera; Rappresentanza delle comunità serbo-ortodosse in
Svizzera; Chiesa cattolico-romana; Federazione delle Chiese evangeliche della Svizzera.
3
6
ortodosso di Chambésy del Patriarcato ecumenico la Commissione di dialogo
ortodossa/cattolico-romana (ORGK). Essa si prefigge di trattare questioni riguardanti il
lavoro pastorale. Lo sviluppo di una collaborazione che affronti i problemi comuni in
questo campo è prioritario tenendo conto dei fondamenti teologici del ministero
pastorale.
Ma pure i responsabili delle tre Chiese nazionali entrarono essi stessi in dialogo. Si
incontrarono la prima volta nel 1968 a Leuenberg in presenza di teologi di fama
internazionale: Karl Barth e Hans Urs von Balthasar.4
Più tardi l’ecumenismo cristiano si allargò ad un ecumenismo che comprende tutte le
religioni che si riferiscono alla figura biblica di Abramo. Furono fondate nel 1990 la
Commissione di dialogo giudaica/cattolico-romana (JRGK) e nel 2001 un Gruppo di
lavoro Islam in Svizzera (AGI).
L’arduo lavoro delle commissioni
Il primo argomento ecumenico che le commissioni di dialogo affrontarono fu
quello dei matrimoni misti. Si trattava di un problema che maggiormente pesava sulla
convivenza delle Confessioni.5 Risultato di questo lavoro fu una Dichiarazione comune
ratificata dalle tre Chiese nazionali.6 A questa seguirono con la medesima
autorizzazione le Direttive e suggerimenti per la preghiera e per l’azione comunitarie.7
Dal confronto con i due sacramenti che le Chiese hanno in comune – il
Battesimo e la Santa Cena, rispettivamente l’Eucaristia – risultarono da un lato la
Dichiarazione sul mutuo riconoscimento del battesimo8 con il Documento di studio “La
questione del battesimo oggi” 9, e dall’altro lato il Documento di studio “Per una
comune testimonianza eucaristica delle Chiese”.10
Un decennio dopo la loro pubblicazione, fu necessario aggiornare a fondo le
Direttive e suggerimenti per la preghiera e per l’azione comunitaria. A motivo del
carattere particolare delle questioni rispetto ad un’interazione delle Chiese nella
celebrazione della liturgia, la Commissione di dialogo evangelica/cattolico-romana
decise di pubblicare due documenti separati: le Direttive per la celebrazione
comunitaria del culto e i Suggerimenti per l’azione comunitaria delle Chiese, così che
apparvero nel 1979l “Liturgie ecumeniche. Principi e modello”11 e nel 1982 “Itinerari
ecumenici”12. Entrambe le Commissioni di dialogo continuavano, piuttosto
sporadicamente però, ad affrontare l’idea di un’appartenenza simultanea alle due
Chiese dei figli nati da matrimoni misti (“double appartenance”) come era praticata in
ambienti della Svizzera occidentale. Fu pubblicato nel 1987 l’opuscolo “Il battesimo e
Documentato in: Ökumenische Beihefte zur Freiburger Zeitschrift für Philosophie und Theologie, Nr. 2, Friburgo
Svizzera 1968.
5
Die Schweizerische Bischofskonferenz zur Instruktion über die Mischehen, in Schweizerische Kirchenzeitung [SKZ]
134 (1966), p. 510-512.
6
Gemeinsame Erklärung zur Mischehen-Frage, Comitato della Federazione delle Chiese evangeliche della Svizzera,
Conferenza dei Vescovi svizzeri, Vescovo della Chiesa cristiano-cattolica della Svizzera, Zurigo 1967.
7
Richtlinien und Empfehlungen für gemeinsames Beten und Handeln der Kirchen in der Schweiz. edito da Comitato
della Federazione delle Chiese evangeliche della Svizzera, Conferenza dei Vescovi svizzeri, Vescovo e Consiglio
sinodale della Chiesa cristiano-cattolica della Svizzera, Zurigo 1970.
8
SKZ 141 (1973), n. 30, p. 474.
9
SKZ 141 (1973), n. 30, p. 465-469; questo testo si occupa di questioni bibliche e di questioni nell’ambito della storia
dei dogmi e riguarda in più le esigenze pastorali.
10
SKZ 141 (1973), n. 41, p. 629-638.
11
Comitato della Federazione delle Chiese evangeliche della Svizzera, Conferenza dei Vescovi svizzeri, Vescovo e
Consiglio sinodale della Chiesa cristiano-cattolica della Svizzera, Der ökumenische Gottesdienst, Grundsätze und
Modelle, Zurigo 1976.
12
Ökumene in der Schweiz. Orientierungshilfe für die ökumenische Arbeit in den Gemeinden. Documento di lavoro
congiunto delle commissioni di dialogo della Federazione delle Chiese evangeliche della Svizzera e della Conferenza dei
Vescovi svizzeri, Einsiedeln 1982.
4
7
l’appartenenza ad una Chiesa nel matrimonio misto”, un vademecum che spiega come
il battesimo e l’educazione religiosa, pur radicati in una Chiesa concreta, possono
ciononostante essere collocati all’interno del movimento ecumenico.
Dopo aver trattato tutti questi argomenti, la Commissione di dialogo
evangelica/cattolico-romana rivolse la propria attenzione all’ecclesiologia. Dapprima
affrontò per un lungo tempo la difficile questione del ministero. Le autorità delle
Chiese non assunsero tuttavia il Documento di consenso che la Commissione aveva
elaborato. Esse consentirono esplicitamente la sua pubblicazione solo a titolo di
Documento di studio.13 Un’Ammonizione pubblicata nel 1986 dalla Conferenza dei
vescovi svizzeri con lo scopo di ribadire la validità delle norme del diritto canonico
riguardo alla questione dell’ospitalità eucaristica sollevò notevole sconcerto.
La Commissione di dialogo cristiano-cattolica/cattolico-romana elaborò
un’Intesa pastorale con cui si voleva concedere ai membri di una Chiesa che si trova
in diaspora di poter ricevere i sacramenti da un ministro dell’altra Chiesa. Nel 1975
questo documento era pronto per la ratifica. Tuttavia, siccome alcuni ministri della
Chiesa cristiano-cattolica erano stati prima sacerdoti della Chiesa romano-cattolica, i
rispettivi dicasteri del Vaticano non approvarono la conclusione dell’Intesa. In seguito,
la Commissione dialogica si occupò in maniera più approfondita della questione che
aveva dato motivo alla separazione delle due Chiese nell’Ottocento: cioè la questione
del papato nell’ambito dell’ecclesiologia. Con il testo “Chiesa locale–Chiesa universale,
ministero e testimonianza della verità”14 si voleva evidenziare come entrambe le
Chiese potessero andare alla ricerca di una nuova ermeneutica della Chiesa, del
ministero e dell’infallibilità stessa. Dieci anni più tardi si presentò il documento
conseguente “L’infallibilità della Chiesa” senza che avesse però trovato l’approvazione
da parte della Conferenza dei vescovi svizzeri. Prima ancora fu elaborato e pubblicato
il Documento di dialogo “Comunione eucaristica – comunione ecclesiale”15. Vi si spiega
che esiste uno stretto nesso tra la celebrazione dell’Eucaristia e l’unità della Chiesa:
solo chi si impegna sinceramente dell’unità della Chiesa può celebrare l’Eucaristia.
Le tematiche condivise dalle Chiese
Su iniziativa della Conferenza episcopale tedesca fu fondata nel 1969 la
Comunità di lavoro per i canti ecumenici (AÖL = Arbeitsgemeinschaft für
ökumenisches Liedgut): un gruppo interconfessionale cui appartenevano da principio
pure esperti svizzeri. I risultati raggiunti da questa Comunità di lavoro trasformarono
il canto in tutte le chiese: da un lato per le sue pubblicazioni16 e, dall’altro, per gli
adattamenti dei canti che furono assunti nei nuovi innari delle Chiese cattolicoromana, cristiano-cattolica ed evangelica riformata17. Gli editori dell’innario cattolicoromano e dell’innario riformato hanno inoltre pubblicato un libro ecumenico di canto
per giovani (“rise up”, 2002) che contiene canti e testi per il culto, per l’insegnamento
e per l’attività con i giovani.
Das Amt der Kirche und die kirchlichen Ämter. Documento di lavoro della Commissione di dialogo
evangelica/cattolico-romana, in: Freiburger Zeitschrift für Philosophie und Theologie 31 (1984), p. 241-293, 294-309:
Riassunto in francese.
14
Pubblicato in SKZ 150 (1982) n. 8, p. 141-145.
15
Pubblicato in SKZ 155 (1987) n. 2, p. 18-20, e n. 4, p. 53.
16
Gemeinsame Kirchenlieder (=Canti che le chiese hanno in comune) 1973, Gesänge zur Bestattung (Canti per le
funzioni funebri) 1978, Leuchte, bunter Regenbogen (Fa risplendere i tuoi colori, arcobaleno) 1983, Lieder und
Gesänge zur Trauung (Canti e canzoni per la celebrazione del matrimonio) terminati nel 1982 però mai pubblicati
ufficialmente e così editi presso Friedrich Hoffmann im Hänssler Verlag, Stoccarda, senza indicazione dell’anno,
probabilmente nel 1984.
17
Nel 2002, si pubblicò un’edizione separata con canti e testi adatti per le funzioni funebri, scelti dagli innari della
chiesa cattolico-romana e della chiesa riformata, con il titolo “Ökumenisches Liedheft für Bestattungen”.
13
8
Il 1° ottobre 1971 fu fondata la Comunità di lavoro interconfessionale per la
pastorale dei matrimoni misti nella Svizzera tedesca (Interkonfessionelle
Arbeitsgemeinschaft für Mischehen-Seelsorge der deutschsprachigen Schweiz). Essa si
occupava di questioni concernenti il matrimonio di coniugi appartenenti a diverse
confessioni e l’educazione dei loro figli attraverso la pubblicazione di diversi
contributi18.
Anche la Commissione di dialogo ortodossa/cattolico-romana trattò questioni di
carattere teologico-pratico concernenti i matrimoni misti pubblicando un opuscolo19.
Seguì una Dichiarazione concernente l’educazione dei figli nati in un matrimonio misto
che però fu pubblicata solo in un fascicolo che trattava in maniera generica questioni
pastorali sulla presenza ortodossa in Svizzera20.
In occasione dell’anno commemorativo dell’espulsione degli ebrei dalla Spagna,
la Commissione di dialogo giudaica/cattolico-romana si rivolse con il memorandum
“L’antisemitismo – un peccato contro Dio e contro l’umanità”21 ad un pubblico più
ampio. La Conferenza dei vescovi svizzeri pubblicò, da parte sua, il 14 aprile 2000 una
dichiarazione dal titolo “L’atteggiamento della Chiesa cattolica in Svizzera nei confronti
del popolo ebreo durante la seconda guerra mondiale ed oggi”. Le conclusioni di
questo documento fanno appello ai cristiani: donne ed uomini, ad impegnarsi affinché
“il popolo ebreo non venga mai più disprezzato, perseguitato e spinto in una shoà”.
Nei primi anni della sua esistenza e sollecitata da un’iniziativa del popolo
svizzero che rivendicava “l’assoluta separazione tra Chiesa e Stato”, la Comunità di
lavoro delle Chiese cristiane in Svizzera discuteva la tematica della relazione tra
Chiesa e Stato. Pubblicò due documentazioni: “La relazione tra Chiesa e Stato in
mutamento”22 e “Stato e Chiesa in Svizzera. Problemi teologici”23. Quindici anni dopo
la sua fondazione, la Comunità di lavoro delle Chiese cristiane in Svizzera presentò il
testo “La comunità delle Chiese – unità e diversità”. Qui, tra altro, si qualificano “i
fattori di carattere non-dogmatico un ostacolo sulla strada” che conduce verso
l’unità24.
Assumere la responsabilità dell’ecumenismo
Visto che ogni Chiesa ed ogni Comunità ecclesiale si inseriscono, con le proprie
tradizioni, nel processo ecumenico, le tradizioni vanno considerate quanto alla loro
"compatibilità ecumenica”. Per questo motivo ogni Chiesa ed ogni Comunità ecclesiale
hanno i propri strumenti per prendere responsabilità ecumenica e per rifletterne nel
18
Interkonfessionelle Arbeitsgemeinschaft für Mischehen-Seelsorge der deutschsprachigen Schweiz (editrice),
Ökumenische Trauung (Il matrimonio ecumenico, Zurigo 1973; Das Traugespräch. Eine ökumenische Handreichung (Il
colloquio nuziale. Una raccomandazione ecumenica), Zurigo 1975; Religiöse Kindererziehung in der Mischehe
(L’educazione religiosa nel matrimonio misto), Zurigo 1979.
Nel 1993, il comitato della Federazione delle Chiese evangeliche della Svizzera, la Conferenza dei vescovi svizzeri ed il
vescovo insieme al Consiglio sinodale della Chiesa cristiano-cattolica nella Svizzera pubblicarono un’edizione
aggiornata con il titolo “La celebrazione ecumenica del matrimonio”; questa pubblicazione si fonde sui lavori della
Comunità di lavoro interconfessionale per la pastorale dei matrimoni misti nella Svizzera tedesca. Nel 2001 ne fu
pubblicata dai medesimi editori e con lo stesso titolo una 2° edizione emendata (Friburgo / Svizzera e Zurigo).
19
Die Mischehen zwischen römisch-katholischen und orthodoxen Christen. Erklärung der orthodox/römischkatholischen Gesprächskommission in der Schweiz (=Dichiarazione della Commissione di dialogo ortodossa/cattolicoromana sui matrimoni misti di cristiani cattolici e di cristiani ortodossi), del 12 marzo 1985, in: SKZ 154 (1986), n. 2,
pag. 22s.
20
Orthodoxe Präsenz in der Schweiz. Eine pastorale Handreichung. Texte der Kommission für den Dialog zwischen
Orthodoxen und Katholiken in der Schweiz (=La presenza ortodossa nella Svizzera. Una raccomandazione pastorale.
Testi della Commissione di dialogo ortodossa/cattolico-romana in Svizzera), Friburgo / Svizzera 1992.
21
Pubblicato in: SKZ 160 (1992), n. 13, pag. 190-195.
22
“Kirche – Staat im Wandel - eine Dokumentation”, Berna 1974
23
"Staat und Kirche in der Schweiz. Theologische Probleme“, Zurigo 1979
24
„Kirchengemeinschaft – Einheit und Vielfalt, SKZ 154 (1986) n. 22, pag. 345-347.
9
proprio ambito costituendo Commissioni per l’ecumenismo, che già esistono in molte
Chiese. La Conferenza dei vescovi svizzeri non soltanto sosteneva la formazione di
Commissioni di dialogo, ma nominava, inoltre, la “Commissione cattolica per questioni
ecumeniche” la quale, già nel 1966, sollecitò ad assumere responsabilità ecumenica25.
Questa commissione però, rimasta attiva, in verità, non per lungo tempo, fu sostituita
dalla Commissione per l’ecumenismo costituita nel 1979. Essa elaborò una “riflessione
di fondo a ridosso della visita del papa in Svizzera”, che presentò alla Conferenza dei
vescovi nel maggio 1983 con il titolo “La Chiesa cattolico-romana della Svizzera nel
movimento ecumenico”.
Dal 23 settembre 1972 al 30 novembre 1975 si riunì il Sinodo ‘72. Questo
termine “Sinodo 72” significa l’insieme di tutti i sinodi diocesani i quali intendevano
applicare il Concilio Vaticano Secondo alla situazione specifica della Svizzera. I sinodi
diocesani furono preparati in comune, ma svolti in ogni diocesi individualmente. In
merito a questioni che riguardavano tutta la Svizzera si cercavano soluzioni comuni
con il risultato che l’una o l’altra decisione poteva entrare in vigore in ciascuna delle
diocesi svizzere. Si discutevano non soltanto argomenti isolati ma anche la vita della
Chiesa nel suo insieme. Grazie al contributo da parte di osservatori non cattolici si
prendevano pure in considerazione punti di vista di altre Chiese, persino quando si
discutevano argomenti che non erano immediatamente di carattere ecumenico. Le
riflessioni sulla missione ecumenica stessa della Chiesa prendevano un largo spazio.
Delicati erano i temi “gruppi spontanei” e “ospitalità eucaristica”. I “gruppi spontanei”
erano conosciuti soprattutto nella Svizzera francese. Un gruppo ecumenico a Losanna
chiamatosi “paroisse oecuménique des jeunes” trovò accettazione ma sollevò pure
critiche per le liturgie eucaristiche celebrate simultaneamente nello stesso luogo
(“eucharisties simultanées”). Si temeva, tra l’altro, che si potesse dar origine, così, ad
una terza confessione. I sinodi diocesani non ignoravano questo pericolo, ma d’altra
parte vedevano anche le possibilità che gruppi spontanei potessero contribuire al
processo ecumenico26.
Si durava fatica a giungere ad una decisione sull’ospitalità eucaristica, ed anche
la storia della sua applicazione non era priva di contrasti. Nel periodo successivo al
Sinodo ‘72, si sviluppò una prassi che oltrepassava ovviamente i limiti della decisione
sinodale. Ecco il testo approvato in tutte le diocesi della Svizzera dal 1° al 2 marzo
1975: “Nel caso che un cattolico si trovi in una situazione eccezionale e, dopo aver
esaminato tutti i motivi, giunga alla convinzione che egli sia autorizzato secondo la
sua coscienza a ricevere la Santa Cena, non si deve necessariamente considerarlo
un’apostasia benché una partecipazione comunitaria all’Eucaristia rimane problematica
finché persista la separazione delle Chiese. … Inoltre un cattolico non deve prendersi
la responsabilità di una tale decisione quando rischia di cadere in un errore di fede. Lo
stesso vale per il caso che si alieni dalla propria Chiesa per motivo di questa decisione
o che provochi indifferenza religiosa oppure sia causa di scandalo presso gli altri
fedeli. … Nei matrimoni misti dovranno soprattutto i genitori provvedere riguardo ai
propri figli”.27
Liturgie ecumeniche
Durante l’assemblea ordinaria del 2-4 giugno 1986, la Conferenza dei vescovi
svizzeri approvò un’Ammonizione intitolata “L’ospitalità eucaristica”. Secondo questo
documento, il testo sinodale (sopra citato) non proibiva ad un cattolico di ricevere la
Santa Cena di rito evangelico ma voleva evitare soltanto “un giudizio irrevocabile sulla
25
„Katholische Kommission für ökumenische Fragen“, SKZ 134 (1966), pag. 664s.
I risultati di tutti i Sinodi diocesani sono raccolti in: Raymond Bréchet et Daniel von Allmen, Notre vocation
oeucuménique (Synode 72 présenté et commenté par…,n° 2), Friburgo 1975.
27
Secondo il testo pubblicato dalla diocesi di Basilea, n. 12.3.13 e 15.
26
10
responsabilità di un cattolico il quale non osserva in un singolo caso il divieto espresso
dalla sua Chiesa”28.
Durante una visita in Vaticano della Comunità di lavoro delle Chiese cristiane in
Svizzera, dal 4 al 10 novembre 1988, il papa Giovanni Paolo II° tenne un’allocuzione29
in cui manifestava che “la partecipazione all’Eucaristia e i matrimoni misti” causavano
preoccupazioni presso tutti. Per quanto riguarda la cena del Signore egli scrisse: “le
nostre posizioni ancora non convergono, e malgrado le difficoltà e le sofferenze nella
vita delle comunità, non possiamo agire come se queste divergenze, relative a un
punto essenziale della fede, non esistessero. Nella nostra fede cattolica, noi, per
fedeltà a quanto ci hanno tramandato gli apostoli come discendente direttamente da
Cristo, siamo convinti che la celebrazione comune dell’Eucaristia presuppone l’unità
nella fede e che essa è strettamente legata a quanto noi crediamo circa il ruolo
proprio e lo statuto ecclesiologico dei ministeri ordinati”.
Dal 29 giugno al 4 luglio 2000 la Comunità di lavoro delle Chiese cristiane fece
visita al Patriarcato ecumenico. Siccome si trattava più di una visita di cortesia che di
un incontro di lavoro, l’opinione pubblica ecclesiale non venne quasi a conoscenza del
suo contenuto.
Pochi anni dopo la Commissione ecumenica della Conferenza dei vescovi
pubblicò le direttive su “Le liturgie ecumeniche la domenica”30 per rispondere alla
questione se la partecipazione ad una celebrazione ecumenica poteva adempiere
l’obbligo domenicale imposto ai fedeli di confessione cattolica.
Da parte cattolica ci si occupava soltanto occasionalmente delle Chiese libere (le
così dette Chiese evangelicali) sebbene ci fossero spesso conflitti provocati dalle loro
attività31. Soltanto la Comunità di lavoro delle Chiese cristiane nel Canton Berna, cui
faceva parte anche la Chiesa cattolico-romana, prese l’iniziativa di organizzare una
consultazione e di creare una base comune sulla quale i fedeli provenienti dalle Chiese
nazionali, dalle Chiese libere e da diverse comunità cristiane potevano insieme
sviluppare la possibilità di una evangelizzazione. Il risultato di questa interazione era
la pubblicazione di un manifesto composto da un appello all’evangelizzazione ed
inoltre da raccomandazioni per la sua realizzazione.32 Secondo questo documento, “la
diversità delle dottrine e della prassi non dovrebbero più essere un ostacolo
insuperabile per un’evangelizzazione comunitaria”. Le raccomandazioni non
contengono soltanto uno scambio di idee per realizzare insieme iniziative di
evangelizzazione, ma offrono pure un’assistenza linguistica affinché i membri delle
Chiese nazionali possano entrare in un dialogo costruttivo con i membri delle
Comunità evangelicali.
Consultazione ecumenica
Il 24-25 ottobre 1980 confluirono in Consultazione ecumenica 120 delegati delle
sette Chiese membro della Comunità di lavoro delle Chiese cristiane in Svizzera, a
seguito d’un’idea promossa dagli osservatori non cattolici al Sinodo ‘72. Obiettivo
dell’incontro fu di 1. rendere possibile una discussione approfondita sullo stato
dell’ecumenismo in Svizzera; 2. incoraggiare e promuovere il processo ecumenico in
Svizzera; 3. raccogliere proposte e indicare cammini di ecumenismo vissuto; 4.
trasmettere impulsi a Chiese e Comunità.
„Eucharistische Gastfreundschaft“, SKZ 154 (1986), n. 37, pag. 557-559
Documentato in: SKZ 156 (1988), n 47, pag. 703-705
30
„Ökumenische Gottesdienste am Sonntag“, pubblicato in: SKZ 160 (1992), n. 4, pag. 59s.
31
Veda: Rolf Weibel, Katholikinnen und Katholiken vor der evangelikalen Herausforderung. Sonderdruck der SKZ,
senza indicazione del luogo e dell’anno dell’edizione [Luzern/Balgach 1996].
32
„Über Mauern springen. Aufruf und Wegleitung zu gemeinsamer Evangelisation für Mitarbeiterinnen und Mitarbeiter
der Kirchen, Freikirchen und Gemeinschaften in der deutschsprachigen Schweiz. Schlusstext der Konsultation über
Evangelisation im Auftrag der Arbeitsgemeinschaft der Kirchen im Kanton Bern“, Berna 1990.
28
29
11
Dalla Consultazione risultarono parecchi progetti di lavoro assai variegati, per
esempio sul rapporto di Stato e Chiesa entro la tematica generale dei rapporti della
Chiesa con la società. Alcune proposte di rilievo sorte dalla consultazione in seno a
gruppi di lavoro sono poi state elaborate e trasformate in progetti concreti. Tema
primario della Consultazione fu quello d’uno stile di vita responsabile. Si aggiunsero il
tema dell’insegnamento religioso a scuola e interrogativi d’ordine teologico su fede e
vita. Fu discussa anche la questione strutturale del posto delle piccole Chiese libere in
seno alla comunità di lavoro svizzera e le relazioni della stessa con le comunità
cantonali.
Per il 1981 era prevista la visita pastorale del papa Giovanni Paolo II° in
Svizzera. A preparazione dell’incontro con il papa il Consiglio della Federazione delle
Chiese protestanti della Svizzera elaborò il memorandum “Le Chiese evangeliche nel
movimento ecumenico”, con l’intento di illustrare “il movimento ecumenico nell’ottica
dell’eredità della Riforma e con quali convinzioni e speranze esso si rivolge alle altre
Chiese”. A causa dell’attentato perpetrato contro il papa il 13 maggio 1981, la sua
visita fu rimandata. Il Consiglio della Federazione delle Chiese protestanti pubblicò
comunque il memorandum, nella speranza di contribuire, indipendentemente dal
viaggio papale, “ad approfondire il dialogo ecumenico in Svizzera”.33
A seguito di quest’evento scaturì nel 1982 una serie di contatti diretti tra la
Conferenza dei vescovi svizzeri e il Consiglio della Federazione delle Chiese
protestanti, poiché il memorandum aveva circoscritto in maniera inaspettatamente
incisiva le divergenze confessionali, così da rendere necessari colloqui bilaterali diretti
tra i responsabili delle due Chiese.
In anni precedenti le dichiarazioni comuni su questioni attuali di politica sociale,
elaborate dalle rispettive commissioni d’esperti, avevano già ottenuto una vasta
risonanza pubblica. A questo livello d’intervento sono da annoverare soprattutto le “7
tesi delle Chiese sulla politica verso gli stranieri” (1974), fornite d’un commento
attualizzato nel 1985, come pure i memoranda delle tre Chiese nazionali su questioni
inerenti all’asilo: I. “Dalla parte dei profughi” (1985), II. “Per una politica d’asilo
umana” (1987) e “Dalla parte degli oppressi. Per un avvenire comune. Memorandum
delle tre Chiese per il superamento della xenofobia e del razzismo” (1991).
La Svizzera ed il terzo mondo
I gruppi ecclesiali che si occupavano di temi sociopolitici, nella prima fase della
loro collaborazione, si resero conto dello iato sempre più profondo tra poveri e ricchi e
che questo iato era il conflitto sociale più importante nel mondo.
