ARES -Regione Puglia- Università degli Studi di Bari, Pisa

S.I.NP.I.A. - sez. apulo-lucanaARES -Regione PugliaUniversità degli Studi di Bari, Pisa e Cagliari
LINEE GUIDA
DIAGNOSTICO-TERAPEUTICHE- GESTIONALI
SULLA DEPRESSIONE
- “I DISTURBI DEPRESSIVI IN ETÀ EVOLUTIVA”Margari
Lucia*,
Perniola
Tommaso*,
Masi
Gabriele**,
Zuddas
Alessandro***, Lozito Vito*, Buttiglione Maura*, Presicci Anna*, Ventura
Patrizia*.
* U.O. di Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento di Scienze Neurologiche
e Psichiatriche, Università degli Studi di Bari.
** Divisione di Neuropsichiatria Infantile, Università di Pisa- IRCCS Stella
Maris, Calambrone (Pisa).
*** Clinica di Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento di Neuroscienze,
Università degli Studi di Cagliari.
1
RINGRAZIAMENTI: gli autori ringraziano la Prof.ssa Adriana Ceci, del Dipartimento
di Farmacologia e Fisiologia Umana, Università degli Studi di Bari, e le Dott.sse
Mariagrazia Felisi e Simona Ravera, del Consorzio per le Valutazioni Biologiche e
Farmacologiche di Pavia, per il contributo dato per i capitoli 9.5 e 9.6; il Dott. Francesco
Margari, del Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche, Università degli Studi
di Bari, per il contributo dato per i capitoli 9.2 e 9.3.
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INDICE
1. Metodologia
1.1 Scopi e destinatari delle linee guida
1.2 Metodi di ricerca della letteratura e di estrapolazione dei dati
1.3 Classificazione delle raccomandazioni basate sulle linee di evidenza
2. La depressione infantile come specifico sottotipo
1a raccomandazione
3. Epidemiologia
4. Fattori associati all’esordio o all’evoluzione
4.1 Fattori genetici
4.2 Fattori neurobiologici
4.3 Vulnerabilità temperamentale
4.4 Esposizione a eventi di vita negativi
4.5 Ambiente familiare
5. Forme cliniche di depressione
5.1 Disturbo Depressivo Maggiore
5.2 Disturbo Distimico
5.3 Espressività clinica del DDM e del DD in relazione all’età
5.4 Disturbo bipolare e fattori predittivi di rischio bipolare in pazienti depressi
5.5 Predittori di un viraggio bipolare della depressione infantile
2a raccomandazione
6. Limiti dei sistemi classificativi e nuovi indirizzi di ricerca
7. Comorbidità
8. Storia naturale e rischio suicidarlo
8.1 Disturbo Depressivo Maggiore
8.2 Disturbo distimico
9. Diagnosi
9.1 Depressione normale e depressione patologica
9.2 Peculiarità della diagnosi in età evolutiva
9.3 Diagnosi Differenziale
3a raccomandazione
4a raccomandazione
5a raccomandazione
3
10. Il trattamento
10.1 Implicazioni del trattamento
6a raccomandazione
10.2 Intervento psicoeducativo
10.3 Psicoterapie
10.4 Interventi di prevenzione
10.5 Farmacoterapia
10.5a Farmacoterapia: SSRI
10.5b. Farmacoterapia: antidepressivi triciclici
10.5c. Farmacoterapia: stabilizzanti dell’umore
10.5d. Farmacoterapia: nuovi farmaci
10.6 Strategie del trattamento
10.6.a La depressione lieve e moderata
10.6.b La depressione grave.
10.7. La tattica del trattamento farmacologico
7a raccomandazione
8a raccomandazione
9a raccomandazione
10a raccomandazione
11a raccomandazione
12a raccomandazione
13a raccomandazione
14a raccomandazione
15a raccomandazione
16a raccomandazione
17a raccomandazione
18a raccomandazione
Flow chart strategie trattamento
Flow chart tattica trattamento farmacologico
11. Depressione e medicina generale
19a raccomandazione
Flow chart MMG
12. Bibliografia
4
1. Metodologia
1.1 Scopi e destinatari delle linee guida.
La salute mentale dell’adulto affonda le sue radici nell’infanzia, pertanto,
l’individuazione e la presa in carico precoci di disturbi psichiatrici permettono un’azione
preventiva estesa alle fasi successive della vita. Una maggiore conoscenza da parte dei
Medici di Medicina Generale (MMG) sui principali aspetti eziopatogenetici, clinici,
terapeutici e gestionali dei disturbi depressivi permette di utilizzare un linguaggio
condiviso tra MMG, in particolare pediatri di famiglia, e neuropsichiatri infantili,
presupposto indispensabile per uno scambio continuo che abbia come obiettivo finale la
salute mentale del bambino. Per tale motivo, l’Agenzia Regionale per la Sanità (ARES) Regione Puglia- e la Società Italiana di Neuropsichiatria Infantile (SINPIA, sezione
apulo-lucana) in collaborazione con le Università degli Studi di Bari, Pisa e Cagliari,
hanno elaborato delle Linee Guida per i Disturbi Depressivi sottotipo “I Disturbi
Depressivi in età evolutiva”.
Gli autori, per la elaborazione, hanno preso in considerazione le linee guida relative ai
disturbi depressivi in età evolutiva maggiormente accreditate da parte della comunità
scientifica nazionale e internazionale e hanno considerato anche le varie opinioni di
esperti scientificamente qualificati e di rappresentanti internazionali sullo stato dell’arte
di questi disturbi. Queste linee guida forniscono un up-date delle attuali conoscenze dei
disturbi depressivi in età evolutiva e raccomandazioni basate su linee di evidenza per la
diagnosi, gestione e trattamento di questi disturbi.
1.2 Metodi di ricerca della letteratura e di estrapolazione dei dati.
I dati utilizzati per la elaborazione di queste linee guida sono stati estratti dalle seguenti
risorse: meta-analisi sulla diagnosi-gestione-trattamento
dei
disturbi
depressivi
identificati mediante ricerca nel database MEDLINE (fino a Maggio 2004.); articoli di
reviews e testi di libri trovati mediante una ricerca nel database di MEDLINE; libreria
COCHRANE; American Academy of Child and Adolescent Psychiatry (AACAP),
Practice Parameters for the assessment and treatment of children and adolescents with
bipolar disorder and with depressive disorders (AACAP, 1997-1998); American
Psychiatric Association (APA), Practice Guidelines for the Treatment of patients with
major depressive disorder, revision (APA, 2000); American Psychiatric Association
(APA), Practice Guidelines for the treatment of psychiatric disorders-Compendium 2002
Quick Reference (APA 2002); World Federation of Societies of Biological Psychiatry
5
Guidelines for Biological Treatment of Unipolar Depressive Disorders (WFSBP, 2002);
Agency for Health Care Policy and Research (AHCPR), Evidence Report on Treatment
of depression: newer pharmacotherapies (AHCPR, 1999); National Institute of Mental
Health (NIMH, USA, 2000); Programma Nazionale Linee Guida (PNLG, 2002);
esperienza clinica individuale degli autori.
1.3 Classificazione delle raccomandazioni basate sulle linee di evidenza.
Le evidenze trovate nella ricerca della letteratura e l’estrapolazione dei dati sono
sintetizzate e categorizzate al fine di riflettere la suscettibilità al bias (Shekelle et al,
1999).
Le singole raccomandazioni sono definite in accordo alla seguente classificazione,
mutuate dalle linee guida dell’American Academy of Child Adolescent Psychiatry:
-
Standard Minimo: Raccomandazioni basate su evidenze sostanziali quali quelle
derivate da almeno due rigorosi studi controllati, in doppio cieco. Tali indicazioni
dovrebbero essere seguite nella quasi totalità dei casi (90%) ed i motivi della loro
eventuale non osservanza dovrebbero essere riportati in cartella.
-
Linea Guida Clinica: Raccomandazioni basate su significative ma limitate evidenze
cliniche (studi in aperto, singoli casi), ma condivise dalla maggioranza degli esperti.
Dovrebbero essere applicate nella maggioranza dei casi (75%), ma nella pratica
clinica dovrebbero essere tenute sempre presenti le necessarie eccezioni.
-
Opzione Clinica: Pratica accettabile ma non derivata da sufficienti ed
incontrovertibili evidenze cliniche. Dovrebbe essere considerata appropriata in alcuni
casi ma da evitare in altri.
Per ogni raccomandazione è anche specificata la Forza dell’evidenza e la Forza della
Raccomandazione, utilizzando i criteri dell’American Association of Pediatrics:
-
Buona/Forte: basata su evidenze scientifiche di alta qualità e/o forte consenso
clinico
-
Sufficiente: basata su evidenze scientifiche limitate o di modesta qualità
metodologica
-
Scarsa: scarse evidenze scientifiche e limitato consenso clinico
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2. La depressione infantile come specifico sottotipo
La depressione in età evolutiva è stata descritta per la prima volta da Moreau de Tours nel
1888. Negli anni si è dibattuto sull’esistenza della depressione, in quanto disturbo vero e
proprio, nei bambini e negli adolescenti. Il concetto che bambini in età prepubere possano
presentare clinicamente una depressione è stato rifiutato per molte decadi poiché si
pensava che fossero troppo immaturi cognitivamente ed emozionalmente per poter
sperimentare un sentimento depressivo. Mentre in altre fasi del ciclo vitale lo studio dei
disturbi depressivi ha raggiunto risultati sufficientemente condivisi, in età evolutiva la
definizione e l’inquadramento nosografico di tali disturbi sono ancora problematici, in
relazione alla peculiare e variabile espressività clinica della patologia psichica nelle varie
fasce di età. Solamente negli ultimi 20 anni tali disturbi sono stati formalmente
riconosciuti.
Nonostante queste difficoltà, attualmente si riconosce che i disturbi depressivi in età
evolutiva, anche se con differenze importanti, hanno una consistenza e una stabilità di
malattia simili a quelli dell’adulto. Infatti, le principali forme cliniche di depressione, il
Disturbo Depressivo Maggiore (DDM) e il Disturbo Distimico (DD) rappresentano
disturbi comuni e ricorrenti in età evolutiva, frequentemente persistono in età adulta e
sono spesso associati ad altri disturbi psicopatologici e ad un aumentato rischio di
suicidio, abuso di sostanze e evoluzione verso il disturbo bipolare (Ryan, 1992-2003;
Kovacs, 1994-1996-1997; Roberts et al, 1995; Birmaher et al, 1996-1998-2002-2004;
AACAP, 1997-1998; Carlson, 2000; Goodman et al, 2000; NIMH, 2000; Park et
Goodyer, 2000; Thorpe et al, 2001; Purper-Ouakil et al, 2002; Allen-Meares et al, 2003;
Brennan, 2003; Elliot and Smiga, 2003; Goodyer et al, 1997; Hazell, 2003; Lagges et
Dunn, 2003; Luby et al, 2003; Poli et al, 2003). Il disturbo depressivo ad esordio precoce
è simile a quello dell’adulto, ma si manifesta con espressività clinica differente e
peculiare in rapporto alle varie fasi dello sviluppo e rappresenta una forma
particolarmente severa di disordine affettivo.
Una considerazione di natura nosografica riguarda le analogie e le differenze tra la
depressione ad esordio precoce e la depressione ad esordio in età adulta. Se infatti il
DSM-IV-TR (APA 2000), definendo criteri diagnostici unitari, ha implicitamente sancito
l’unitarietà del disturbo depressivo, quanto meno sul versante clinico-descrittivo, resta in
realtà ancora incerto se la depressione infantile e quella dell’adulto rappresentino la stessa
entità clinica.
7
Innanzitutto non è presente nel bambino la prevalenza netta per il sesso femminile, tipica
della depressione adulta. Al contrario, si osserva più spesso una prevalenza nel sesso
maschile, o nessuna prevalenza.
L’esordio è più spesso insidioso e l’andamento cronico, rispetto all’esordio acuto e
all’andamento episodico degli adulti.
Sul piano clinico, nella depressione infantile, prevalgono la disforia e l’irritabilità rispetto
alla tristezza ed alla melanconia dell’adulto.
Inoltre, a differenza dell’adulto, il bambino in età prepubere ha maggiore difficoltà a
identificare e a descrivere stati soggettivi tipici della depressione adulta e, in molti casi, la
depressione è riconoscibile dagli altri (familiari, amici, insegnanti), soprattutto in
manifestazioni oggettive (riduzione dell’attività, dell’iniziativa, della varietà degli
interessi). Nella depressione infantile, inoltre, prevale la reattività dell’umore a fattori
esterni, che, nell’adulto, è presente nella depressione atipica.
Infine, nella depressione infantile appare particolarmente elevata la comorbidità, in
particolare con disturbo bipolare, disturbi d’ansia, ADHD, disturbo oppositivoprovocatorio, disturbo della condotta. Queste patologie, in genere, precedono la
depressione e possono renderla meno evidente. La più elevata associazione con il
disturbo bipolare, spontaneo o farmacologicamente indotto, può essere interpretata in
termini di elevata potenzialità bipolare della depressione infantile (Geller et al, 1994;
Akiskal, 1995; Kovacs et al, 1994-1996-1997).
Tali caratteristiche fanno sì che, al di là delle analogie tra le depressioni infantili ed
adulte, le depressioni ad esordio precoce possono essere considerate un sottotipo di
depressione (Tab. 1).
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Tab.1 La depressione infantile come specifico sottotipo.
DEPRESSIONE NEL BAMBINO E NELL’ADULTO: DUE QUADRI DISTINTI?
STORIA NATURALE: esordio insidioso ed andamento cronico, rari esordio acuto ed
andamento episodico
ESPRESSIVITÀ CLINICA: irritabilità e disforia più che tristezza o melanconia, sintomi
maggiormente “oggettivi” riconosciuti dagli altri, reattività dell’umore a fattori esterni (tipo
depressione atipica adulta)
COMORBIDITÀ: molto elevata, in particolare con disturbo bipolare, disturbi d’ansia, ADHD,
disturbo oppositivo-provocatorio, disturbo della condotta
GENETICA: più elevata bipolarità nel gentilizio
ELEVATA IPOMANIACALITÀ spontanea o iatrogena
1a raccomandazione
(Standard Minimo. Forza dell’evidenza: buona; forza della raccomandazione: forte)
I disturbi depressivi rappresentano disturbi ben definiti, comuni e ricorrenti in età
evolutiva che richiedono una attenzione immediata del clinico (pediatra e
neuropsichiatra infantile).
3. Epidemiologia
Negli ultimi anni si è assistito ad un incremento della frequenza dei disturbi
psicopatologici in età evolutiva. Nel mondo 120 milioni di persone soffrono di disturbi
psichiatrici, di cui il 10-20% sono minori. Dati epidemiologici emersi da alcuni studi
internazionali (Dubini et al, 2001) e nazionali (Faravelli et al, 1990) evidenziano che i
disturbi emotivi (disturbi d’ansia e disturbi depressivi) presentano nella popolazione
generale una prevalenza media del 2.5%.
La prevalenza del Disturbo Depressivo Maggiore (DDM) è stimata tra l’1.8% e il 2.5% in
età prepubere e tra il 2.9% e il 4.7% negli adolescenti; la prevalenza del Disturbo
Distimico (DD) è stimata tra lo 0.6% e l’4.6% nei bambini e tra l’1.6% e l’8% negli
adolescenti (Esser et al, 1990; Fleming et Offord, 1990; Cooper et Goodyer, 1993;
Lewinshon et al, 1993; Polaino-Lorente et Domenech, 1993, Brent et al, 1995; AACAP,
1998; Kessler et al, 2001; Nobile et al, 2003). Il rapporto maschio-femmina è 1:1 nei
bambini, 1:2 negli adolescenti (Fleming et Offord, 1990; Angold e Rutter, 1992) (Tab. 2).
