IL DIALOGO ECUMENICO TRA LE CHIESE E NELLE CHIESE Come va l’ecumenismo? È la domanda che ogni tanto mi sento rivolgere. In positivo potrei richiamare alla memoria alcuni eventi della cronaca recente come gli incontri in Turchia di papa Benedetto XVI con il patriarca Bartolomeo I a Fanar (sede del patriarcato ecumenico) e con Patriarca Mesrob II Mutafyan, patriarca Armeno, ad Istanbul dopo la visita alla Moschea Blu. O la visita ufficiale in Vaticano di Christodoulos I, arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia (il 14 dicembre scorso). Ognuno di questi incontri dice qualcosa di più che semplice accoglienza; sono segni iniziati con Paolo VI, continuati con Giovanni Paolo II capaci di superare reciproche divisioni e sospetti. Certo non sappiamo dove ci porteranno ma sono momenti necessari di conoscenza, capaci di vicinanza e mutua comprensione. Oltre agli incontri si potrebbe ricordare anche l’imminente documento sul battesimo, curato dal Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani e alcuni rappresentanti dei movimenti pentecostali (una realtà assai diversa dalla nostra, nata nel 1906, che potrebbe interrogarci sul nostro modo di essere credenti). Ma, allo stesso modo potrei riportare le considerazioni di chi giudica che in questo tempo la chiesa sia entrata in una fase di stanca, oppure di chi conclude che siamo entrati nell’autunno dell’ecumenismo. Anzi di chi afferma che sul dialogo ecumenico sia calata una gelata capace di far morire ogni speranza. Il 23 novembre 2006 ci è giunta la “DICHIARAZIONE COMUNE del papa Benedetto XVI e dell'arcivescovo di Canterbury sua grazia Rowan Williams” frutto del loro incontro in Vaticano. Pur sottolineando tutto il positivo del cammino ecumenico di questi ultimi 40 anni, nel comunicato si affermò, senza giri di parole, la presenza di “gravi ostacoli al nostro progresso ecumenico” che stavano rendendo il percorso “più difficile e arduo”. Nello stesso comunicato troviamo scritto: “Allo stesso tempo, il nostro lungo cammino comune rende necessario riconoscere pubblicamente la sfida rappresentata da nuovi sviluppi che, oltre a essere fonte di divisione per gli Anglicani, presentano seri ostacoli al nostro progresso ecumenico”. Pur senza nominare la questione del sacerdozio alle donne e del loro accesso all’episcopato, si dice chiaramente che il primo fronte d’impegno per l’unità dell’anglicanesimo non è con le altre chiese sorelle ma dentro di se. Questo comporta che la chiesa anglicana non può camminare nell’ecumenismo con la chiesa cattolica se prima non ha risolto le questioni che la stanno dividendo in modo preoccupante (il riferimento al vescovo di Canterbury è contestato, le chiese anglicane d’Africa sono la maggioranza e minacciano di staccarsi se si prenderà la strada dell’ordinazione sacerdotale ed episcopale di donne, ma questa strada è già percorsa negli Stati Uniti e in Canada). Il testo del comunicato ci segnala in modo preciso che le fatiche odierne dell’ecumenismo hanno motivi nuovi (non solo per la chiesa anglicana) rispetto a quelli che ci hanno insegnato quando studiavamo storia (la divisione dagli ortodossi, la Riforma luterana e poi la divisone dalla chiesa anglicana). Non si tratta più di comporre alcune parti della chiesa staccatesi nel corso dei secoli ma un mosaico sempre più complicato. Gli scismi e le tensioni nella Chiesa Cattolica Anche la chiesa cattolica, apparentemente ed effettivamente la più unita, ha subito molte tensioni che senza lacerala hanno, però, visto separarsi alcune parti (con forme scismatiche nel caso dei “vecchio cattolici” a fine ‘800, e dei lefevriani nel 1988). Dal Concilio Vaticano II ci sono state molte spinte “progressiste” (mi rendo conto che la parola è inadeguata e imprecisa, ma non saprei trovarne un’altra) che hanno provocato forti cambiamenti nella liturgia, nella teologia, nella morale, nella dottrina sociale,… Ognuna di queste spinte ha provocato tensioni e, a volte, divisioni di non poco conto. Il cammino di unione e la frattura dei pentecostali Non di meno le chiese protestanti stanno attraversando momenti di difficoltà. Fino all’inizio del novecento la loro frammentazione in numerosissime famiglie (luterani, calvinisti, anglicani, battisti, metodisti, pentecostali) non ha fatto problema. Quando si sono impegnati nella missione la loro divisione ha iniziato a creare problemi di coerenza: come possiamo predicare un unico Dio quando siamo divisi tra di noi? Pur nella diversità hanno cercato di unirsi: nel 1973 la sottoscrizione della Concordia di Leuenberg tra luterani e calvinisti (pur rispettando le loro diversità), nel 1994 un altro incontro significativo per garantire il reciproco riconoscimento è stato celebrato a Porvoo (Finlandia). Si potrebbero elencare numerose altre iniziative e realtà che mirano a condurre in unità l’universo della Riforma; un cammino che, comunque, si presenta ancora lungo. Ma dei circa 800 milioni di cristiani che si richiamano ai principi della Riforma protestante del XVI secolo ci sono quasi 500 milioni che fanno riferimento al mondo pentecostale; più che protestanti si dicono evangelici, più che alla Riforma del Cinquecento guardano alla novità che è Gesù Cristo. Uno mondo evangelico dentro il mondo della Riforma, con relazioni che presentano alcune difficoltà. La supremazia contesa tra i fratelli ortodossi La chiesa ortodossa non è meno in difficoltà, per ragioni storiche (difficilmente riassumibili in poche righe) che l’hanno coinvolta nel secolo scorso vive momenti di divisione possibile, di tentazioni di supremazia, di difficoltà del riconoscimento reciproco tra chiese. La contesa più forte è quella tra i patriarcati di Costantinopoli (la seconda Roma) e di Mosca (la terza Roma), con conseguenze sugli equilibri di tutte le altre chiese 13 chiese sorelle. Dietro l’apparente unità del mondo ortodosso ci sono stati, anche recentemente (nel 1996 il Santo Sinodo russo fa cancellare dalla liturgia il ricordo del patriarca Bartolomeo I di Costantinopoli), atti di rottura della comunione eucaristica e perciò la concretizzazione del primo scisma in mille anni. Tornando alla domanda iniziale, si può rispondere affermando che la questione è più complicata di quanto non sembri. Certamente non si può procedere nel dialogo ecumenico tra chiese se le chiese non sono in qualche modo unite dentro se stesse. Addirittura non ci può essere dialogo se questo crea problemi dentro le chiese, il danno sarebbe superiore al vantaggio. Certamente il cammino sembrava più semplice nel periodo dopo il Concilio Vaticano II; ma questo non significa che lo fosse davvero. I problemi non sono più “solo” teologici o politici, come nel passato. Questi rimangono con la loro problematicità fino ad oggi, aggravati dal peso dei secoli di “difficoltà” vissuti gli uni nei confronti degli altri. A tutto questo dobbiamo aggiungere il contesto culturale attuale, capace di creare nuove spinte che rischiamo di essere disgreganti (matrimonio e ordine sacro agli omosessuali, ordine sacro ed episcopale alle donne; accoglienza del divorzio, dell’aborto, dell’eutanasia,…). Essere ottimisti o pessimisti per quanto riguarda l’ecumenismo? Credo che un cristiano non debba mai essere pessimista perché, sempre e comunque, noi crediamo in Cristo e la Sua preghiera è anche per la nostra unità.