Nel 1961/’62 furono fondate le due opere assistenziali svizzere, il Sacrificio
quaresimale della Chiesa cattolica e Pane per i fratelli (oggi Pane per tutti) delle
Chiese evangeliche riformate. Fin da principio hanno mantenuto buoni contatti tra
loro, tanto che s’istituì nel 1970 una collaborazione in partenariato34. Nello stesso
momento vi era il desiderio di intervenire maggiormente nel dibattito pubblico su temi
sociali e sociopolitici. Per garantire una preparazione specifica a questi interventi,
l’Assemblea dei delegati della Federazione delle Chiese protestanti della Svizzera
decise di fondare l’Istituto d’etica sociale, che iniziò a operare il 1° aprile 1970. Da
parte cattolica la Comunità di lavoro per l’aiuto allo sviluppo (“Arbeitsgemeinschaft für
Entwicklungshilfe”) preparò la fondazione “Justitia et Pax”, costituita il 21 febbraio
1968 e in seguito a parecchie difficoltà tramutata il 3 luglio 1973 in una commissione
della Conferenza dei vescovi svizzeri.
33
Sul viaggio compiuto dal papa nel 1984 esiste: “Unterwegs zur Einheit? Schweizer Protestanten, Oekumene und
Papst”, edito dal Comitato della Federazione delle chiese evangeliche della Svizzera, Berna 1984.
34
Dal 1992 fa parte alla collaborazione pure “Essere partner”, l’opera d’aiuto della Chiesa cristo cattolica.
12
La Comunità di lavoro per l’aiuto allo sviluppo e da parte della Federazione delle
Chiese protestanti il Dipartimento di teologia (siccome l’Istituto d’etica sociale non era
ancora stato fondato), interagirono con un gruppo di lavoro della Chiesa cristianocattolica per preparare ed organizzare l’“Assemblea interconfessionale Svizzera e terzo
mondo” del 1970. Questa elaborò in due sessioni (dal 30 ottobre al 1° novembre e dal
20 al 22 novembre) cinque relazioni stilate dai gruppi di lavoro tramite cui si volevano
offrire impulsi all’evoluzione di una politica di sviluppo svizzera ed alla formazione di
un’opinione e di una volontà pubbliche nella Chiesa e nella società.
Uno stile di vita responsabile
A seguito della quarta guerra nel Medio Oriente (1973) che causò una crisi
economica notevole per l’aumento del prezzo del petrolio sorse la discussione sulla
responsabilità ecologica delle Chiese. Al centro dell’interesse vi erano questioni legate
al rifornimento e alla politica energetica.
In Svizzera fu costituito sulla base di sensibilità individuali il Forum ecumenico
svizzero (“Schweizerisches Ökumenisches Forum”). Invece di mettere a fuoco la
questione energetica questo gruppo cercava di individuare in maniera complessiva
uno stile di vita alternativo mediante il programma “Quale sarà la Svizzera
d’indomani? Incamminarsi verso un nuovo stile di vita”. Organizzò un primo
importante simposio, il “Forum di Magglingen”, dal 22 al 24 ottobre 1976. Un altro
simposio ebbe luogo dal 13 al 15 gennaio 1978 a Gwatt, dove si trattò la questione
“energia e posti di lavoro”, che permise di mettere a confronto punti di vista
divergenti.
Tra i quattro gruppi di lavoro della “Consultazione ecumenica” del 1980 ce n’era
uno sul tema “Insieme nel mondo”. Basandosi sul concetto “un nuovo stile di vita”
come proposto da una dichiarazione programmatica, si individuavano i seguenti
problemi: “In quale relazione sta un nuovo stile di vita con l’esplosione demografica,
con lo scarseggiare dell’energia, con l’aumento del reddito reale, con la solidarietà con
i poveri, con la disponibilità di tutti ad assumere responsabilità – e non soltanto da
parte di singoli?”
Per approfondire queste tematiche si sottopose alla Comunità delle Chiese
cristiane in Svizzera il seguente problema: “Inquadrato il problema di uno stile di vita
responsabile, come si può discuterlo in maniera costruttiva e competente e con un
obiettivo pastorale?” E si richiese di fare una relazione per le Chiese membro entro la
fine dell’anno e di presentarla alla prossima Consultazione ecumenica. Questa
“prossima” Consultazione però non si sarebbe più riunita a tutt’oggi, ma la Comunità
di lavoro incaricò un gruppo di lavoro di studiare problema “qual è l’influsso di una
comprensione cristiana del mondo e dell’esistenza sullo stile di vita futuro?” Riguardo
a questo incarico il gruppo di lavoro costituì un forum ecclesiale sullo “stile di vita”.
Questo forum si espresse in due simposi presso la Paulus-Akademie (1984) e la
Franziskushaus Dulliken (1985), i cui risultati furono pubblicati nell’estate 1985 nella
forma di un Memorandum ecologico “Essere uomo nell’integrità della creazione”35.
Giustizia, pace e salvaguardia del creato
Per dare un fondamento coerente, in un’ottica cristiana, alle varie dichiarazioni
di politica sociale, il Sinodo evangelico svizzero ebbe l’idea di fondare un’”Alleanza per
la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato”. Il comitato esecutivo dell’Alleanza
riformata mondiale domandò nel 1983 a tutte le Chiese di promuovere un vincolo
35
Menschsein im Ganzen der Schöpfung. Ein ökologisches Memorandum im Auftrag und zuhanden der
Arbeitsgemeinschaft christlicher Kirchen in der Schweiz (unter Mitwirkung von Fachleuten aus Kirche, Wissenschaft,
Wirtschaft und Politik), redatto da Pius Hafner, Ernst Meili, Hans Ruh, Peter Siber, Christoph Stückelberger, Lukas
Vischer, Eugen Wirt, 1985.
13
comune di pace e di giustizia; e il comitato per le linee direttive del Consiglio
ecumenico delle Chiese raccomandò alla plenaria, pure nel 1983, “di integrare le
Chiese membro in un processo conciliare di impegno reciproco per la giustizia, la pace
e la tutela di tutto il creato”; così che quest’idea sviluppò una sua energia propria in
seno al Sinodo evangelico svizzero. L’assemblea, che aderì al memorandum “Essere
uomo nell’insieme del creato”, prospettò concretamente la creazione di un posto di
delegato delle Chiese per le questioni ambientali, con il compito di “promuovere in
seno alle Chiese, Chiese libere e comunità il senso di responsabilità verso il creato, di
creare contatti con gruppi, movimenti e organismi già attivi in questo campo e di
elaborare proposte concrete su come le Chiese possano assumere le loro
responsabilità in merito”. Dopo lunghi negoziati si potè costituire, il 6 dicembre 1986,
la “Comunità di lavoro ecumenica Chiesa e ambiente” (Oeku).
Con un riferimento diretto alle iniziative dell’Alleanza riformata mondiale, del
Consiglio ecumenico delle Chiese e del piano del Consiglio ecumenico di realizzare nel
1990 una conferenza mondiale, la nona assemblea plenaria della Conferenza delle
Chiese europee (KEK) raccomandò nel 1986, assieme al Consiglio delle conferenze
episcopali d’Europa (CCEE), di allestire una “conferenza settentrionale” attorno al
tema “Pace nella giustizia” e di attuarla prima della conferenza mondiale del Consiglio
ecumenico. Dopo chiarimenti rispettivi la KEK potè invitare il CCEE a patrocinare in
comune la convocazione europea “Pace nella giustizia”. La 17ma plenaria del CCEE
accettò l’invito nel 1987.
Per accompagnare il processo messo in atto anche in Svizzera, la Comunità di
lavoro delle Chiese cristiane in Svizzera, dopo qualche opposizione, costituì nel 1988
un gruppo di lavoro su una durata di tre anni, chiamato Comitato ecumenico svizzero
per la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato e dotato di un ufficio di
coordinamento a Berna.
Dopo la vasta eco riscossa dall’Assemblea ecumenica europea “Pace nella
giustizia”, svoltasi a Basilea dal 15 al 21 maggio 1989, ci si poteva aspettare che il
follow up e la tematica “Giustizia, pace, salvaguardia del creato” trovasse anche in
Svizzera una risonanza più ampia. Già prima di Basilea il Comitato ecumenico propose
di dedicare l’anno giubilare della Confederazione al modello biblico dell’anno di grazia
(3 Mosè 25); e ad ingresso di quest’anno di grazia fu letto ufficialmente a Berna, il 24
novembre 1990, un messaggio carico di significati.
Tuttavia, proprio nel bel mezzo dell’anno di grazia, la Comunità di lavoro delle
Chiese cristiane in Svizzera rinunciò a prolungare il mandato del suo comitato per la
giustizia, la pace e la salvaguardia del creato. Un gruppo ad hoc accompagnò l’anno in
questione fino alla fine; pure l’ufficio di coordinamento lavorò fino alla conclusione
dell’anno di grazia, dovendosi però procurare da solo i mezzi finanziari necessari.
Persino l’Assemblea ecumenica europea che seguì quella di Basilea, svoltasi a
Graz nel 1997 sul tema “Riconciliazione – dono di Dio e sorgente di vita nuova”,
riscosse in Svizzera un interesse limitato.
L’ecumenismo in un contesto internazionale
Ci furono altre manifestazioni ecumeniche non del tutto ignorate in Svizzera,
almeno e soprattutto in seno alle Chiese, dove riscuotevano una certa risonanza.
Tuttavia il loro effetto era piuttosto modesto. Sarebbero da menzionare gli Incontri
ecumenici europei tra la Conferenza delle Chiese Europee (KEK) ed il Consiglio delle
Conferenze episcopali d’Europa (CCEE). Entrambe hanno le loro sedi in Svizzera ed
erano sempre in collegamento con la Svizzera grazie a stretti contatti personali.
La Comunità di lavoro delle Chiese cristiane in Svizzera era entrata in una
relazione più stretta con il Consiglio ecumenico delle Chiese, e questo a titolo di
“Associated Council” (= Consiglio associato). Il Consiglio ecumenico si obbligò così,
secondo gli statuti, ad informare la Comunità di lavoro su evoluzioni importanti
14
dell’ecumenismo e di consultarla in caso di progettazione di programmi. La Comunità
ritiene che questa forma di associazione al Consiglio ecumenico sia un impegno
approfondito e un segno vincolante di un’unità delle Chiese. L’occuparsi della “Charta
ecumenica” fu considerata dalla Comunità di lavoro quale oggetto di grande attualità.
La IIa Assemblea Ecumenica Europea aveva suggerito di elaborare una “Charta
oecumenica” che avrebbe dovuto esporre le direttive per le relazioni tra le Chiese in
Europa. Il documento definitivo fu ratificato in un incontro poco dopo Pasqua 2001. Le
Chiese associate alla Comunità di lavoro delle Chiese cristiane in Svizzera firmarono la
Charta il 23 gennaio 2005, domenica di preghiera per l’unità dei cristiani. Alla
celebrazione solenne nella collegiale di St-Ursanne parteciparono i responsabili della
Comunità di lavoro e con loro Keith Clements, segretario generale della Conferenza
delle Chiese Europee (KEK), ed il vescovo Amédée Grab, presidente del Consiglio delle
Conferenze episcopali d’Europa (CCEE), entrambi rappresentanti di quelle
organizzazioni che avevano elaborato la Charta oecumenica. Il vescovo Amédée Grab,
anche presidente della Conferenza dei vescovi svizzeri, accentuò nella sua omelia:
“Noi firmiamo la Charta per andare avanti: nella vita di ogni Chiesa, nella
responsabilità comunitaria, nella fedeltà verso Gesù Cristo il quale regna su di noi tutti
mediante la forza del suo amore”.
I vescovi svizzeri reagivano spesso agli avvenimenti e alle vicende ecumeniche
delle Chiese sparse per il mondo tramite dichiarazioni proprie. Così, per esempio, nel
1993 pubblicarono un Vademecum che si riferiva al nuovo Direttorio ecumenico
apparso 10 anni dopo il Codice di diritto canonico (CIC 1983).36
Consultazioni
Negli anni `90 diverse iniziative ecumeniche presero maggiormente in
considerazione le esigenze delle Chiese reali ed il parere dei rispettivi membri. Su
suggerimento della Commissione di dialogo evangelica/cattolico-romana, l’Istituto
Svizzero di sociologia pastorale (SPI = Schweizerisches Pastoralsoziologisches
Institut) insieme con l’Istituto per l’etica sociale della Federazione delle Chiese
protestanti della Svizzera (ISE = Institut für Sozialethik) elaborarono un progetto
sostenuto dal Fondo nazionale sulla “Pluralità delle confessioni, religiosità evasiva e
identità culturale nella Svizzera”. Dei risultati pubblicati nel 1993 con il titolo “Ogni
persona un caso particolare?”37 si interessò pure la Comunità di lavoro delle Chiese
cristiane in Svizzera, che nella primavera del 1994 decise di avanzare con il processo
di riflessione comunitaria attorno alla tematica “Tramandare la fede”.
Con le medesime parole fu intitolata una carta programmatica la quale, dopo
aver delineato il problema, doveva spronare la riflessione su questa tematica. Un
successivo documento riassunse tutte le prese di posizione presentando “una
prospettiva generale delle reazioni sulla carta programmatica”. Per inquadrare i diversi
aspetti della tematica, la Comunità di lavoro invitò alla Consultazione ecumenica
“Tramandare la fede”, che si riunì dal 3 al 5 ottobre 1997 a Delémont. Da questa
consultazione sorsero tesi di sintesi di tutti gli argomenti discussi per più di due anni.
Queste tesi furono a loro volta dibattute e rimaneggiate da un gruppo di lavoro. Il
testo pubblicato38 riflette, in una certa maniera, qualcosa della visione comunitaria
delle Chiese aderenti alla Comunità di lavoro e che erano interessate a questo
processo di riflessione. Ma non si può dire che abbia avuto una notevole risonanza.
La seconda Consultazione fu convocata dalla Conferenza dei vescovi svizzeri e
dalla Federazione delle Chiese protestanti e diede origine ad un appello di carattere
socio-economico lanciato dalle Chiese sotto il titolo “Insieme verso l’avvenire”
36
Lesehilfe zum neuen Ökumenischen Direktorium, pubblicato in: SKZ 161(1993), n. 51-52, pag. 730ss
Alfred Dubach, Roland J. Campiche (editori): Jede(r) ein Sonderfall? Religion in der Schweiz. Zurigo e Basilea 1993.
38
In: SKZ 166 (1998), n. 3, pag. 34-38.
37
15
(“Miteinander in die Zukunft”). Già nel 1994 ne furono sviluppate le prime linee nel
corso di una riunione della Conferenza dei vescovi con la Commissione nazionale
Justitia et Pax (che festeggiava allora il suo 25esimo anniversario). Nell’anno
successivo la Commissione, insieme con altre organizzazioni associate, organizzò
un’inchiesta per valutare la possibilità di un processo consultativo sulle questioni
sociali. Ne scaturì la necessità di sviluppare tale progetto in forma ecumenica e
mediante una procedere graduale.
L’Istituto di Etica sociale della Federazione delle Chiese protestanti della
Svizzera fu invitato a partecipare ai lavori preparatori. Nel settembre 1997 la
Conferenza dei vescovi e il Consiglio della Federazione delle Chiese protestanti
decisero di organizzare una Consultazione ecumenica su questioni sociali ed
economiche che sarebbe durata due anni. Si voleva invitare a parteciparvi tutta la
popolazione. Base per le discussioni era la pubblicazione “Quale avvenire
desideriamo?” (“Welche Zukunft wollen wir?”). Questo vademecum per le discussioni
si fondava su una teologia e su un’opzione di Regno di Dio e vi affiorava una teologia
empirica di carattere obbligante (commitment), caratteristica che sollevò forti
obiezioni. Sino alla fine del mese di ottobre 1999, data di conclusione ufficiale della
procedura di consultazione, vennero inoltrate 1'047 petizioni, di cui tre quinti
elaborate da gruppi.
Il 1° settembre 2001 si concluse a Berna con una celebrazione solenne nella
chiesa Offene Heiliggeistkirche la Consultazione ecumenica sull’avvenire sociale ed
economico della Svizzera. In un quadro all’altezza dell’avvenimento, interlocutrici ed
interlocutori provenienti da politica, economia e società civile accolsero la “Voce delle
Chiese” (“Das Wort der Kirchen”) “Insieme verso l’avvenire” (“Miteinander in die
Zukunft”) ed espressero la propria approvazione. Quindici giorni più tardi, in occasione
della Festa federale di ringraziamento, penitenza e preghiera, la Voce delle Chiese fu
ripresa come filo rosso delle celebrazione in numerose parrocchie cattoliche e
comunità evangeliche. Inoltre la Conferenza dei vescovi e la Federazione delle Chiese
protestanti emanarono una Lettera pastorale ecumenica per il Digiuno federale rivolta
a tutti gli abitanti del Paese e con lo scopo di dare “coraggio per incamminarsi”.
Insieme e separati
Non soltanto il fatto che le Chiese e le comunità cristiane in Svizzera dessero il
loro contributo all’esposizione nazionale 2002 ma anche come lo realizzarono, era
orientato al futuro. La loro presenza dal titolo “Un ange passe” sull’arteplage di Morat,
come anche le giornate dedicate a diverse tematiche furono concepite e realizzate
dall’associazione ESE.02. Fondata nel dicembre 1996, ne facevano parte 14 Chiese ed
associazioni cristiane.
Un altro progetto importante, il “progetto millenario” dal titolo “Perle della
speranza”, ideato dalla Comunità di lavoro delle Chiese cristiane in Svizzera, non poté
invece realizzarsi per problemi strutturali e finanziari.
Un ulteriore progetto, cui aveva dato inizio la Comunità di lavoro delle Chiese
cristiane, si tramutò in un gruppo di lavoro legato alla Conferenza dei vescovi e alla
Federazione delle Chiese protestanti: il gruppo di lavoro ecumenico “Nuovi movimenti
religiosi in Svizzera” (NMR).
Oltre agli importanti accordi che si sono verificati nel corso delle Consultazioni e
della rappresentazione presso la Expo.02, gli anni successivi al 1995 furono
caratterizzati dalla ricerca di chiarire e consolidare la propria identità confessionale.
Così il Consiglio della Federazione delle Chiese protestanti della Svizzera approvò nel
1995 il documento di base “Linee fondamentali dell’attività ecumenica da parte della
Federazione delle Chiese protestanti della Svizzera” (Grundlinien ökumenischen
Handelns im Schweizerischen Evangelischen Kirchenbund”), che nota non soltanto
come l’ecumenismo abbia condotto a risultati positivi, ma constata anche nuove
16
condizioni: il declino irresistibile del confessionalismo, l’ovvio amalgamarsi delle
confessioni nella vita di ogni giorno (dai matrimoni composti di due confessioni ai
diversi settori del lavoro pastorale specializzato), ed infine le sfide sociali ed etiche
comuni a tutte le Chiese. Si definisce l’ecumenismo “prima di tutto come un impegno
ad andare in cerca di vie che sfocino in un accordo ed nell’approfondimento della
comunione tra le Chiese, le confessioni, i gruppi ed i movimenti in quanto tali
nell’oggi”.
Così la Commissione di dialogo evangelica/cattolico-romana ricevette l’incarico,
nell’aprile 1994, di esaminare se nella vita quotidiana e nella teologia si fosse
verificato un cambiamento così importante da richiedere la sostituzione delle norme
del 1979 sulla Santa Cena comunitaria e sull’Eucaristia. Nel settembre 2000, dopo un
lavoro di alcuni anni, la Commissione poté consegnare la sua documentazione
sull’“Ospitalità eucaristica” al Consiglio della Federazione delle Chiese protestanti ed
alla Conferenza dei vescovi. Questo documento non ottenne però il beneplacito dei
vescovi e la Commissione di dialogo rivendicò un nuovo incarico39.
Il fatto che le Chiese nazionali cercassero di profilarsi l’una di fronte all’altra
apparve evidente non soltanto in occasione delle esternazioni senza fronzoli con cui il
nuovo vescovo della Chiesa cristiano-cattolica criticò la Chiesa cattolico-romana, ma
anche nel contesto delle votazioni del 2001 sull’abolizione del così detto articolo sulle
diocesi, che vide le altre Chiese rimanere a distanza. E di nuovo si manifestò, anche
se in altre condizioni, quando si votò sulla soluzione dei termini (2002) e sulla legge
sul partenariato registrato (2005).
„La cooperazione è la normalità, l’azione individuale è un’eccezione“
Quando si guarda alla storia del pensiero ecumenico ed alla strada che
l’ecumenismo ha percorso in Svizzera, si può constatare un’evoluzione che da un
modus vivendi uno contro l’altro è passata a quello di uno accanto all’altro,
raggiungendo l’ uno insieme con l’altro. La coesistenza, nel senso di uno insieme con
l’altro però, da un lato, non si concretizza nella realtà della Chiesa con tutte le
possibilità che le norme canoniche concedono, d’altro lato, oltrepassa in certi casi ciò
che è accettato dal diritto canonico e teologicamente realizzabile. Ciò causa irritazioni
da parte di cattolici preoccupati che lamentano un pasticcio ecumenico. In una
situazione come questa, il presidente del consiglio della Chiesa evangelica riformata
del Canton Zurigo ed il vicario generale cattolico-romano si rivolsero congiuntamente
alle comunità evangeliche riformate ed alle parrocchie cattolico-romane nell’autunno
1997 con una “lettera pastorale per la Festa federale di ringraziamento”, intitolata
“Collaborazione ecumenica” 40. In questo documento si legge: “Manifestazioni ed
iniziative ecumeniche nel Canton Zurigo sono diventate un’abitudine e qualcosa di
naturale grazie ad una prassi di lunghi anni. Forse vengono adesso considerate una
cosa troppo naturale, tanto che non possiamo più stimare in maniera adeguata il loro
valore ed il loro significato. Tanto viene realizzato, ma sarebbe possibile ancora di più
rispetto alle norme attualmente in vigore. Ma ci sono anche desideri ecumenici che
non si lasciano soddisfare finché non abbiamo raggiunto la meta della vera unità delle
Chiese”.
Questa caratterizzazione generica della situazione nel Canton Zurigo potrebbe
corrispondere al resto della Svizzera, pur tenendo conto delle particolarità di ogni
regione. Già all’alba del Vaticano II°, ma anche durante il Concilio e soprattutto negli
39
Frank Jehle: Eucharistische Gastfreundschaft: Ein Thema der Evangelisch/Römisch-katholischen
Gesprächskommission, in: Barbara Brunner/Susanne Scheeberger Geisler/Kristen Jäger, Mache den Raum deines
Zeltes weit. Internationale ökumenische Konferenzen der neunziger Jahre. Bilanz – Impulse für die Weiterarbeit,
Berna 2002, pag. 135-139.
40
Documentata in SKZ 165 (1997), n. 39, pagine 578s.
17
anni seguenti si realizzarono iniziative ecumeniche ad ogni livello e praticamente in
tutti gli ambiti. Retrospettivamente diventa ovvio come questo risveglio ecumenico era
accompagnato da iniziative in altri ambiti dell’attività ecclesiale e come questo
risveglio avveniva in un’epoca in cui la Svizzera passava da un dopoguerra stabile a
una fase di rinnovamento politico in epoca di alta congiuntura economica.
Già nel 1964 un gruppo di lavoro del Seminario diocesano di Coira elaborò
materiali per la celebrazione della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani nelle
parrocchie e negli ambienti ecumenici. Gli studenti di teologia di tutte le università
cominciarono a riunirsi ogni anno sotto il nome “Interfac”, e teologi e teologhe che
insegnavano alle università o erano attivi nella pastorale fondarono il 12/13 dicembre
1964 la Società svizzera di teologia (Schweizerische Theologische Gesellschaft).
Questa associazione di taglio interconfessionale è oggi membro dell’Accademia
svizzera di scienze morali e sociali, con lo scopo di far sentire la voce della teologia.
Adempiere insieme i medesimi doveri
In seguito si cominciò a stabilire una collaborazione in tutti i campi della
formazione teologica, del ministero pastorale e dell’aggiornamento professionale. Le
facoltà di teologia riconosciute dallo Stato quali istituti universitari si unirono alla
Conferenza delle Facoltà di Teologia della Svizzera con lo scopo di favorire lo scambio,
la mobilità e l’interazione tra le diverse facoltà teologiche. Inoltre si intendeva far
sentire la loro voce unitaria presso le università, le autorità politiche, le Chiese e la
società. Per approfittare di sinergie, le facoltà e gli istituti di formazione sviluppavano
diversi modi di cooperazione. Nello stesso senso cominciavano a collaborare pure gli
istituti ecclesiastici per la formazione permanente. Le persone che lavorano nella
pastorale specializzata si organizzarono logicamente in associazioni ecumeniche, come
l’Associazione svizzera dei professori di religione (Verband Schweizerischer
Religionslehrer, fondata nel 1971), il Gruppo ecumenico di lavoro per questioni
concernenti
le
persone
andicappate
(Ökumenische
Arbeitsgruppe
für
Behindertenfragen),
la
Comunità
di
lavoro
Pastorale
e
Consulenza
(Arbeitsgemeinschaft für Seelsorge und Beratung), e la Comunità ecumenica di lavoro
per la pastorale d’urgenza in Svizzera (Ökumenische Arbeitsgemeinschaft
Notfallseelsorge Schweiz, fondata nel 2002). I risultati già raggiunti sono assai positivi
non soltanto nel campo della formazione ma pure in quello della ricerca teologica:
merita una menzione la Storia ecumenica delle Chiese in Svizzera41.
Per sostenere in maniera più efficace i loro interessi rispetto alle Chiese ed alla
società, le diverse opere assistenziali ecclesiastiche, come il Sacrificio quaresimale e
Pane per i fratelli, cominciarono a collaborare. Non ci si limitava però soltanto ad
interagire in campo socio-politico attorno allo sviluppo sostenibile, ma si rese possibile
una vera e propria collaborazione tra le varie opere. La Cooperazione delle Chiese e
missioni evangeliche (KEM = Kooperation Evangelischer Kirchen und Missionen) e la
Conferenza delle missioni della Svizzera tedesca e retoromancia e del Liechtenstein
(Missionskonferenz der deutschen und romanischen Schweiz und Liechtenstein)
iniziarono a svolgere assieme corsi informativi nelle scuole. Nell’autunno 1984 l’Opera
internazionale cattolica Missio (Internationales Katholisches Missionswerk Missio) e la
KEM, sostenuta dalle Chiese evangeliche nella Svizzera tedesca, retoromancia ed
italiana, si presentarono insieme al pubblico. Con un appello comunitario si volle
affermare che la Chiesa cattolica e le Chiese evangeliche con le rispettive opere
missionarie “erano legate alla medesima missione di Gesù nel mondo”. “Dare una
testimonianza della forza del Vangelo mediante la parola e la vita: questo è il fine
comune a cui servono le opere missionarie cattoliche ed evangeliche tramite le loro
Ökumenische Kirchengeschichte der Schweiz, pubblicata nel 1994 per incarico di un gruppo di lavoro da Lukas
Vischer, Lukas Schenker e Rudolf Dellsperger.