9
La variabilità delle stime epidemiologiche riflette le difficoltà diagnostiche a causa della
estrema eterogeneità della sintomatologia in età evolutiva. Nel complesso, si può
concludere che l’incidenza aumenta dopo la pubertà e che la prevalenza stimata negli
adolescenti è simile a quella degli adulti, suggerendo che la depressione degli adulti
spesso esordisce in adolescenza (il 50% degli adulti depressi riferisce il 1° episodio
depressivo prima dei 18 anni). Alcuni studi indicano negli ultimi anni un aumento della
prevalenza di forme più lievi e ad esordio più precoce (Ryan et al, 1992; Neuman et al,
1997) sia per una abbassamento della soglia di richiesta di consultazione (legata ad una
maggiore consapevolezza del problema nella popolazione generale), sia per una maggiore
attenzione sanitaria e una aumentata sensibilità diagnostica dei clinici alla depressione
dell’infanzia, sia probabilmente per il fatto che le condizioni di vita attuali sono
maggiormente in grado di slatentizzare condizioni di vulnerabilità depressiva, anche e
soprattutto in età evolutiva. (Tab. 3).
Tab. 2 Prevalenza dei DDM e DD
PREVALENZA
DISTURBO DEPRESSIVO MAGGIORE
DISTUBO DISTIMICO
1.8-2.5% BAMBINI
2.9-4.7% ADOLESCENTI
0.6-4.6% BAMBINI
1.6-8% ADOLESCENTI
Tab. 3 Fattori legati alla frequenza
NEGLI ULTIMI DECENNI INCREMENTO DELLA FREQUENZA DELLE FORME
MENO GRAVI E AD ESORDIO PIÙ PRECOCE. PERCHE’?
-
Maggiore consapevolezza del problema nella popolazione generale
-
Mggiore attenzione sanitaria
-
Maggiore sensibilità diagnostica
-
Maggiore facilità di passaggio della vulnerabilità biologica latente alla depressione clinica in
bambini ed adolescenti
Es: Richieste e prestazioni scolastiche possono favorire manifestazioni depressivoansiose, alcune pressochè normali, altre più chiaramente patologiche.
10
4. Fattori associati all’esordio o all’evoluzione
La depressione va considerata un disturbo psicopatologico a patogenesi multifattoriale, la
cui espressività ed evoluzione sono legati ad una serie di fattori di rischio genetici,
neurobiologici, temperamentali, ambientali, interagenti tra loro (Tab. 4).
E’ noto che lo sviluppo cognitivo, emotivo e comportamentale sono il risultato di
complesse interazioni che avvengono sin dal concepimento tra patrimonio genetico ed
ambiente; tale continua interazione spiega le difficoltà che si incontrano a voler separare
in modo artificioso quanto un determinato comportamento, sia normale che patologico,
sia di natura genetica o acquisita.
4.1 Fattori genetici
Studi longitudinali hanno dimostrato nei figli di soggetti affetti da depressione un rischio
3 volte maggiore di contrarre il DDM e 7 volte maggiore per il DD rispetto alla
popolazione generale oltre a un rischio maggiore di sviluppare altre patologie
psichiatriche (disturbi d’ansia, abuso di sostanze, disturbi del comportamento) (Kovacs,
1994-1996-1997). Nei familiari di bambini affetti da disturbi dell’umore sono stati
riscontrati sia un rischio di sviluppare disturbi depressivi 1.5-3 volte più alto rispetto alla
popolazione generale (Weissman et al, 1992; Maier et al, 2000; Sullivan et al, 2000) sia
una aumentata prevalenza per altri disturbi psichiatrici quali disturbo d’ansia, abuso di
sostanze e disturbi di personalità (Harrington, 1990; Beardslee et al, 1996). Gli studi sui
gemelli avvalorano l’ipotesi genetica nella eziopatogenesi della depressione. Studi su
gemelli omozigoti hanno messo in evidenza valori di concordanza pari al 76% se
cresciuti insieme e del 67% se cresciuti separatamente, mentre nei gemelli dizigoti tali
valori si aggirano intorno al 19% (Lyon et al, 1998).
Ovviamente, da questi dati, è difficile discriminare quanto questa aggregazione familiare
di disturbi affettivi sia di natura genetica e quanto di natura ambientale. Infatti, se il
maggior rischio depressivo può essere attribuito ad una maggiore “incidenza depressiva”
nell’albero genealogico familiare, è fuori dubbio che le modalità relazionali di un
genitore malato, nonché le assenze prolungate per eventuali ricoveri, la riduzione dei
contatti sociali dell’intero nucleo familiare, aumentano tale rischio (Orvaschel et al, 1988;
Lieb et al, 2002; Nomura et al, 2002).
E’, inoltre, da considerare non solo la possibile diretta eziologia genetica del disturbo
depressivo, ma anche un indiretto effetto genetico sullo sviluppo cognitivo-emotivorelazionale del soggetto che condiziona le sue esperienze di vita (Scarr,1992).
11
4.2 Fattori neurobiologici
Negli ultimi anni sono stati fatti importanti progressi nello studio dei correlati biologici
della depressione negli adolescenti e nei bambini (Zandio et al, 2002; Harvey et al 2003;
Phillips et al, 2003). Dal momento che la depressione nell’infanzia clinicamente è simile
a quella dell’adulto, si è pensato di ricercare nei bambini le stesse alterazioni biologiche
riscontrate nell’adulto. Gli studi sui “marcatori biologici” nei bambini hanno fornito
evidenze discordanti, pertanto attualmente non esistono markers biochimici specifici.
L’ipotesi neurobiologica più accreditata nella eziopatogenesi della depressione è quella
“aminergica”, secondo la quale il disturbo depressivo è riconducibile ad un deficit
funzionale delle amine biogene (serotonina, noradrenalina, dopamina).
Questa ipotesi è nata sulla base dell'osservazione che diversi farmaci che agiscono sulla
trasmissione monoaminergica sono in grado di incidere sul tono dell'umore:
- le prime osservazioni si riferivano agli effetti della reserpina (farmaco antiipertensivo),
che in circa il 15% dei pazienti determinava un quadro depressivo, in relazione al suo
effetto di deplezione dei depositi di noradrenalina e serotonina;
- successivamente, si è notato che farmaci in grado di aumentare la disponibilità a livello
sinaptico delle amine biogene mostravano un importante effetto antidepressivo.
In effetti, non è chiaro su cosa si basi questo deficit funzionale aminergico ed in
particolare se esso sia legato ad una carenza di uno o più trasmettitori, ad una alterazione
strutturale del recettore su cui tali trasmettitori agiscono, ad un aumento del numero dei
recettori (up-regulation) primitivo o indotto dalla carenza di trasmettitore o se siano
implicati i processi di transduzione postrecettoriale, attraverso i quali, con un
meccanismo a cascata all’interno del neurone l’interazione tra il trasmettitore ed il
recettore si riflette sulla regolazione della espressività del materiale genetico. Una
alterazione a questo livello si rifletterebbe sulla espressività di alcuni geni, e quindi sulla
sintesi di alcune proteine. Tra queste rientrano proteine strutturali o funzionali quali
enzimi, recettori, trasmettitori, modulatori della trasmissione (neurochine, sostanza P),
fattori che regolano il trofismo di particolari aree del SNC (es: BDNF: brain-derivedneurotrophic factor, NGF: nerve-growth factor). Questi fattori neurotrofici regolano la
complessa dinamica sinaptica, selezionando e stabilizzando alcune sinapsi ed
eliminandone altre ridondanti.
Fattori biologici primari, ma anche condizioni ambientali avverse possono modulare
l’espressività di questi geni, con conseguente alterazione della sintesi di proteine
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strutturali e funzionali a carico di neuroni e circuiti cerebrali implicati nella regolazione
affettiva, quali ad es. quelli dell’ippocampo, determinando, in ultima analisi, una
modificazione della struttura e della funzione del SNC.
4.3 Vulnerabilità temperamentale
Bambini con “temperamento affettivo”, caratterizzato da uno stile interpretativo
“negativo” degli eventi vitali e convinzione di non avere alcun controllo sugli stessi,
personalità con bassa autostima e alta autocritica, hanno un maggior rischio di sviluppare
un disturbo depressivo (Purper-Ouakil et al, 2002).
4.4 Esposizione a eventi di vita negativi
Diversi studi di psicopatologia dell’età evolutiva hanno dimostrato che circa il 50% dei
disturbi depressivi in età evolutiva è preceduto da uno o dalla combinazione di più eventi
stressanti di un certo impatto emotivo, per cui risulta evidente che tali evenienze siano
necessarie ma non sufficienti per spiegare la depressione, ovvero che più che essere
considerate cause della depressione debbano essere considerate fattori di slatentizzazione
di una vulnerabilità depressiva su base biologica (Kovacs et al, 1994-1996-1997). E’
possibile che eventi di vita stressanti possano determinare un livello alto di arousal o
interferire con lo sviluppo di strategie di regolazione dell’arousal in relazione allo stress,
in grado di determinare, in ultima analisi alterazioni del tono dell’umore, del ritmo
sonno-veglia, dell’appetito e del comportamento in genere. Quello che oggi è noto sulle
relazioni tra geni ed ambiente consente di comprendere che eventi relazionali avversi, in
particolare se si verificano in fasi cruciali dello sviluppo, possono modulare la
espressività dei geni e determinare quindi effetti biologici che possono successivamente
automantenersi.
I fattori ambientali di rischio per la depressione possono essere rappresentati sia da eventi
di vita stressanti acuti sia da avversità croniche tra cui malattie croniche, abbandoni,
morte o malattia grave di un genitore, divorzio dei genitori, maltrattamento, abuso
sessuale, rottura di rapporti con i pari, fallimento di relazioni d’amore, insuccesso
scolastico (Lewinsohn et al, 1996; Goodyer et al, 1993; Dunn et al, 1999; Nomura et al,
2002; Plioplys, 2003). I bambini, infatti, spesso tendono a misurare la propria abilità in
relazione ai successi ottenuti in ambito scolastico. Pertanto, qualsiasi situazione che
interferisca con le capacità di apprendimento scolastico (disturbi dell’apprendimento,
disturbo da deficit dell’attenzione con iperattività, fobia scolare), in quanto in grado di
13
determinare un abbassamento dell’autostima, può rappresentare un fattore di rischio per
lo sviluppo di un disturbo depressivo.
4.5 Ambiente familiare
Studi su famiglie di bambini depressi hanno dimostrato un’alterazione delle dinamiche
relazionali familiari, caratterizzate da ostilità, conflittualità, rifiuto, comunicazione ed
espressione emotiva ridotte, tendenza ad una interpretazione “fatalistica” degli eventi
vitali (Stein et al, 1991; Goodyer et al, 1997; Nomura et al, 2002; Purper-Ouakil et al,
2002).
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Tab. 4 Fattori associati all’esordio o all’evoluzione
FATTORI ASSOCIATI ALL'ESORDIO O ALLA EVOLUZIONE
-
FATTORI GENETICI
In figli di genitori depressi la prevalenza del disturbo depressivo maggiore è 3 volte superiore
rispetto al controllo e la prevalenza di distimia è 7 volte maggiore rispetto al controllo.
In genitori di bambini depressi la prevalenza dei disturbi depressivi è 2-3 volte maggiore
rispetto alla popolazione generale.
La percentuale di concordanza tra gemelli omozigoti è del 76%
La percentuale di concordanza tra gemelli dizigoti è del 19%
-
FATTORI NEUROBIOLOGICI
Deficit funzionale delle amine biogene (serotonina, noradrenalina, dopamina)
-
VULNERABILITÀ TEMPERAMENTALE
Temperamento affettivo: stili interpretativi "negativi", tratti di personalità con bassa autostima,
alta autocritica, convinzione di non avere alcun controllo su eventi vitali negativi
-
EVENTI VITALI NEGATIVI
Lutti, malattie, abbandoni, maltrattamento, divorzio dei genitori, rotture di rapporti, insuccesso
scolastico etc.
-
AMBIENTE FAMILIARE
Conflittualità, ostilità, scarsa espressione di affetti ed emozioni, modelli di riferimento negativi
INTERAZIONE TRA FATTORI BIOLOGICI ED AMBIENTALI
⇓
MODIFICAZIONE DELLA ESPRESSIVITÀ GENICA
⇓
MODIFICAZIONE DI STRUTTURA E FUNZIONE
DI ALCUNI CIRCUITI NEURONALI
15
5. Forme cliniche di depressione
I due principali sistemi classificativi internazionali utilizzati nella pratica clinica anche per
l’età evolutiva sono il Diagnostic and Statistical Manual for Mental Disorders - IV Edition
- Test Revision (DSM-IV-TR, APA 2000) e l’International Classification of Disease – X
Edition - (ICD-10, WHO 1992) (Tab. 5-6).
Per la fascia d’età 0-3 anni il sistema classificativo più utilizzato è la classificazione
diagnostica zero to three (Zero to three: National Center for Clinical Infant Program,
1994) (Tab. 7).
Nella pratica clinica viene utilizzato il DSM-IV-TR, nel quale i disturbi depressivi sono
inquadrati nell’ambito dei disturbi dell’umore.
DISTURBI DELL’UMORE (DSM-IV-TR)
•
Disturbi Depressivi:
Disturbo Depressivo Maggiore (DDM)
Disturbo Distimico (DD)
Disturbo Depressivo Non Altrimenti Specificato (DD-NAS)
•
Disturbi Bipolari:
Disturbo Bipolare I (DB I)
Disturbo Bipolare II (DB II)
Disturbo Ciclotimico (DC)
Disturbo Bipolare Non Altrimenti Specificato (DB-NAS)
5.1 Disturbo Depressivo Maggiore (DDM)
Secondo il DSM-IV-TR (APA 2000) il DDM è caratterizzato dalla presenza di uno o più
Episodi Depressivi Maggiori, della durata di almeno 2 settimane, in assenza di episodi
maniacali o ipomaniacali. Le caratteristiche cliniche fondamentali per l’Episodio
Depressivo Maggiore sono la presenza di umore depresso o irritabile e/o di una pervasiva
incapacità nel provare piacere in attività precedentemente piacevoli, associata ad almeno
quattro dei seguenti sintomi: 1) riduzione (più raramente aumento) di appetito, talvolta
con significativo calo ponderale (più raramente aumento); 2) disturbo del sonno (insonnia,
più raramente ipersonnia, ma talvolta aumento del sonno diurno associato ad insonnia
notturna); 3) agitazione (più raramente rallentamento) psicomotoria; 4) senso di
affaticamento, perdita di energia, stancabilità; 5) sentimenti di indegnità, colpa, biasimo,
16
vergogna; 6) difficoltà nel concentrarsi, nel ricordare, nel prendere decisioni; 7) pensieri
di morte, ideazione suicidaria, tentativi di suicidio (Tab. 5).
Nell’ICD-10 (tab. 5) oltre alle differenze nella definizione di Episodio Depressivo
Maggiore, i criteri diagnostici hanno una diversa soglia per definire quando il disturbo si
caratterizza come episodio singolo rispetto a due episodi ricorrenti separati (assenza, tra
gli episodi, per un periodo di almeno 2 mesi di sintomi significativi di alterazione
dell’umore per l’ICD-10 e di criteri diagnostici per il DSM-IV-TR).
In entrambi i sistemi classificativi, inoltre, il DDM, in base alla gravità può essere
codificato come lieve, moderato, grave senza manifestazioni psicotiche, grave con
manifestazioni psicotiche, in remissione parziale/completa.