41
18
campagne d’informazione e le loro iniziative”. Grazie a questo sviluppo si rileva che
ultimamente l’Annuario svizzero delle missioni (Missionsjahrbuch der Schweiz) è stato
pubblicato su base ecumenica dalla Conferenza delle missioni della Svizzera tedesca e
retoromancia e dal Consiglio missionario evangelico svizzero.
Presentarsi insieme al pubblico
A lungo termine la collaborazione missionaria non si sviluppa con la stessa
efficacia come la collaborazione ecumenica nell’ambito dei media, soprattutto nella
Svizzera tedesca. Ciò risulta innanzitutto da condizioni strutturali, poichè il Servizio
cattolico per i media (Katholischer Mediendienst) trova la sua struttura corrispondente
nei media riformati (Reformierte Medien, già Evangelischer Mediendienst). Nel quadro
del Gruppo ecumenico dei media forniscono insieme diversi servizi.
Quanto ai temi sociali e alla pastorale le due Chiese maggiori si impegnano,
affiatate da anni, in un servizio comunitario come le cappellanie presso l’esercito, negli
ospedali e nelle carceri. In diverse località hanno fondato servizi ecclesiastici comuni o
parrocchie specializzate (Consulenza matrimoniale, parrocchia industriale, cappellania
specializzata per gli ammalati di AIDS, ecc.).
Nelle
scuole
la
collaborazione
si
sviluppò
dapprima
nell’ambito
dell’insegnamento religioso. L’autorità scolastica cantonale creò e crea ancora diverse
condizioni per la collaborazione: sia nell’insegnamento ecumenico insieme con la
Chiesa evangelica riformata che nell’insegnamento interreligioso in cooperazione con
le Chiese e la scuola. In molte sedi di scuola media non soltanto l’insegnamento si
svolge su base sia ecumenica che interreligiosa ma anche la pastorale diretta agli
allievi, sia in sede sia fuori scuola.
Nella “Lettera pastorale per la Festa federale di ringraziamento” del Canton
Zurigo si nota la grande diversità di manifestazioni comunitarie che le comunità
riformate e le parrocchie cattoliche svolgono in comune. Nel contempo però si
accenna: “Nella vita quotidiana delle nostre Chiese si pensa spesso prima di tutto al
proprio lavoro nelle rispettive Chiese e solo dopo ci si chiede quale forma sarebbe da
dare all’ecumenismo. Qui necessita un ripensamento per dare nuove energie
all’ecumenismo come lo viviamo ogni giorno. Dovremmo chiederci sempre di più per
quale motivo un’azione non la realizziamo insieme con la nostra Chiesa sorella. Caso
mai che una delle Chiese decida di voler organizzare da sola un’azione separata
dall’altra Chiesa si dovrebbe giustificare un tale modo di agire. La cooperazione è la
norma, l’agire isolato invece un’eccezione”.
Nell’atmosfera effervescente del movimento ecumenico postconciliare si
costruirono centri ecumenici, rispettivamente centri parrocchiali ecumenici come
Langendorf (Soletta), Kehrsatz (Berna) e Laupen (Berna). Un ruolo d’avanguardia lo
ebbe, in questo contesto, la Comunità ecumenica “Ökumenische Haldengemeinde” a
San Gallo.
L’interazione tra l’ecumenismo vissuto in una località concreta e quello
realizzato in istituzioni al di là delle comunità locali si manifesta in azioni comunitarie
proposte per esempio dal Sacrificio quaresimale e da Pane per tutti. Ma ci sono altre
istituzioni che favoriscono una tale interazione, come le associazioni di donne di
entrambe le confessioni che curano l’edizione della rivista “Schritte ins Offene” oppure
organizzano ogni anno, nel mese di marzo, la Giornata mondiale di preghiera.
Di tanto in tanto, certe Chiese chiedono alle associazioni femminili quale sia il
loro profilo confessionale, o se stiano creando o abbiano già creato un movimento
“transconfessionale”. La stessa domanda viene fatta insistentemente nei riguardi delle
associazioni giovanili come la “Jungwacht” ed il “Blauring” le quali, un tempo di profilo
significativamente cattolico, negli ultimi anni hanno accolto sempre di più non soltanto
bambini ma anche monitrici e monitori di altre confessioni.
19
Ecumenismo oppure tramonto confessionale?
In questo contesto si pone la questione generale di quale sia l’importanza
dell’appartenenza ad una confessione; una questione che emerge soprattutto
nell’ambito delle ricerche in sociologia della religione. Ecco per esempio la ricerca sui
valori pubblicata dall’Istituto di Sociologia pastorale e in seguito quella su “Ogni
persona un caso particolare?”42. Analizzando l’intreccio della religiosità con tutti gli
altri aspetti di una vita, si osserva un continuo calo del confessionalismo43. Secondo i
risultati di questa ricerca un ecumenismo che riguardi le particolarità dottrinali delle
rispettive Chiese sembra essere piuttosto un impegno proprio di teologhe e teologi, di
persone con un ministero ecclesiastico e di quella minoranza di membri di una Chiesa
cui stanno a cuore tanto l’identità confessionale quanto l’apertura ecumenica. Rispetto
alla maggioranza dei fedeli sembra notare un continuo venir meno sia dei legami
tradizionali con la Chiesa sia del carattere vincolante della fede cristiana che si
esprima con un profilo confessionale. La preoccupazione di voler consolidare l’identità
delle confessioni sarebbe oggi da considerare più una premessa che una minaccia per
il progredire dell’ecumenismo, anche se non si può negare che, in cerchie molto
religiose, esiste il pericolo di voler ripristinare il confessionalismo44. In ogni Chiesa ed
in ogni comunità ecclesiale si possono osservare velleità di confessionalismo: così da
parte protestante nelle cerchie evangelicali dove il confessionalismo si tinge spesso di
anticattolicesimo. E’ tanto più rallegrante dunque costatare come i responsabili per
l’ecumenismo di movimenti, siano essi cattolici o non cattolici, si incontrano
allargando così il fondamento dell’ecumenismo45. Voler imparare in campo ecumenico
richiede tuttavia la disponibilità a voler imparare all’interno delle rispettive confessioni,
in un camminare assieme delle Chiese a fianco dei movimenti religiosi.
Rolf Weibel
V. la nota n. 37.
Schweizerisches Pastoralsoziologisches Institut (Hrsg.), Lebenswerte. Religion und Lebensführung in der Schweiz,
SPI-Publikationsreihe, volume 6, Zurigo 2001.
44
Cfr. Rolf Weibel, Der Ökumene verpflichtet, in : SKZ 172 (2004) 477s.
45
Cfr. Rolf Weibel, Geistliche Erneuerung Europas, in SKZ 172 (2004), pag. 424-428.
42
43
20
Situazione nella Svizzera Romanda
In tutti i cantoni e diocesi le commissioni di dialogo preparano la “Settimana di
preghiera per l’Unità dei cristiani” nel mese di gennaio: celebrazioni quotidiane
durante la settimana ed una celebrazione comunitaria la domenica. Nella maggioranza
delle città si incontranto pure foyers misti e gruppi di preghiera.
Le situazioni sono comunque molto diversificate secondo che si tratti di località
a forte maggioranza cattolica o di regime misto. I centri universitari di Ginevra e di
Losanna hanno pure un ruolo importante, benché una gran parte delle loro attività
vada oltre le frontiere cantonali ed anche nazionali.
DIOCESI DI SION
Come ovunque, l’impegno ecumenico nella diocesi è segnato nelle parrocchie
dalla preparazione e dallo svolgimento della “settimana di preghiera per l’unità dei
cristiani” e dalla festa del Digiuno federale. Gruppi ecumenici sono organizzati a
Martigny ed a Monthey; una collaborazione ecumenica si è instaurata a Sion per i
Restaus du coeur (=ristoranti del cuore).
Una volta all’anno il consiglio sinodale della Chiesa evangelica riformata
incontra il consiglio episcopale. La diocesi di Sion, l’abbazia territoriale di SaintMaurice e la Chiesa evangelica riformata del Vallese hanno pubblicato nel 2003 una
Guida ecumenica, che ricorda i trent’anni della commissione vallesana di dialogo
ecumenico e la Guida ecumenica del 1982, alla quale è stato aggiunto un annesso sul
“Bambino protestante nella scuola pubblica vallesana”, l’opuscolo sulla preparazione al
matrimonio delle coppie miste e la legge del 13 novembre 1991 che regge i rapporti
tra Chiese e Stato nel Canton Vallese. Questa legge garantisce la libertà di coscienza,
di credo e libero esercizio del culto (art. 2 §1) e riconosce lo statuto di diritto pubblico
alla Chiesa cattolico-romana e alla Chiesa riformata evangelica (art. 1 §1). La guida
tratta delle “liturgie ecumeniche”, dei “matrimoni misti”, della “formazione cristiana”
(a scuola, nelle catechesi e nella formazione degli adulti), della “diaconia” e della
“testimonianza”. E’ stata firmata da mons. Norbert Brunner, vescovo di Sion, mons.
Joseph Roduit, abate di Saint-Maurice e da Christian Adrian, presidente del consiglio
sinodale dell’EREV (Chiesa riformata evangelica del Vallese)46.
La forte proporzione dei cattolici nel Canton Vallese (85%) dà una minor
urgenza alle questioni ecumeniche che nel bacino del Lemano.
DIOCESI DI BASILEA
Nel Giura pastorale (parte francofona della diocesi di Basilea) la collaborazione
ecumenica è una tradizione antica. Annoveriamo celebrazioni, pellegrinaggi, cammini
e cappelle dell’unità; la collaborazione nel quadro della Comunità di lavoro delle
Chiesa del Giura per la preparazione della settimana dell’unità; i gruppi di preghiera
che riuniscono ogni mese protestanti e cattolici, per l’influenza della comunità
monastica di Taizé e del convento delle carmelitane di Develier, dove si trova anche
un eremo protestante; la collaborazione tra preti e laici. Tutti fattori che fanno
dell’ecumenismo una realtà quotidiana47.
DIOCESI DI LOSANNA, GINEVRA, FRIBURGO
Nel Canton Neuchâtel
46
47
Redatto sulla base di una comunicazione del vicario generale Robert Mayoraz.
Comunicazione orale del canonico Edgard Imer.
21
Da decenni l’ecumenismo è stata una caratteristica della vita delle Chiese nel
Canton Neuchâtel. La piccola estensione del cantone che favorisce le relazioni
interpersonali, la legge di separazione di Chiesa e Stato del 1942 hanno spinto i
cristiani a collaborare sul piano delle parrocchie. Incontri e celebrazioni sono frequenti
tra la Chiesa riformata evangelica neocastellana (EREN) e la Chiesa cattolico-romana.
Essi sono più rari con la Chiesa cristiano-cattolica, che ha una sola parrocchia con
sede a La Chaux-de-Fonds. Le relazioni con il movimento evangelico sono più difficili
ma si sviluppano a poco a poco con certe comunità.
Sul piano cantonale il concordato tra lo Stato e le tre Chiese riconosciute
(Chiesa cattolico-romana e Chiesa cristiano-cattolica) è stato firmato separatamente
con ognuna delle Chiese nel 1943. Il nuovo concordato è stato sottoscritto con le tre
Chiese in comune il 2 maggio 2001.
Il centro di catechesi è ecumenico dalla sua fondazione all’inizio degli anni ’70.
E’ diventato centro ecumenico di documentazione (COD) a seguito d’una convenzione
firmata tra l’EREN e la Chiesa cattolico-romana nel gennaio 2004. Il Sinodo dell’EREN
invita due delegati cattolici alla sua sessione sin dal 1976. La Caritas cantonale e il
centro sociale protestante (CSP) intrattengono strette relazioni dal 1968. Dal 1983 il
messaggio delle Chiese per il Digiuno federale è pubblicato in comune. Dal 1985 le
istanze responsabili delle tre Chiese si riuniscono al ritmo di una sessione ogni due
anni. Dal 1987 la parola di fede settimanale nei giornali locali è assicurata dalle
Chiese. Da molto tempo un pastore dell’EREN partecipa alla sessione pastorale
annuale dei preti e degli agenti pastorali della Chiesa cattolica. Regolari incontri hanno
luogo tra il vicario episcopale cattolico e la presidentessa del consiglio sinodale
dell’EREN. Ogni quindici giorni è diffusa un’emissione prodotta dalle tre Chiese sulla TV
regionale “TV ALPHA”. Diverse attività pastorali, cantonali e regionali, sono realizzate
in modo ecumenico (pastorale della salute; movimento dei pensionati; formazione
degli adulti ecc.).
Per animare tutte queste relazioni un Sinodo ecumenico si è tenuto nel cantone
dal 1981 al 1986. Si tratta dell’ASOT: l’assemblea sinodale ecumenica temporale.
Riunendo le tre Chiese e senza potere decisionale, quest’assemblea (sul modello del
Sinodo cattolico ’72) ha trasmesso i suoi auspici alle Chiese. Per prolungare questo
slancio, è stata costituita la COTEC-NE (comunità di lavoro delle Chiese cristiane nel
cantone di Neuchâtel), composta dai delegati delle tre Chiese riconosciute e da due
comunità di tendenza evangelica48.
Nel Canton Friburgo
Esiste una Commissione cantonale di dialogo tra la Chiesa cattolico-romana e la
Chiesa evangelica riformata nel canton Friburgo. La Chiesa ortodossa vi è
rappresentata da un osservatore. E’ stata creata nel 1980 ed ha avuto il ruolo di
interlocutore unico delle Chiese nei negoziati con lo Stato sulle questioni miste come
l’insegnamento religioso nelle scuole, la formazione degli insegnanti di religione e la
cura pastorale. In seguito ha allargato il suo mandato diventando uno strumento di
dialogo tra le Chiese. Si occupa anche della Settimana di preghiera per l’unità dei
cristiani, degli Incontri tra preti, pastori, diaconi, assistenti e assistenti pastorali prima
della settimana dell’unità, della celebrazione del digiuno federale (ogni due anni una
celebrazione della parola sostituisce la messa in cattedrale) come pure di
manifestazioni occasionali, per esempio l’esposizione consacrata a Nicolao della Flüe
nel 2003, un’esposizione biblica o attività inerenti al Centro sant’Ursula di Friburgo.
La Commissione intrattiene relazioni con altre Chiese: regolari con la Chiesa
avventista; più sporadiche con le Chiese evangeliche.
48
Sulla base del rapporto dell’Abbé Roger Noirjean.
22
Inoltre sono organizzate altre attività: scambi per la predicazione, gruppi
ecumenici di lingua tedesca del Grand-Fribourg, lectio divina, gruppi biblici, gruppi di
foyers misti (oggi organizzati in Associazione svizzera), preghiere ecumeniche del
primo martedì del mese al centro sant’Ursula. In certe aree, come nella regione di
Morat/Vully/Bellechasse, la collaborazione è molto regolare (celebrazioni, incontri,
dibattiti). Nel canton Friburgo i cattolici sono nettamente maggioritari (70%) ma i
riformati formano una minoranza importante (14%), soprattutto nella regione di
Morat. Gli ortodossi, piccola minoranza (1%) sono, nonostante ciò, organizzati in
parrocchia.
Nell’insieme del cantone, le relazioni sono di buona qualità ma d’intensità
diversa secondo i luoghi, le comunità e specialmente secondo l’impegno delle
parrocchie. Questo può spiegare il fatto che da un lato i cattolici (preti e fedeli) non
considerino sempre la collaborazione ecumenica come un compito prioritario e che,
d’altro lato, in tutte le Chiese la collaborazione si basa meno sull’esistenza di strutture
(tuttavia necessarie) che sul coinvolgimento appassionato di alcuni, ecclesiastici e
laici. Si fa sentire oggi la necessità di un luogo cantonale (consiglio o raduno) dove si
ritrovino i rappresentanti di tutte le Chiese e comunità cristiane del cantone.
L’Istituto di studi ecumenici dell’Università di Friburgo.
L’Istituto di studi ecumenici - fondato nel 1964 dal prof. Stirnimann o.p., nello
spirito del decreto “Unitatis Redintegratio”, quando il Concilio non era ancora
terminato - fu integrato nella Facoltà di teologia dell’Università di Friburgo con
l’approvazione della Conferenza dei vescovi svizzeri. L’Istituto può godere, sin dai suoi
inizi, dell’appoggio dell’opinione pubblica, dello Stato e dell’Università ed è sostenuto
finanziariamente, alla sua creazione, dal Fondo nazionale svizzero della ricerca
scientifica. L’Istituto trova allora alloggio, con biblioteca ed aule di corso, al n° 262 di
rue de Morat. Ha subito invitato una serie di professori di confessione riformata per
dare conferenze ed instaurare corsi regolari di iniziazione all’ecumenismo alla facoltà
di teologia. Questi corsi sono ora integrati nel cursus obbligatorio degli studenti di
teologia. Vi si aggiungono corsi speciali organizzati per gli studenti più particolarmente
interessati alla materia. Un Premio istituito dal Prof. Jean-Louis Leuba ricompensa ogni
anno il miglior lavoro scientifico nel campo della teologia ecumenica.
Orientato prioritariamente ai suoi inizi verso le Chiese protestanti, l’Istituto
attualmente diretto dal prof. Guido Vergauwen, o.p. ha allargato il suo campo di
azione alle Chiese ortodosse. Nella tradizione del principe Max di Sachsen, di Raymond
Erni, Christoph Schönborn e Iso Baumer si sono sviluppati l’insegnamento e la ricerca
sull’ortodossia e la teologia ortodossa. Il prof. Boris Bobrinskoy, decano dell’Istituto di
teologia ortodossa San Sergio di Parigi, è stato nominato dottore honoris causa della
Facoltà. Mons. Hilarion Alfeyev, vescovo della Chiesa russo-ortodossa per l’Austria e
l’Ungheria e rappresentante del patriarcato di Mosca presso le Istituzioni europee, è
libero docente della facoltà nella sezione dogmatica. Con l’aiuto del Fondo nazionale
svizzero, l’Istituto prepara una traduzione in tedesco dell’economista, filosofo e
teologo russo ortodosso Sergij Boulgakov (1871-1944).
L’Istituto accoglie attualmente una ventina di studenti provenienti dall’Est
(Romania, Russia, Bielorussia, Ucrania, Bulgaria, Serbia, Armenia, Georgia) e
collabora con l’Istituto di teologia ortodossa di studi superiori di Chambésy vicino a
Ginevra, che invia i suoi borsisti alla Facoltà protestante di Ginevra ed alla Facoltà
cattolica di Friburgo, oltre che ai propri corsi. L’Istituto friborghese è in partenariato
scientifico con la Facoltà di teologia ortodossa di Minsk, l’Accademia di teologia
moscovita di Sergiev Posad, l’Istituto di teologia ortodossa di San Sergio di Parigi e
l’Istituto per le Chiese orientali di Ratisbona. L’Istituto dispone di una Rivista
Ökumenische Beihefte/Cahiers oecuméniques, e di una piccola serie Ökumenische
Wegzeichen/Repères oecuméniques. Organizza escursioni (per esempio: regolarmente
23
al Consiglio ecumenico delle Chiese a Ginevra) e viaggi di studio in differenti Paesi
specialmente dell’Est ed offre una formazione continua nel campo dell’ecumenismo.
Nell’ambito della nuova organizzazione degli studi secondo il sistema di Bologna,
l’Istituto offre, in collaborazione con altri istituti partners, una formazione al Master
“Théologie dans l’horizon oecuménique”.
Appartengono al Direttorio dell’Istituto i professori della Facoltà interessati alle
questioni ecumeniche, come pure gli assistenti, gli studenti e i rappresentanti delle
Chiese riformate, ortodosse e dell’antico oriente in Svizzera. Membri dell’Istituto sono
attivi sul piano nazionale ed internazionale negli organismi ecumenici: il prof. Guido
Vergauwen dirige la Commissione ecumenica della Conferenza dei vescovi svizzeri; la
prof. Barbara Hallensleben è vice-direttrice dell’istituto interfacoltà per l’Europa
centrale ed orientale dell’Università di Friburgo, copresidente della commissione di
dialogo ortodossa/cattolico-romana della Conferenza dei vescovi svizzeri, membro
della commissione ecumenica “Foi et Constitution” del Consiglio ecumenico delle
Chiese e consultrice del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei cristiani. I
professori Vergauwen ed Hallensleben sono osservatori del CCEE (Consiglio delle
Conferenze Episcopali Europee) presso la Commissione “Eglises en dialogue” della
Conferenza delle Chiese europee; sono stati insigniti nel febbraio 2004 dell’Ordine di
san Nestore e dell’Ordine di santa Barbara della Chiesa Russa Ortodossa del
Patriarcato di Mosca in Ucraina, per il loro impegno a favore dell’ortodossia. Il prof.
Vergauwen ha ricevuto nel giugno 2005 il dottorato honoris causa della Facoltà di
Teologia ortodossa dell’Università di Bucarest.
Nel Canton Ginevra
Qualche data: Nel 1907 la soppressione del budget dei culti instaura una
separazione di fatto tra Chiesa e Stato e vede il riconoscimento da parte dello Stato
della Chiesa nazionale protestante, della Chiesa cristiano-cattolica e della Chiesa
cattolico-romana.
La visita del cardinale Augustin Bea al Consiglio ecumenico delle Chiese,
durante il Vaticano II°, segna una svolta decisiva per il riconoscimento da parte
cattolica dell’identità delle Chiese sorte dalla Riforma protestante. Il 18 marzo 1971,
dopo sei anni di discussioni, è stata creata il RECG (Unione delle Chiese e Comunità
cristiane di Ginevra) che raggruppa la maggioranza delle Chiese rappresentate
all’epoca nella città ad eccezione delle Chiese evangeliche. La presidenza è assicurata
ogni quattro anni da un responsabile di una delle tre Chiese ufficiali. Appartengono al
suo raggio di attività il dialogo teologico, la settimana per l’unità dei cristiani, gli
incontri tra comunità, l’accoglienza delle nuove comunità (recentemente Vineyard, la
Chiesa copta etiope ecc.).
L’aura internazionale dell’ecumenismo a Ginevra è assicurata dal Consiglio
ecumenico delle Chiese che raggruppa le Chiese riformate e ortodosse, esclusa la
Chiesa cattolico-romana, l’Istituto ecumenico di Bossey, la Facoltà di teologia
protestante di Ginevra (che invita regolarmente insegnanti cattolici), la missione
permanente della Santa Sede presso le Organizzazioni internazionali, il Centro
ortodosso di Chambésy.
Esiste un “ecumenismo di prossimità” in coppie miste e nelle famiglie; nelle
diverse attività sociali: Caritas con il Caré, l’Esercito di salvezza, le cappellanie
ecumeniche (prigioni, università, enti medico-sociali, ospedale universitario di
Ginevra, le ONG contro la tortura o l’aiuto al terzo mondo, Agorà, cappellaneria
ecumenica presso i richiedenti d’asilo, ecc.).
Nel 1973 è stato fondato, su iniziativa del Centro protestante di studi e dei
gesuiti di Choisir, l’Atelier ecumenico di teologia che offre corsi di due anni per uditori
laici ed ecclesiastici. Nel 1984 è stata fondata Radio Cité, la radio delle Chiese di
Ginevra che emette quotidianamente.
24
Sul piano istituzionale ci sono incontri regolari fra i tre uffici – gli esecutivi –
della Chiesa protestante, della Chiesa cristiano-cattolica e della Chiesa cattolicoromana. Una volta ogni due anni i tre Consigli pastorali si ritrovano per una serata
consacrata alle questioni di formazione ed alla convivialità. A livello di tensioni,
citiamo i problemi riguardanti l’ospitalità eucaristica, i divorziati risposati, i ministeri,
nonché temi come l’aborto, l’eutanasia, l’omosessualità e il ruolo della donna nella
Chiesa.
Più generalmente ci sono novità di ordine sociologico. Il censimento dell’anno
2000 indicava una proporzione del 16% di protestanti a fronte del 41% di cattolici,
una forte percentuale di “senza religione” ed un gran numero di Chiese e di comunità
cristiane diverse che riflettono il carattere internazionale della città. Regard sur les
Eglises de Genève, edito nel 2000 da RECG, censiva accanto alle tre Chiese ufficiali la
Chiesa apostolica d’Armenia, la Chiesa copto-ortodossa, la Chiesa ortodossa rumena,
la Chiesa anglicana, la Chiesa americana episcopaliana, la Chiesa evangelica
metodista, la Chiesa evangelica luterana, la Chiesa presbiteriana di Scozia, la Chiesa
protestante olandese, la Chiesa protestante coreana, la Chiesa valdese d’Italia, la
Comunità protestante ungherese di Ginevra, la Chiesa evangelica libera di Ginevra, la
Chiesa evangelica di Cologny, la Società religiosa degli Amici (Quakers), l’Esercito
della salvezza, senza contare la Chiesa ortodossa russa all’estero e le differenti Chiese
battiste, congregazionaliste, pentecostali, avventiste e neoapostoliche49.
Nel Canton Vaud
Ritroviamo le medesime collaborazioni che negli altri cantoni romandi. Il canton
Vaud, da parte sua, riconosce le due Chiese, protestante e cattolica, e si fa carico dei
rispettivi ministri.
La collaborazione tra le due Chiese ha preso forma di Dichiarazione di
collaborazione ecumenica tra il Consiglio sinodale della Chiesa evangelica riformata e il
Consiglio della Chiesa cattolica del Canton Vaud, nella quale le due Comunità si
impegnano a intensificare la collaborazione ecumenica.
La dichiarazione prende nota del pluralismo confessionale in seno a molte
famiglie, delle azioni pratiche e profetiche messe a punto in diverse comunità locali,
della presenza nello stesso cantone di due Chiese di peso demografico quasi uguale, la
scoperta dell’identità cristiana comune e della ricchezza dell’apporto confessionale.
Determina quattro modalità possibili di collaborazione: la modalità della
pluralità quando le pratiche devono assolutamente essere rispettate; la modalità della
fusione quando entità parallele quasi identiche si sono sviluppate e possono essere
riunite; la modalità della sussidiarietà quando uno dei partner riconosce le
competenze dell’altro in un ambito preciso; e infine la modalità dell’armonizzazione:
quando le tre modalità summenzionate non possono essere praticate, si armonizzano
ciononostante strumenti e mezzi, accordando all’altro l’esclusività di questo o
quell’ambito. Questo testo è stato firmato a Losanna il 20 gennaio 1999. Ne è risultato
un documento di applicazione intitolato Orientations 2002 per le cappellanie di
ospedali, gli enti medico-sociali, le prigioni, i rifugiati, gli Istituti accademici superiori,
le scuole medie, le scuole professionali, gli apprendisti.
Jean Blaise Fellay, s.j.
49
Sulla base di un rapporto di P. Louis Christians sj., presidente attuale del RECG.
25
Il movimento ecumenico nel canton Ticino e nella diocesi di
Lugano
Pur non essendo un fatto scontato, in una realtà di maggioranza confessionale
come quella ticinese, il movimento ecumenico ha compiuto numerosi passi in avanti,
grazie agli impulsi del Concilio Vaticano II° e del Sinodo ’72. La Commissione
diocesana di dialogo ecumenico e la Comunità’ di lavoro delle Chiese cristiane del
Ticino ne sono due felici esempi. Tuttavia resta molto da fare per diffondere una
mentalità’ davvero interconfessionale.
LA COMMISSIONE ECUMENICA
Nella Diocesi di Lugano, uno dei frutti del Concilio Vaticano II° e del Sinodo ’72
è stata l’istituzione della Commissione ecumenica diocesana da parte del vescovo
Giuseppe Martinoli (30 novembre 1975), dando così seguito a una delle
raccomandazioni formulate dal Sinodo quale premessa alla costituzione della
Commissione ecumenica del Ticino. Quest’ultima, formata da 12 membri (6 nominati
dal vescovo di Lugano e 6 dal Consiglio sinodale di quella che era la Federazione delle
Comunità evangeliche riformate del Ticino) si riunì per la prima volta il 6 gennaio
1976 (non sappiamo se sia stato un caso o se fu scelta appositamente la festa
dell’Epifania).
Da allora, in Ticino, di strada se n’è certamente fatta molta. Dalla diffidenza
iniziale e dai pregiudizi tra cattolici e protestanti, si è creato un clima molto più
fraterno (anche se, purtroppo, vi sono state e vi sono ancora delle eccezioni), base
indispensabile per l’avvio di una proficua collaborazione.
Inoltre, la Commissione non poteva rimanere indifferente alla presenza in Ticino
di fedeli di altre Chiese cristiane, notevolmente aumentata, per quanto riguarda ad
esempio gli ortodossi, in seguito ai rivolgimenti politici che hanno caratterizzato
l’Europa orientale all’inizio degli anni Novanta. Già nel 1987, la Commissione
ecumenica di dialogo modificò i suoi statuti per dare la possibilità a rappresentanti di
altre Chiese o Comunità cristiane, presenti in Ticino, di assistere alle sue riunioni come
osservatori. L’invito fu accolto con gioia e interesse, anche per quanto riguarda la
partecipazione, diventata regolare dal 1985, di loro ministri o rappresentanti ufficiali
alla celebrazione ecumenica organizzata ogni anno in occasione della Settimana di
preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio).
LA COMUNITÁ DI LAVORO DELLE CHIESE
Un’altra pietra miliare per l’ecumenismo in Ticino è stata la fondazione ufficiale,
il 23 gennaio 2000 nella cattedrale di Lugano, della Comunità di lavoro delle Chiese
cristiane nel Cantone Ticino, formata dalle seguenti dieci Chiese: anglicana; apostolica
armena; cattolica cristiana; cattolica romana; copta ortodossa; evangelica battista;
evangelica riformata; luterana svedese (poi ritiratasi in seguito a una riorganizzazione
sul piano svizzero), ortodossa e siro-ortodossa. Questa Comunità di lavoro, che ha
sostituito la Commissione ecumenica di dialogo, è stata il frutto della sempre
maggiore collaborazione con le Chiese e Comunità cristiane che, in precedenza, erano
solo osservatrici.
Nel nuovo organismo ogni Chiesa può inviare, a scelta, da uno a quattro
delegati, ma sono tutte paritetiche poiché ciascuna può esprimersi con un solo voto.
Situazione classica nei consessi ecumenici, le risoluzioni (per le quali è richiesta
l’unanimità) hanno carattere consultivo e non possono essere imposte alle Chiese. In
ogni caso, la costituzione della Comunità di lavoro è stata il compimento di un iter
26
assai lungo: formazione di un gruppo di lavoro; procedura di consultazione; scrittura e
riscrittura degli statuti, loro approvazione dalle autorità delle Chiese e infine firma, da
parte di queste stesse autorità o di loro rappresentanti, dell’atto di fondazione.
UNA SITUAZIONE IN CRESCITA
In linea di massima, la situazione ecumenica nella nostra Diocesi può
considerarsi abbastanza soddisfacente, tenuto conto che la Chiesa cattolica che è in
Svizzera e, a fortiori, la Diocesi di Lugano, devono attenersi alle direttive di Roma o,
se vogliamo, della Chiesa universale: ciò che nel dialogo con i Riformati, in particolare,
che hanno un’ecclesiologia completamente diversa, costituisce una delle principali
difficoltà.
Su un punto, si è andati addirittura oltre quanto prescritto dai documenti
vaticani: con un decreto del 31 dicembre 1983, e tuttora in vigore, il vescovo di allora,
mons. Ernesto Togni, ha ritenuto di poter dispensare i cattolici dall’obbligo della
partecipazione alla Messa quando, nella domenica che cade durante la settimana di
preghiera per l’unità dei cristiani, partecipano ad una liturgia ecumenica.
D’altra parte, è chiaro però che molte cose restano da fare. In una situazione
come la nostra, dove c’è una grande Chiesa maggioritaria (la cattolica-romana) a
fronte dell’altra Chiesa riconosciuta di diritto pubblico (l’evangelico-riformata),
raramente si riesce a far passare una vera e propria mentalità ecumenica nell’agire
quotidiano dei preti e delle parrocchie (anche se Giovanni Paolo II° ha più volte
ribadito che l’ecumenismo non è un optional).
DUE ASPETTI ANCORA DISATTESI
A mio avviso, due punti ritenuti estremamente importanti dal Sinodo ’72 sono
stati quasi completamente disattesi: la pastorale delle coppie miste (o
interconfessionali, come preferiscono chiamarle i protestanti) e la questione
dell’ospitalità eucaristica. Se è vero che per la celebrazione ecumenica del matrimonio
non ci sono più problemi (c’è anche una liturgia ufficiale pubblicata in tre lingue nel
1993-1994), per quello che viene dopo in Ticino si è in alto mare.
Negli anni passati, un tentativo di pastorale ecumenica per le coppie
interconfessionali, con l’assistenza di un prete e di un pastore, allestito dalla
Commissione ecumenica di dialogo, è naufragato dopo poche riunioni. Quanto
all’ospitalità eucaristica, che interessa di primo acchito proprio chi, nella stessa
famiglia, è di confessione diversa, è un punto irrisolto anche a livello di Commissione
teologica nazionale di dialogo tra cattolici e riformati.
LA QUESTIONE DELL’INSEGNAMENTO RELIGIOSO
Un ultimo punto, che è fortemente risaltato nelle riunioni della Comunità di
lavoro, è quello relativo all’insegnamento religioso nelle scuole pubbliche. In una
situazione di sempre maggiore “promiscuità confessionale”, si sente l’urgenza di
giungere ad un insegnamento religioso ecumenico. Primi passi per tentare di andare in
questa direzione, o perlomeno per sensibilizzare gli addetti ai lavori, sono già stati
intrapresi dalla Comunità di lavoro.
Di questi tempi, si sente spesso dire che l’ecumenismo viaggia a due velocità:
quella degli alti livelli e quella sul piano nazionale, regionale e locale, che va molto
meglio. È quello che succede, grazie al cielo, anche da noi.
Gino DRIUSSI
Commissione per l’ecumenismo
della Chiesa evangelica riformata nel Ticino (CERT)
27
La commissione è un organo della nostra Chiesa cantonale, nominata dal
Consiglio sinodale. Attualmente è composta da 7 membri. Le (i) delegate (i)
rappresentano le 3 Comunità membro (Comunità di Bellinzona e dintorni, Comunità di
Locarno e dintorni, Comunità del Sottoceneri) e i vari organi della CERT (Consiglio
sinodale, Consigli di Chiesa, Capitolo dei ministri, Commissione per l’insegnamento
della religione evangelica nelle scuole pubbliche). Dall’interno dei suoi membri, la
commissione designa i delegati alla “Comunità di lavoro delle Chiese cristiane del
cantone Ticino” (CLCCT).
La Commissione per l’ecumenismo della Chiesa evangelica riformata lavora
nella forma attuale a partire dall’anno 2000. Anno che vede la nascita della CLCCT, la
quale sostituisce la Commissione ecumenica di dialogo, organismo ufficiale della
Diocesi cattolica di Lugano e della CERT. Da allora la nostra Commissione per
l’ecumenismo funge da anello di collegamento. Da un lato cerca di indicare, sostenere
o promuovere iniziative che sorgono all’interno della CERT, dall’altro fornisce ai suoi
membri tutte le informazioni che provengono dalla Comunità di lavoro, concernenti le
tematiche trattate e le attività programmate. Di tutte queste, elenco solo le
manifestazioni che sono diventate ”appuntamenti fissi” sul calendario ecumenico e che
sosteniamo volentieri con la nostra collaborazione:
- celebrazione per il Festival del film di Locarno;
- celebrazione per la Festa Federale;
- celebrazione per la Settimana di Preghiera dell’Unità dei Cristiani.
Un altro appuntamento che riteniamo importante, visto che il tema “scuola e
insegnamento” è scottante, è quello della giornata di formazione per le docenti
cattoliche e protestanti. Tutti questi incontri costituiscono una buona occasione per la
conoscenza reciproca, fondamentale per il nostro lavoro.
Maya ROSSELLI
28
Personalità dell’ecumenismo in Svizzera:
Otto Karrer, Johannes Feiner, Heinrich Stirnimann
Otto Karrer (1888-1976)
Si tratta di una storia drammatica come Otto Karrer divennne un protagonista
dell’ecumenismo nella Svizzera tedesca ed inoltre in tutti i paesi di lingua tedesca.
Questa via non gli era preconosciuta. C’erano da mettere in conto crisi e rotture nella
sua esistenza di sacerdote. La vita lo proiettò fuori dai binari di un’esistenza ordinata
di religioso e lo spinse in un’altra direzione che in effetti non corrispondeva ai progetti
che si faceva in merito alla sua vita.
Otto Karrer, figlio di un piccolo contadino e viticoltore, nacque il 30 novembre
1888 a Ballrechten nei pressi di Staufen nella Foresta Nera. Frequentò il liceo a
Friburgo in Brisgovia. Era un giovane dinamico che si dedicava con piacere al lavoro.
Entrò 1910 nell’ordine dei Gesuiti ad Innsbruck dove frequentò il noviziato e percorse
il lungo iter di studi previsto dalla formazione gesuita. Nel 1920 fu ordinato sacerdote
a Valkenburg (Paesi Bassi). I superiori della Compagnia di Gesù si resero conto del
suo talento. Gli lasciarono mano libera per la sua attività letteraria. Quando nel 1921
fu pubblicata la sua biografia sulla vita del San Francesco di Borgia se ne parlava con
ammirazione nel mondo dei dotti.
Ricevette l’incarico di stendere la biografia di un altro gesuita, il cardinale
Roberto Bellarmino. Il modo in cui Bellarmino nel ‘700 si esprimeva riguardo ai
protestanti provocò scandalo in Karrer che era cresciuto nel Markgräflerland, una zona
confessionalmente paritetica, e abituato a vivere in buone relazioni con i protestanti. Il
fatto che lui non lo accettasse e che era intenzionato a criticarlo causò una discordia
con i superiori della comunità. Reagì con emozione ed entrò in un seminario di pastori
protestanti a Norimberga. Ma dopo poche settimane si accorse che ivi si
strumentalizzava la sua conversione come propaganda contro la Chiesa cattolica. Si
pentì e fece ritorno, già nel medesimo anno, nella Chiesa cattolica e dopo un lungo
periodo di pentimento e di attesa, gli veniva di nuovo concesso di celebrare la messa.
Nel 1925 il vescovo di Coira lo accolse quale sacerdote nella sua diocesi. Karrer
si trasferì in Svizzera. Visse da scrittore dapprima a Weggis e, dal 1928, a Lucerna.
All’interno dell’Ordine gli si era aperto un curriculum di ricercatore e di docente. Ma
adesso doveva ricorrere a trasferire la formazione religiosa alla quale si era dedicato
con grande forza convincente tanto che fu invitato in molti luoghi, in Svizzera ed
all’estero, e persino dai protestanti a predicare ed a tenere conferenze. La sua
predicazione alla messa domenicale alle ore 11 presso la chiesa di San Paolo a
Lucerna avrebbe attirato per quaranta anni una grande cerchia di ascoltatori. Cercava
di rendere accessibile in libri ed in saggi il tesoro delle diverse tradizioni di preghiera e
della fede praticata nella propria Chiesa. Una sua traduzione del Nuovo Testamento
nel 1950 diventò per molti cristiani di entrambe confessioni uno strumento che li
accompagnava lungo la loro via di comprensione della Sacra Scrittura. Preferiva
trattare questioni a cui gli altri teologi non osavano affrontare: il Cristianesimo e le
altre religioni mondiali, l’anima della donna, i miracoli, la preghiera e la provvidenza
divina, la libertà del cristiano.
La sua casa era sempre aperta a chi cercava un consiglio e per chi ancora non
aveva dimestichezza
a rivolgersi ad uno psicoterapeuta. Sebbene vivesse in
condizioni ristrette campando delle remunerazioni della sua attività di pubblicista e di
conferenziere, riusciva a condividere con i bisognosi. La sua casa era un rifugio per
emigranti tedeschi ed austriaci che fuggivano dal terrore del terzo Reich. Tutte queste
attività nella loro ampiezza e la risonanza che ebbero tra le persone che lottavano con
29
problemi di fede sollecitarono invidia e gelosia da parte di altre persone. Questi
riuscirono, nel 1942, a far mettere all’”Indice” il suo saggio “Preghiera, provvidenza,
prodigi”.
Questa misura ferì sicuramente Karrer e gli diede un senso di insicurezza.
Questa personalità, a cui non venne mai concessa la venia legendi presso le facoltà
teologiche né di Lucerna né di Friburgo, diventò nel 1950, insieme con Richard
Kraemer, pastore riformato di Sigriswil sopra il Lago di Thun, il fondatore dei gruppi di
lavoro ecumenici. Questi gruppi rimasero poi molto importanti per una intesa con i
riformati, creando una base per contatti ufficiali tra le autorità delle Chiese e per la
formazioni di diverse commissioni di dialogo. Sovente oggetto di diffidenze, Karrer
tuttavia non temeva mai di esporsi. Ma non voleva neanche minimizzare la realtà della
separazione delle Chiese accattivandosi una simpatia immaginaria, un atteggiamento
che avrebbe soltanto recato danno alla causa dell’ecumenismo. Così lui era tra i primi
che interpretarono il papato nel senso di un servizio dell’apostolo Pietro. Guardando
alla devozione originaria che i riformatori dimostrarono verso Maria si rivolgeva contro
credenze cattoliche di una venerazione della Madonna che non aveva nessun
fondamento.
Karrer è stato anche uno dei fondatori della Società di teologia in Svizzera
(Theologische Gesellschaft der Schweiz, 1964) che costituiva la prima piattaforma per
contatti tra teologi riformati e cattolici.
Il testamento spirituale che Otto Karrer ha lasciato si manifesta nel suo
impegno per l’ecumenismo nato da una spinta interiore e spirituale. “I teologi sono
magari indispensabili per la causa dell’ecumenismo, ma si tratterebbe di schietto
intellettualismo da parte di coloro che considerano la questione ecumenica una
questione esclusivamente teologica. … L’impegno per l’unità dei cristiani non è in
primo piano causa di una prudente politica delle Chiese ma soprattutto di un cuore
che crede ed ama”.
Si asteneva dal proiettare il fallimento umano soltanto sull’autorità suprema
cioè il papa e la curia romana. Gli era estraneo un ragionamento del genere di mettere
biasimo nei confronti di una Chiesa ministeriale cattiva e meschina anche se questa
stessa Chiesa lo aveva infatti trattato con meschinità.
Quindi il Concilio Vaticano II° (1962-1965), convocato dal papa Giovanni XXIII,
Karrer lo poteva considerare il concilio suo che svelò le idee per le quali Karrer aveva
ancora lottato e sofferto. Quando, una volta, gli fu chiesto come mai reagisse di fronte
a tutte le ostilità cagionate da confratelli nella Chiesa, egli rispose con un sorriso: “Si
deve essere disposto ad entrare insieme con Cristo nel profondo della Chiesa”50.
Victor Conzemius
Johannes Feiner (1900-1985)
Johannes Feiner nacque a Zurigo il 7 giugno 1909 e crebbe nell’ambito nella
diaspora cattolica in una città riformata. Chiamato con il suo nome d’arte spirituale
“Johannes” rimase però nella cerchia della sua famiglia lo (zio) “Hans”. Frequentò le
scuole a Zurigo fino alla maturità. Dal 1928 al 1936 studiò e si laureò presso la
Pontificia Università Gregoriana a Roma. Cominciò ad insegnare per un breve periodo
all’istituto cattolico “Internatskollegium” di Svitto. Dal 1939 al 1962 fu professore di
dogmatica e teologia fondamentale nel Seminario diocesano St. Luzi a Coira. Legata
alla cattedra c’era la responsabilità per la disciplina degli alunni che si chiamavano in
quell’epoca ancora seminaristi. Per molti anni fungeva quale “moderatore”, cioè il
50
Fonte: Liselotte Höfer unter Mitarbeit von Victor Conzemius, Otto Karrer. Kämpfe und Leiden für eine offene
Kirche, Freiburg i.Br. 1985; Otto Karrer. Theologe des Aggiornamento 1888-1976, hrsg. von der Otto-KarrerGesellschaft, Zürich 1989.
30
vicerettore del seminario. La sua attività era dunque l’insegnamento teologico e la
supervisione dell’istituto, riservato, in quell’epoca, esclusivamente ai candidati al
ministero sacerdotale.
Questa attività dava un’impronta particolare sia a generazioni di teologi che alla
propria persona che si contraddistingueva, nonostante la sua flessibilità spirituale, per
la sua pedanteria. Anche se Johannes Feiner si fosse aperto rispetto alla sua teologia
– un’apertura che si ripercuoteva con grande arricchimento nelle sue lezioni – le sue
direttive di disciplina non mutavano. I suoi metodi di educazione erano sempre
accompagnati da una diffidenza nuda e cruda che aveva portato dall’esperienza al
convitto teologico “Germanicum” di Roma per applicarla adesso al seminario.
L’insegnamento a St. Luzi si svolgeva fino agli anni ’60 in forma di lezioni cioè un
metodo unilaterale di didattica frontale. Alla fine di ogni semestre si esaminavano i
risultati di queste lezioni. Non si era interessati ad offrire una guida allo studio
scientifico indipendente, e non figuravano nel programma scolastico esercizi di attività
seminariale.
Nella città riformata la cattedrale, la curia del vescovo ed il seminario
formavano un mondo cattolico rinchiuso in sé. Non soltanto per questo motivo,
Johannes Feiner non si sentiva di casa a Coira. La sua città di riferimento era Zurigo.
Lì, nel 1954, gli si aprì una nuova attività che rispondeva alle sue qualità di docente. Il
futuro vicario generale di Zurigo, Alfred Teobaldi, fondò 1954 i “Corsi teologici per laici
cattolici”. Il loro concetto di base era la trasmissione della vasta gamma di conoscenze
fondamentali della fede cattolica a donne ed uomini di formazione accademica o con
un diploma di scuola media. Johannes Feiner diventò il primo direttore di questi corsi.
Era l’incarico ideale per le sue eccellenti qualità didattiche.
L’aria di risveglio della Chiesa mobilitò anche a Coira gli spiriti teologici. Nel
1957, poco prima del tramonto dell’era dei papi “Pio”, ed in occasione dell’anniversario
centocinquantesimo del seminario St. Luzi, i tre professori Johannes Feiner, Josef
Trütsch e Frank Böckle pubblicarono un volume importante con il titolo “Fragen der
Theologie heute” (Questioni della teologia di oggi). Questo libro riscuoteva una
risonanza notevole e positiva. Conteneva saggi di diversi autori di spicco su questioni
fondamentali della teologia sistematica e presentava una prospettiva istantanea delle
discussioni attuali, ancora in maniera molto prudente e scrupolosa ma tuttavia
ispirante.
Johannes Feiner non era autore di importanti visioni teologiche, ma si lasciava
ispirare ed animare, ed una volta contagiato con le nuove idee, vi rimaneva fedeli e le
applicava di continuo. Gli piacque soprattutto Karl Rahner, maggiore di lui di cinque
anni. Si appropriò dei suoi saggi e li trasmise nelle sue lezioni. Ricevette molti impulsi
teologici per il suo orientamento ecumenico da Karl Barth, ma anche dal concittadino
zurighese Emil Brunner.
Giunse l’annuncio sorprendente del Concilio Vaticano II° che diventò la grande
occasione per Feiner. Nel 1960 fu chiamato come consultore del “Segretariato per
l’unità dei cristiani” sotto la guida del cardinale Augustin Bea. Il Concilio diventò così il
suo campo di lavoro principale e la sua passione. Partecipò a tutte le sessioni e per gli
osservatori acattolici fungeva quale interprete del linguaggio latino-teologico come era
in uso al Concilio e nei laboratori cattolici e adoperato con connotazioni molto
differenti da parte dei rappresentanti delle diverse nazioni. Feiner prestò un lavoro
indipendente per il “Decreto sull’ecumenismo” attribuendovi il commento ufficiale.
Spetta a lui aver introdotto il termine della “gerarchia delle verità” nel decreto.
Collaborò alla “Dichiarazione sulla libertà religiosa” e alla “Dichiarazione sulle religioni
non cristiane”.
Dopo il Concilio, Feiner ritornò definitivamente a Zurigo per gestire dal 1966 al
1971 la Paulus-Akademie, un areopago moderno e tipico per l’epoca postconciliare che
offriva un foro aperto per incontri e discussioni teologiche e di stampo intellettuale.
31
Già prima del Concilio era maturato il piano per un’ampia enciclopedia teologica
che diventò una moderna Summa Theologiae dogmaticae. Feiner dedicò i suoi studi al
concetto di “storia della salvezza”. Grazie a questo concetto poteva liberarsi dal
pensiero scolastico-metafisico con la sua immagine statica di Dio sostituendola con
una interpretazione dinamica di Dio. Questa svolta sembrava a noi studenti di teologia
in quell’epoca una decisione nuova ed ultimativa, irreversibile e definitiva, e non
potevamo immaginarci che anche questo punto di partenza fosse stato oggetto di
critiche ogni tanto aspre.
Pubblicato sotto il titolo “Mysterium salutis” negli anni 1965 – 1976 dagli editori
Johannes Feiner e Magnus Löhrer, questo opus magnum offre in maniera
monumentale una visione generale della teologia dogmatica sotto l’aspetto della storia
della salvezza. A causa di una lunga malattia di Feiner il contributo di Löhrer a questa
opera diventò sempre più importante. La sigla “MySal” con cui si soleva circoscrivere il
titolo “Mysterium salutis” è forse un po’ equivoca, ma l’opera stessa rimane un
classico di importanza fondamentale per generazioni che trova il suo paragone nella
“Kirchliche Dogmatik” (La dogmatica della Chiesa) di Karl Barth con la quale Feiner si
misurava sempre. Un bellissimo frutto del suo impegno ecumenico è un catechismo
ecumenico con il titolo “Neues Glaubensbuch” (Un nuovo catechismo) che Feiner editò
insieme con Lukas Vischer.
Non si deve dimenticare il movimento di apertura che riempiva St. Luzi dagli
anni ’50 e di cui anche Feiner era un autore determinante. Al contrario della curia
vescovile di Soletta e di certi aizzatori presso la facoltà di teologia a Lucerna,
aleggiava uno spirito liberale e tollerante giù dal palazzo episcopale di Coira, con il suo
seminario. Hans Urs von Balthasar con la sua fama di dissidente temerario perché
aveva abbandonato l’ordine dei gesuiti, vi trovò “asilo” e il vescovo Christianus
Caminada lo incardinò nella diocesi di Coira. Anche Von Balthasar svolgeva un influsso
importante su Feiner. Lo stesso vescovo Caminada restava sostenitore comprensivo di
Otto Karrer, già prima pioniere dell’ecumenismo ed anche lui uscito dall’ordine dei
gesuiti e sospeso dalle funzioni sacerdotali per un periodo più lungo a motivo di un
suo breve soggiorno in un seminario per predicatori protestanti. Karl Rahner poteva
pubblicare alcuni volumi dei suoi “Schriften zur Theologie” con il “permesso di stampa
ecclesiastico della curia vescovile di Coira”. Johannes Feiner morì il 30 novembre
1985.
Albert Gasser
Heinrich Stirnimann OP (1920-2005)
Il 9 giugno 2005 moriva Padre Heinrich Stirnimann, o.p., uno dei protagonisti
ed architetti più importanti dell’ecumenismo in Svizzera. Heinrich Stirnimann, figlio del
pediatra Stirnimann, nacque il 15 giugno 1920 a Lucerna. Ivi frequentò le scuole;
conseguì la maturità presso la Scuola cantonale e cominciò gli studi di architettura al
Politecnico di Zurigo. Il suo senso per la bellezza e per l’estetica, il suo impegno a
favore dell’arte e di artisti lo avrebbe accompagnato per tutta la vita, anche quando
decise, nel 1942, di entrare nell’ordine dei dominicani.
Insieme con i suoi colleghi francofoni fu mandato nel noviziato a Chieri/Torino,
dove fece la sua prima professione il 22 novembre 1943. Dopo aver studiato per
alcuni anni all’”Angelicum” di Roma fu ordinato sacerdote il 20 giungo 1947. Celebrò
la prima messa nella Hofkirche di Lucerna. Studiò a Friburgo ed a Roma per laurearsi
in teologia. Su invito dei superiori irlandesi insegnò teologia sistematica per alcuni
semestri a Tailaght/Dublino.
Nel 1952 Heinrich Stirnimann fu nominato professore di teologia fondamentale
e apologetica all’università di Friburgo/Svizzera. Iniziò un periodo di quasi trent’anni di
32
attività accademica con numerosi incarichi all’interno dell’Ordine, nella Chiesa ed
all’università. Diventò, per esempio, membro del Consiglio provinciale e dal 1978 al
1981 priore della Comunità internazionale dell’Ordine a Friburgo.