17
Tab. 5 Criteri diagnostici dell’episodio singolo di DDM secondo il DSM-IV-TR e
l’ICD-10.
DSM-IV-TR
DDM.
ICD-10
A.
EPISODIO DEPRESSIVO:
A. episodio singolo
•
B. ricorrente
2 sintomi tipici più 2 sintomi comuni
•
Lieve
Moderato
2 sintomi tipici più 3 sintomi comuni
•
Severo
3 sintomi tipici
B. DISORDINE DEPRESSIVO RICORRENTE
EPISODIO SINGOLO
EPISODIO DEPRESSIVO
A: 5 o più dei seguenti sintomi
Durata minima 2 settimane
contemporaneamente presenti per 2 settimane
Sintomi tipici:
per la maggior parte del giorno,
1.
umore depresso
quasi ogni giorno e determinano
2.
perdita di interessi e piacere
un cambiamento rispetto al
3.
riduzione di energia, faticabilità
precedente livello di funzionamento
(i sintomi 1 o 2 devono essere presenti):
Sintomi comuni:
1.
riduzione di concentrazione e attenzione
1.
umore depresso
2.
riduzione di autostima
2.
diminuzione di interesse o piacere per la magg
3.
sensi di colpa e inadeguatezza
delle attività
4.
agitazione o rallentamento
3.
perdita o aumento di peso
5.
pensieri di morte o suicidio
4.
insonnia o ipersonnia
6.
disturbi del sonno
5.
agitazione o rallentamento psicomotorio
7.
modificazioni dell’appetito
6.
faticabilità o mancanza di energia
7.
sentimenti di autosvalutazione o colpa
8.
ridotta capacità di pensare o
concentrarsi o indecisione
9.
pensieri ricorrenti di morte
B: i sintomi causano disagio clinicamente
significativo o compromissione del
funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree
C: i sintomi non dipendono da fattori
fisici/organici o malattie generali
D: i sintomi non sono giustificati da lutto
18
5.2 Disturbo Distimico
Secondo il DSM-IV-TR (APA, 2000), il Disturbo Distimico (DD) è un disturbo cronico
caratterizzato da umore stabilmente depresso o irritabile, per la maggior parte del giorno,
quasi tutti i giorni, per almeno un anno (due anni negli adulti), senza intervalli liberi
superiori a due mesi (Kovacs et al, 1994-1996-1997; Kashani et al, 1997; AACAP, 1998;
Aschauer, 1999; Goodman et al, 2000; Klein et al, 2000; Flament et al, 2001; Masi et al,
2001; Nobile et al, 2003) (Tab. 6). Almeno due tra i sintomi seguenti sono stabilmente
presenti per la maggior parte del tempo: 1) riduzione o aumento dell’appetito; 2)
riduzione o aumento del sonno; 3) faticabilità, perdita di energia; 4) bassa autostima; 5)
ridotta abilità di pensare o concentrarsi; 6) sentimenti di perdita di speranza. Altri sintomi
generalmente associati al disturbo distimico, non inclusi nel DSM-IV-TR sono: la
sensazione di non essere amati, la disobbedienza, le lamentele somatiche, ansietà, uno
stato di sofferenza.
Il DD è generalmente meno intenso del DDM, ma persistente e pervasivo. Infatti la durata
media, sulla base di diversi studi clinici, è di tre-quattro anni, e la sintomatologia è più
ricca e composita di quanto previsto dai criteri diagnostici citati.
La diagnosi di DD può essere particolarmente difficile nelle forme ad esordio molto
precoce, poiché i sintomi sono condivisi da altre condizioni cliniche. La associazione di
diversi sintomi affettivi, la loro persistenza nel tempo e la scarsa reattività ad eventi
ambientali possono indirizzare la diagnosi. Questi bambini appaiono molto tristi e/o
irritabili, la loro mimica facciale ed il contatto visivo sono scarsi, la loro affettività è
appiattita. Non mostrano piacere nel gioco, hanno condotte di ritiro sociale, scarsa
comunicazione verbale, scarsa reattività; il livello di attività motoria può essere basso, ma
anche talora abnormemente alto. Sono frequenti scarso appetito, problemi di sonno e,
talora, anche un rallentato sviluppo fisico. Quando questi bambini hanno 7-8 anni di età e
il loro repertorio verbale aumenta, sono maggiormente capaci di riferire il sentimento di
sentirsi poco amati, la perdita di speranza, le lamentele somatiche, le ansie e le
preoccupazioni e la difficoltà di concentrazione. In età scolare, i bambini appaiono più
spesso scontenti o infelici o apatici per periodi prolungati. In adolescenza, i sintomi più
evidenti sono un disturbo del comportamento o un fallimento scolastico. Questi ragazzi
hanno un umore triste, che si associa a rabbia, irritabilità, bassa autostima, sintomi
vegetativi e ritiro sociale.
19
L’esordio è generalmente insidioso, il decorso è cronico, con una durata media di circa
quattro anni. Nel corso di questo periodo almeno la metà di questi soggetti sperimenta un
episodio più acuto, cioè un DDM, che si sovrappone al DD, derivandone una condizione
clinica che è stata definita Depressione Doppia (Klein et al, 1988; Ferro et al, 1994).
Può essere discusso se DDM, DD e Depressione Doppia siano realmente diagnosi distinte
(Klein et al, 1988; Ferro et al, 1994). In effetti i pazienti con Depressione Doppia
sperimentano la loro condizione come un semplice peggioramento della loro depressione
cronica, anche se con alcuni nuovi sintomi depressivi. Comunque una analisi più accurata
indica che i soggetti con Depressione Doppia presentano maggiore gravità ed un maggiore
numero di sintomi, maggiore compromissione funzionale, più elevata comorbidità,
maggiore necessità di supporto sociale e più basse percentuali di recupero ad un follow-up
di 6 mesi. Non è chiaro se una diagnosi tempestiva ed un adeguato trattamento del DD
siano in grado di ridurre il rischio di una sovrapposizione di un Episodio Depressivo
Maggiore.
I criteri diagnostici per la ricerca dell’ICD-10 specificano che tre item da una lista di 11
sintomi (che include 5 dei 6 sintomi del DSM-IV-TR) devono accompagnare l’umore
depresso. Inoltre, l’ICD-10 limita gli Epsiodi depressivi Maggiori a “nessuno o molto
pochi”, e specifica che il DD può seguire un episodio depressivo senza un periodo di
remissione completa.
20
Tab. 6 Criteri diagnostici del DD secondo il DSM-IV-TR
DSM-IV-TR
A: Umore depresso per la maggior parte del giorno,
ICD-10
A: Umore depresso costante o costantemente ricorrente
quasi tutti i giorni, per almeno 2 anni (nei bambini e
per almeno 2 anni, con periodi intervallari di umore
negli adolescenti l’umore può essere irritabile, e la
normale di qualche settimana
durata deve essere almeno di 1 anno)
B: Presenza, quando depresso, di 2 o più dei seguenti
sintomi:
B: nessun disordine depressivo ricorrente
C: Presenza, durante alcuni episodi depressivi, di almeno
3 dei seguenti aspetto:
1.
scarso appetito o iperfagia
1.
energia o attività ridotte
2.
insonnia o ipersonnia
2.
insonnia
3.
scarsa energia o astenia
3.
perdita di fiducia in se stesso o inadeguatezza
4.
bassa autostima
4.
difficoltà di concentrazione
5.
difficoltà di concentrazione o indecisione
5.
pianto frequente
6.
sentimenti di disperazione
6.
perdita di interesse o piacere nell’attività
C: Durante 2 anni di malattia (1 anno nei bambini e
sessuale o in altre attività piacevoli
adolescenti) la persona non è mai stata priva
7.
sentimenti di disperazione o sconforto
dei sintomi dei criteri A e B per più di 2 mesi alla
8.
vissuto di incapacità di far fronte alle ordinarie
volta
D: Durante i primi 2 anni di malattia (1 anno nei bambini
e adolescenti) non è stato presente un DDM
responsabilità della vita quotidiana
9.
pessimismo circa il futuro o rimuginazioni sul
passato
E: Non è mai stato presente un episodio maniacale
10. isolamento sociale
F: La malattia non si manifesta durante un disturbo
11. produzione verbale ridotta
psicotico cronico
G: I sintomi non dipendono da fattori fisici/organici o da ESORDIO precoce (adolescenza-30 anni) o tardivo.
malattie
H: I sintomi causano disagio clinicamente significativo o
compromissione del funzionamento sociale,
lavorativo o di altre aree
ESORDIO precoce (prima dei 21 anni) o tardivo.
5.3 Espressività clinica del DDM e del DD in relazione all’età
Nonostante l’uso dei criteri diagnostici dell’adulto per la diagnosi di depressione in età
evolutiva sia ormai convalidato, l’applicazione di questi criteri al bambino deve
comunque tenere in forte considerazione le peculiarità e l’estrema variabilità della
espressività clinica del DDM e del DD in relazione ai vari stadi di sviluppo cognitivo ed
21
emozionale del soggetto nelle diverse fasce d’età (Ryan, 1992-2003; Kovacs, 1994-19961997; Roberts et al, 1995; Birmaher et al, 1996-1998-2002-2004; AACAP, 1997-1998;
Carlson, 2000; Goodman et al, 2000; NIMH, 2000; Park et Goodyer, 2000; Thorpe et al,
2001; Purper-Ouakil et al, 2002; Allen-Meares et al, 2003; Brennan, 2003; Elliot and
Smiga, 2003; Goodyer et al, 1997; Hazell, 2003; Lagges et Dunn, 2003; Luby et al, 2003;
Poli et al, 2003).
Già nel DSM-IV-TR sono evidenziate alcune differenze della espressività clinica del
DDm e del DD in età evolutiva. Nel bambino con DDM, l’umore è irritabile anziché
depresso; mentre negli adulti le modificazioni del peso sono considerate significative se
superano il 5% del peso corporeo in un mese, nei bambini bisogna considerare
l’incapacità di raggiungere i normali livelli ponderali; inoltre, sebbene i sintomi nucleari
di un episodio depressivo maggiore siano i medesimi per bambini e adolescenti essi
cambiano in rapporto con l’età, infatti, alcuni sintomi come lamentele somatiche,
irritabilità e ritiro sociale, sono particolarmente comuni nei bambini, mentre
rallentamento psicomotorio, ipersonnia e deliri sono meno comuni in età prepuberale
rispetto all’adolescenza e all’età adulta. I bambini con DD sono solitamente irritabili ed
eccentrici oltre che depressi, hanno bassa autostima e scarse capacità sociali, sono
pessimisti,
evidenziano
una
compromissione
delle
prestazioni
scolastiche
e
dell’interazione sociale.
L’esperienza clinica, in accordo con i dati della letteratura, ha permesso di identificare
quadri clinici di depressione variabili in relazione all’età, considerando, tuttavia, che la
diagnosi di DDM e di DD deve comunque rispettare i criteri classificativi del DSM-IVTR o dell’ICD-10 (Tab. 8). Il DDM e il DD vengono differenziati in base a esordio,
durata, persistenza e gravità.
Nella fascia d’età 0-3 anni, i sintomi più frequenti sono: pianto eccessivo, irritabilità,
disturbi del sonno, calo dell’appetito e/o del peso, alterazioni della motricità
(rallentamento o irrequietezza), ritardi o regressioni in diversi ambiti (linguaggio,
motricità, controllo degli sfinteri), disturbi psicosomatici (vomito, diarrea, dermatite,
alopecia), scarso contatto visivo, scarsa mimica facciale.
Per la fascia d’età 0-3 anni la diagnosi può avvalersi della classificazione diagnostica zero
to three, che prevede la categoria diagnostica: “Disturbo dell’umore: depressione
infantile” (National Center for Clinical Infant Program, 1994) (Tab. 7).
Secondo la classificazione 0-3, la diagnosi di depressione infantile è riservata a bambini
che presentino un pattern di umore depresso o irritabile, con un abbassamento
22
dell’interesse o del piacere provati per attività tipiche del loro livello di sviluppo,
diminuita capacità di protestare, pianto eccessivo e repertorio povero di interazioni ed
iniziative sociali. I sintomi devono essere presenti per almeno 2 settimane e possono
essere accompagnati da disturbi del sonno o dell’alimentazione, inclusa la perdita di
peso. Quando questi sintomi vengono osservati in presenza di una deprivazione
ambientale o psicosociale significativa, in particolare con grave assenza di cure, deve
essere considerata la diagnosi alternativa di Disturbo di attaccamento reattivo a
maltrattamento/carenza di cure affettive. Se il disturbo non è grave ed osservato
transitoriamente nel contesto di un adattamento che il bambino sta mettendo in atto (es:
ripresa del lavoro del genitore), dovrebbe essere considerata la diagnosi di disturbo
dell’adattamento.
Nella fascia d’età 3-5 anni, ai sintomi presenti nelle fasce di età precedenti, si
aggiungono altri peculiari di questa fase dello sviluppo. Il mondo immaginativo ed i
giochi di fantasia sono caratterizzati da contenuti di fallimento, dolore, distruzione.
Alcuni bambini possono agire tali fantasie in comportamenti auto-eteroaggressivi.
Sintomi d’allarme sono il rallentamento, la scarsa tendenza a comunicare, l’apatia,
l’appiattimento affettivo, la riduzione dell’interesse per il gioco e per altre attività. Spesso
si instaura un legame molto stretto e regressivo con la madre, con tendenza
all’evitamento sociale.
In età scolare il bambino, avendo una maggiore capacità di verbalizzare e di condividere
i propri sentimenti depressivi con altre persone, tende ad esprime l’umore depresso nei
giochi e nei sogni. Emergono fantasie di morte, disistima, sentimenti di perdita e di
abbandono. Possono essere presenti una facile tendenza ad annoiarsi, isolamento sociale,
difficoltà relazionali con i coetanei. A questi stati di animo, spesso il ragazzo reagisce
con comportamenti di protesta e di opposizione. Pertanto, ai sintomi già citati si
associano problemi comportamentali quali aggressività, oppositività, iperattività,
impulsività, tendenza alla menzogna, messa in atto di fughe. Il rendimento scolastico può
calare per instabilità attentiva, difficoltà di concentrazione e facile stancabilità, con
conseguenti
insuccessi
scolastici
che
possono
determinare
un
abbassamento
dell’autostima e sensi di colpa. Nei bambini sono inoltre frequenti le lamentele
somatiche, quali cefalea, dolori addominali, dolori diffusi.
In adolescenza, le maggiori capacità introspettive e la consapevolezza di sé permettono
una maggiore espressione verbale dei propri stati d’animo. Le oscillazioni dell’umore
tipiche di questa età sono più intense. Coesistono anedonia e passività sia motoria sia
23
ideativa (scarsa iniziativa, perdita degli interessi, scarso rendimento scolastico sino
all’apragmatismo). Possono svilupparsi sentimenti di inferiorità (bassa autostima, sensi di
colpa, sentimenti di incomprensione e di sfiducia, isolamento sociale). Talora si
sviluppano sentimenti di onnipotenza che portano a reazioni aggressive e a passaggi
all’atto
(fughe da casa o da scuola, comportamenti antisociali). Pensieri di morte,
tentativi di suicidio, abuso di sostanze e sintomi psicotici sono più frequenti in
quest’epoca di vita. E’ necessaria una attenta valutazione di possibili sintomi psicotici,
come deliri ed allucinazioni, generalmente congruenti con il disturbo dell’umore (udire
voci di biasimo o voci che inducono al suicidio, deliri di colpa o indegnità). Le forme
associate a sintomi psicotici sono particolarmente gravi, più frequentemente ricorrenti,
più resistenti ai trattamenti, e più spesso associate a disturbo bipolare. Il rischio suicidario
è in queste forme particolarmente elevato.