Dal 1968 al 1971, nel periodo della rivolta studentesca, Stirnimann fu rettore
dell’università di Friburgo, e grazie alla sua apertura personale ed alla sua disponibilità
al dialogo non si verificava nessun eccesso violento all’università e si poteva discutere
sulle necessità degli studenti. Nel 1978 ricevette il dottorato honoris causa dalla
facoltà di teologia evangelica riformata dell’università di Berna che apprezzava i meriti
dell’“architetto attivo, intelligente e paziente di una collaborazione fraterna e della
crescente unità delle confessioni nel nostro paese”.
Fu veramente l’architetto dell’ecumenismo in Svizzera. Già nel 1962 il vescovo
di Losanna, Ginevra e Friburgo Mons. François Charrière lo aveva chiamato quale
esperto teologo alla prima sessione del Concilio Vaticano II°. Fondò nel 1964
all’università di Friburgo l’Istituto per studi ecumenici e lo ampliò con un grande
impegno personale e grazie alla sua caratteristica capacità di entrare in contatto con
gli altri e dar loro impulsi al dialogo. Dal 1966 al 1976 fu co-presidente da parte
cattolica della Commissione di dialogo evangelica/cattolico-romana (ERGK) fondata
dalla Conferenza dei vescovi svizzeri e dalla Federazione delle Chiese protestanti della
Svizzera. I suoi contatti e le amicizie con i protagonisti del movimento ecumenico
come Lukas Vischer ed il metropolita Damaskinos condussero a risultati importanti per
l’ecumenismo in Svizzera. Pubblicò collane teologiche per offrire l’occasione d’una
discussione teologica sull’unità dei cristiani. Tramite viaggi a Ginevra mostrò ai suoi
studenti quanto erano importanti il dialogo ed il lavoro per l’unità dei cristiani.
Raccomandava vivamente ai suoi studenti di discutere queste questioni sul futuro
della Chiesa.
Nel 1982 i confratelli del convento dei dominicani a Lucerna elessero Heinrich
Stirnimann quale priore. Nel 1988 si trasferì al convento di Ilanz dove diventò
direttore spirituale fino al 2000, per passarvi poi il riposo segnato da malattia. Negli
ultimi anni condusse una vita contemplativa, dedicandosi allo studio della mistica. Le
pubblicazioni e le conferenze su “Bruder Klaus” e “Marjam” testimoniano che pure in
quest’ultima fase della vita fu interlocutore vicino a molte persone.
Joachim Müller
33
Ecumenismo oggi e domani
Dopo l’euforia il realismo
Nel 1989 si festeggiò sul piazzale della cattedrale di Basilea la conclusione della
prima Assemblea ecumenica europea, dal tema “Pace nella giustizia per tutto il
creato”. Un ecumenismo nato dall’esperienza individuale. L’Europa si trovava dinanzi a
grandi cambiamenti e nella cospicua presenza di credenti provenienti dalla Repubblica
democratica tedesca si faceva sentire una forza di trasformazione. Infatti nel
novembre 1989 cadde il muro di Berlino. Una nuova era, caratterizzata da incontri tra
est ed ovest, poteva cominciare. L’ecumenismo era in un momento favorevole grazie
alle possibilità politiche: “Giustizia e pace si baceranno” (Salmo 85, 11). Davvero?
I temi discussi e celebrati a Basilea continuavano a vivere in parecchie iniziative
sia sul piano locale che internazionale. Però l’euforia per la libertà riconquistata, come
si era manifestata a Basilea nel 1989, cedette al realismo. La trasformazione
democratica della società viene ostacolata da un nazionalismo diffuso; i presagi di un
nuovo benessere per pochi non possono far tacere le voci che pretendono un ordine
economico giusto, visto che lo iato tra ricchi e poveri era diventato più profondo pure
in Europa. L’ecumenista Ernst Lange, morto nel 1974, parlava di tre grandi croci che
l’ecumenismo e soprattutto il Consiglio Ecumenico delle Chiese (ÖRK) avrebbero
dovuto portare:
- la croce della crescente lacuna di affidabilità, quando il consenso che dovrebbe
essere convincente rimane soltanto un consenso riguardo alle parole, senza
spronare la pratica,
- la croce della duplice impotenza delle Chiese, perché il Consiglio Ecumenico non
è in grado obbligare le Chiese membro ad agire, essendo queste ultime legate,
per le loro strutture, alla particolarità di ogni Chiesa locale,
- la croce del fatto che l’ecumenismo si svolga lontano dalla base delle comunità
locali e che una trasformazione nella praxis pietatis di ogni giorno sia difficile da
realizzarsi.
L’atteggiamento della Chiesa cattolica
Qual è l’atteggiamento principale con cui la Chiesa cattolica partecipa oggi a
questa evoluzione? Come vuole mantenere gli impegni che aveva assunto
irreversibilmente in occasione del Vaticano II° per incamminarsi sulla via
dell’ecumenismo? L’ecumenismo è sempre un atto mediante il quale le Chiese
obbligano sé stesse con il fine dell’unità visibile. L’ecumenismo è pure l’atto
dell’espropriarsi, a patto che le Chiese siano disposte a scoprire reciprocamente le
proprie ricchezze per imparare a conoscere ed a vivere ciò che hanno in proprio. Ma
appunto da questo, per la Chiesa cattolica, risulta una tensione, per il fatto che essa
fonda la propria identità sul mistero dell’unica Chiesa di Gesù Cristo da vivere nella
comunione con i battezzati i quali confessano lo stesso credo e celebrano gli stessi
sacramenti, sottostando alla guida dei vescovi ed in comunione con il successore di
Pietro, assieme a tutte le diverse Chiese particolari legate l’una all’altra. Tuttavia non
tutte le comunità cristiane condividono questa identità della Chiesa e questa visione
del fine del movimento ecumenico.
Non più che un filo di speranza per l’ecumenismo.
Come noto il Vaticano II°, nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa “Lumen
gentium”, voleva evitare una completa identificazione della Chiesa cattolica con la
futura natura dell’unica Chiesa che tutte le Chiese stanno attendendo. Infatti si
34
sottolineava “la totalità della verità rivelata, dei sacramenti e del ministero, dati da
Cristo per l'edificazione della sua Chiesa e per il compimento della missione che le è
propria, si trova nella comunione cattolica della Chiesa”51. Ma, insieme, il Concilio ha
potuto dire che si possono trovare pure al di fuori dell’organismo della Chiesa cattolica
“parecchi elementi di santificazione e di verità, che, appartenendo propriamente per
dono di Dio alla Chiesa di Cristo, spingono verso l'unità cattolica”52: il battesimo
comune, la fede in Gesù Cristo, l’annuncio della Parola di Dio, la vita secondo i carismi
dello Spirito, la pratica liturgica. Questo è più che soltanto un filo di speranza
ecumenico: è un’affermazione ecclesiologica di primo rango.
Certo, “l’insensatezza e il peccato degli uomini”53 hanno causato discordia sul
piano della dottrina e dell’ordine provocando scismi nella storia. La colpa non è mai da
cercare soltanto da una parte. Non sempre è possibile renderne responsabili solo gli
altri. È più importante accettare adesso che ci sia tra le Chiese ancora separate una
communio vera pur in parte rotta e che essa “dovrebbe crescere verso la piena
comunione nella verità e nella carità” – come scrisse il papa Giovanni Paolo II° nella
sua enciclica “Ut unum sint” (1995) sull’ecumenismo54. Per ecumenismo non si
intende semplicemente l’abolizione delle separazioni, bensì il ritrovamento e la nuova
realizzazione di una comunione che ci è stata data in realtà mediante il battesimo e
che non era mai andata perduta del tutto!
La comunione in cammino si manifesta nella preghiera e nel dialogo
Su questo sfondo due caratteristiche del cammino ecumenico ricevono un
significato particolare: la preghiera per l’unità ed il dialogo. L’ecumenismo vive in
ultima analisi grazie alla preghiera di Gesù per l’unità. Nella preghiera in comune si
manifesta la comunione in cammino. Nei suoi documenti sull’ecumenismo degli ultimi
anni, la Chiesa cattolica ha sviluppato una pedagogia ed un profilo teologico di
dialogo. Il dialogo ecumenico non si limita ad essere un mero esercizio accademico,
ma vuol essere uno scambio tra fratelli che si contraddistingua per le seguenti
caratteristiche: l’impegno personale motivato dalla fede, la fedeltà verso il Vangelo ed
il rispetto reciproco per la coscienza e le convinzioni individuali dei partner di dialogo.
Mettendo l’accento sull’importanza che ha il metodo del dialogo per l’ecumenismo
nella ricerca della verità, la Chiesa cattolica odierna non può amministrare la verità
dettandola dall’alto. L’annuncio e la promessa della verità richiedono un
appropriamento personale che si fonda nella fede sperimentata da tutta la comunità.
Domande all’identità delle Chiese
L’enciclica sull’ecumenismo percepisce in maniera differenziata il crescere nella
comunione con le Chiese orientali (“le Chiese sorelle”) e quella con con le altre Chiese
e comunità ecclesiali nate dalla Riforma, apprezzando questo processo come frutto del
dialogo. I temi che vanno enucleati sul cammino verso una vera concordanza sono
profondamente radicati nell’identità propria di ogni Chiesa. Eccoli:
 le relazioni tra sacra Scrittura, suprema autorità in materia di fede e la
Tradizione, interpretazione indispensabile della Parola di Dio;
 la concezione dell’Eucaristia;
 l’ordinazione, come sacramento, al ministero nei suoi tre ordini (vescovo,
sacerdote, diacono);
 l’importanza del magistero della Chiesa;
Direttorio per l'applicazione dei principi e delle norme sull'ecumenismo, Nr. 17.
Lumen gentium, n. 8.
53
Direttorio, n. 18.
54
Ut unum sint, n. 14.
51
52
35
la vergine Maria, madre di Dio ed icona della Chiesa55.
È importante l’affermazione che le Chiese nel cammino ecumenico non
impongano nessun altro obbligo oltre a quelli indispensabili. In più si richiede uno
sforzo particolare di applicare effettivamente i risultati dei dialoghi alla vita della
Chiesa. A questo scopo i vescovi dovrebbero entrare in interazione con i teologi e con
le facoltà teologiche.

Il primato del vescovo di Roma
Non rimangono queste riflessioni troppo teoriche e non falliscono
concretamente sulla questione del primato del papa ed sulla concezione del ministero
petrino, una questione che sembra ancora dividere le Chiese? Si ricordi
l’incomprensione, anche in seno alla stessa Chiesa cattolica, che suscitò la Lettera
rivolta nel 1992 ai vescovi cattolici su alcuni aspetti della Chiesa intesa come
communio. In questa circolare si sottolinea che “dobbiamo vedere il ministero del
Successore di Pietro non solo come un servizio "globale" che raggiunge ogni Chiesa
particolare dall'"esterno", ma come già appartenente all'essenza di ogni Chiesa
particolare dal "di dentro"”56.
Se ne possono notare i punti positivi:
 Il papa, nell’enciclica “Ut unum sint”, parla di sé sempre nel senso di vescovo di
Roma, Identificando la potestà del ministero in funzione dell’unità della Chiesa.
 Chiede scusa alle altre Chiese per il fatto che il suo ministero sia per loro un
ostacolo e gravato da ricordi dolorosi a motivo alla storia.
 Il primato del vescovo di Roma non è più un tabù per l’ecumenismo: Giovanni
Paolo II° invita ad un “dialogo fraterno, paziente, nel quale potremmo ascoltarci
al di là di sterili polemiche”57, per trovare insieme una forma adeguata
dell’esercizio del primato.
 La posizione del vescovo di Roma si spiega perché egli è il vescovo della Chiesa
che conserva l'impronta del martirio di Pietro e di quello di Paolo58.
Grazie al loro rifiuto dell’infallibilità papale e del primato sulla giurisdizione della
Chiesa cattolica, le Chiese ortodosse aiutano a chiarire che queste due affermazioni
non sono da considerare come imposte in modo esterno alla Chiesa. Le Chiese della
Riforma, al momento, danno soltanto un’importanza limitata all’unità visibile nella
fede che si manifesta nel ministero petrino. La loro concezione sinodale di una
episcopé ecclesiale implica una distanza scettica verso ogni forma di guida per la
Chiesa in cui il ministero ordinato e la giurisdizione sono contenuti in una persona.
Pure questo dissenso aiuta la teologia cattolica a chiarire in quale relazione l’autorità
papale sta con i vescovi e con la potestà di tutti i figli di Dio.
Quanto dura ancora il cammino?
A conclusione della sua enciclica, il vescovo di Roma parla di una nuova epoca
di grazia ecumenica. Siamo incoraggiati nel richiamare alla memoria la grande visione
dell’unità di tutte le Chiese e di fare quei piccoli passi che sono necessari per il
cammino verso l’unità.
Quanto dura ancora il cammino? Probabilmente non è possibile darne una
risposta concreta. Perché questo cammino è il cammino della Chiesa stessa, il
cammino destinato all’uomo che vive nella sua miseria ed ha bisogno della salvezza, il
cammino che conduce al Padre mediante il Figlio nello Spirito. Quanto dura questo
cammino? Il Consiglio ecumenico delle Chiese si comprende come uno strumento del
55
Cfr. Ut unum sint, n. 79.
Communionis notio, n. 13.
57
Ut unum sint, n. 96.
58
Ut unum sint, n. 90.
56
36
movimento ecumenico per rendere visibile che la comunione dell’una Chiesa,
dell’unico corpo di Cristo sia dono e vocazione rivolti a tutte le Chiese. La Chiesa
cattolica si intende una comunione cattolica di Chiese che abbraccia tutta la terra e
nella quale questa unica Chiesa, pur in maniera imperfetta e frammentata, è diventata
una manifestazione storica. Questa unica Chiesa non deve essere fatta – esiste già,
anche se non priva di errori e di debolezza umana. La sua verità si lascia quasi
palpare: nella figura fragile di uomini caduchi che si possono criticare, e nei segni
semplici nei quali l’amore di Dio verso gli uomini è effettivamente presente. Ci unisce
ciò che abbiamo già in comune: il battesimo e la fede confessata in Lui che è la nostra
pace. Già adesso viviamo nella forza dello Spirito Santo, ed il medesimo amore del
Padre attende il nostro ritorno.
Quanto dura ancora il cammino? Non di più che fino a questo centro.
Guido Vergauwen OP
37
Una fede – Un battesimo
“Il
santo battesimo è in testa a tutti i sacramenti, il portale che immette nella
vita spirituale. Poiché mediante esso diventiamo membri di Cristo e siamo inseriti nel
corpo della Chiesa” (Concilio di Firenze, 1439)59.
Il sacramento del battesimo
Come l’elemento visibile fa parte della nostra esistenza umana così appartiene
anche alla fede la visibilità della comunione nella fede. La Chiesa, in quanto corpo di
Cristo (1 Corinzi 12) e popolo di Dio (1 Pietro 2), deve quindi essere segno visibile,
cioè “sacramento dell’unità salvifica” (Concilio Vaticano II°). Con questo non si
intende soltanto riferirsi alla Chiesa locale, vissuta in maniera immediata, bensì alla
comunione nella fede che si estende per generazioni e su tutti i continenti della terra.
“In ogni tempo e in ogni nazione è accetto a Dio chiunque lo teme e opera la giustizia
(cfr. At 10,35). Tuttavia Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente
e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo
riconoscesse secondo la verità e lo servisse nella santità... Dio ha convocato tutti
coloro che guardano con fede a Gesù, autore della salvezza e principio di unità e di
pace, e ne ha costituito la Chiesa, perché sia agli occhi di tutti e di ciascuno, il
sacramento visibile di questa unità salvifica.”60
Il mandato della Chiesa è l’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo mediante la
parola (predicazione, insegnamento) e mediante il servizio agli uomini (diaconia) ed i
sacramenti. I sacramenti sono atti che racchiudono un simbolo, che tramandano un
segno indicando con questo la salvezza in Gesù Cristo e rappresentandola. Nei
sacramenti il divino si incontra con l’umano. Sono radicati nelle situazioni di vita
importanti e danno nella luce della fede una forma ai momenti fondamentali della vita.
La Chiesa cattolica ne conosce sette: il battesimo, la cresima, l’Eucaristia, la
penitenza, l’unzione degli infermi, l’ordine sacro ed il matrimonio.
Il battesimo è il portale che immette nella Chiesa cristiana. Nell’etnologia e nella
storia delle religioni si usano i termini iniziazione, introduzione e consacrazione per
specificare la trasformazione radicale dello stato della vita presente - sia sociale che
religiosa - e per indicare il passaggio in un’altra dimensione della vita. Il Concilio
Vaticano II° (1962-65) utilizza il termine “sacramento di iniziazione” per il battesimo.
L’iniziazione è il primo ed eccellente atto del processo di incorporazione e di
socializzazione religiosa. Per diventare cristiano è necessaria la comunione credente
dei cristiani e delle cristiane, cioè un luogo della manifestazione concreta della fede e
della speranza. Quindi nel battesimo non siamo soltanto collegati con Gesù Cristo, con
la sua morte e resurrezione. Siamo pure accolti in una comunione. Vuol dire che con il
battesimo ha inizio il radicarsi nella comunione di fede, con le sue forme di vivere la
vita, con le sue concezioni dei valori e con i suoi comportamenti. L’incontro personale
con Dio è collegato con la trasmissione del credo tramandato e manifestato dal
“popolo di Dio”, il quale cammina attraverso la storia dal principio fino al nuovo
mondo di Dio, cioè al “Regno di Dio” annunciato da Gesù. Di conseguenza, il
battesimo non è conclusione né possesso bensì inizio di una via ed obbligo continuo di
condurre la vita nella comunione (communio) dei credenti.
Il significato del battesimo nel Nuovo Testamento
59
60
Decreto degli Armeni – risalente a Tommaso d’Aquino
Lumen gentium, n. 9.
38
Nel Nuovo Testamento, la fede ed il battesimo si appartengono
inseparabilmente. Sono due aspetti di un’integrità indivisibile. Le seguaci ed i discepoli
di Gesù non erano battezzati da Gesù, bensì da Giovanni, come anche Gesù con il
battesimo della remissione dei peccati. Il loro battesimo è stato l’esperienza dello
spirito nel giorno di Pentecoste, “come di fuoco”, secondo gli Atti degli apostoli
(capitolo 2). Nella potenza dello Spirito annunciarono poi la buona novella di Gesù,
cosa che stupì gli ascoltatori: “All’udir tutto questo si sentirono trafiggere il cuore e
dissero a Pietro e agli altri apostoli: “Che cosa dobbiamo fare, fratelli?” E Pietro disse:
“Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la
remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo” (Atti degli
apostoli 2, 37-38).
Convertirsi significa credere, iniziare daccapo, fare una svolta nella vita. Questa
svolta riceve un nome: Gesù Cristo. È a Lui che appartiene il credente. Il battesimo
rende visibile il nuovo inizio mediante la remissione dei peccati e il dono dello Spirito.
Il rito con l’acqua mostra la promessa adempiuta degli ultimi tempi: “Vi aspergerò con
acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti i
vostri idoli; vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò
da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e
vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie
leggi” (Ezechiele 36, 25-27).
Così il battesimo suggella la conversione nella fede. Nella liturgia battesimale la
confessione di fede ha una funzione centrale e viene pronunciata sia da coloro che
richiedono il battesimo sia, nel caso di un bambino, dai genitori e dai padrini di
battesimo insieme alla comunità riunitasi al rito. Dopo la resurrezione di Gesù ed il
battesimo nello Spirito il giorno della Pentecoste, la comunità cristiana stessa cominciò
a battezzare. Essa vedeva nel battesimo un segno in cui si manifestava l’opera
salvifica di Gesù che era cominciata con il battesimo di Giovanni e veniva compiuta
mediante il battesimo della passione di Gesù e attraverso l’esperienza della
Pentecoste. Acqua e fuoco, prova e purificazione, tutto questo designa l’ingresso nella
comunità degli ultimi tempi. Con la resurrezione di Gesù si adempiono “i giorni della
salvezza” annunciati dai profeti. Per questo motivo il battesimo cristiano è diventato
segno di “essere salvo” (Marco 16,16) ed è divenuto “l’arca” che mise in salvo dal
diluvio Noé insieme con la sua famiglia (1 Pietro 3,20).
A differenza della circoncisione ebraica imposta ai maschi del popolo israelitico
per designare l’accoglimento nell’alleanza di Dio, si amministrava il battesimo cristiano
pure alle donne. E spesso si menziona, quando si parla delle persone con cui i
missionari entravano in relazione, che si lasciavano battezzare “con tutti quelli della
casa”. La casa antica era una vita comunitaria costituita da padre, madre, figli, ma
pure da schiave e schiavi. Il battesimo crea quindi una comunione egualitaria, cioè il
“corpo di Cristo”. Questo organismo rende i lontani vicini, è un luogo della
riconciliazione di contrasti, collega i battezzati con Cristo ed in pari tempo con la sua
Chiesa.
“E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo
corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito.” (1
Corinzi 12,13).
I simboli del battesimo
Nella Chiesa del cristianesimo primitivo il battesimo era chiamato
“illuminazione”, evidenziando il fatto che una persona comincia a “vedere chiaro”
quando incontra Gesù, o, come è scritto nel contesto della conversione di Paolo,
quando è liberato dal suo accecamento interiore: “E improvvisamente gli caddero dagli
occhi come delle squame e ricuperò la vista” (Atti degli apostoli, 9,18).
39
“Tutto quello che si manifesta è luce. Per questo sta scritto: “Svegliati, o tu che
dormi, déstati dai morti e Cristo ti illuminerà” (Efesini 5,14).
Nella liturgia del battesimo viene simboleggiato dalla candela del battesimo
accesa al cero pasquale.
La lettera di Tito parla invece del “lavacro della rigenerazione”: “Quando però si
sono manifestati la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini, egli
ci ha salvati … ma per sua misericordia mediante un lavacro di rigenerazione e di
rinnovamento nello Spirito Santo” (Tito 3,4-5). Secondo Paolo i credenti sono,
mediante il battesimo, partecipi al destino di Cristo, alla sua morte ed alla sua
resurrezione. È, per così, dire un “immergersi” nel suo destino, l’inizio di una nuova
creazione.
“O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati
nella sua morte? Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui
nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del
Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati
completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua
risurrezione.” (Romani 6, 3-5)
– Nella liturgia del battesimo ciò è simboleggiato dall’acqua versata sulla fronte del
battezzando. Nelle Chiese orientali si battezza secondo l’usanza del cristianesimo
primitivo praticando l’immersione.
Paolo si serve dell’immagine della veste per descrivere l’incorporazione nella
comunione con Cristo. L’immagine dell’indossare la veste designa l’obbligo personale
che nasce dal battesimo: la persona battezzata dovrebbe vivere come una “nuova
creazione” secondo l’esempio di Cristo.
“Poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più
giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché
tutti siete uno in Cristo Gesù.” (Galati 3,27)61.
Ovviamente questo mandato è una sfida continua. Quindi si parla pure del
combattimento e dell’equipaggiamento da guerra (Efesini 6,14-17).
– Nella liturgia del battesimo la veste bianca simboleggia questo dono che è nel
medesimo tempo un mandato.
Un'altra immagine è quella del “sigillo” e del “suggellamento”. Come la
circoncisione è segno del “suggellamento con la giustizia mediante la fede” da parte
di Abramo, così il battesimo è un unico “suggellamento” dei credenti. Nell’antichità si
rendeva visibile l’appartenenza degli schiavi al loro padrone per mezzo di un marchio
oppure di un tatuaggio. Nel libro biblico dell’Apocalisse il gran numero di redenti di
tutte le nazioni è contrassegnato dal “sigillo del Dio vivente” impresso sulla fronte
(Apocalisse 7, 1-4).
“È Dio stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo, e ci ha conferito l’unzione, ci
ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori” (2° lettera ai
Corinzi 1,21-22).
– Nella liturgia del battesimo si fa con il crisma (una miscela di olio d’ulivo con
balsamo) il segno della croce sulla fronte del battezzando. Si suggerisce di farlo
anche ai genitori ed ai padrini.
Agostino parlava, in seguito, del sigillo del battesimo oppure del carattere battesimale
(l’impronta) per render evidenti l’irripetibilità e l’appartenenza incancellabile alla
Chiesa di Gesù Cristo. “Grazie al carattere battesimale ogni persona cristiana e ogni
comunità cristiana appartengono inseparabilmente alla Chiesa nonostante tutti i
drammi che possono nascere dalla debolezza dei credenti”.62
61
Cfr. Romani 13,14, Efesini 4, 4-6; 4,24: „Dovete rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella
santità vera“.
62
J.M.Tillard, in: Neue Summe Theologie 3,1; Das sakramentale Handeln der Kirche, pag. 268.
40
–
Per questo motivo si amministra il battesimo soltanto un’unica volta senza
ripeterlo in caso di un passaggio da una confessione all’altra.
Il significato del battesimo per l’ecumenismo
Il battesimo è un legame che collega tutte le persone cristiane nonostante le
differenze confessionali. Perciò è reciprocamente accettato dalle grandi Chiese
svizzere in caso di conversione da una confessione all’altra a condizione che sia stata
usata la formula battesimale (“Ti battezzo in nome del Padre e del Figlio e dello Spirito
Santo”) con l’intenzione di agire in nome della Chiesa, e dell’elemento dell’acqua. Il
Concilio Vaticano II° ha constatato: “Il battesimo costituisce il vincolo sacramentale
dell'unità che vige tra tutti quelli che per mezzo di esso sono stati rigenerati. Tuttavia
il battesimo, di per sé, è soltanto l'inizio e l'esordio, che tende interamente all'acquisto
della pienezza della vita in Cristo. Pertanto esso è ordinato all'integra professione della
fede, all'integrale incorporazione nell'istituzione della salvezza, quale Cristo l'ha
voluta, e infine alla piena inserzione nella comunità eucaristica.” 63
Il battesimo è un segno visibile della fede e dell’accoglienza nella comunione di
fede ed ha quale scopo la partecipazione integrale alla comunione dell’Eucaristia.
Tuttavia, accettare il battesimo di un’altra confessione non significa automaticamente
la realizzazione integrale della comunione eucaristica. La comunione eucaristica non è
a disposizione arbitraria di una comunità locale come se fosse “realizzabile alla base”.
Anzi, nel dialogo ecumenico si deve percepire con rispetto le tradizioni di quelle
Chiese per le quali una comunione eucaristica integrale non è ancora possibile. Per la
Chiesa cattolica la comunione (communio) con le altre Chiese locali nel mondo è un
impegno che non si può mettere in pericolo con la realizzazione da parte di una
comunità locale d’una celebrazione comunitaria della Santa Cena. Anzi, è una
testimonianza più sincera sopportare i limiti dolorosi che sono ancora posti alla
realizzazione di una comunione finale. In questo modo si manifesta di attendere tale
unità, che non può essere “fatta” da noi. L’unità integrale può realizzarsi solo quando
diventiamo sempre più conformi a Cristo.
“Più tutti noi viviamo mediante lo Spirito di Gesù Cristo partecipando al suo
destino, più si scioglie anche la questione delle confessioni separate. Ma qui c’è anche
la grande difficoltà della sua realizzazione. Poiché diventare conforme a Cristo non è
semplicemente un nostro progetto né opera nostra: sempre che questa conformità si
realizzi con grandi sforzi, è anche un dono di Dio. Il battesimo porta con sé lo stimolo
a fare sempre ciò che conduce all’unità. Più corrispondiamo al battesimo progredendo
nella nostra esistenza cristiana, più diventiamo un’unica Chiesa di Gesù Cristo. Questa
è la meta della nostra fede, una meta che condividiamo e che abbiamo ancora davanti
a noi”.64
Il problema del battesimo dei fanciulli
Il battesimo dei fanciulli, probabilmente in analogia con il rito ebraico della
circoncisione, è documentato dal secolo II° quale battesimo di “tutti quelli della casa”.
Ma qual è esattamente il significato del battesimo di una persona minorenne?
“Il battesimo sacramentale, per mezzo della sua simbologia, contiene la grande
esperienza di tutta l’umanità”.65
Mediante la simbologia del battesimo si rende evidente che la fede penetra le
profondità del cuore umano e che la salvezza debba essere vissuta pure in maniera
fisica. Il battesimo di un fanciullo può essere manifestazione viva della “impazienza di
63
Vaticano II, Decreto sull’ecumenismo n. 22.
Th. Schneier, Was wir glauben. Eine Auslegung des Apostolischen Glaubensbekenntnisses, Düsseldorf 1985, pag.
434.
65
J.M. Tillard, loc. cit. 262.
64
41
Dio”, perché Dio dice il suo sì all’uomo prima che l’uomo possa confessare di tenere a
Dio. Siccome nel sacramento il segno dell’acqua è collegato con il dono dello Spirito,
c’è una forza che accompagnerà il bambino sul suo cammino della vita e della fede. Il
battezzando riceve il suo nome nel momento del battesimo come è già usanza nel rito
ebraico della circoncisione. Questo nome è il primo nome del bambino e rappresenta
la sua natura unica. Il fatto che si soleva dare, secondo una tradizione secolare, nomi
di importanti esempi di fede, sia cristiani sia biblici, implica che si metteva al fianco
del bambino un intercessore il quale appartiene alla comunione dei perfetti. Così si
manifestava la convinzione che mediante il battesimo apparteniamo alla grande
comunione dei santi.
All’epoca del cristianesimo primitivo i maggiorenni ricevevano al momento del
battesimo un nuovo nome. Il Nuovo Testamento rivela che al termine del nostro
cammino di vita riceveremo ancora una volta un nuovo nome: “Al vincitore darò …
una pietruzza bianca sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce
all’infuori di chi la riceve” (Apocalisse 2,17). Il nome è sempre manifestazione della
persona intrinseca che solo Dio conosce. Quando i genitori danno il nome al bambino
assumono la responsabilità di introdurlo nella fede finché non possa egli stesso
decidere sul proprio cammino. Il battesimo è quindi dono e mandato nello stesso
tempo.
Il battesimo è necessario per ottenere la salvezza?
È necessario il battesimo per ottenere la salvezza, come lo testimonia la
tradizione del cristianesimo primitivo? L’affermazione che il battesimo è necessario per
ottenere la salvezza significa che si voleva rendere concreta la fede accordandola al
significato universale di Gesù Cristo. Ma noi viviamo in una società multiculturale e
plurireligiosa, e ci si pone la domanda in che modo la volontà universale di Dio di
salvare gli uomini sia da conciliare con la valenza universale di Gesù Cristo, unico
mediatore tra Dio e gli uomini. Rimane fondamentale la convinzione della volontà
universale di Dio di salvare tutti gli uomini.
“Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della
verità. Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo
Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti” (1 Timoteo 2, 4-6).
Ciononostante l’amore di Dio, dal punto di vista cristiano, è legato a Gesù ed a
chi lo segue. Per questo motivo l’annuncio e la missione hanno un’importanza
essenziale per la Chiesa di Cristo. Come è possibile sciogliere la tensione? Si devono
rispettare ambedue: la libertà dell’uomo di decidersi circa la fede, e la sovranità di Dio
nella sua volontà di salvare tutti. Il Nuovo Testamento conosce diverse vie.
- La fede precede il rito del battesimo e viene “incarnata” (così negli Atti degli
apostoli 8,12: uomini e donne credono alla predicazione di Filippo e si fanno
battezzare).
- Il battesimo compiuto è il punto di partenza: il rito del battesimo, cioè
l’immersione nell’acqua, diventa un’immagine di come si evolve un’esistenza
cristiana nella condizione di un nuovo stile di vita, condotta nella fede. Il
battesimo crea la base per un nuovo inizio nella fede (così soprattutto la lettera
ai Romani 6,3-18).66
- Dove la Bibbia parla del battesimo quale “illuminazione” considera il battesimo
una fortificazione della fede. Il battesimo dona e risveglia la fede rendendo
l’uomo capace di “vedere”.67
Da principio la fede è un atto esclusivamente personale con cui si manifesta in
libertà l’adesione al Vangelo. La fede resta sempre un cammino: né la fede né il
66
67
Cfr. 1 Corinzi 10,1-13 e 6,1-11; 1 Pietro 3, 13-22.
Cfr. Lettera agli Ebrei 6,4; 2 Corinzi 4,6; Efesini 1,18 e 3,9; 2 Timoteo 1,10
42
battesimo sono da considerare una cosa conclusa quasi che l’avessimo dietro le
spalle.68
Il battesimo - un atto di confessione della fede
Il battesimo di una persona è sempre anche un atto mediante il quale si
conferma la comunione nella fede della Chiesa di Gesù Cristo. Nelle confessioni
autobiografiche (Confessiones) il dottore della Chiesa Agostino riferisce del battesimo
di un noto dottore di filosofia e di retorica in modo seguente: “Giunse l’ora di recitare
la confessione della fede. A Roma chi si accosta alla Tua grazia recita da un luogo
elevato, al cospetto della massa dei fedeli, una formula fissa imparata a memoria.
Però i preti, narrava l’amico, proposero a Vittorino di emettere la sua professione in
forma privata, licenza che si usava accordare a chi faceva pensare che si sarebbe
emozionato per la vergogna. […] Così, quando salì a recitare la formula, tutti gli
astanti scandirono fragorosamente in segno di approvazione il suo nome, facendo eco
gli uni agli altri, secondo che lo conoscevano. Ma chi c’era là che non lo conosceva?
Risuonò dunque di bocca in bocca nella letizia generale un grido contenuto: ‘Vittorino;
Vittorino!’; e come subito gridarono festosi al vederlo, così tosto tacquero sospesi per
udirlo. Egli recitò la sua professione della vera fede con sicurezza straordinaria. Tutti
avrebbero voluto portarselo via dentro al proprio cuore, e ognuno invero se lo portò
via con le mani avide dell’amore e del gaudio. ”69
Davanti alla comunità riunita, quest’uomo celebre recita la confessione della
fede che gli è stata spiegata durante il catechismo e che gli è stata “consegnata”. Con
essa aderisce ad una comunità di uomini che è stata emarginata e perseguitata a
motivo della fede ed alla quale appartenevano molte persone provenienti dai bassi
ceti. Si sente in questo racconto la gioia e l’emozione della comunità che è stata
fortificata per l’accoglienza di tale nuovo membro. Il rito del battesimo cominciava con
le parole: “Credi …” (latino: credis) – “Io credo …” (latino: credo). Il candidato
riceveva all’inizio del catecumenato il “simbolum” cioè la confessione di fede per
“restituirlo” (latino: redditio simboli), entrando così nella comunità di fede. La sua fede
era una risposta all’annuncio che gli era stato rivolto già prima. Essa era, in più,
l’affermazione di aver sperimentato ancora altri momenti della storia della salvezza,
un’esperienza che è diventata fondamento per la propria vita.
Marie-Louise Gubler
68
L’ultimo capitolo del Vangelo secondo Marco contiene una particolarità significativa nel contesto del mandato
universale del Risorto: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato
sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato” (Marco 16, 15-16). È un’appendice al Vangelo che risale al II° secolo.
Parla in un linguaggio duro, però evita di mettere in parallelo fede e battesimo. È sola la fede che decide di salvezza o
dannazione (nella parte negativa della frase manca il battesimo!). La fede stessa non si lascia giudicare dall’esterno. In
maniera analoga si distingue nel Vangelo la decisione per Cristo dall’aderenza alla comunità (con le parole “Chi non è
contro di noi è per noi” Gesù difende un taumaturgo forestiero, cfr. Marco 9,40; d’altro canto, secondo Matteo 12,30,
Gesù dice: “Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde.”) L’appartenenza a Gesù non è
identica con quella alla comunità.
69
Agostino, Confessioni VIII 2,5
43
Uniti nella fede – separati alla mensa del Signore?
La questione dell’ospitalità eucaristica tra la Chiesa cattolico-romana e le Chiese
della Riforma è attualmente considerata in genere una pietra d’inciampo che ostacola
il dialogo ecumenico. Un esempio: un giorno in una parrocchia della campagna del
Canton Zurigo la pastora riformata M. ed il parroco cattolico N. decidono di celebrare
insieme la Santa Cena. Dal punto di vista riformato, questa decisione non crea
problema, è anzi auspicabile. Dal punto di vista cattolico invece, il problema si
presenta in un’altra maniera. Al più tardi quando il parroco cattolico N. lascerà la
parrocchia e si trasferirà altrove e il successore che si presenta sarà persona non
molto aperta all’ecumenismo, tutti gli accordi stabiliti nel frattempo diventeranno
inutili. Chi è dell’avviso che un accordo sulla Santa Cena preso da due responsabili
pastorali manifesti un progresso ecumenico, si fa illusioni. Questo dipende dal fatto
che la parrocchia retta dal parroco N. non sarebbe veramente cattolica se non si
integrasse nel contesto universale della Chiesa cattolico-romana. La Chiesa cattolica è
cattolica proprio perché manifesta visibilmente l’unità.70 Questa situazione solleva
spesso un atteggiamento d’incomprensione e di rifiuto, poiché dagli anni ‘60 le Chiese
locali della Svizzera si dotarono sempre di più di strutture civili-ecclesiastiche elette
democraticamente. Nonostante ed a motivo di questa incomprensione si deve tener
conto di una dimensione dell’ecumenismo che è rilevante per la vita nelle comunità
senza manifestarsi però nel vissuto della parrocchia: l’ecumene della Chiesa
universale. Non tutto ciò che è rilevante per la vita nella comunità si lascia
regolamentare dall’ecumene a raggio universale.71 L’Enciclica “Ecclesia de Eucharistia”
è stata pubblicata attorno alla questione controversa della Santa Cena richiamando
questo punto dolente alla mente dei cristiani.
La questione dell’ospitalità eucaristica tra cattolici e protestanti è ovviamente
soltanto una componente dell’attuale dialogo ecumenico, perché è collegata
strettamente con l’interpretazione del ministero, della Chiesa, ed in generale
dell’ecumenismo.
Eucaristia e communio
Quando il Concilio Vaticano II° parla dell’Eucaristia quale “fonte e apice di tutta
la vita cristiana”72, diventa evidente l’importanza che l’interpretazione della Chiesa
cattolica attribuisce a questo sacramento. Nell’enciclica “Ecclesia de Eucharistia” il
papa Giovanni Paolo II° sottolinea con particolare insistenza la posizione primaria che
l’Eucaristia ha nella vita della Chiesa: “L'Eucaristia, presenza salvifica di Gesù nella
comunità dei fedeli e suo nutrimento spirituale, è quanto di più prezioso la Chiesa
possa avere nel suo cammino nella storia.”73
Quindi non ci si deve meravigliare che il timore e la venerazione nei confronti di
questo “sommo bene” solleciti di continuo il magistero della Chiesa cattolica nel
richiamare alla mente dei fedeli l’argomento spirituale e l’importanza centrale di
questo sacramento. Inoltre non ci si deve meravigliare che nella società postmoderna, numerosi fedeli comprendono sempre meno argomenti d’ordine spirituale,
anche se rivestono un’importanza centrale poiché, nella società post-moderna, i profili
che delimitano le confessioni ed il mondo secolarizzato diventano sempre più vaghi.
Cfr. Gottfried Locher, Ortsgemeinde und Weltkirche. Zum Stand der Ökumene: Erkenntnisse und Thesen für die
reformierte Schweiz (manoscritto 2003), pagina 5s.
71
Cfr. ibid. 7.
72
Lumen gentium, n. 11
73
Ecclesia de Eucaristia, n. 9.
70
44
Per questo motivo si tenterà qui di mettere in rilievo alcuni argomenti
dell’interpretazione cattolica dell’Eucaristia, ai quali si presta un’attenzione modesta.
Mentre i tre grandi temi fondamentali della dottrina dell’Eucaristia moderna – la
presenza reale, la transustanziazione, il carattere di sacrificio dell’Eucaristia – hanno
prodotto un certo avvicinamento delle posizioni cattoliche e e di quelle protestanti,
l’idea della Chiesa quale “communio” (comunione), rimessa a fuoco dal Concilio
Vaticano II°, risulta un argomento di discussione nel dialogo ecumenico che avrebbe
ancora bisogno d’essere chiarito.
L’accentuazione del carattere comunitario di ogni celebrazione eucaristica
contraddistingue l’interpretazione cattolica (ed ortodossa) dell’Eucaristia.74 La
comunione eucaristica dei fedeli con Cristo è, secondo l’interpretazione cattolica, non
soltanto la partecipazione personale a Cristo, ma nello stesso momento anche una
comunione dei fedeli tra di loro.
La Chiesa cattolica poggia la propria argomentazione soprattutto su Paolo, che
spiega la partecipazione dei fedeli al corpo eucaristico di Cristo quale comunione con il
suo corpo cioè la Chiesa: “Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse
comunione con il corpo di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione
con il corpo di Cristo? Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo
solo:tutti infatti partecipiamo dell’unico pane” (1Cor 10, 16-17). La partecipazione alla
celebrazione dell’Eucaristia ha quindi, secondo Paolo, accanto al suo carattere
personale soprattutto anche una dimensione ecclesiale (comunione della Chiesa). È
appunto attraverso l’Eucaristia che si manifesta l’edificazione della comunità. Secondo
Paolo la comunione di molti fedeli uniti nell’una Chiesa è costituita nell’unico pane
eucaristico e quindi nell’unico Cristo. Il Concilio Vaticano II° riprende nella stessa
maniera l’idea di ecclesialità della celebrazione eucaristica, accentuandola nella
Costituzione dogmatica sulla Chiesa: “Partecipando realmente del corpo del Signore
nella frazione del pane eucaristico, siamo elevati alla comunione con lui e tra di noi”.75
Il papa Giovanni Paolo II° l’ha ugualmente sottolineato nella summenzionata
enciclica.76
Proprio perché la comunione eucaristica dal profilo cattolico è sempre anche
comunione ecclesiale, l’Eucaristia non va celebrata senza l’unità integrale della Chiesa.
L’espressione visibile di questa unità integrale è la preghiera per la Chiesa e per i suoi
ministri, inserita nella Preghiera eucaristica: “Ricordati della Tua Chiesa diffusa su
tutta la terra, rendila perfetta nell’amore in unione con il nostro Papa [N..], con il
nostro vescovo […], il collegio episcopale, i presbiteri, i diaconi e tutti coloro che sono
chiamati a svolgere un servizio nella Chiesa”.
La questione del ministero
Questo contesto evidenzia che la questione della comunione eucaristica è
strettamente legata a quella del ministero. Secondo la dottrina cattolica, la
celebrazione dell’Eucaristia premette ministri degni di svolgerla con una consacrazione
valida.77 Questa pratica risale ai primordi della Chiesa. Il ministero triplice del
vescovo, sacerdote e diacono si cristallizzò già agli inizi. Il ministero non si costituisce
né per iniziativa privata né per incarico ricevuto da parte di una comunità locale o dai
responsabili della Chiesa. Ben più, il ministero viene tramandato da Cristo in un
sacramento particolare ad un individuo attraverso la preghiera e l’imposizione delle
mani. Scopo del ministero è pure quello di rappresentare che la Chiesa trae origine
dalla missione di Gesù Cristo. Ciò si manifesta soprattutto nella celebrazione
74
Ibid., n. 34-35
Lumen gentium, n. 7.
76
Ecclesia de Eucharistia, n. 21-24.
77
Ibid., n. 26-33.
75
45
dell’Eucaristia: il sacerdote celebra la Cena del Signore in seno alla comunità; per la
comunità; e insieme alla comunità e, nello stesso tempo, sta dinanzi alla comunità a
titolo di persona che agisce nel nome di Cristo: non quale cristiano di rango maggiore,
bensì quale preposto al servizio.
Inoltre, nella prospettiva della Chiesa cattolica, una Chiesa è collegata con
l’origine apostolica solo a condizione che essa possa far risalire il suo ministero
dall’inizio sino ad oggi entro una catena ininterrotta di ordinazioni mediante
l’imposizione delle mani e la preghiera.78 Una volta interrotta questa catena di
successori (la successione) in una certa Chiesa, essa non appartiene più alla
successione apostolica e non dispone più di un ministero validamente consacrato. La
Chiesa cattolica rivendica – benché non incontestata tra teologi – per sé stessa la
successione ininterrotta. Per le Chiese della Riforma il Decreto sull’ecumenismo del
Concilio Vaticano II° non ammette la successione apostolica, siccome esse “per la
mancanza del sacramento dell'ordine, non hanno conservata la genuina ed integra
sostanza del mistero eucaristico”79. Con questo appare evidente che l’interpretazione
diversa del ministero ordinato è un ulteriore ostacolo sul cammino verso la comunione
eucaristica.
Chi invita?
La spiegazione di cui sopra è un tentativo per mostrare l’importanza assoluta
che la dimensione ecclesiale della celebrazione dell’Eucaristia possiede per la Chiesa
cattolica. In contrasto con la dottrina cattolica, la teologia protestante più recente
mette altri accenti comprendendo la Santa Cena primariamente come dono di Dio e
della grazia del suo perdono per il singolo peccatore. La teologia protestante afferma
che è solo Cristo ad invitare alla Santa Cena. Da questo invito nessuno va escluso.
Quindi si contesta dall’inizio alla Chiesa il diritto di decidere chi possa partecipare alla
Santa Cena e chi no. La conseguenza di una tale interpretazione – rappresentata per
esempio dal celebre teologo Jürgen Moltmann – è un’interpretazione assolutamente
aperta della Santa Cena, che permette in extremis alle Chiese protestanti di invitarvi
in linea di principio tutti, e di non considerare nemmeno il battesimo la condizione
elementare per parteciparvi.
Una tale interpretazione della Santa Cena, aperta sia alle Chiese che al mondo
potrebbe a prima vista affascinare. Ma perde la forza della sua attrazione teologica
quando si comprende che è pagata al caro prezzo di abbandonare la dimensione
comunitaria dell’Eucaristia.80 È appunto l’abbandono della dimensione ecclesiale della
Santa Cena che la Chiesa cattolica considera un ostacolo per la celebrazione
comunitaria della Santa Cena tra cattolici e protestanti.
Prospettiva
Il punto nella discussione attuale sull’ospitalità eucaristica può avere un
carattere di disincanto, magari deludente. Ma in tale disincanto c’è anche una chance.
L’ecumenismo non ha un grande avvenire se cerca di ritrovarsi ricorrendo a
compromessi. La questione dell’ospitalità eucaristica richiede da tutti sincerità e
sensibilità, chiarezza sulle posizioni di partenza e la disponibilità di accettare che si
pongano domande critiche alla propria identità.
Potrebbe significare, per esempio, che la Chiesa cattolica ammetta la mancanza
di una sicurezza integrale del diritto canonico rispetto alla validità di tutte le
consacrazioni, visto che nel tardo medioevo e nel barocco qualche consacrazione era
contestabile sia per l’intenzione che per la forma. D’altro canto sarà necessario che le
78
Ibid., n. 28.
Decreto sull’ecumenismo, n. 22: Ecclesia de Eucaristia, n. 30.
80
Cfr. Kurt Koch, Gelähmte Ökumene. Was jetzt zu tun ist. Freiburg im Breisgau 1991, p. 218s.
79
46
Chiese protestanti si occupino del valore ecclesiale dell’ordinazione e della sua forma
concreta, cioè l’imposizione delle mani e la preghiera di consacrazione quali segni
efficaci dell’inserimento nella tradizione complessiva della Chiesa.81
Il peggio che possa verificarsi nella discussione sull’ospitalità eucaristica
sarebbe la possibilità che le relative Chiese voltino le spalle una all’altra: sia per
presunzione eccessiva che per orgoglio offeso. Il cammino del dialogo ecumenico negli
scorsi decenni nutre la speranza legittima che questa possibilità non si avveri. La rete
che è stata intrecciata tra i due poli è forte e stabile per sopportare i pesi e gli
imbarazzi.
Le Chiese devono comunque confrontarsi con un disinteresse che aumenta
sempre di più nella Chiesa e nella società e saper vivere con semplificazioni
problematiche e interruzioni polemiche. Ma tutto ciò non giustifica il rimandare il
dialogo cattolico–riformato sulla questione dell’ospitalità eucaristica.
Adrian Lüchinger
81
Ibid., p. 224.
47
Caritas: l’attuazione fondamentale della Chiesa
La caritas costituisce l’elemento sociale della vita cristiana e nell’esposizione
seguente corrisponde alla diaconia, poichè la terminologia ha le sue sfumature a
seconda delle confessioni. Martyria, leitourgia e diakonia sono le attuazioni dell’essere
Chiesa fondate tutte e tre nel Nuovo Testamento.
I fondamenti nel Nuovo Testamento
La base è posta nel duplice comandamento che richiede l’amore di Dio e l’amore
del prossimo ed è considerato quale primo comandamento (Mc 12,18-31; Mt 22, 3540; Lc 10, 25-28). Con questo duplice comandamento si riprende l’annuncio morale
del Primo Testamento (cfr.: Deuteronomio 6,5; Levitico 19,18). Lo stesso Gesù
annuncia, nella sua testimonianza del Regno di Dio: “Da questi due comandamenti
dipendono tutta la Legge e i Profeti” (Mt 22,40). Questo annuncio manifesta il
mandato universale della caritas come si presenta in maniera esemplare nella
parabola del buon Samaritano (Lc 10,29-37). Il fine della caritas è la giustizia nella
sua integralità, che palesa Dio quale origine e traguardo della vita e che era stata
continuamente rivendicata dai profeti (cfr.: Isaia 1,17; Osea 6,6). Il Regno di Dio
nella sua immediatezza si è avverato nella persona e nell’attività di Gesù Cristo (cfr.
l’appello alla conversione in Marco 1,15). In Gesù, benché ritenuto dai suoi
contemporanei un condottiero ebraico e fondatore di una setta pericolosa (a seconda
di criteri sociali empirici), questo comando diventa un nuovo modello di comunità su
cui si formerà la giovane Chiesa. Questo modello di comunità sollevò, a motivo del suo
principio di condivisione vissuta, grande stupore nell’epoca antica. Questo stupore è
frutto del principio di disuguaglianza sociale e culturale che caratterizzava
nell’antichità le relazioni tra liberi e schiavi, tra uomini e donne, tra nullafacenti ed
attivi.
La colletta organizzata dall’apostolo Paolo a favore della primitiva comunità di
Gerusalemme (cfr. 2 Corinzi 8s.) rende evidente due momenti: a) il carattere
ecclesiale della caritas e b) la componente integrale della caritas nella comunità
primitiva. L’immagine escatologica del giudizio universale (Mt 25; vedi anche 1 Gv
4,20) si presenta come uno “specchio della diaconia” praticata nel cristianesimo
primitivo; storicamente considerato un testo base per il comandamento della caritas a
partire dal Nuovo Testamento.
Con l’attività caritativa della Chiesa si intende un’attuazione fondamentale della
vita cristiana che crea e sostiene l’identità. La Chiesa manifesta la sua affidabilità,
partendo dal principio che ci sia una “testimonianza senza parole” (Evangelii Nuntiandi
21) affidata a tutto il popolo di Dio e dall’altro lato servizi e ministeri che obbligano in
maniera particolare gli incaricati (cfr. gli elementi caritativi all’interno delle relative
ordinazioni e mandati).
La diaconia nella storia
I tratti caratteristici di una diaconia per cristiane e cristiani e per le loro
comunità, definiti dal Nuovo Testamento, continuano a sussistere nella Chiesa antica e
si evolvono nella letteratura patristica. Risulta da questo processo storico l’evoluzione
del ministero diaconale.
Rimanendo fedele alla propria identità, la Chiesa antica apprezza l’elemento
diaconale nella propria storia tanto che, accanto al ministero del vescovo, si trova un
ministero specifico: il diacono. Scopo di questo ministero era di far sì che la
disponibilità di voler condividere fosse mantenuta viva ed efficace. Nell’atto del dare e
del condividere si dovrebbe manifestare la “mano di Dio”. Seguendo l’esempio di
Cristo che ama il prossimo in maniera attiva (cfr. soprattutto il racconto in Matteo 25),
48
uomini e donne si impegnano accanto a chi ha un ministero per la diaconia. I laici si
impegnano per una testimonianza diaconale della Chiesa.
Nell’epoca medievale c’erano fenomeni come malnutrizione, sconvolgimenti
bellici, epidemie a seguito di migrazioni incessanti, raccolti scarsi, abitazioni non
igieniche ecc. che rendevano “il malato” figura simbolica per la caritas cristiana. Il
simbolo del malato assume nel concetto sociale della società medievale il posto che
nella giovane Chiesa era riservato alla fascia delle vedove e degli orfani. È il malato
che manifesta in maniera concreta ed immediata il comandamento dell’amore del
prossimo. Il malato diventa paradigma per il povero, per il mendicante e per il
pellegrino e dà un significato spirituale alla cura degli ammalati e dei bisognosi (la
dimensione teologica, come quella spirituale, spiegano l’incremento degli ospizi e degli
ospedali nel Medievo).