Tab.7 Classificazione diagnostica zero to three.
Presenza per un periodo di almeno due settimane dei seguenti sintomi:
-
Umore depresso o irritabile, con abbassamento dell’interesse o del piacere provati per attività
tipiche del livello di sviluppo.
-
Diminuita capacità di protestare.
-
Pianto eccessivo.
-
Repertorio povero di interazioni e iniziative sociali.
24
Tab. 8 Espressivita’ clinica del DDM e del DD in relazione all’eta’
0-3 ANNI
pianto eccessivo, irritabilità
riduzione dell'appetito e/o del peso corporeo
disturbi del sonno (riduzione, aumento, inversione del ritmo)
alterazioni della motricità (inibizione, irrequietezza)
ritardi o regressioni in diversi ambiti (linguaggio, motricità, controllo degli sfinteri)
disturbi psicosomatici (vomito, diarrea, dermatite, alopecia)
repertorio povero di interazioni ed iniziative sociali
scarso contatto visivo, scarsa mimica facciale
3-5 ANNI
rallentamento psicomotorio
apatia, riduzione di interesse per il gioco (contenuti “depressivi” del gioco)
appiattimento affettivo
scarsa comunicazione verbale
tendenza all’evitamento sociale
comportamenti auto-eteroaggressivi
ETA’ SCOLARE
maggiore capacità di verbalizzare il proprio stato d’animo (fantasie di morte, disistima,
sentimenti di perdita e di abbandono)
isolamento sociale e difficoltà relazionali con i coetanei
instabilità attentiva, difficoltà di concentrazione e facile stancabilità
disturbi comportamentali (aggressività, oppositività, iperattività, impulsività)
calo del rendimento scolastico
lamentele somatiche (cefalea, dolori addominali, dolori diffusi)
ADOLESCENZA
anedonia e passività sia motoria sia ideativa
sentimenti di inferiorità
condotte antisociali
abuso di sostanze
sintomi psicotici (deliri, allucinazioni)
idee/tentativi di suicidio
25
5.4 Disturbo bipolare e fattori predittivi di rischio bipolare in pazienti depressi.
Il DSM-IV-TR (APA, 2000) distingue schematicamente quattro tipi di Disturbo Bipolare
(DB): disturbo bipolare I, disturbo bipolare II, disturbo ciclotimico, disturbo bipolare
non altrimenti specificato (Tab. 9).
Le linee guida dell’American Academy of Child and Adolescent Psychiatry (AACAP,
1997), distinguono un DB ad esordio precoce (prima dei 18 anni) e un DB ad esordio
molto precoce (prima dei 13 anni). Solo quando si presenta durante la tarda adolescenza
nella sua forma classica il disturbo bipolare sembra avere le stesse caratteristiche, la
stessa risposta al trattamento e la stessa storia naturale che si osservano negli adulti.
Numerose evidenze mostrano che il disturbo bipolare ad esordio nell’infanzia o nella
prima adolescenza, pur rispettando i criteri DSM-IV-TR, si presenta con delle
caratteristiche peculiari che lo distinguono dalla forma più tardiva (Tab. 10) (Bhangoo et
al, 2003; Karlson et Youngstom, 2003; Karlson et al 2003; Chang et al 2003; Craney et
Jeller 2003; Tillman et al, 2003).
La frequenza del DB in bambini ed adolescenti inizialmente diagnosticati come depressi
è ancora molto dibattuta, essendo riportate in letteratura stime oscillanti tra il 6% e 2032%.
In sintesi, una depressione ad insorgenza precoce sembra essere un possibile precursore
del DB, essendo il rischio di sviluppare un DB tre volte più alto nelle forme ad
insorgenza precoce che in quelle ad insorgenza adulta. Comunque, è importante
sottolineare che tutti questi studi sono stati condotti su bambini e adolescenti ricoverati
in centri universitari o in ospedali di terzo livello, dove affluiscono più frequentemente le
depressioni più gravi o più refrattarie ai trattamenti ed a maggiore rischio bipolare.
Nell’infanzia e nella prima adolescenza, contrariamente a quanto si riscontra nelle età
successive, uno o più episodi di depressione maggiore possono precedere di mesi o di
anni l’episodio maniacale. Quest’ultimo si manifesta in modo più tipico con l’elevazione
del tono dell’umore e la grandiosità (80%); meno specifici risultano l’irritabilità,
l’iperattività, la distraibilità, l’eloquio accelerato, la distruttività, l’imprevedibilità delle
emozioni. Da ciò si evidenzia che il disturbo bipolare puro è una sindrome relativamente
poco comune nei bambini molto piccoli a causa della rarità con cui si manifesta con la
tipica alternanza di fasi maniacali e depressive; si caratterizza per un decorso cronico,
non episodico, con cicli misti di durata molto variabile in cui sono prevalenti l’irritabilità
affettiva, l’agitazione, l’iperattività e il comportamento distruttivo, che sfociano in cicli
26
rapidi alternanti di subeccitamento-eccitamento maniacale e depressione endogena al
verificarsi della pubertà, spesso resistenti al trattamento farmacologico.
5.5 Predittori di un viraggio bipolare della depressione infantile
Il rischio di un viraggio bipolare della depressione infantile varia dal 6% al 35% (triplo
rispetto algi adulti). Predittori sono l’esordio acuto e precoce, la familiarità positiva per
disturbi affettivi,
la presenza di comorbidità con disturbi d’ansia e di sintomi
ipomaniacali durante trattamento con antidepressivi, la prevalenza di un rallentamento
psicomotorio, la comparsa di sintomi psicotici (Tab. 11). È’ ancora discusso se uno stato
maniacale indotto dalla terapia farmacologica sia indicativo di una vulnerabilità bipolare
smascherata dal trattamento o se sia una manifestazione di una aspecifica disinibizione
comportamentale. Particolare importanza predittiva ha il riscontro in associazione alla
sintomatologia depressiva classica di sintomi psicotici (deliri e/o allucinazioni), che
possono essere congruenti con l’umore del soggetto (depressivo o maniacale). Tali quadri
di depressione psicotica sono particolarmente gravi, pongono delicati problemi di scelta
terapeutica e spesso rappresentano l’esordio di un grave disturbo bipolare (Strober et al,
1993; Akistal, 1995).
Tab. 9 Criteri diagnostici del DB secondo il DSM-IV-TR
DISTURBO BIPOLARE I:
Presenza di un episodio maniacale singolo, nessun precedente Episodio Depressivo
Maggiore
DISTURBO BIPOLARE II:
Presenza di uno o più Episodi Depressivi Maggiori e di almeno un episodio ipomaniacale,
ma nessun episodio maniacale o misto
DISTURBO CICLOTIMICO:
Periodo di almeno due anni (1 anno nei bambini e adolescenti) in cui siano presenti numerosi
episodi ipomaniacali o sintomi depressivi che non soddisfino i criteri per episodio depressivo
maggiore, maniacale, o misto. I sintomi devono essere presenti quasi costantemente (con meno
di due mesi consecutivi di benessere) e devono provocare una compromissione clinica
significativa del funzionamento sociale
27
Tab. 10 DB ad esordio nell’infanzia/prima adolescenza e nella tarda adolescenza
Episodio iniziale
Caratteristiche degli episodi
Durata
Funzionamento sociale
interepisodico
INFANZIA
PRIMA ADOLESCENZA
Ep. Depressivo Maggiore
Rapido-ciclico, misto
Cronico, a cicli continui
Non episodico
TARDA ADOLESCENZA
ADULTI
Ep. Maniacale
Discreto (maniacale o
depressivo)
Inizio acuto e fine
determinabile
Settimane
Recupero funzionale
Tab. 11 Predittori di un viraggio bipolare della depressione infantile
RISCHIO (IPO)MANIACALE IN BAMBINI DEPRESSI O DISTIMICI
Rischio: dal 6% al 35% (triplo rispetto agli adulti)
Fattori predittivi:
. Esordio precoce
. Familiarità per DB
. Disturbi multipli d’ansia (DOC, Fsoc, DP)
. Sintomi (ipo)maniacali da antidepressivi (disinibizione comportamentale)
. Rallentamento psicomotorio
. Sintomi psicotici
2a raccomandazione
(Linea Guida Clinica. Forza dell’evidenza: buona; forza della raccomandazione:
forte)
La diagnosi di DDM, DD e DB in età evolutiva richiede che siano rispettati i criteri
della classificazione zero to three per la fascia di età tra 0-3 anni e del DSM-IV-TR
per le età successive.
28
6. Limiti dei sistemi classificativi e nuovi indirizzi di ricerca.
Attualmente i sistemi classificativi formalmente riconosciuti sono il DSM-IV-TR, l’ICD10 e la Classificazione 0-3.
Nella pratica clinica è maggiormente utilizzato il DSM-IV-TR, specifico per le malattie
mentali. Tuttavia esso presenta i seguenti limiti: eccessiva attenzione a segni e sintomi,
artificiosa demarcazione tra normale e patologico (uso rigido di criteri di inclusione ed
esclusione e di definizione dei livelli soglia), sistema categoriale, (in base a segni e
sintomi riscontrati si assume che il disturbo sia presente o assente) piuttosto che
dimensionale (continuum tra normale e patologico), considerazione di categorie
diagnostiche come entità separate e indipendenti senza un adeguato approfondimento
delle relazioni tra le categorie.
I limiti degli attuali sistemi classificativi della patologia mentale risultano ancora più
evidenti nello studio della salute mentale in età evolutiva, in virtù della peculiarità della
stessa.
Gli strumenti diagnostici attualmente disponibili sono applicabili alla fascia di età 0-3
anni, all’età scolare e a quella adolescenziale, esistendo quindi un gap per l’età
prescolare.
Recentemente, è stata istituita una task force che ha proposto, primariamente a scopo di
ricerca, di estendere i criteri diagnostici del DSM-IV all’età prescolare. Questo gruppo di
studio e di ricerca ha elaborato dei Research Diagnostic Criteria – Preschool Age (RDCPA, 2003), consistenti in alcune modifiche di criteri del DSM-IV per 13 patologie
psichiatriche in età prescolare. In particolare, per il DDM sono state fatte le seguenti
considerazioni: i bambini depressi in età prescolare, similmente a bambini più grandi e
agli adulti, evidenziano sintomi tipici come tristezza o irritabilità e anedonia, ma
l’anedonia si manifesta come “assenza di allegria”; inoltre, mostrano segni vegetativi,
come alterazioni del sonno e dell’appetito; possono presentare alcuni giorni di eutimia; le
tematiche di morte e suicidio si evidenziano principalmente nel gioco. Pertanto, sono stati
modificati i primi due criteri del DSM-IV ed è stata proposta l’aggiunta di un nuovo
criterio, come di seguito riportato.
Criteri diagnostici per il DDM (RDC-PA, 2003):
A: Cinque dei seguenti sintomi presenti per più giorni per almeno due settimane con
almeno uno dei primi due sintomi:
1. Umore depresso per la maggior parte del giorno, per più
giorni, come indicato sia da dati soggettivi (es. sentimenti
29
di tristezza o di vuoto) o osservati da altri (es. sembra trste).
Nota: nei bambini e adolescenti l’umore può essere
irritabile.
2. Marcata riduzione di interesse o piacere in tutte o la
maggior parte delle attività per la maggior parte del giorno,
per più giorni (come indicato da dati soggettivi o osservati
da altri).
3. Nessuna modifica del DSM-IV
4. Nessuna modifica del DSM-IV
5. Nessuna modifica del DSM-IV
6. Nessuna modifica del DSM-IV
7. Nessuna modifica del DSM-IV
8. Nessuna modifica del DSM-IV (Nella nota: difficoltà di
concentrazione e indecisione)
9. Nessuna modifica del DSM-IV
10. Nuovo criterio: persistente impegno in attività o giochi
con tematiche di morte o suicidio
Sono in corso anche ulteriori studi per rivedere i sistemi classificativi relativi alla fascia
di età 0-2 anni.
7. Comorbidità
Nella psichiatria infantile ancor più che nella psichiatria degli adulti la comorbidità
rappresenta la regola, in quanto essa supera di gran lunga la associazione che potrebbe
essere prevista sulla base del caso. Questo può derivare, in parte, dalla immaturità di
alcuni sistemi biologici, che rendono maggiormente indistinti i confini tra le sindromi.
Studi provenienti da diversi contesti socio-culturali sono concordi nell’individuare che
almeno il 40-70% dei soggetti con DDM e il 50% dei soggetti con DD hanno una diagnosi
psichiatrica associata; il 20-50% per il DDM e il 15% per il DD hanno due o più diagnosi
in comorbidità (Ferro et al, 1994; Birmaher et al, 1996-1998-2000-2002; Kovacs et al,
1994-1996-1997; Goodyer et al, 1997) (Tab. 12).
Circa il 20-30%% dei soggetti con DDM ha un DD prima dell’esordio del primo episodio
depressivo e oltre il 50% dei bambini ed adolescenti con DD svilupperà un DDM durante
il DD (Klein et al, 1988; Ferro et al, 1994). Tale associazione (“Depressione Doppia”) ha
una implicazione prognostica negativa (Klein et al, 1988; Ferro et al, 1994).
30
I disturbi d’ansia (D. d’ansia da separazione, D. d’ansia generalizzata, D. fobico, Fobia
sociale, D. di panico) sono presenti nel 30-80% per il DDM e nel 40% per il DD
(Lewinsohn et al, 1997; Masi et al, 2001).
L’ADHD è riscontrabile nel 20-30% dei bambini e nel 15% degli adolescenti con
depressione acuta o cronica (Biederman et al, 1996).
Disturbi del comportamento (Disturbo oppositivo-provocatorio, Disturbo della condotta,
Disturbo esplosivo intermittente) sono presenti nel 10-80% per il DDM e nel 30% per il
DD e possono persistere anche dopo il miglioramento dei sintomi depressivi (Kovacs et
al, 1994-1996-1997). La associazione tra disturbo depressivo e disturbo della condotta ha
negative implicazioni sul piano della prognosi psicosociale.
Altre psicopatologie piuttosto frequentemente associate sono l’abuso di sostanze nel 2030% e enuresi ed encopresi nel 15% .
In linea generale, il DDM si manifesta dopo l’esordio dei disordini psichiatrici associati,
eccetto per l’abuso di sostanze. La comorbidità per abuso di sostanze, disordini del
comportamento, fobia sociale, disordine d’ansia generalizzato è più frequente in
adolescenza; il disordine d’ansia da separazione è più comune nei bambini.
Le diverse forme di comorbidità individuano sottotipi specifici di disturbi depressivi per
espressività, prognosi e trattamento.
Tab. 12 . Comorbidità
40-70% per il DDM - 50% per il DD
DEPRESSIONE DOPPIA: 20-30%% dei soggetti con DDM ha un DD prima dell’esordio del
primo episodio depressivo; oltre il 50% dei soggetti con DD svilupperà un DDM durante il DD.
-
Disturbi d'ansia
-
ADHD
-
Disturbi del comportamento
-
Abuso di sostanze
-
Enuresi, encopresi
31
8. Storia naturale e rischio suicidario
Le depressioni ad esordio precoce sono considerate a forte predisposizione genetica ed a
prognosi più negativa rispetto alle depressioni dell’adulto. I termini usati per descrivere il
decorso clinico sono riportati nella tabella 13.