Quando lo Stato comincia ad emanciparsi dalla Chiesa anche questo sviluppo ha
il suo effetto sulla diaconia. In questo momento ci sono due istituzioni, una accanto
all’altra: l’istituzione secolare della società civile e quella ecclesiastica con il suo
proprio assetto sociale. La Riforma riprende consapevolmente questo filo della
tradizione nella sua identità ecclesiale: così ad esempio Martin Lutero, quando parla
del sacerdozio diaconale (cfr.: le tesi 43-45 delle 95 tesi del 1517). Sono stati i secoli
XIX° e XX° – e ciò riguarda tutte le tradizioni e le Chiese – che hanno ripreso di nuovo
la questione sociale. Nel ‘900 essa provoca dappertutto una viva attività all’interno
delle Chiese.
Nell’epoca dell’industrializzazione, con i suoi rivolgimenti, sono i fenomeni di
grandi migrazioni e di disambientamento, di disoccupazione e di povertà a causare
una nuova forma di povertà e miseria le cui dimensioni erano finora sconosciute. Nel
movimento sociale delle Chiese cristiane del ‘900 si radunano cristiani e cristiane che,
consapevoli dell’urgenza della questione sociale, affrontano la grande sfida.
Nel XX° secolo teologi come p. Alfred Delp S.J. oppure Dietrich Bonhoeffer
danno una testimonianza impressionante per illustrare come la Chiesa si volge alla
diaconia (Dietrich Bonhoeffer: “La Chiesa è Chiesa quando è a disposizione degli
altri”).
Il programma di una Chiesa diaconale ispirava tra l’altro la teologia della
liberazione a sviluppare il proprio concetto gnoseologico della “opción preferencial por
los pobres”. Così il Documento finale dell’Episcopato latino-americano del 1979 a
Puebla afferma:”La scelta preferenziale per i poveri si prefigge l’annuncio di Cristo
salvatore che li illuminerà sulla loro dignità, li aiuterà nei loro sforzi di liberazione da
tutte le loro carenze e li porterà alla comunione col Padre ed i fratelli mediante una
esperienza vissuta di povertà evangelica. […] Questa scelta, reclamata dalla realtà
scandalosa degli squilibri economici in America Latina, deve portare a instaurare una
convivenza umana degna e fraterna ed a costruire una società giusta e libera”82.
Il movimento Life-and-Work
Le Chiese cristiane considerano la vita di ogni giorno un campo di
sperimentazione e di prova per l’amore del prossimo che Gesù di Nazaret aveva
iniziato all’interno della comunione dei credenti. In altre parole: non può esistere una
Chiesa che sia priva del primato dell’agape praticata. Non ci si deve meravigliare del
fatto che il movimento ecumenico abbia preso la diaconia quale uno tra altri punti di
partenza. Immediatamente dopo la prima guerra mondiale nasce il movimento Lifeand-Work, nel mondo germanofono più conosciuto sotto il nome “Bewegung für
praktisches Christentum” (movimento per un cristianesimo vissuto). Si tratta di un
movimento ecumenico che era partito da diverse iniziative. Ecco quelle che davano
origine al movimento Life-and-Work:
82
cfr. Denzinger/Hünermann, nn. 4632 s.
49
Da parte luterana Nathan Söderblom (1866-1931), la cui vita offriva una
testimonianza impegnata ed ecumenica. Fu chiamato “il padre della Chiesa
ecumenica” siccome coordinava l’aiuto immediato e misure pacificatrici da parte
degli Stati neutrali durante gli sconvolgimenti della prima guerra mondiale. Il
suo concetto programmatico di una “cattolicità evangelica” si fonda
sull’elemento diaconale di ogni comunione ecclesiale. Lavora instancabilmente
per la pace e per la riconciliazione tra i partiti e le nazioni nemiche.
- Il patriarca ecumenico di Costantinopoli indirizza nel 1920 un’enciclica “a tutte
le Chiese cristiane ovunque siano”. Nella sua lettera il pastore ortodosso fa
appello a rinunciare ad ogni diffidenza ed inimicizia e a unirsi nell’ambito d’un
amore vissuto.
- L’“Alleanza mondiale per promuovere l’amicizia fra le nazioni attraverso le
Chiese” (The World Alliance for Promoting International Friendship Through the
Churches) è un’organizzazione d’avanguardia ecumenica che si costituisce con
una conferenza a Costanza alla vigilia della prima guerra mondiale. Il suo fine è
di mobilitare le forze morali del cristianesimo per promuovere e garantire la
pace.
- Nel 1923 si raduna il Comitato esecutivo del movimento Life-and-Work a Zurigo
per preparare la prima conferenza tenutasi poi a Stoccolma nel 1925. Questo
organismo formula quale fine della sua attività: “La Conferenza per un
cristianesimo vissuto aspira all’unione delle diverse Chiese in un lavoro
comunitario pratico rinunciando a trattare questioni che riguardino il credo e la
costituzione”.
Con il suo motto “La dottrina divide, il servizio unisce” il movimento Life-andWork rinunciava deliberatamente al dibattito dogmatico tra le diverse confessioni e
denominazioni. Per mezzo di una testimonianza di diaconia si voleva aprire la strada
all’ecumenismo. Questa strategia portò però a trasformare l’idea iniziale ed in seguito,
mentre si continuava con il lavoro pratico, si affrontarono anche questioni dogmatiche.
Si ammise l’errore di aver separato fede ed azione. L’azione si costituisce sempre a
partire da una certa convinzione di fede e viene incentivata e promossa da essa. Per
questo il movimento Life-and-Work decise di prendere contatto con l’altro grande
movimento ecumenico Faith-and-Order nel 1937, in occasione della seconda
assemblea del movimento Life-and-Work ad Oxford. Ma la seconda guerra mondiale
rese impossibili ulteriori incontri. Solo nel 1948 si costituisce ad Amsterdam il
Consiglio Ecumenico delle Chiese che unisce in una prospettiva pragmatica entrambi i
movimenti Faith-and-Order e Life-and-Work.
Il risultato storico del movimento Life-and-Work si può delineare con i seguenti
tratti: da un lato si può rendere a questo movimento merito di aver affrontato in uno
spirito ecumenico le sfide lanciate alle Chiese cristiane dal mondo secolare. Dall’altro
lato, l’unione fra i due movimenti Life-and-Work e Faith-and-Order evidenzia che
servire il mondo nel mondo sia una testimonianza delle Chiese che si realizza
nell’unità di leitourgia, diaconia e martyria. Una diaconia che fosse priva delle
questioni teologiche riguardanti la fede, la comunione nel culto ed i sacramenti
sarebbe incompleta rispetto alla prospettiva ecclesiologica. Ambedue gli aspetti
insieme le pertengono!
Nello stesso periodo il cardinale belga Cardijn, entro la Chiesa cattolica, elaborò
una base sistematico-teologica della diaconia per mezzo di una metodologia di tre
passi: “Voir, juger, agir”. Sviluppata nel periodo antecedente il Vaticano II°, mette in
rilievo non soltanto l’importanza della diaconia per l’epistemologia teologica, ma anche
l’identità ecclesiale nella teoria sociale della Chiesa cattolica. Il papa Giovanni XXIII°
assume questo triplice metodo nella sua enciclica Mater et Magistra (n. 236). Lo
stesso paradigma ritorna nel documento conciliare Gaudium et Spes (n. 4) e nel
-
50
periodo postconciliare sarà approfondito dalla teologia della liberazione dal profilo
sistematico-teologico.
Caritas nei documenti di convergenza
In seguito a questi fatti nel secolo scorso la questione della diaconia diventa un
elemento indispensabile del movimento ecumenico. Quando il Consiglio ecumenico
delle Chiese affronta per mezzo di diversi programmi il fenomeno dell’ingiustizia
strutturale ripudiando la politica sudafricana dell’apartheid, l’elemento diaconale
dell’ecumenismo prende una svolta di connotazione politica. Le tensioni attuali nel
Consiglio ecumenico risultano fra l’altro da un conflitto che palesa d’altro canto il
silenzio in cui il medesimo Consiglio si chiuse nei confronti dei dissidenti e dei
campioni per i diritti umani nell’Europa centrale ed orientale.
Il consenso delle Chiese nelle questioni sociali ha conosciuto un grande
progresso. Le dichiarazioni comuni della Chiesa cattolico-romana e delle Chiese della
Riforma non sono più una rarità. Le Chiese si sono unite per organizzare insieme
pronti interventi e progetti che sostengono l’aiuto allo sviluppo. Un tale lavoro si fonda
su un’identità ecclesiale e rende testimonianza, in una nuova forma, di una diaconia
che il Nuovo Testamento richiede attraverso il “ministero della riconciliazione” (2
Corinzi 5,18). La scoperta del “prossimo lontano” collega il concetto missionario con il
carattere sostanzialmente ecclesiale della diaconia.
In quest’ambito le due grandi Chiese della Svizzera hanno fatto una
dichiarazione congiunta in una Consultazione ecumenica su questioni che riguardano
l’economia e la giustizia: “Consultazione ecumenica sul futuro sociale ed economico
della Svizzera: Quale futuro desideriamo?” Ne è risultato il documento “Insieme verso
il futuro” che fu presentato al pubblico nel 2001 e dove si delinea il carattere
ecclesiale della diaconia in questi termini: “Le nostre Chiese non vivono al di fuori
della società civile né in opposizione ad essa, anzi, sono parte della società, anche se
il loro mandato è legato ad una testimonianza ancorata al di là della storicità
dell’uomo. Le cristiane e i cristiani devono assumere e percepire il loro posto così
come tutti gli altri attori della vita sociale. Però, come il lievito fa lievitare la pasta,
così essi hanno il mandato di agire per far lievitare la speranza e la potenza della
liberazione già attive nella società. Guidate dalla Buona Novella di Gesù Cristo,
entrambe le Chiese vogliono accompagnare e sostenere uomini e donne che sono in
ricerca di un senso nella vita sia individuale che sociale e vogliono loro offrire un luogo
di dialogo”.
Il processo conciliare a cui indussero le Chiese europee e la 6a Assemblea
plenaria del Consiglio ecumenico delle Chiese a Vancouver nel 1983 diede ulteriore
impulso all’elemento fondamentale della diaconia nel movimento ecumenico. Scopo
del processo conciliare è invitare le Chiese e tutte le persone che vi sono interessate
ad un impegno comunitario negli ambiti della giustizia, della pace e della salvaguardia
del creato. Con questa opzione si aggiunge alle componenti tradizionali del servizio
cristiano nel mondo - cioè la giustizia e la pace – anche il paradigma ecologico.
Caritas quale impulso per la Chiesa del futuro
La caritas, rispettivamente il servizio di diaconia, sono elementi costituivi per
l’identità delle Chiese. Per tutte le comunità ecclesiali è il comandamento dell’amore
del prossimo il motivo del loro agire pubblico. Questa caratteristica di base continua a
sussistere nel prossimo futuro del pensiero ecumenico delle diverse Chiese e comunità
ecclesiali. Ci si chiede se l’austerità economica nella vita pubblica delle società
moderne e l’adozione del paradigma neoliberale riguardo alle questioni sociali non
rinforzino e spronino l’interazione ecumenica nell’ambito della diaconia e della caritas.
51
La riflessione sulla dimensione ecologica della vita nella sua ricezione ecumenica
si china con occhio critico sull’antropocentrismo caratteristico dell’epoca moderna. Il
concetto della storia come predominava sino ad oggi si allarga così ad un concetto
della vita che la considera una rete ed un intreccio di relazioni reciproche.
La discussione più recente intorno ai diritti umani apre alle Chiese cristiane un
altro importante campo di lavoro per la diaconia ecumenica. La Carta ecumenica delle
Chiese cristiane d’Europa, ratificata dalla Conferenza delle Chiese europee (KEK) e dal
Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa (CCEE), considera l’elemento diaconale
un passo che conduce verso l’unica Chiesa nella fede.
La teologia femminista indaga per mezzo delle scienze del gender il carattere di
servizio ed il postulato del servire con un interesse critico verso le ideologie. Essa
considera l’elemento della diaconia un elemento di sviluppo nelle Chiese. Nonostante
tutte le critiche che prendono di mira la socializzazione culturale e religiosa di donne e
di altri gruppi oppressi, il comandamento neotestamentario della diaconia permane
attuale. Secondo la teologia femminista, la diaconia quale elemento centrale
dell’identità delle comunità cristiane ha come conseguenza la riflessione su una
“ecclesiologia di servizio” (E.Schüssler-Fiorenza). I rispettivi concetti neotestamentari
dynamis/exousia/soteria (cioè potenza/libertà/salvezza) mettono in dubbio la
ricezione esclusivamente religiosa di un atteggiamento di servizio condizionato da
parametri culturali. Una diaconia che risulti da una libera scelta e che porti salvezza in
questo contesto è intesa piuttosto come un’empatia: cioè un mettersi nei panni
dell’altro.
Liturgia, diaconia e martyria/testimonianza possono essere pensate e vissute in
maniera diversa nelle varie Chiese e tradizioni cristiane. C’è però un punto di
consenso: “La comunione nell’agire spirituale è un progresso ecumenico verso l’unità
delle Chiese solo quando manifesta non un’arbitrarietà ostentata nel superamento di
ogni assolutismo e di ogni segregazione peccaminosa, nascendo dalla ‘conversione del
cuore’ e dalla ‘santità della vita’ (UR 8) ed essendo testimonianza di una verità
maggiore e di un amore maggiore.”83
Nerses IV (1102-1173) chiamato Schnorhali (il Grazioso, colmo di grazia)
individua l’amore del prossimo quale impegno principale per tutti coloro che hanno
un’intenzione ecumenica perché è la regina maggiore di tutte le virtù. Nella
discussione ecumenica è un luogo comune aspettarsi che l’unità delle Chiese cresca
grazie all’elemento diaconale di ogni essere Chiesa e di ogni farsi Chiesa.
Wolfgang W.Müller OP
83
G.Voss, Gemeinschaft im geistlichen Tun, in: H.J.Urban/H.Wagner (Hrsg.), Handbuch der Ökumenik, Bd. III/2,
Paderborn 1987, 216-265, 263ss.
52
A mo’ di conclusione
Ciò che ci unisce sul lungo percorso verso l’unità visibile è molto più di quello
che ancora ci separa! L’accettazione reciproca dell’unico battesimo; la comunione di
fratelli e di sorelle nella fede in Gesù Cristo; l’impegno comune per la pace, la giustizia
e la salvaguardia del creato; le traduzioni ecumeniche della Bibbia; la settimana di
preghiera per l’unità dei cristiani; la riscoperta di tradizioni spirituali e la
collaborazione ecumenica di comunità e parrocchie, delle opere assistenziali, degli
istituti di formazione teologica: tutto questo è un segno di speranza. “Esiste una
dimensione di comunione che si lascia descrivere con l’immagine di un ponte crollato
oppure distrutto. Ci sono rimasti ancora parecchi pilastri sicuri ed è più quel che ci
collega di ciò che ci separa” (così il cardinale Karl Lehmann nella sua relazione “Der
Weg zur Einheit der Kirche” tenuta in occasione della Giornata dei sacerdoti della
diocesi di Essen il 7 gennaio 2002).
Il decreto sull’ecumenismo “Unitatis Redintegratio” del Vaticano II° e l’enciclica
“Ut unum sint” del papa Giovanni Paolo II° indicano la strada: “I fedeli cattolici
nell'azione ecumenica si mostreranno senza esitazione pieni di sollecitudine per i loro
fratelli separati, pregando per loro, parlando con loro delle cose della Chiesa, facendo i
primi passi verso di loro. E innanzi tutto devono essi stessi con sincerità e diligenza
considerare ciò che deve essere rinnovato e realizzato nella stessa famiglia cattolica,
affinché la sua vita renda una testimonianza più fedele e più chiara della dottrina e
delle istituzioni tramandate da Cristo per mezzo degli apostoli. […] Né si deve
dimenticare che quanto dalla grazia dello Spirito Santo viene compiuto nei fratelli
separati, può pure contribuire alla nostra edificazione” (Concilio Ecumenico Vaticano
II°, Unitatis Redintegratio, I.4) “Non esiste un vero ecumenismo senza interiore
conversione. Infatti il desiderio dell'unità nasce e matura dal rinnovamento dell'animo
(24), dall'abnegazione di se stessi e dal pieno esercizio della carità”. (Concilio
Ecumenico Vaticano II°, Unitatis Redintegratio, II.7).
“Con il Concilio Vaticano II, la Chiesa cattolica si è impegnata in modo
irreversibile a percorrere la via della ricerca ecumenica, ponendosi così all'ascolto dello
Spirito del Signore, che insegna come leggere attentamente i "segni dei tempi".. […]
“Se la preghiera è l'"anima" del rinnovamento ecumenico e dell'aspirazione all'unità,
su di essa si fonda e da essa trae sostentamento tutto ciò che il Concilio definisce
"dialogo". Tale definizione non è certo senza nesso con il pensiero personalistico
odierno. L'atteggiamento di "dialogo" si situa al livello della natura della persona e
della sua dignità.”. […] “È proprio esso ad aprire nei fratelli che vivono entro Comunità
non in piena comunione fra di loro, quello spazio interiore in cui Cristo, fonte dell'unità
della Chiesa, può agire efficacemente, con tutta la potenza del suo Spirito Paraclito”
(Giovanni Paolo II°, Ut unum sint, nn. 3.28.35)
53
Allegati
Piccolo dizionario dell’ecumenismo
Santa Cena – Eucaristia – Cena del Signore – messa – agape
Nel corso della storia si è fatto uso di una terminologia diversa ricordando l’ultima
cena che Gesù celebrò con i suoi apostoli:
1. Lo spezzare il pane. Quest’espressione è una delle più antiche per la Santa Cena
rispettivamente per l’Eucaristia. Funge quale contrassegno della comunione con Gesù
Cristo (Atti 2,42)
2. La Santa Cena. Questo termine è usato soprattutto dalle Chiese evangeliche. La Santa
Cena è una celebrazione liturgica celebrata dai credenti nell’obbedienza alla parola di
Gesù “fate questo in memoria di me” e per ricordare l’ultima cena di Gesù con i
discepoli la sera prima della sua morte. I cristiani evangelici vogliono accennare che vi
si manifesta lo stesso avvenimento mistico di quanto avvenne in occasione della cena
di commiato alla vigilia della morte di Gesù (cfr. 1 Corinzi 11, 23-27; Marco 14, 2225).
3. L’Eucaristia. Nella Chiesa cattolico-romana questa celebrazione liturgica prende il
nome di “eucaristia”. Questa terminologia viene dedotta da due fonti:
a) Eucaristia significa ringraziamento, preghiera di ringraziamento. Secondo le così
dette parole d’istituzione “Gesù prese del pane; detta la benedizione …” (detta la
benedizione = eulogésas, così il testo greco del Nuovo Testamento, n.d.r.).
b) Già dai secoli più remoti il prefazio comincia con le parole: “È veramente degno e
giusto renderti grazie…” Così si dà risalto al ringraziamento che è un elemento
importante della liturgia cristiana. Perché una persona credente davanti a Dio si sente
essere sempre una persona che chiede qualcosa.
Entrambi gli elementi vengono collegati in un’unità inseparabile nella celebrazione
dell’Eucaristia.
4. Il sacrificio della messa – la Santa Messa. La Chiesa cattolico-romana parla del sacrificio
della messa per contraddistinguere chiaramente l’avvenimento della Santa cena da un
pasto usuale. La cena sacrificale ricorda che Gesù rinnova di continuo la sua
donazione al Padre. I credenti che vi partecipano fanno parte di questa offerta di
Gesù. Così la vita dei credenti si trasforma in una vita per Dio e per gli altri uomini.
Con la messa si accenna alla missio, la missione nel mondo, anche questo un
contenuto importante al termine di ogni celebrazione dell’Eucaristia.
5. La liturgia divina. Nelle Chiese ortodosse questa celebrazione liturgica viene chiamata
“la divina liturgia”. Nella maggior parte delle Chiese ortodosse questa cena è intesa
essere un sacramento. Tanto nell’ambito ortodosso quanto in quello cattolico questo
sacramento è celebrato da un sacerdote di sesso maschile. Per entrambi gioca un
ruolo importante l’idea che il sacrificio di Cristo si attui nella celebrazione. A differenza
della tradizione delle Chiese riformate ambedue intendono la presenza di Cristo quale
transustanziazione.
6. Agape (il convito che celebra l’amore del prossimo).
a) Evangelico: si tratta della celebrazione della Santa Cena in una piccola cerchia
riunitasi per un convito comunitario
b) Cattolico: nella Chiesa cattolica non si ha più la combinazione della celebrazione
dell’Eucaristia con un pasto di carattere profano. Agape significa oggi: dopo aver
celebrato l’Eucaristia i credenti si radunano ad un momento conviviale presso il centro
parrocchiale per prolungare la comunione costituita nell’Eucaristia.
7. La Cena del Signore. Su testi ed in contesti ecumenici si usa sempre di più il termine
Cena del Signore. Questo termine esprime ciò che avviene in ogni celebrazione
54
eucaristica: il Signore Gesù ci viene incontro ed è personalmente presente in questa
cena, e questo in un senso duplice: tanto quanto donatore della salvezza che dono di
salvezza.
Comunità di mensa del Signore
Nel corso della storia si superò nel movimento ecumenico del XX° secolo la
separazione in cui si trovavano diverse Chiese rispetto alla mensa del Signore. Dal
1974 le Chiese luterane, riformate, dell’Unione e metodiste possono celebrare insieme
la Santa Cena poiché la ratifica della Concordia di Leuenberg ha costituito un’unione
delle Chiese. Nel 1992 le Chiese luterane della Scandinavia e del Baltico stabilirono
un’unione ecclesiastica con le Chiese anglicane dell’Inghilterra, del Galles e
dell’Irlanda. Esiste un concordato sull’unione di cattedra e di mensa tra la Chiesa
evangelica della Germania (EKD) la Chiesa evangelica metodista.
In Svizzera c’è uno squilibrio tra le Chiese evangeliche e la Chiesa cattolica: nelle
comunità evangeliche si invitano di regola tutti i celebranti alla Santa Cena; da parte
cattolica un tale invito è possibile soltanto in una “situazione di emergenza” assai
limitata. Nelle Chiese ortodosse invece, non si fa ufficialmente nessuna eccezione.
Ministero
Tutte le Chiese cristiane conoscono un ministero ecclesiastico sia istituzionalizzato che
esercitato per una particolare disposizione spirituale. Chi riveste un ministero
ecclesiastico ha la responsabilità dell’annuncio del Vangelo, presiede la liturgia ed ha
una funzione guida all’interno della comunità. Ci sono differenze non di poco conto
nell’interpretazione teologica del ministero ecclesiastico. Il punto di vista cattolico ed
ortodosso (qui il ministero del sacerdote/del vescovo è legato all’ordinazione
considerata un atto sacramentale) è tanto importante da ostacolare un’unione di
Chiesa e di mensa con le Chiese della Riforma. Mentre la Chiesa cattolica parla del
sacramento dell’ordine (ordo) che “viene esercitato in diversi ordini, da quelli che già
anticamente sono chiamati Vescovi, Presbiteri, Diaconi (Lumen gentium, 28), le
Chiese della Riforma mettono l’accento sull’unità del ministero considerando però i
diversi gradi del ministero un risultato di sviluppi storici e quindi sostanzialmente
trasformabili. Mentre il ministero del vescovo è una parte irrinunciabile della
costituzione ecclesiastica per gli ortodossi, cattolici ed anglicani, le Chiese della
Riforma soltanto in parte sono disposte ad identificare questo ministero di
sovrintendenza con il ministero storico del vescovo. Per un’intesa sul ministero
ecclesiastico si pongono inoltre le questioni importanti della successione apostolica,
dell’ordinazione e consacrazione (particolarmente l’ordinazione delle donne al
ministero), il ministero del papa ed il celibato.
Confessione dei peccati/celebrazione di confessione e di perdono – il sacramento della
riconciliazione.
Una persona umana nella sua vita diventa responsabile di colpe. Colpa e peccato
significano infrangere la comunione con Dio e con gli uomini. La comunione della
Chiesa però è il luogo dove abita il perdono di Dio. Ci sono molte strade diverse che
conducono al perdono ed alla riconciliazione: l’ascolto comunitario della Parola di Dio,
la celebrazione dell’Eucaristia, la recita comunitaria della preghiera, l’impegno di voler
riparare il danno cagionato.
Il sacramento della Penitenza o Riconciliazione è il vertice del perdono. Questo
sacramento vuol evidenziare che Gesù Cristo, il Signore, ci incontra con la sua forza di
salvezza e che egli ci vuol essere vicino per mezzo del segno.
Un altro motivo della confessione/celebrazione della riconciliazione è quello della
nostra incapacità a riparare noi stessi la relazione rovinata tra Dio e noi e
rispettivamente tra le persone che ci circondano e noi. Siccome noi non siamo in
55
grado di farlo, ci rivolgiamo nella Chiesa a Cristo, il Signore, rappresentato dal
sacerdote.
Da parte evangelica si conosce o la confessione collettiva della colpa durante la
celebrazione del culto con il conseguente annuncio del perdono, o il colloquio
individuale nell’ambito della cura d’anime che può concludersi con una confessione
della colpa e con l’annuncio del perdono senza che si tratti di un sacramento.
Dogma – i dogmi
I dogmi (dal greco: disposizione, decreto, teoria) sono inseparabilmente connessi con
la rivelazione attraverso Gesù Cristo. In Gesù Cristo ci è fatta l’affermazione che è
sempre valida: Dio ha accettato il mondo irrevocabilmente perché ama questo mondo.
Ogni Chiesa cristiana afferma tale fedeltà di Dio a cui partecipano le Chiese. Diversi
passi della Bibbia la annunciano indistruttibile (Matteo 16,18; 28,20).
I dogmi sono infallibili finché si appoggiano a Cristo ed al fondamento degli apostoli e
dei profeti. All’interno della Chiesa cattolica risulta che in casi singolari queste verità
possano concretizzarsi in dogmi ecclesiastici con effetto impegnativo. Tutti i dogmi,
però, possono al massimo esplicare che mediante Gesù Cristo stesso è stato promesso
alla Chiesa un permanere principale nella verità. Frasi formulate con un effetto
impegnativo si chiamano nel gergo ecclesiastico dogmi, che definiscono la fede
cristiana rispetto al suo contenuto essenziale e che la distinguono dalle eresie.