Tab 13 Termini che definiscono il decorso clinico
RISPOSTA significativo miglioramento durante la fase iniziale o acuta del trattamento
REMISSIONE periodo di almeno 2 settimane e meno di 2 mesi con non più di un sintomo
clinicamente significativo
REMISSIONE PARZIALE periodo di almeno 2 settimane e meno di 2 mesi con più di uno ma
pochi sintomi clinicamente significativi
GUARIGIONE periodo asintomatico di almeno 2 mesi
RIACUTIZZAZIONE episodio di depressione durante il periodo di remissione
RECIDIVA nuovo episodio di DDM
La continuità tra la depressione dell’età evolutiva e quella dell’adulto è ancora discussa
(Rao et al, 1995-1999; Kaufman et al, 2001; Costello et al, 2002). Il 50% degli adulti
depressi riferisce l’esordio della sintomatologia depressiva a prima dei 18 anni, ma la
attendibilità delle ricostruzioni soggettive è certamente discutibile. Peraltro, recidive di
episodi persistono in età adulta in oltre il 50% dei soggetti. Studi catamnestici su bambini
ed adolescenti depressi indicano che il loro rischio da adulti di presentare un disturbo
depressivo sarebbe di quattro volte superiore rispetto ai soggetti di controllo. Tale rischio
sarebbe piuttosto specifico, poiché altri studi non sembrano individuare per i bambini ed
adolescenti depressi un aumento del rischio di altre forme di psicopatologia. Tale dato è
stato comunque sottoposto a critica, poiché secondo altri dati un primo episodio
depressivo potrebbe produrre nei soggetti affetti un cambiamento, sul piano psicologico
e/o biologico, tale da aumentare la loro vulnerabilità ad altri disturbi.
8.1 Disturbo Depressivo Maggiore. (Tab. 14)
La durata media di un episodio depressivo maggiore in popolazioni cliniche di bambini
ed adolescenti è di 7-9 mesi. Circa il 90% degli episodi presentano una remissione 1-2
anni dopo l’esordio; il 6-10% si protraggono (Kovacs et al, 1994-1996-1997; Emslie et
al, 1997). Le percentuali di guarigione da un episodio depressivo dopo un anno
dall’esordio sono di circa il 75% e dopo due anni di circa il 90%.
32
Elementi prognostici negativi per una cronicizzazione sono legati in particolare ai tempi
di diagnosi e trattamento, ma sono anche correlati ad altri fattori, quali: gravità della
malattia, presenza di sintomi psicotici, comorbidità, presenza di disturbi psichiatrici nei
genitori, condizioni socio-ambientali sfavorevoli, basso grado di adattamento
premorboso, basso quoziente intellettivo (QI) (Clarke et al, 1992; Goodyer et al, 1997;
Lewinsohn et al, 1997; Reinecke et al, 1998).
Il 40-60% presenta una riacutizzazione, che può dipendere da diversi fattori: decorso
naturale del DDM, bassa compliance, presenza di eventi vitali avversi, rapida diminuzione
o sospensione del trattamento farmacologico e psicoterapeutico (Kovacs et al, 1994-19961997; Emslie et al, 1997).
La depressione dei bambini ed adolescenti spesso recidiva. Studi longitudinali su
campioni di soggetti ospedalizzati (che però potrebbero aver selezionato le forme più
gravi del disturbo) riportano una recidiva del disturbo nel 20-60% entro uno-due anni, del
70% entro cinque anni e del 50% in età adulta (Kovacs et al, 1994-1996-1997; Birmaher
et al, 1996-1998- 2002; Emslie et al, 1997). Il rischio di recidive in età adulta è aumentato
di 4 volte rispetto ai controlli normali. Fattori considerati in grado di aumentare il rischio
di recidive sono: negative condizioni socio-ambientali, esordio precoce, numero e gravità
dei precedenti episodi, comorbidità e scarsa compliance al trattamento (Kovacs et al,
1994-1996-1997; Birmaher et al, 1996-1998- 2002; Emslie et al, 1997).
Circa il 20-40% dei bambini ed adolescenti depressi sviluppa entro 5 anni dall’episodio
un disturbo bipolare (Geller et al, 1994; Birmaher B et al, 2002).
La prognosi è condizionata da: età di esordio, gravità, comorbidità, contesto familiare,
condizioni socio-economiche, eventi vitali.
Per molti pazienti il DDM è associato ad una considerevole morbilità e mortalità,
evolvendo in una malattia debilitante con significativa e pervasiva limitazione nel
funzionamento psicosociale (Hirschfeld et al, 2000; Judd et al, 2000). Studi sulla qualità
della vita dimostrano una riduzione che è eguale o eccede quella di pazienti con patologie
organiche croniche (es. diabete mellito, malattia ischemica cardiaca) (AHCPR, 1999).
La conseguenza più devastante di un disturbo depressivo in adolescenza è rappresentata
dai suicidi tentati o completati (Lewinsohn et al, 1993; Brent et al, 1995; Mancinelli et al,
2001; Birmaher et al, 2002; Pelkonen e Marttunen, 2003) (Tab. 15). Secondo dati
epidemiologici USA la frequenza di tentativi di suicidio è quadruplicata negli ultimi 50
anni, ed attualmente rappresenta il 12% delle cause di morte in questa fascia di età
(Lewinsohn et al, 1993; Birmaher et al, 2002). Per quanto riguarda l’Italia, i dati ISTAT
33
indicano che nei maschi di età compresa tra 15 e 19 anni il tasso suicidario è passato dal
27.30 per milione del 1969 al 48.30 per milione del 1994. Tale tasso si è invece ridotto nel
sesso femminile, passando nello stesso periodo dal 23.20 per milione al 10.80 per milione.
Esistono significative differenze a seconda delle aree geografiche. I fattori che
maggiormente contribuiscono ad aumentare il rischio suicidario di adolescenti depressi
sono la presenza di: disturbo bipolare, depressione psicotica, disturbo di personalità
(vuoto, impulsività), dipendenza da sostanze, comorbidità con disturbo della condotta,
calo scolastico, familiarità (depressione, suicidio), famiglie violente e impulsive, abuso
familiare, relazioni patologiche (grado di comunicazione), eventi vitali (Brent, 1995,
Fergusson et al, 1996, Gould et al, 1996). Per prevenire il rischio di suicidio il disturbo
dell’umore dovrebbe essere riconosciuto il più precocemente possibile e dovrebbero
essere individuati i pazienti a più alto rischio, anche se non vi sono elementi certi
predittori del suicidio (Bostwick and Pankratz, 2000).
8.2 Disturbo Dstimico. (Tab. 14)
Il Disturbo Distimico ha non raramente un decorso molto protratto nel tempo (3-4 anni);
una guarigione entro due anni la si riscontra in una minoranza di casi (Kovacs et al, 19941996-1997; Kashani et al, 1997; AACAP, 1998; Aschauer, 1999; Goodman et al, 2000;
Klein et al, 2000; Flament et al, 2001; Masi et al, 2001; Nobile et al, 2003). Non solo la
lunga durata, ma anche l’aumentato rischio di DDM, Disturbo bipolare, abuso di sostanze,
Disturbi del comportamento contribuiscono alla prognosi a rischio di questi soggetti.
L’associazione tra DDM e DD (“Depressione Doppia”) ha una implicazione prognostica
negativa (Klein et al, 1988; Ferro et al, 1994).
34
Tab. 14 Storia naturale
DDM
-
Durata media di un episodio depressivo: 7-9 mesi
-
Guarigione: 75% entro 1 anno, 90% entro due anni
-
Riacutizzazione: 40-60%
-
Recidive: 20-60% entro uno-due anni, 70% entro 5 anni, 50% in età adulta (influenza di
fattori ambientali, età di esordio, gravità di episodi precedenti, comorbidità, compliance ai
trattamenti)
-
Possibile sviluppo di un disturbo bipolare: 20-40% entro 5 anni
DD
Durata media: 3-4 anni
Depressione doppia nel 50% entro 2-3 anni
Prognosi a rischio
PROGNOSI
Aumento del rischio di: suicidio tentato o completato, dipendenza da sostanze, malattie fisiche,
esposizione ad eventi vitali negativi, cattivo adattamento sociale (rischio dissociale).
La prognosi è condizionata da:
•
età di esordio
•
gravità clinica
•
comorbidità
•
contesto familiare
•
condizioni socio-economiche
•
eventi vitali
35
Tab. 15 Rischio suicidario
RISCHIO SUICIDARIO
Quadruplicato in USA dal 1950 ad oggi; raddoppiato negli ultimi 20 anni; 12% della mortalità
in adolescenza (seconda causa di morte tra 14 e 25 anni).
In Italia (ISTAT) il suicide rate nei maschi di 15-19 anni è passato da 27.3 per milione (1969) a
48.3 (1994), mentre è sceso nelle femmine da 23.2 a 10.8. Il massimo del rischio suicidario
maschile è nel nord Italia (57.1).
FATTORI DI RISCHIO SUICIDARIO:
-
tantativi precedenti
-
disturbo bipolare
-
depressione psicotica
-
disturbo di personalità
-
dipendenza da sostanze
-
comorbidità con disturbo della condotta
-
calo scolastico
-
familiarità
-
famiglie violente, impulsive, abuso familiare
-
relazioni patologiche
-
eventi vitali negativi
9. Diagnosi
9.1 Depressione normale e depressione patologica.
Un problema centrale nella interpretazione della depressione è rappresentato dalla
distinzione tra depressione “normale” e depressione “patologica” (Tab. 16).
Per depressione “normale” si intende uno stato emozionale caratterizzato da una
deflessione del tono dell’umore (“umore triste”), che fa parte della normale dinamica
affettiva dello sviluppo e, pertanto, è transitorio e adattivo, modula le risposte affettive,
stimola l’iniziativa verso nuovi contatti, promuove la crescita.
36
La depressione “patologica” è caratterizzata dalla presenza di manifestazioni depressive
(umore triste associato ad altri segni e sintomi) di durata ed intensità maggiori, tali da
determinare una compromissione globale del funzionamento cognitivo, emozionale e
relazionale dell’individuo.
Inoltre, esiste una vasta zona, che potremmo definire “patologia di confine”,
comprendente tutte quelle situazioni appartenenti allo “spettro depressivo”: i quadri
“sottosoglia”, i “quadri atipici”, i “temperamenti depressivi”, quadri che frequentemente
si presentano all’osservazione del clinico e che devono essere riconosciuti,
adeguatamente interpretati e monitorati nel tempo. Il dibattito circa questa “patologia di
confine” si riferisce al valore da attribuire a queste situazioni: se un abbassamento della
soglia di significatività clinica consente di meglio individuare soggetti a rischio, esiste
però il rischio di ampliare eccessivamente la popolazione di soggetti potenzialmente a
rischio di sviluppare una patologia. D’altro canto, un eccessivo innalzamento della soglia
di significatività clinica ha indotto talvolta i clinici dell’età evolutiva ad atteggiamenti
eccessivamente attendisti nei confronti dei disturbi depressivi ed ansiosi, ritenuti troppo
spesso reattivi o non clinicamente rilevanti, ritardando l’attivazione di trattamenti
adeguati.
Un altro aspetto clinicamente significativo riguarda l’eccessiva tendenza a considerare il
disturbo depressivo precoce come reattivo ad eventi esterni. Le cosiddette “depressioni
reattive”, attualmente inquadrate nell’ambito del DSM-IV-TR tra i Disturbi
dell’Adattamento, come “Disturbi di Adattamento con Umore Depresso”, sono in
rapporto con eventi scatenanti esterni, ma sono diverse dalla vera depressione per
espressione clinica, gravità e durata. Infatti, l’esposizione a situazioni di stress acuto (i.e.
lutto,
catastrofi
ambientali
etc)
o
cronico
(i.e.
malattie
croniche,
disturbi
dell’apprendimento scolastico etc) può determinare lo sviluppo di sintomi emotivi o
comportamentali,
che
potrebbero
essere
definiti
come
stato
d’animo
di
“demoralizzazione”, caratterizzato da tristezza, scarsa autostima. Questo, a differenza del
disturbo depressivo, si risolve spontaneamente nel tempo e non ha una gravità tale da
interferire col funzionamento globale dell’individuo. D’altro canto, anche se è noto che
eventi vitali spiacevoli frequentemente determinano uno stato di “demoralizzazione”, non
tutti i soggetti sottoposti a stress acuto o cronico sviluppano un disturbo depressivo
(Purper-Ouakil et al, 2002). Evidentemente, la condizione necessaria affinché si sviluppi
un disturbo depressivo è che tali life-events stressanti incontrino un substrato depressivo,
37
ossia condizioni di vulnerabilità depressiva (genetica, biologica, temperamentale) su cui
gli eventi ambientali agiscono da fattore “slatentizzante” (Tab. 17).
In ogni caso, quando un quadro clinico soddisfa i criteri per disturbo depressivo,
dovrebbe essere diagnosticato come tale, in quanto l’evento esterno ha un ruolo
scatenante di evidenziazione di una vulnerabilità depressiva sottostante, e non un
significato causale che giustifichi un atteggiamento eccessivamente attendista.
Nella distinzione tra “depressione normale”, “disturbo depressivo” e “disturbo
dell’adattamento” e nella decisione clinica su quali siano le situazioni da “prendere in
carico”, le variabili principali da considerare sono: la gravità, la durata dei sintomi e il
grado di compromissione del funzionamento globale.
38
Tab. 16 Depressione normale e depressione patologica
DEPRESSIONE “NORMALE” - DEPRESSIONE “PATOLOGICA”
Le manifestazioni depressive fanno parte della normale dinamica dello sviluppo.
Quando tali manifestazioni diventano elemento di preoccupazione e di allarme?
-
FATTORE INTENSITÀ: gravità delle manifestazioni
-
FATTORE TEMPO: durata delle manifestazioni (consultazione dopo 3-6 settimane di più
sintomi)
-
FATTORE INTERFERENZA FUNZIONALE: significativo impatto sulle attività della
vita quotidiana
Tab. 17 Disturbo di Adattamento con Umore Depresso
DISTURBO DELL’ADATTAMENTO - DISTURBO DEPRESSIVO
DISTURBO DELL’ADATTAMENTO (definito in passato “depressione reattiva”):
stato d’animo di “demoralizzazione” (tristezza, bassa autostima, etc) che fa seguito alla
esposizione ad uno stress acuto o cronico, differente dal disturbo depressivo per intensità e
durata.
RISCHIO:
MINIMIZZARE
UN
VERO
DISTURBO
SEMPLICEMENTE AD UN EVENTO ESTERNO
DEPRESSIVO
ATTRIBUENDOLO
SE SONO SODDISFATTI I CRITERI PER DEPRESSIONE NON SI PUÒ PARLARE DI
DISTURBO DELL’ADATTAMENTO IN QUANTO L’EVENTO ESTERNO HA UN
RUOLO SCATENANTE DI SLATENTIZZAZIONE DI UNA VULNERABILITÀ
DEPRESSIVA SOTTOSTANTE E NON UN SIGNIFICATO CAUSALE
39
9.2 Peculiarità della diagnosi in età evolutiva. (Tab. 18)
Le difficoltà a riconoscere la depressione in quest’epoca di vita rappresentano una delle
principali ragioni alla base del non trattamento o del trattamento non adeguato. Le
difficoltà diagnostiche attuali per la depressione infantile nascono proprio dalle
incongruenze degli strumenti a disposizione, in rapporto alla variabilità del disturbo nelle
diverse fasce di età.
I sistemi classificativi utilizzati per gli adulti prevedono criteri diagnostici riferiti a
comportamenti con caratteristiche di eccessiva stabilità, che non tengono conto della
mutevolezza della espressività clinica del disturbo depressivo, in relazione all’età e al
livello di sviluppo cognitivo-emozionale del soggetto. Solo nella fascia d’età 0-3 è
previsto un sistema classificativo che analizza sia il quadro sintomatologico sia la
complessa semeiotica relazionale, indispensabile per un corretto inquadramento
psicopatologico in età evolutiva.
Quando si sospetti una depressione in età evolutiva, in primo luogo è necessaria
un’accurata raccolta di notizie anamnestiche dal paziente e dai componenti il nucleo
familiare e, se possibile, anche da altre eventuali figure di riferimento (amici, insegnanti,
assistenti sociali, etc). Infatti, nella raccolta dell’anamnesi, quando si sospetti un disturbo
depressivo in età evolutiva, bisogna sempre tener presente le seguenti possibilità:
a) il bambino (in età prescolare) non ha raggiunto un adeguato sviluppo linguistico che lo
renda capace di comunicare i suoi stati d’animo
b) il bambini e gli adolescenti depressi sono spesso irritabili e poco collaboranti e pertanto
è possibile che non riferiscano alcun sintomo
c) il bambino (in età scolare) o l’adolescente presentano una buona consapevolezza del
proprio stato depressivo, per cui rappresentano una fonte attendibile nel riferire la propria
sintomatologia, in particolare i sintomi “internalizzati” (tristezza, inadeguatezza, disforia,
pessimismo, bassa autostima, senso di colpa, apatia, faticabilità, perdita di energia, ridotta
concentrazione, disturbi del sonno, disturbi dell’alimentazione, ideazione suicidiaria).
Per ottenere un quadro completo della sintomatologia è fondamentale valutare anche i
“sintomi esternalizzati”, ossia i segni di depressione, osservati dai genitori o da altri. In
particolare, nei bambini bisognerà indagare su eventuali disturbi dell’alimentazione e/o
variazioni del peso corporeo, alterazioni del ritmo sonno-veglia, dello sviluppo e della
motricità, riduzione delle attività ludiche, difficoltà di socializzazione, disturbi del
comportamento; negli adolescenti bisognerà indagare su eventuali cali nel rendimento
scolastico, difficoltà di socializzazione, riduzione degli interessi, condotte antisociali.
40
E’ opportuno valutare la presenza di umore irritabile e di fluttuazioni del tono dell’umore
(ad. es. un adolescente può essere irritabile a casa e amichevole con i pari); per tale
motivo occorre indagare sullo stato dell’umore in diverse circostanze ed in particolare
valutare come si sente il paziente quando è solo e non è sottoposto a specifiche richieste
(es. fare un compito o un lavoro).
Devono essere valutate, inoltre, l’epoca di esordio, la durata e l’entità della sintomatologia
e, soprattutto, l’eventuale compromissione della “funzionalità” del soggetto nei vari
ambiti (familiare, scolastico, lavorativo e sociale).
La raccolta delle informazioni dovrà inoltre riguardare la presenza di fattori di rischio:
familiarità per disturbi depressivi o per altre patologie psichiatriche, la presenza di una
vulnerabilità temperamentale e/o di situazioni acute o croniche di stress ambientale. La
valutazione delle condizioni socio-culturali ambientali e delle modalità interattive
all’interno del nucleo familiare sono elementi cruciali nel procedimento diagnostico.
Dovrà essere, inoltre, valutata la storia medica del paziente in relazione a patologie
passate o presenti e all’eventuale uso di farmaci.
L’esame neuropsichiatrico infantile si identifica in un processo di “conoscenza” globale
del paziente (valutazione di funzioni prassiche, competenze cognitive, funzioni
linguistiche, disponibilità cognitivo-relazionale, pensiero, etc.). Le procedure di
valutazione varieranno in rapporto all’età e al livello di sviluppo; avverranno mediante
una serie di osservazioni non strutturate (colloqui, osservazione del comportamento
spontaneo, dell’attività ludica etc) e, successivamente, strutturate.
Attualmente, sono disponibili questionari, interviste strutturate e semistrutturate da
somministrare ai bambini e/o ai loro genitori (Costello et Angold, 1988; Barret et al,
1991; Biederman J et al, 1996) (Tab. 19). I questionari più utilizzati, che possono essere
compilati dai genitori, dagli insegnanti e dagli stessi pazienti sono la Child Behavior
Checklist (CBCL), la Teacher’s Report Form (TRF) e la Youth Self Report (YSR). Le
interviste diagnostiche strutturate non rilevano solo i sintomi ritenuti importanti per la
diagnosi di depressione secondo i comuni sistemi diagnostici, ma valutano la
sintomatologia depressiva in un contesto più ampio, che comprende diverse patologie
psichiatriche, pertanto consentono di valutare anche le patologie in comorbidità
(Biederman J et al, 1996). Le interviste strutturate più usate sono la Diagnostic Interview
for Children and Adolescent (DICA) e la Diagnostic Interview Schedule for Children
(DISC). Tra le interviste semistrutturate la più usata è la Schedule for Affective Disorders
and Scizophrenia (K-SADS).
41
Problemi psicosociali e scolastici sono utili indicatori del funzionamento globale del
soggetto e possono non solo favorire la diagnosi, ma anche consentire di comprendere se
un trattamento è efficace soltanto nel ridurre il punteggio di una scala di valutazione, o se
incide realmente sulla qualità della vita. Infatti, talvolta, tali aspetti possono restare
parzialmente compromessi anche in presenza di una apparente miglioramento del quadro
clinico. E’ quindi opportuno inserire nella procedura diagnostica uno strumento di
valutazione generale del funzionamento, quali la Clinical Global Impression (punteggi di
Gravità e di Miglioramento) (CGI-S e CGI-I) e la Children-Global Assessment Scale (CGAS).
Un altro tipo di strumento diagnostico è rappresentato dalle scale di valutazione (rating
scales) strutturate e semistrutturate specifiche per la depressione che, oltre a rappresentare
un ausilio per la diagnosi, possono essere impiegate come strumenti di screening e nel
follow-up per monitorare l’andamento clinico e l’efficacia del trattamento (Costello et
Angold, 1988) (Tab. 18). Le rating scales possono essere di autovalutazione, se è il
soggetto stesso a compilarle, descrivendo in tal modo i propri sintomi. Oppure possono
essere di eterovalutazione, se è il genitore o il clinico, sulla base della sua osservazione e
della sua raccolta di informazioni, a compilarle. Ovviamente, una procedura ottimale
dovrebbe basarsi, quando possibile, su informazioni da auto ed eterovalutazioni. Tra le
scale di autovalutazione la più usata è la Children’s Depression Inventory (CDI), tra
quelle di eterovalutazione da parte del clinico le più affidabili sono la Children’s
Depression Rating Scale-Revised (CDRS-R) e la Montgomery-Asberg Depression Rating
Scales (MADRS). Generalmente, viene riscontrata una concordanza piuttosto bassa tra le
interviste fatte ai bambini ed adolescenti e quelle fatte ai loro genitori.
Complessivamente, si sottolinea che, nonostante sia ormai riconosciuta l’utilità di queste
rating scales come strumenti di valutazione nello screening, diagnosi e follow-up, il loro
utilizzo deve essere riservato a clinici con una certa esperienza nel settore, che siano in
grado di contribuire attivamente al rilievo delle informazioni ed alla valutazione delle
stesse nell’ottica di una valutazione globale delle competenze cognitivo-emozionali del
soggetto. Il clinico deve conoscere in particolare gli obiettivi del funzionamento di
ciascuna fase dello sviluppo, in modo che l’assenza, il ritardo o la caratteristica regressiva
di un determinato comportamento possano essere riconosciuti come il segno della
possibilità che sia presente un disturbo.
42
Tab. 18 Diagnosi in età evolutiva
-
ANAMNESI (familiare, scolastica, storia medica, eventi vitali, risorse e vulnerabilità
psicosociali, condizioni ambientali, stressor psicosociali, relazioni intrafamiliari)
-
Valutazione di SINTOMI INTERNALIZZATI e SEGNI ESTERNALIZZATI (osservati da
altri)
-
ESAME NEUROPSICHIATRICO INFANTILE
-
SEDUTE NON STRUTTURATE E STRUTTURATE
-
QUESTIONARI
-
INTERVISTE
-
RATING SCALES: (valutazione di gravità, andamento clinico, risposta ai trattamenti)
-
STRUMENTI DI VALUTAZIONE FUNZIONALE GLOBALE (impatto sulla vita
quotidiana)
-
COMORBIDITA’ (ansia, ipomaniacalità..)
43
Tab. 19 Strumenti di valutazione
CBCL
TRF
YSR
DICA
INTERVISTE STRUTTURATE
DISC
K-SADS
INTERVISTE SEMISTRUTTURATE
STRUMENTI
DI
VALUTAZIONE CGI-S
CGI-I
GENERALE DEL FUNZIONAMENTO
C-GAS
CDI
RATING SCALES
CDRS-R
MADRS
QUESTIONARI
9.3 Diagnosi differenziale
Sintomi depressivi possono essere riscontrati in diverse condizioni psicopatologiche.
Disturbi d’ansia, disturbi dell’adattamento, disturbi delle condotte alimentari, disturbi
della condotta, disturbo borderline della personalità, disturbi di apprendimento presentano
frequentemente delle componenti depressive. Tutte queste diagnosi dovrebbero essere
considerate nel corso della valutazione.
La diagnosi differenziale comprende, inoltre, una serie di condizioni mediche, che devono
essere tenute presenti all’inizio, ma soprattutto di fronte a depressioni apparentemente
resistenti ai trattamenti. Tra queste condizioni ricordiamo: affezioni a carico del SNC
(neoplasie, emicrania, traumi cranici), malattie endocrine (ipo o ipertiroidismo, ipo o
iperparatiroidismo, malattia di Addison, malattia di Cushing, diabete), altre condizioni
mediche
generali
(anemie
di
varia
natura,
deficienze
vitaminiche,
malattie
gastrointestinali, uremia). Alcuni farmaci di pertinenza neurologica e psichiatrica,
analgesici, anti-inflammatori, antibatterici, steroidi ed ormoni, così come sostanze di
abuso (alcool, amfetamine, cannabis, cocaina, allucinogeni) possono causare sintomi
depressivi, sia in fase di intossicazione che di sospensione.
3a raccomandazione
(Standard Minimo. Forza dell’evidenza: buona; forza della raccomandazione: forte)
La diagnosi si basa sull’osservazione clinica del bambino-adolescente e sulle
informazioni fornite dai genitori, insegnanti ed altre figure di riferimento, anche con
l’ausilio delle interviste e delle rating scales. Da tali informazioni devono risultare la
presenza dei sintomi cardine del disturbo, l’età di esordio, la durata dei sintomi e,
soprattutto, il grado di compromissione funzionale.
44
4a raccomandazione
(Standard Minimo. Forza dell’evidenza: buona; forza della raccomandazione: forte)
La valutazione del bambino-adolescente deve sempre comprendere l’esame medico
generale e valutaizone clinica neuropsichiatrica infantile; deve sempre includere la
valutazione diagnostica della presenza di eventuali patologie associate sia
neuropsichiche sia mediche generali.
5a raccomandazione
(Linea Guida Clinica. Forza dell’evidenza: buona; forza della raccomandazione:
forte)
In assenza di patologie associate, nessun altro test strumentale od ematochimico è
routinariamente indicato per la diagnosi dei disturbi depressivi.
10. Il trattamento
10.1 Implicazioni del trattamento
I Disturbi dell’umore in età evolutiva causano significativa morbilità e discreta mortalità,
pertanto è necessaria una precoce presa in carico, per ridurre i sintomi depressivi, trattare
la comorbidità, prevenire le ricadute, la cronicizzazione e le complicanze e favorire
l’adattamento sociale (Jensen et al, 1992; Birmaher et al, 1996-1998-2002; Kutcher, 1997;
AACAP, 1997-1998; Renaud et al, 1999; NIMH, 2000; Flament et al, 2001; Thorpe et al,
2001; Michael et Crowley, 2002; WFSBP, 2002; Brennan, 2003; Elliot et Smiga, 2003;
Hazell, 2003; Lagges et Dunn, 2003; McCellan et Werry, 2003; Nobile et al, 2003; Ryan,
2003; Varley, 2003) (Tab. 20).
Quando i sintomi sono subclinici e non compromettono significativamente il
funzionamento globale, le risorse temperamentali del soggetto sono sufficienti nel
consentire di far fronte alla spinta depressiva, le condizioni ambientali sono
particolarmente favorevoli ed esistono i presupposti per una buona compliance ad un
adeguato monitoraggio medico, è legittima una strategia di attesa. In effetti, un intervento
di sostegno empatico al soggetto ed alla famiglia determina un chiaro miglioramento o
una risoluzione del quadro nel 20% dei bambini ed adolescenti con quadri di lieve o
media entità.
In tutti gli altri casi è necessario un trattamento (Jensen et al, 1992; Birmaher et al, 19961998-2002; Kutcher, 1997; AACAP, 1997-1998; Renaud et al, 1999; NIMH, 2000;
Flament et al, 2001; Thorpe et al, 2001; Michael et Crowley, 2002; WFSBP, 2002;
Brennan, 2003; Elliot et Smiga, 2003; Hazell, 2003; Lagges et Dunn, 2003; McCellan et
Werry, 2003; Nobile et al, 2003; Ryan, 2003; Varley, 2003) (Tab 21).
45
L’ambiente del trattamento dovrebbe essere il meno restrittivo possibile, privilegiando un
contesto ambulatoriale o in day-hospital.
L’ospedalizzazione è talvolta necessaria in presenza di tipologie patologiche
particolarmente gravi (es. depressione psicotica, depressione bipolare), gravi carenze
ambientali, assenza di compliance al trattamento, condotte a rischio per il soggetto (in
particolare rischio suicidario) o per i familiari.
6a raccomandazione
(Linea guida Clinica. Forza dell’evidenza: buona; forza della raccomandazione:
forte)
I clinici coinvolti nell’assistenza dei bambini-adolescenti con disturbi depressivi
devono riconoscere la natura cronica del disturbo. Pertanto devono prendere in
carico il paziente e la famiglia, mettere a punto un programma di intervento
adeguato, pianificando, insieme alla famiglia, le strategie terapeutiche più
opportune.
Tab. 20 Obiettivi del trattamento
OBIETTIVI
-
Ridurre i sintomi depressivi
-
Trattare la comorbidità
-
Prevenire le ricadute
-
Favorire l’adattamento sociale e scolastico
10.2 Intervento di counseling e psicoeducativo
Può essere utile un intervento di counseling che, attraverso lo strumento del colloquio a
due o di gruppo, fornisce informazioni, chiarimenti, suggerimenti e consigli volti a
sostenere le persone (familiari, insegnanti, operatori sanitari etc). L’intervento di
conseling deve essere focalizzato sullo specifico problema psicopatologico al fine di
migliorare aree più ampie di funzionamento del minore o della sua famiglia.
Un intervento psicoeducatico con il soggetto e con la sua famiglia è sempre necessario e
preliminare nello stabilire una adeguata alleanza terapeutica ed una buona compliance ad
ogni forma di trattamento. Tale intervento comprende una adeguata spiegazione dei
46
sintomi e del loro significato, delle loro conseguenze sul funzionamento del soggetto e
sulla qualità della vita, le strategie per fronteggiare tali conseguenze, la elaborazione di
eventuali sensi di colpa del bambino/adolescente e/o dei suoi familiari, le ipotesi e gli
obiettivi del trattamento.
Tali interventi, se tempestivi, sono in grado di determinare una regressione della
sintomatologia, soprattutto se coinvolgono tutti i protagonisti della vicenda clinica, quali
il bambino, i genitori, eventualmente altre figure rilevanti (nonni, insegnanti, ecc.).