Cresima/confermazione
Il termine confermazione si deduce dall’equivalente latino confirmare (fortificare).
Nella Chiesa cattolica è il Concilio Vaticano II° (1962-1965) che dà risalto alla stretta
relazione tra cresima e battesimo. Di conseguenza, la celebrazione della cresima
contempla un credo battesimale che il catecumeno recita nella celebrazione della
messa. La cresima viene amministrata in linea di principio dal vescovo oppure da un
sacerdote incaricato legittimamente dal vescovo.
Nella Chiesa ortodossa di regola il sacerdote amministra il sacramento della cresima al
momento del battesimo.
Nella Chiesa evangelica si è imposto il termine confermazione, ma il carattere
sacramentale era sempre contestato dalla critica riformatoria. Si mette piuttosto
l’accento sul catechismo a titolo di un catecumenato recuperato il quale dovrebbe
sollecitare la nozione e l’accettazione della fede della Chiesa. Condizione
dell’ammissione alla Santa Cena è un esame il cui fine è il solenne voto nel momento
della confermazione.
Chiese libere
Si usa il termine Chiese libere di regola per dire il contrario di Chiesa di Stato,
rispettivamente di Chiesa con base popolare. Il tipo di Chiesa definito da questo
termine rimanda ad una protesta originale contro la regolamentazione da parte dello
Stato e contro la soggezione della Chiesa. Questa protesta favorì la nascita di gruppi
di comunità indipendenti dalla
Chiesa di Stato chiamati presbiteriani,
congregazionalisti e battisti. Le Chiese libere accentuano soprattutto il carattere della
decisione (“Freiwilligkeitskirchen“ – “Chiese di libera volontà”).
Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani
Questa settimana di preghiera si celebra in tutto il mondo ogni anno dal 18 al 25
gennaio oppure nel periodo di Pentecoste. Essa rende evidente che gli impegni per
l’ecumenismo senza l’aiuto dello Spirito Santo non hanno nessuna speranza di
successo. La settimana di preghiera non significa pregare per l’unità, bensì, per
un’unità che è già stata regalata da Gesù Cristo ai cristiani e la cui cura è stata
affidata ai cristiani.
56
Santi, venerazione dei santi
La Bibbia definisce la santità una prerogativa di Dio. In un senso dedotto, persone
umane possono essere chiamate “sante” quando manifestano la loro unione con Dio
costituita dalla sua grazia e uno stile di vita che questa unione esige. Il Nuovo
Testamento definisce, in questo senso, santi i cristiani (Romani 1,7 oppure 1 Corinzi
1,1ss ed altri passi). Dalla metà del secondo secolo si veneravano particolarmente i
martiri, poi, nel corso della storia, la venerazione dei santi fu estesa a fasce sempre
più numerose di persone. Abusi nella venerazione dei santi del basso medioevo
causarono ragionevolmente proteste da parte dei riformatori. Il Concilio di Trento
accentua quindi la distinzione tra l’atto dell’adorazione che spetta a Dio solo, e la
venerazione dei santi che ha il suo fine nella gloria di Dio. Santità non intende
nessuna concorrenza con l’adorazione di Dio, anzi, è un’espressione riconoscente per
l’agire di Dio mediante la sua grazia in una persona umana. La Chiesa cattolica
condivide questa interpretazione con le Chiese ortodosse, nelle quale i santi
raffigurano l’unità della Chiesa terrestre con la Chiesa celeste. Questo si manifesta
soprattutto nella liturgia e nella venerazione delle immagini e delle reliquie.
Le Chiese cantonali (Landeskirchen)
In Svizzera la Chiesa evangelica riformata si articola in così dette Chiese cantonali con
carattere di Chiesa di Stato. Esse sono indipendenti e non responsabili davanti ad una
organizzazione sovrapposta ad esse. Le Chiese cantonali evangeliche della Svizzera
coordinano il loro impegno ed i loro servizi nella Federazione delle Chiese protestanti
della Svizzera. Questo organo si compone di delegati delle diverse Chiese cantonali e
della Chiesa evangelica metodista. Questa federazione di Chiese può soltanto
trasmettere raccomandazioni. Secondo il proprio diritto, la Chiesa cattolica non è una
Chiesa cantonale, anzi, si è data la struttura di parrocchia – diocesi – Chiesa
universale (anche se ci sono strutture di Chiesa di Stato nella maggior parte dei
cantoni).
Ecumenismo
Il termine ecumenismo risale al greco antico e si deduce dal verbo oikein (abitare) dal
sostantivo antico greco ecumene (l’orbe abitato). Significa principalmente l’impegno
dei cristiani per l’unità della Chiesa di Gesù Cristo che si manifesta nella confessione
comune della fede in Gesù Cristo; nel pregare ed agire insieme.
Il termine intende oggi pure il processo conciliare delle Chiese con linee di condotta
che riguardano l’economia, l’ecologia ed una politica di pace, ed in più nuovi legami
del cristianesimo con altre religioni. Ciò significa che le Chiese quale testimoni
affidabili della riconciliazione di Dio con il mondo aspirino all’unità come Dio l’ha
voluta: con pazienza e con decisione. Si tratta della partecipazione del cristianesimo
alla riconciliazione ed all’umanizzazione dell’unica umanità la quale deve impegnarsi
nella sua integralità a favore dell’abitabilità della terra e della salvaguardia del creato.
Consiglio ecumenico delle Chiese
Il Consiglio ecumenico delle Chiese – chiamato anche Consiglio mondiale delle Chiese
– è la più grande associazione di Chiese del mondo. Vi aderiscono attualmente 347
Chiese di diverse tradizioni: le Chiese ortodosse, la Chiesa anglicana, le Chiese della
Riforma, le Chiese libere, le Chiese pentecostali. La Chiesa cattolica non aderisce al
Consiglio ecumenico a titolo di membro, benché mantenga relazioni strette ed ufficiali
in diversi settori di lavoro, particolarmente in materia di studi teologici. Il segretariato
del Consiglio ecumenico si trova a Ginevra. Fu costituito da allora delegati di 147
Chiese nel 1948 ad Amsterdam. Il fine principale “della comunità delle Chiese nel
Consiglio ecumenico delle Chiese (è) di invitarsi reciprocamente all’unità visibile
57
nell’una fede e nell’unica comunione eucaristica che si manifesta nel culto e nella vita
comunitaria in Cristo, per mezzo di testimonianza e di servizio per il mondo, e di
camminare verso questa unità affinché il mondo creda”.
Papa/servizio di Pietro
Il ministero del papa è una delle caratteristiche più peculiari dell’identità della Chiesa
cattolico-romana. Comprende due elementi: a) il cosiddetto primato di giurisdizione
(la giurisdizione suprema della Chiesa) e b) l’infallibilità del magistero pontificio ex
cathedra. Il ministero del papa è un servizio apostolico universale che va considerato
appartenere al cuore di ogni Chiesa locale. È un servizio all’unità della Chiesa.
La rivendicazione del primato del papa costituisce un problema importante per
l’ecumenismo all’interno della cristianità. Il dialogo ecumenico ha però condotto ad un
certo avvicinamento, siccome già il papa Paolo VI° ha manifestato che il papato stesso
costituirebbe l’ostacolo maggiore sulla strada dell’ecumenismo. Rappresentanti di tutte
le Chiese ammettono intanto una certa disponibilità di concedere al papa una funzione
di eccellenza all’interno della comunità delle Chiese. Adesso tocca alla Chiesa cattolica
stessa preparare la via che conduca all’accettazione del papato da parte delle altre
Chiese, modificando la pratica del primato. Ne diede un segnale importante l’enciclica
“Ut unum sint” del papa Giovanni Paolo II nel 1995. Con essa esorta a “ascoltare la
domanda che mi è rivolta di trovare una forma di esercizio del primato che, pur non
rinunciando in nessun modo all'essenziale della mia missione, si apra ad una
situazione nuova”. (Giovanni Paolo II°, Ut unum sint, n. 95). Il dialogo ecumenico sul
servizio di Pietro ha così ricevuto un impulso importante.
Sacramenti
Sacramenti si chiamano quei segni rispettivamente quelle azioni cultuali di segno, che
fanno riferimento a Gesù Cristo e mediante i quali la salvezza di Dio viene donata agli
uomini. Nonostante delle differenze, la convinzione che il battesimo e la Santa Cena
siano da considerare sacramenti in questo senso collega quasi tutte le Chiese. La
Chiesa cattolica conosce 7 sacramenti: battesimo, cresima, eucaristia, penitenza,
unzione degli infermi, matrimonio, ordine. Anche le Chiese ortodosse hanno integrato
7 sacramenti; per loro i sacramenti significano una partecipazione efficace
dell’immagine sensibile all’archetipo celeste cioè la grazia salutare di Dio in Gesù
Cristo. Le Chiese evangeliche conoscono soltanto il battesimo e la Santa Cena quale
sacramenti istituiti da Gesù.
Consacrazione – ordinazione
Il termine consacrazione significa, nell’interpretazione cattolica, “santificare” cioè
invocare la benedizione su qualcuno oppure su un oggetto. Un laico/un sacerdote
benedice facendo il segno della croce ed infondendo acqua benedetta sull’oggetto.
Il termine ordinazione significa il conferimento di un ministero ad una persona
attraverso il gesto dell’imposizione delle mani.
L’interpretazione della consacrazione e dell’ordinazione rende evidente che nella
relazione tra dottrina e ministero si manifestino differenze, con la conseguenza della
separazione delle Chiese (per esempio l’ordinazione delle donne, la diacona ecc.)
nonostante le esistenti convergenze ecumeniche.
Joachim Müller
58
Documenti ecumenici
Testi interconfessionali
-
-
Documenti di convergenza. Rapporti e testi di convergenza dei colloqui
interconfessionali su scala mondiale, a cura di Harding Meyer, Damaskinos
Papandreou, Hans Jörg Urban, Lukas Vischer, Paderborn: Bonifatius/Francoforte
a.M.: Otto Lembeck, 1983-2003: vol. I: 1931-1982 (2a edizione rivista 1991),
vol. II: 1982-1990 (1992), vol. III 1990-2001 (2003).
Charta Oecumenica. Linee guida per la crescita della collaborazione tra le
Chiese in Europa, a cura di KEK e CCEE, 22.4.2001. Online:
www.unilu.ch/tf/6739_8245.htm, www.unifr.ch/iso
Documenti della Sede Apostolica
1998 Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei cristiani, La dimensione
ecumenica nella formazione di chi si dedica al ministero pastorale
1995 Enciclica “Ut unum sint”, l’impegno ecumenico
1993 Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei cristiani, Direttorio per
l’applicazione dei principi e delle norme sull’ecumenismo
1993 Principi generali e norme pratiche per il coordinamento dell’evangelizzazione e
del’impegno ecumenico della Chiesa cattolica in Russia e negli altri paesi della
GUS (edito in tedesco dal Segretario della Conferenza episcopale tedesca,
Verlautbarungen des Apostolischen Stuhls n° 109)
1991 Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso/Congregazione per
l’Evangelizzazione dei popoli, Dialogo e annuncio
1988 Una presa di posizione cattolica del Segretariato per l’Unità dei cristiani sulle
dichiarazioni di convergenza della Comissione Fede e Costituzione del Consiglio
Ecumenico delle Chiese “Battesimo, Eucaristia e Ministero”
1975 Collaborazione ecumenica a livello regionale, nazionale e locale
Documenti della Conferenza dei vescovi svizzeri (CVS)84
31.8.2000
Dichiarazione della CVS sul progetto di “Charta Oecumenica” per la
collaborazione tra le Chiese in Europa
14.4.2000 Dichiarazione della CVS sull’attitudine della Chiesa cattolica in Svizzera
nei confronti del popolo ebraico durante la seconda guerra mondiale e
oggi
29.10.1999 Dichiarazione comune sulla dottrina della giustificazione. Consiglio della
Federazione delle Chiese protestanti della Svizzera e della Conferenza dei
vescovi svizzeri
22.6.1995 Messaggio augurale per i 75 anni della Federazione delle Chiese
protestanti della Svizzera
19.9.1993 Offenheit und Treue zum Glauben. Begegnungen mit Menschen anderer
Religion und Kultur. In: Hirtenbriefe aus Deutschland, Oesterreich und
der Schweiz 1993. Edito dall’Institut für kirchliche Zeitgeschichte. Bd 29.
Salisburgo: Buchzentrale österreichisches Borromäuswerk, 1994, p. 440444
1.12.1993 Guida di lettura della CVS al nuovo Direttorio ecumenico
8.7.1986
L’ospitalità eucaristica. Prefazione del presidente della CVS, Mons. Henri
Schwery
84
I documenti della CVS esistono in tedesco e francese e parzialmente in italiano, pubblicati dal Monitore Ecclesiastico
(ora : Rivista della diocesi di Lugano).
59
1984
1983
1983
1979
1973
1973
1973
1967
1966
5.9.1966
1966
1965
Lettera pastorale dei vescovi svizzeri per la Festa federale di
ringraziamento: L’unità dei cristiani. Già e non ancora
Lettera pastorale dei vescovi svizzeri per la Festa federale di
ringraziamento: Riconciliazione, un dovere per il cristiano
Commissione ecumenica della CVS: La Chiesa cattolico-romana della
Svizzera nel movimento ecumenico (presentato nel maggio 1983 dalla
CVS quale doucmento di lavoro in preparazione al viaggio del Papa in
Svizzera; non pubblicato)
Dichiarazione della CVS sul dialogo ebrei-cattolici
Mutuo riconoscimento del battesimo da parte delle Chiese nazionali
Commissione ecumenica di dialogo della Svizzera: documento di studio
sulla questione del battesimo oggi
Commissione ecumenica di dialogo della Svizzera: documento di lavoro
per una comune testimonianza eucaristica delle Chiese
Dichiarazione comune sui matrimoni misti. Consiglio della Federazione
delle Chiese protestanti della Svizzera, Conferenza dei vescovi cattolicoromani della Svizzera, Vescovo della Chiesa cristiano-cattolica della
Svizzera, Zurigo 1967
La Conferenza dei vescovi svizzeri sull’Istruzione “Matrimonia mixta”
La Conferenza dei vescovi svizzeri sul Decreto della Congregazione per la
Dottrina della fede sui matrimoni misti
Commissione cattolica per le questioni ecumeniche: La responsabilità
ecumenica
Lettera pastorale dei vescovi svizzeri per la Festa federale di
ringraziamento: La riconciliazione dei cristiani
Sussidi/ordinamenti della Conferenza dei vescovi svizzeri (CVS)85
2001
1993
1992
1986
1982
1979
1970
85
v. Nota 84.
La celebrazione ecumenica del matrimonio, a cura di: Federazione delle
Chiese protestanti della Svizzera, Conferenza dei vescovi svizzeri e
Chiesa cristiano-cattolica della Svizzera, 2a edizione rivista
La celebrazione ecumenica del matrimonio, a cura di: Consiglio della
Federazione delle Chiese protestanti della Svizzera, Conferenza dei
vescovi svizzeri e Vescovo e Sinodo della Chiesa cristiano-cattolica della
Svizzera sulla base di un documento preparato dalla Comunità di lavoro
ecumenica per la pastorale dei matrimoni misti nella Svizzera tedesca
Celebrazioni ecumeniche la domenica, a cura della Commissione
ecumenica della CVS
Liturgie ecumeniche (su mandato dei vescovi di Basilea, Coira e San
Gallo)
Itinerari ecumenici. Piste di ricerca per le parrocchie. Edito
congiuntamente come documento di lavoro dalla Commissione di dialogo
della Federazione delle Chiese protestanti della Svizzera e della
Conferenza dei vescovi svizzeri
Liturgie ecumeniche. Principi e modello, a cura di: Consiglio della
Federazione delle Chiese protestanti della Svizzera, Conferenza dei
vescovi svizzeri e Vescovo e Sinodo della Chiesa cristiano-cattolica della
Svizzera
Direttive e raccomandazioni per la preghiera e l’agire comuni delle Chiese
in Svizzera, a cura di: Consiglio della Federazione delle Chiese protestanti
della Svizzera, Conferenza dei vescovi svizzeri e Vescovo e Sinodo della
Chiesa cristiano-cattolica della Svizzera
60
Comunità di lavoro delle Chiese cristiane in Svizzera (CLCC)
-
-
Orthodoxie in der Schweiz: Esposti d’una giornata di studio della CLCC, 9-10
marzo 2001 a Zurigo
Wahrheit und Beliebigkeit, Esposti al simposio ecumenico polacco-svizzero,
Davos 14-20.9.1988
Ihr seid in Christus versöhnt (2 Cor 5, 18-20): materiali per il lavoro in
parrocchia e per la liturgia per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani
1997
Die Familie Gottes – berufen zur Einheit im Glauben und Tun. Settimana di
preghiera per l’unità dei cristiani 1994
Sulla Via svizzera: riflessioni, a cura della Commissione ecumenica 1991 della
CLCC, 1991
Volk unter Völkern?, un documento di lavoro per i 700 anni della
Confederazione elvetica, a cura della CLCC, 1990
Comunità delle Chiese: unità e diversità, a cura della CLCC, 1986
Mensch sein im Ganzen der Schöpfung: ein ökologisches Memorandum, a cura
della CLCC, 1985
Kirche im Gastgewerbe: gemeinsame Aktion christlicher Kirchen, a cura della
Comunità di lavoro evangelica per il turismo in Svizzera EAG, 1983
Consultazione ecumenica, Interlaken 1980, Rapporto finale (in tedesco e
francese), a cura della CLCC
Staat und Kirche in der Schweiz: theologische Probleme, a cura della CLCC,
1979
Kirche-Staat im Wandel. Eine Dokumentation, CLCC 1974
CLCC: Statuti e Regolamento, 1971
Ulteriori testi
-
-
-
Consultazione ecumenica sull’avvenire sociale ed economico della Svizzera.
Rapporto di valutazione, a cura della Conferenza dei vescovi svizzeri e della
Federazione delle Chiese protestanti della Svizzera, Berna/Friburgo 2000
Rolf Weibel, Unierte in der Schweiz. Zur Präsenz katholischer Ostkirchen, SKAF,
Lucerna 1997
Orthodoxe Präsenz in der Schweiz. Eine pastorale Handreichung, Testi della
Commissione di dialogo ortodossa/cattolico-romana della Svizzera, Friburgo
1991
Unterwegs zur Einheit? Schweizer Protestanten, Oekumene und Papst, a cura
della Federazione delle Chiese protestanti della Svizzera, Berna 1984
61
Sinossi ecumenica – visione dall’esterno
Le Chiese ortodosse ed evangeliche e la Chiesa cattolico-romana. Ciò che le separa – ciò che le unisce
Chiesa ortodossa
Chiesa cattolico-romana
Chiese evangeliche riformate
della Svizzera
Fonti della fede
La Bibbia e la sua interpretazione da parte della Chiesa.
Solo la Bibbia.
La salvezza degli uomini
La salvezza nasce dalla fede che è dono di Dio.
Si mette l’accento sulla cooperazione umana
nell’ottenimento della salvezza.
La salvezza nasce dalla fede che è dono di Dio.
Si mette l’accento sull’operato di Dio nell’
avvenimento della salvezza mediante la fede.
Sacramenti
Battesimo, eucaristia, cresima, matrimonio,
ordinazione, penitenza, unzione dei malati.
Battesimo e Santa Cena. La Santa Cena è una
celebrazione commemorativa.
Struttura della Chiesa
Patriarcati che sono collegati
tra di loro attraverso
la comunione eucaristica.
Tutti i vescovi hanno
parità di ordine.
I credenti partecipano
all’elezione dei sacerdoti
e dei vescovi.
Orientamento giuridico della Chiesa quale Chiesa
di Stato e di comune.
“Sacerdozio di tutti i credenti”.
Chiesa visibile e invisibile.
Ministri
L’ordinazione al ministero sacerdotale amministrata da un
vescovo ammette all’assunzione di un ministero di
servizio speciale che contiene la guida della comunità,
l’annuncio e l’amministrazione dei sacramenti.
Ai vescovi è affidata d’ufficio la cura dell’unità della
Chiesa e la tradizione “inalterata” della verità.
L’ordinazione da parte di altri titolari al
ministero ecclesiastico ammette
un servizio speciale nella comunità. Per principio
ogni membro della comunità può presiedere al
culto ed amministrare i sacramenti. Si va insieme in
ricerca della verità.
Sono obbligati allo stato celibe
solo i maggiori ordini.
I titolari sono abitualmente sposati.
Chiesa universale.
Diocesi.
Unità della Chiesa
garantita dal papa.
Il celibato è vincolante
per tutti i sacerdoti della
62
Il vescovo di Roma è
riconosciuto quale patriarca
occidentale ma non quale
guida universale della Chiesa.
Chiesa latina.
Il vescovo di Roma quale
successore di Pietro è il
titolare maggiore di tutti i
ministeri della Chiesa. Egli
dispone di giurisdizione
suprema e decide sulla
dottrina cristiana quale
ultima istanza.
Il papato non è necessario.
Il ministero sacerdotale è riservato esclusivamente a uomini
Ordinazione pure di donne al ministero
Liturgia
Annuncio della Parola e celebrazione dell’Eucaristia.
L’annuncio della Parola di Dio (la Bibbia).
Santi
I santi, particolarmente Maria, vengono venerati ed invocati
quali intercessori davanti a Dio.
Pregio di personaggi cristiani eccellenti, però
nessuna venerazione di santi.
Chiese:
Le Chiese ortodosse di:
- Costantinopoli
- Gerusalemme
- Antiochia
- Russia
- Serbia
- Albania
- ed altre
Le Chiese della Riforma
- evangelica luterana
- evangelica riformata (zwingliana / calvinista)
- La Chiesa latina
- le Chiese orientali in
unione con Roma
63
Altre Chiese
Chiesa cristiano-cattolica o vetero-cattolica
- costituzione episcopale sinodale,
- il Sinodo elegge il vescovo,
- 7 sacramenti,
- il celibato non esiste,
- ammissione delle donne al ministero sacerdotale.
Chiesa anglicana
- stretto legame tra Stato e Chiesa; era necessario il consenso della Camera dei
Lords e della Camera dei comuni perché le donne venissero ammesse
all’ordinazione al ministero sacerdotale,
- il re/la regina d’Inghilterra è il capo supremo della Chiesa (nessun membro
della successione al trono può convertirsi al cattolicesimo oppure sposarsi con
un partner cattolico),
- da una parte: una forte impronta cattolica (“high church”: significativi sono la
celebrazione della liturgia e dei sacramenti),
- da un’altra parte forti influssi della Riforma (“low church”: ruolo importante
della Sacra Scrittura),
- l’unione delle Chiese anglicane composta da trentuno diverse Chiese membro
autonome con le proprie liturgie,
- ammissione delle donne al servizio sacerdotale.
Chiese evangeliche
Evangelico-riformata, evangelico-luterana, evangelico-metodista, le Chiese libere
(battisti, Esercito della salvezza, movimenti pentecostali ecc.).
I battisti
-
pratica dell’anabattesimo,
la Chiesa libera più grande / si tiene separata dalla Chiesa di Stato,
battesimo dei maggiorenni,
si esige un cristianesimo rigido – sola scriptura (fedeltà alla Bibbia),
grande diffusione nell’America settentrionale, soprattutto tra la popolazione nera.
La Chiesa evangelica metodista
-
un movimento di risveglio inglese,
propri articoli di credo,
fondata dai spirituali anglicani John e Charles Wesley,
un impegno sociale particolarmente forte,
membro della Federazione delle Chiese protestanti della Svizzera,
esiste parzialmente il ministero del vescovo.
I movimenti pentecostali
-
sono convinti che l’avvenimento di Pentecoste si manifesti di nuovo oggi,
ci sono i carismi come la glossolalia, le profezie, le guarigioni di ammalati,
si insegna un distacco radicale dal mondo secolare, cercano di essere privi di
ogni peccato, affidamento totale a Cristo,
la Santa Cena celebrata in seguito alla lavanda dei piedi ha solo carattere
simbolico,
il battesimo dei maggiorenni non include il battesimo nello Spirito.
64
Le Chiese ortodosse vecchio-orientali
Il fondamento comune del credo: i concili della Chiesa primitiva antecedente il Concilio
di Calcedonia (451).
La Chiesa ortodossa copta (Egitto)
-
i medesimi sacramenti come nella Chiesa cattolica,
distribuzione della comunione ai credenti fino all’esaurimento delle ostie,
se i sacerdoti vogliono sposarsi devono farlo ancora prima dell’ordinazione,
il battesimo si riceve 40 giorni dopo la nascita insieme con la comunione,
condizioni per la conversione sono un catecumenato che dura anni e
l’anabattesimo,
un proprio papa.
La Chiesa ortodossa d’Etiopia
-
la liturgia contiene usanze che si appoggiano all’Antico Testamento ed alla
religione ebraica,
invocazioni particolari della madre di Dio, degli angeli, dei santi e dei
personaggi apocalittici.
La Chiesa ortodossa armena
-
il capo supremo è il catholikos,
è la Chiesa di Stato più antica,
esistono la Chiesa apostolica armena e la Chiesa cattolica armena.
Indirizzi


Istituto di Studi ecumenici, Università Miséricorde, av. de l’Europe 20, 1700
Friburgo, tel. 026 300 74 29, fax 026 300 79 83, www.unifr.ch/iso
Istituto Ecumenico dell’Università, Gibraltarstrasse 3, casella postale 7763,
6000 Lucerna 7, tel. 041 228 66 35, fax 041 228 72 32,
www.unilu.ch/tf6739.htm
65
INDICE
Presentazione
Ecumenismo in Svizzera
Situazione nella Svizzera romanda
Il Movimento ecumenico nel Cantone Ticino e nella Diocesi
di Lugano
1
4
20
28
33
37
-
Personalità dell’ecumenismo in Svizzera
Ecumenismo oggi e domani
Una fede – un battesimo
Uniti nella fede – separati alla mensa del Signore?
Caritas: l’attuazione fondamentale della Chiesa
A mo’ di conclusione
-
Allegati:




-
-
Piccolo dizionario dell’ecumenismo
Documenti ecumenici
Sinossi ecumenica
Altre Chiese
25
43
47
52
53
58
61
63
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