In una parte dei casi la regressione della sintomatologia sarà stabile, in altri casi invece si
avrà, entro un periodo di tempo variabile, la ricomparsa dei sintomi e sarà, pertanto,
necessario intraprendere una psicoterapia. In tal caso, la fase psicoeducativa iniziale sarà
stata in grado di favorire il crearsi di una alleanza terapeutica.
10.3 Psicoterapie
Diversi studi hanno dimostrato l’efficacia di interventi psicoterapeutici a diverso
orientamento (cognitivo-comportamentale, interpersonale, psicodinamico, familiare) sia
nella fase acuta che nel mantenimento, in particolare nelle forme meno gravi, senza
sintomi psicotici e bipolari, in tutte le fasce d’età (Brent et al, 1997; Mufson et al, 2004).
Ulteriori studi sono necessari per individuare i soggetti che sono probabilmente più
sensibili all’azione dei diversi trattamenti. Globalmente, sulla base dei dati pubblicati,
circa il 40-65% dei soggetti trattati ha una risposta favorevole al trattamento
psicoterapeutico.
E’ importante che la psicoterapia, essendo una modalità terapeutica basata su mezzi
psicologici, sia effettuata da operatori professionalmente formati per questa specifica
terapia.
Tra le modalità psicoterapeutiche, le terapie cognitivo-comportamentale (TCC) e
interpersonale (TI) risultano gli approcci migliori, in particolare per gli adolescenti e per i
bambini in età scolare, con buone capacità verbali (Harrington et al, 1998; Mufson et al,
2004). Una sistematica review di sei trials randomizzati controllati di TCC riporta che
questo approccio è un efficace trattamento per i sintomi depressivi e per la depressione
lieve (Harrington et al, 1998; Emslie et al, 2003). Vi sono alcune segnalazioni sull’utilità
della TCC come intervento preventivo in soggetti a rischio, anche se questo aspetto resta
ancora da dimostrare. Non vi sono sistematici trials randomizzati controllati che
comparano la psicoterapia con la farmacoterapia (Thorpe et al, 2001).
47
Dai dati della letteratura emerge che gli interventi individuali sembrano essere più efficaci
rispetto a quelli familiari (Jensen et al, 1992; Birmaher et al, 1996-1998-2002, Kutcher,
1997; AACAP, 1997-1998; Renaud et al, 1999; NIMH, 2000; Flament et al, 2001; Thorpe
et al, 2001; Michael et Crowley, 2002; WFSBP, 2002; Brennan et al, 2003; Elliot et
Smiga, 2003; Hazell, 2003; Lagges et Dunn, 2003; McCellan et Werry, 2003; Nobile et
al, 2003; Ryan, 2003; Varley, 2003). Tuttavia, nonostante l’esiguità di studi sistematici
sulla psicoterapia familiare, l’esperienza clinica supporta l’evidenza che questo approccio
ha particolare indicazione in età evolutiva, dal momento che in età evolutiva l’ambiente
familiare rappresenta la principale fonte di scambio.
Predittori negativi di efficacia ad un intervento psicoterapeutico sono considerati: la
elevata gravità del disturbo, l’associazione con disturbo della condotta o disturbo bipolare,
la presenza di sintomi psicotici e di rischio suicidario, la cronicità o la elevata ricorrenza e
la presenza di condizioni psicosociali negative (Emslie et al, 2003). E’ opportuno,
all’inizio di una psicoterapia, porsi dei tempi per la valutazione di efficacia del
trattamento. Tali tempi dovrebbero tener conto maggiormente delle caratteristiche cliniche
del disturbo piuttosto che delle differenze nella tecnica di intervento psicoterapeutico. In
linea generale, una prima valutazione di efficacia del trattamento dovrebbe avvenire non
più tardi di 3 mesi dopo l’inizio del trattamento. In caso di assenza di risposta significativa
dovrebbe essere valutata la possibilità di interventi integrati a quello psicoterapeutico.
L’intervento psicoterapeutico appare anche utile nei disturbi depressivi al di fuori della
fase acuta, in quanto esso sembra ridurre il rischio di ricadute.
10.4 Interventi di prevenzione
Sono stati studiati modelli di intervento volti a prevenire il rischio di depressione nella
popolazione generale (Logan et King, 2002; Jane-Llopis et al, 2003; Merry et al, 2004). A
parte interventi ad impostazione sociologica, volti a creare condizioni sociali di minore
rischio depressivo attraverso la riduzione di stressors ambientali generali, e che hanno
come destinatari tutti i soggetti della popolazione, altri interventi preventivi sono più
direttamente mirati su popolazioni a rischio. I dati disponibili in tal senso sono ancora non
numerosi, ma indicano una potenziale efficacia di interventi psicoterapeutici individuali o
di gruppo, trattamenti familiari, o interventi psicosociali in popolazioni a rischio, in
particolare bambini o adolescenti con sintomi sottosoglia, individuati con progetti di
screening, oppure soggetti con pregressi episodi depressivi o altre psicopatologie che
aumentano il rischio depressivo, figli di soggetti con disturbo depressivo e/o bipolare,
48
bambini ed adolescenti che hanno subito esperienze vitali particolarmente sfavorevoli (es.
lutti familiari, abuso, ecc.). La validazione di tali interventi, così come la pratica
realizzabilità in relazioni alle risorse terapeutiche disponibili sono ancora in discussione.
49
Tab 21 Tipi di intervento
INTERVENTO PSICOEDUCATIVO
ALLEANZA TERAPEUTICA CON BAMBINO E FAMIGLIA
IL 25-30% DEI SOGGETTI MIGLIORA SIGNIFICATIVAMENTE
DOPO UNA PRIMA FASE DI CHIARIFICAZIONE EMPATICA
PSICOTERAPIE
Interventi individuali, di gruppo, familiari.
L’intervento psicoterapeutico è efficace nel 40-65% dei soggetti trattati.
Diversi orientamenti, in rapporto a scelte personali più che a caratteristiche cliniche o
personologiche del soggetto.
Necessità di porsi dei limiti temporali (3 mesi?) per la valutazione di efficacia.
Ruolo nella prevenzione di ricadute?
Predittori negativi di efficacia:
-
gravità della depressione
comorbidità
depressione psicotica
presenza di rischio suicidario
cronicità o elevata ricorrenza
bassa condizione socio-economica
PREVENZIONE PSICOSOCIALE
INTERVENTI SUI SOGGETTI A RISCHIO
a) Soggetti con sintomi subclinici (es. dopo test di screening) o con pregressi episodi
b) Soggetti con familiarità depressiva
c) Famiglie che hanno subito un lutto
1) Interventi individuali (psicoterapia, interventi psicoeducativi)
2) Interventi familiari (educativi, problem-solving, comunicazione familiare, ecc.)
3) Interventi sociologici (generali e mirati su soggetti a rischio)
50
10.5 Farmacoterapia
Conviene trattare la depressione dell’età evolutiva con i farmaci? Da un lato è necessario
tenere presente il limite generale di tutta la psicofarmacologia dell’età evolutiva, cioè le
ancora insufficienti conoscenze sul possibile effetto che i farmaci neurotropi esercitano su
un SNC in fase di rapida modificazione, influenzandone potenzialmente la dinamica
evolutiva, soprattutto nei bambini di più giovane età, e soprattutto nel lungo termine.
D’altro canto, è necessario tener presente i rischi che possono derivare da un mancato
riconoscimento e trattamento di un disturbo depressivo ad insorgenza precoce, non solo
nell’immediato, ma anche sullo sviluppo successivo.
Disturbi depressivi non adeguatamente trattati hanno maggiore possibilità di cronicizzare
e di essere maggiormente resistenti a trattamenti intrapresi tardivamente.
Inoltre, i disturbi depressivi, oltre agli effetti immediati sulla qualità della vita del
bambino o dell’adolescente, possono determinare in età evolutiva una interferenza sullo
sviluppo successivo, che è grossolanamente proporzionale alla durata della sintomatologia
depressiva.
La decisione se utilizzare un farmaco dovrà scaturire da una analisi del rapporto tra rischi
della farmacoterapia e rischi della depressione.
Purtroppo, non sono stati validati tentativi per individuare quali forme di depressione
(sulla base di dati clinici o marker biologici) siano più probabilmente sensibili ad
interventi farmacologici. Tuttavia, quando un paziente non risponde ad un intervento
psicoeducativo e/o psicoterapeutico, o questi approcci non sono disponibili, il quadro
clinico è grave, esiste un rischio suicidarlo, c’è familiarità per disturbi depressivi, si tratta
di forme ricorrenti o croniche, è associata una comorbidità, le condizioni psicosociali sono
negative, dovrebbe essere preso in considerazione un intervento psicofarmacologico
(Kovacs, 1994-1996-1997; Birmaher et al, 1996-1998-2002-2004; Roberts et al, 1995;
AACAP, 1997-1998; Renaud et al, 1999; Carlson, 2000; Goodman et al, 2000; NIMH,
2000; Park et Goodyer, 2000; Thorpe et al, 2001; Michael et Crowley, 2002; PurperOuakil et al, 2002; Hazell, 2003; Brennan, 2003; Goodyer et al, 2003; Allen-Meares et al,
2003; Elliot and Smiga, 2003; Lagges et Dunn, 2003; Luby et al, 2003; Poli et al, 2003;
Ryan, 2003; Whittington et al, 2004) (Tab 22).
Una metodologia che consenta la combinazione e la integrazione dei diversi strumenti
terapeutici a disposizione appare sempre più necessaria, essendo fortunatamente sempre
meno frequenti atteggiamenti manichei che ritengono efficace un unico tipo di
trattamento, con demonizzazione di trattamenti erroneamente ritenuti come alternativi.
51
Tab 22 Criteri per opzione farmacologica
- Resistenza-indisponibilità a psicoterapia
- Gravità clinica
- Rischio suicidario
- Familiarità positiva
- Forme ricorrenti
- Forme croniche
- Comorbidità
- Condizioni psicosociali negative
VALUTAZIONE CLINICA PER LA FARMACOTERAPIA
-
Diagnosi e caratterizzazione clinica
-
Gravità (intensità, durata, impatto funzionale)
-
Sintomi chiave (es. rischio suicidario)
-
Anamnesi personale (pregressi episodi) e familiare
-
Comorbidità
-
Condizioni socio-ambientali
-
Caratteristiche personologiche e temperamentali
10.5a Farmacoterapia: gli SSRI
I farmaci attualmente di prima scelta nella terapia farmacologica della depessione sono
gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, o selective serotonin reuptake
inhibitors (SSRI) (fluoxetina, paroxetina, sertralina, fluvoxamina, citalopram) (Tab 23).
L’azione prevalente di questi farmaci è quella di inibire il reuptake della serotonina, e
conseguentemente di potenziare la trasmissione in tutte le vie serotonergiche sia
all’interno del SNC che nel resto dell’organismo. Tale azione è responsabile della azione
terapeutica, non solo antidepressiva, ma anche dei possibili effetti indesiderati, presenti
soprattutto nelle prime fasi del trattamento. Ad es. l’azione più efficace sulla depressione
avviene per l’azione del farmaco sulla via che collega il rafe alla corteccia prefrontale.
Invece, l’azione sul disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) sarebbe mediata dalla via che
52
collega il rafe ai nuclei della base, e quella sul panico dalla via che collega il rafe alla
corteccia limbica ed all’ippocampo; infine, il potenziamento della via verso l’ipotalamo
spiegherebbe l’azione sulla bulimia e sulle altre condotte di binge-eating.
L’eliminazione è rapida per tutti gli SSRI, che hanno una emivita intorno alle 12-24 ore,
fatta eccezione per la fluoxetina, il cui principale metabolita (norfluoxetina) ha una
emivita di 7-9 giorni, per cui sono necessarie 2-3 settimane sia per raggiungere lo steadystate che per un wash-out. Peraltro, questa lenta eliminazione riduce i rischi di sindrome
da sospensione, presente con gli altri SSRI, anche se in misura minore rispetto ai TCA.
Gli SSRI sembrano avere una efficacia nel trattamento della depressione in bambini e
adolescenti (Simeon et al, 1990; Emslie et al, 1997-2002; Masi et al, 1997; Ambrosini et
al, 1999; Waslick et al, 1999; Keller et al, 2001; Pine, 2002; Braconnier et al, 2003;
Vaswani et al, 2003; Wagner et al, 2003, Whittington et al, 2004). In due trials
randomizzati controllati la fluoxetina ha dimostrato la sua superiorità rispetto al placebo
con una risposta del 56% rispetto al 33% dei TCA (Simeon et al, 1990; Emslie et al,
1997-2002). In alcuni trials randomizzati e open-label la paroxetina e la sertralina hanno
avuto una risposta favorevole rispetto al placebo; altri trials clinici condotti su bambini e
adolescenti per ottenere l’estensione delle indicazioni terapeutiche al trattamento della
depressione non hanno dimostrato l’efficacia della paroxetina rispetto al placebo e hanno
altresì evidenziato un maggior rischio di comportamenti autolesivi e suicidari nel gruppo
trattato con paroxetina rispetto al placebo (Masi et al, 1997; Keller et al, 2001; Wagner et
al, 2003; FDA, 2003).
Possibili dosaggi iniziali possono essere di 5-10 mg di fluoxetina e di 25-50 mg di
sertralina. Il dosaggio massimo in adolescenza può essere di 60 mg di fluoxetina o di 250
mg di sertralina (dosaggi più alti sono generalmente richiesti nel caso di disturbo
ossessivo-compulsivo o disturbo delle condotte alimentari).
La stimolazione delle vie su cui agiscono è responsabile degli effetti collaterali (Garland
et Baerg, 2001). Ad es,. la stimolazione dei recettori a livello del rafe è responsabile dello
stato di eccitazione, ansia, irritabilità, che frequentemente compare nelle prime fasi del
trattamento con SSRI. La stimolazione dei recettori nei gangli della base è responsabile
della acatisia (difficoltà a star fermi), che può presentarsi nel corso del trattamento. Una
stimolazione dei recettori nei centri del sonno del tronco cerebrale può determinare
alterazioni del ritmo sonno-veglia. La stimolazione delle vie spinali discendenti può
spiegare gli effetti negativi sulla funzione sessuale, quali anorgasmia o disturbi della
eiaculazione. La stimolazione dei recettori ipotalamici e nel tronco cerebrale può
53
determinare variazioni dell’appetito, mentre i sintomi gastrointestinali (crampi, diarrea)
possono essere legati alla azione sui recettori situati nel tratto gastrointestinale.
Fortunatamente, nella maggior parte dei casi questi effetti indesiderati sono non gravi e
spesso transitori.
Un effetto che anche recentemente ha avuto ampia risonanza è il rischio suicidario
(ideazione suicidaria e tentativi di suicidio) in adolescenti in trattamento con SSRI
(Healy, 2003; Khan et al, 2003; Lapierre, 2003; Moynihan, 2004; Ramchandani, 2004). A
tal riguardo, i dati della letteratura sono ancora discordanti. La Committee on Safety of
Medicines negli United Kingdom (2003) ha stabilito che la maggior parte degli SSRI non
devono essere usati per trattare il DDM nei bambini e negli adolescenti. La US Food and
Drug Administration (FDA, 2003) ha risposto che i dati disponibili non stabiliscono una
chiara associazione tra l’uso di questi farmaci e l’aumentato rischio di suicidio in pazienti
pediatrici. La FDA sottolinea che i dati che emergono dalla review su 20 trials
coinvolgenti oltre 4.000 pazienti pediatrici, su otto farmaci (citalopram, fluoxetina,
fluvoxamina, mirtazapina, nefazodone, paroxetina, sertralina, venlafaxina), con controlloplacebo, non sono riportati casi di suicidio completato. La FDA enfatizza che i dati che
emergono da questa review dimostrano l’efficacia nel DDM solo per la fluoxetina e che
comunque i farmaci antidepressivi devono essere usati con cautela in età pediatrica
(FDA, 2003). La FDA (talk paper, 2003) ha raccomandato che la paroxetina non deve
essere usata nei bambini e negli adolescenti sotto i 18 anni, per un possibile aumentato
rischio di suicidio in studi preliminari. Una nota del Ministero della Salute (BIF, 2003) ha
sottolineato che le indicazioni attualmente autorizzate per la paroxetina non prevedono
l’uso del farmaco in età pediatrica. L’American College of Neurophsychopharmacology’s
Task Force (ACNP, 2004), rivedendo tutti i trials clinici, gli studi epidemiologici e
tossicologici in autopsie, non ha trovato evidenze per una associazione tra SSRI e
aumentato rischio suicidario in bambini e adolescenti, non essendo, in questi studi,
riportati casi di morte per suicidio. D’altro canto, è documentato un aumentato rischio di
suicidio in soggetti depressi che non assumono alcun farmaco. Reviews di studi
epidemiologici forniscono evidenza che gli SSRI sono efficaci nel ridurre il rischio di
suicidio. Uno studio della World Health Organization (WHO, 2003) in oltre 15 stati ha
segnalato una significativa riduzione, circa del 33%, nella frequenza di suicidi nei giovani
depressi in coincidenza con l’introduzione degli SSRI.
I dati conclusivi al riguardo sono riportati dall’American Academy of Child and
Adolescent Psychiatry (AACAP, 2004) che, in accordo con i dati dell’ANCP, indica che i
54
benefici degli SSRI nel trattamento della depressione superano i loro rischi. Lo stato
attuale delle ricerche indica la depressione stessa come fattore causale del rischio
suicidarlo.
Tab 23 SSRI
PRINCIPIO
NOME
POSOLOGIA
EFFETTI AVVERSI
ATTIVO
COMMERCIALE
Fluoxetina
Prozac, Azur, Clexiclor,
2.5-60 mg/die
Sintomi gastro-intestinali,
Deprexin, Diesan,,
0.5-1.0 mg/kg/die
agitazione, variazioni
Fluotina, Fluoxeren
dell’appetito, insonnia,
sudorazione, irritabilità,
cefalea, disfunzione sessuale
Sertralina
Zoloft, Tatig
25-200 mg/die
Sintomi gastro-intestinali,
1.5-3 mg/kg/die
agitazione, sudorazione,
ecchimosi, modificazioni
dell’appetito e del sonno,
cefalea, disfunzione sessuale
Paroxetina
Dapzrox, Eutimil,
10-40 mg/die
Sedazione, sintomi gastro-
Sereupin, Seroxat,
0.25-0.7 mg/kg/die
intestinali, agitazione,
Daparox
sudorazione, ecchimosi,
modificazioni dell’appetito e
del sonno, cefalea, disfunzione
sessuale
Citalopram
Seropram, Elopram
10-40 mg/die
Sintomi gastrointestinali,
agitazione, sudorazione,
modificazioni dell’appetito e
del sonno, disfunzione
sessuale
Fluvoxamina
Maveral, Dumirox
50-200 mg/die
Tremori, sintomi gastro-
1.5-4.5 mg/kg/die
intestinali, agitazione,
sudorazione, modificazioni
dell’appetito e del sonno,
cefalea, disfunzione sessuale
10.5b. Farmacoterapia: antidepressivi triciclici
Prima degli SSRI i farmaci di prima scelta nella terapia farmacologica della depressione
sono stati i triciclici (TCA) (Hazell et al, 2001; Muller et al, 2003) (Tab. 24).
ll meccanismo d’azione dei TCA consiste essenzialmente nella inibizione della
ricaptazione della serotonina (5HT) e della noradrenalina (NA), ed in minor misura della
55
dopamina (DA). I TCA si dispongono su uno spettro, ad un estremo del quale ci sono
quelli a maggiore azione serotonergica (in particolare la clomipramina), all’altro quelli ad
azione maggiormente noradrenergica (come la desimipramina); nel mezzo c’è la maggior
parte dei TCA, ad azione mista sia sulla 5HT che sulla NA. Ma, in realtà, tutti i TCA
hanno anche una azione anticolinergica, anti-alfa1-adrenergica ed anti-istaminica.
I TCA sono rapidamente assorbiti nel tratto intestinale, con un picco ematico 2-8 ore
dopo l’assunzione. I TCA sono sottoposti ad una eliminazione epatica, ma esistono ampie
variazioni interindividuali (fino a 30 volte) in rapporto alla biotrasformazione epatica ed
alla eliminazione del farmaco. In particolare, il 5% dei soggetti sono lenti idrossilatori e
ciò determina un allungamento della emivita del farmaco, e quindi un aumento del rischio
di accumulo e di effetti collaterali.
Quasi tutti i trials doppio-cieco controllati non hanno dimostrato significative differenze
tra TCA e placebo. Una metanalisi di 12 trials randomizzati che hanno comparato
l’efficacia dei TCA verso placebo in soggetti depressi di età compresa tra 6 e 18 anni
suggerisce che i TCA hanno solo effetti lievi (Hazell et al, 2001). Solo uno studio ha
dimostrato una alta risposta al placebo (tra il 50% e il 70%), suggerendo che bambini e
adolescenti rispondono di più al placebo rispetto agli adulti (Hazell, 2001).
L’azione anticolinergica è responsabile di sintomi particolarmente fastidiosi quali la
riduzione della salivazione, la stipsi, la ritenzione urinaria, la visione indistinta e un certo
grado di sedazione e di disturbo della memoria. L’azione anti-adrenergica è responsabile
della ipotensione ortostatica e di un lieve senso di stordimento. L’azione anti-istaminica è
responsabile dell’aumento dell’appetito e del peso corporeo, oltre che della sedazione.
Oltre a questi effetti collaterali, un ulteriore importante limite dei TCA è che essi, in
overdose, bloccano i canali del sodio, determinando aritmie cardiache potenzialmente
letali e convulsioni.
Il limite probabilmente più importante per l’età evolutiva è rappresentato dalla potenziale
cardiotossicità dei TCA, che sembra essere maggiore in soggetti in età evolutiva rispetto
agli adulti; sono descritti casi di morti improvvise in bambini in terapia triciclica (in
particolare con desimipramina), la cui natura è ancora incerta. Studi epidemiologici
recenti tendono comunque a limitare il rischio di morte improvvisa. Una parte degli
effetti (ed in particolare gli effetti cardiotossici) sono dose dipendenti.
56
Tab. 24 TCA
PRINCIPIO ATTIVO
NOME COMMERCIALE
Amitriptilina
Adepril, Laroxil, Riptizol
Clomipramina
Anafranil
Imipramina
Tofranil
Nortriptilina
Noritren
10.5c. Farmacoterapia: stabilizzanti dell’umore (litio e anticonvulsivi)
Attualmente, nei pochi studi in doppio-cieco con controllo-placebo in età evolutiva è
segnalata l’efficacia del litio nel DB ad esordio precoce (Strober, 1992; Kafantaris,
1995).
Altri stabilizzanti dell’umore utilizzati nel DB ad esordio precoce sono gli anticonvulsivi
(carbamazepina, valproato, lamotrigina, gabapentin, topiramato), anche se sono pochi gli
studi disponibili che ne hanno esaminato l’efficacia (Pataki et Carlson, 1992; Viesselman
et al, 1993; Davis et al, 1999; Calabrese et al, 2001; DelBello et al, 2002). Nonostante la
maggiore sicurezza derivata dal loro utilizzo in età evolutiva nel trattamento delle
epilessie, occorrono ulteriori studi per valutarne l’efficacia per i disturbi depressivi.
Inoltre, il litio e gli anticonvulsivi, nonostante molte controversie, possono essere
considerati utili anche nella fase di mantenimento della farmacoterapia in pazienti con
depressione unipolare ricorrente (Schou, 1997).
10.5d. Farmacoterapia: nuovi farmaci
La ricerca sulle terapie antidepressive ha portato negli ultimi anni alla sintesi di nuovi
farmaci, la cui efficacia è comprovata in soggetti adulti, ma non in soggetti in età
evolutiva, per i quali non esistono trials randomizzati controllati. In particolare, sono state
immesse sul mercato molecole che potenziano sia la trasmissione serotonergica che
quella noradrenergica, ma in modo più selettivo rispetto ai triciclici, quindi con minori
effetti indesiderati. La azione combinata su serotonina e noradrenalina potrebbe
consentire di ridurre la frequenza di guarigioni parziali, con sintomi residui invalidanti di
tipo ansioso e/o apatico-anedonico. Alcuni trials open-label con pochi casi hanno studiato
la venlafaxina. (Mandoki et al, 1997; Hornig-Rohan et Amsterdam, 2002; Rudolph,
2002) e il nefazodone (Goodnick et al, 2000) e hanno mostrato risultati promettenti.
57
10.6 Strategie del trattamento
10.6.a La depressione lieve e moderata
In caso di un primo episodio di depressione lieve o moderata una prima fase potrà
prevedere un intervento psicoeducativo di chiarificazione e sostegno, che coinvolga il
bambino-adolescente e la famiglia, con monitoraggio ravvicinato nelle settimane
successive. Nel caso di una regressione della sintomatologia, potrà essere mantenuto tale
monitoraggio nei mesi successivi, per valutare l’eventuale ricomparsa dei sintomi.
Qualora
la
sintomatologia
persista,
la
seconda
fase
prevede
un
intervento
psicoterapeutico. Dopo tre mesi, potrà essere rivalutato il quadro clinico. Nel caso di
buona risposta, il trattamento psicoterapeutico sarà proseguito per alcuni mesi.
In caso di risposta insoddisfacente (circa 1/3 dei casi) la terza fase prevede la valutazione
della opportunità di aggiunta di un trattamento farmacologico (fluoxetina).
Qualora anche in tal modo la risposta clinica risulti insoddisfacente, la quarta fase
prevede la rivalutazione della diagnosi, la considerazione ulteriore di possibili cause
mediche generali che sostengano il quadro clinico, una ulteriore considerazione di
condizioni socio-ambientali avverse, una psicoterapia inadeguata. Qualora tali condizioni
non risultino significative, sarà modificata la terapia farmacologica, passando ad un altro
SSRI (sertralina), quindi associando un farmaco ad azione combinata su serotonina e
noradrenalina, oppure, nel sospetto di una depressione bipolare (per caratteristiche
cliniche o familiarità), l’associazione con un farmaco stabilizzatore dell’umore.
10.6.b La depressione grave.
Nel caso di depressione grave, con sintomatologia intensa, rischio suicidario, grave
comorbidità, condizioni psicosociali negative, è opportuno valutare sin dall’inizio la
opportunità di una terapia combinata (psicoterapia + trattamento farmacologico),
corrispondente alla terza fase delle strategie per le depressioni lievi e moderate e, in caso
di mancata efficacia, passare alla quarta fase descritta in precedenza.
10.7. La tattica del trattamento farmacologico
L’inizio della terapia antidepressiva dovrebbe avvenire con dosaggi bassi in modo da
minimizzare gli effetti indesiderati. Un possibile schema in bambini prepuberi è quello di
iniziare con 5 mg/die di fluoxetina, oppure 25 mg/die di sertralina. Negli adolescenti le
dosi iniziali possono essere di 10 mg di fluoxetina oppure 50 mg/die di sertralina. Gli
aumenti della posologia, per raggiungere la dose bersaglio, per una prima valutazione (1020 mg per fluoxetina, 75-150 mg per sertralina), non dovrebbero essere effettuati prima di
3-5 giorni. Nelle prime settimane di trattamento il monitoraggio deve essere abbastanza
58
ravvicinato, ogni 1-2 settimane, per sostenere la compliance (che può ridursi per una
assenza iniziale di miglioramento) e per evidenziare eventuali effetti collaterali, ma anche
per evidenziare un peggioramento dei sintomi o l’emergere di ideazioni suicidarie.
Perché si possa parlare di possibile risposta al farmaco è necessario attendere almeno 3-4
settimane in pazienti con risposta con risposta scarsa o nulla, 6 settimane in pazienti con
risposta parziale. In questi appuntamenti è utile il ricorso a strumenti standardizzati di
diagnosi (interviste, rating scales etero ed autovalutative, strumenti di valutazione globale
del cambiamento), per evitare, nei limiti del possibile, valutazioni imprecise. Dopo tale
lasso di tempo si può modificare il trattamento. Se dopo tale periodo non vi è alcuna
risposta occorre cambiare il rattamento.
Se, nel corso del trattamento, compaiono effetti collaterali, è necessario ridurre il
dosaggio; se gli effetti indesiderati permangono e sono relativamente invalidanti, è
necessario passare ad un altro farmaco.
Dopo che si è ottenuta la remissione dei sintomi (quindi dopo la fase acuta), la fase di
continuazione dovrebbe durare per 6-12 mesi, al dosaggio usato per la fase acuta, con un
monitoraggio clinico di almeno un controllo ogni tre mesi. In tale fase, una riduzione del
dosaggio, a meno che non esistano significativi effetti collaterali, espone il paziente ad un
rischio significativo di ricadute. Al termine del periodo di continuazione, potrà essere
iniziata la sospensione, con una riduzione del farmaco non più rapida di ¼ alla settimana,
ma preferibilmente dilazionata nel corso di 6-8 settimane. La riduzione potrà essere più
rapida nei pazienti che usano fluoxetina, data la lunga emivita di questo farmaco. E’
importante ricordare che una sindrome da sospensione può simulare i sintomi di un
disturbo depressivo-ansioso, e quindi essere interpretata come una ricomparsa dei sintomi
iniziali, con conseguente ripristino della terapia, mentre è esclusivamente conseguenza di
una cattiva gestione della riduzione del farmaco. I pazienti ed i genitori dovranno
comunque essere informati circa la possibilità di un riemergere della sintomatologia
(ricaduta), in particolare nei primi 8 mesi dopo la sospensione. In questa fase il paziente
dovrebbe essere visto ogni 2-4 mesi.
Una fase di mantenimento è prevista dopo il terzo episodio depressivo oppure dopo il
secondo episodio in caso di familiarità per depressione ricorrente o bipolarità, grave
sintomatologia (rischio suicidario, sintomi psicotici), grave comorbidità. Deve durare
almeno tre anni a dosaggio pieno.
59
Se si ha una ricorrenza del disturbo depressivo (e questo accade in almeno il 50% dei casi
nei primi 5 anni) dovrà essere reimpostata la terapia con il farmaco precedentemente
efficace.
60
7a raccomandazione
(Linea
Guida
clinica.
Forza
dell’evidenza:
forte;
Forza
della
raccomandazione: forte).
Sono pochi i trattamenti sicuri ed efficaci disponibili per il trattamento dei
Disturbi Depressivi nei bambini e negli adolescenti.
8a raccomandazione
(Linea Guida clinica.
Forza
dell’evidenza:
forte;
Forza
della
raccomandazione: forte)
Il trattamento di prima scelta nel trattamento dei Disturbi Depressivi nei bambini e
adolescenti è la psicoterapia.
9a raccomandazione
(Linea Guida clinica. Forza dell’evidenza: buona; forza delle raccomandazioni:
forte)
Disturbi depressivi non adeguatamente trattati hanno maggiore possibilità di
cronicizzare; inoltre, gli effetti immediati sulla qualità della vita del bambino o
dell’adolescente possono determinare in età evolutiva una interferenza sullo sviluppo
successivo. Pertanto, in alcuni casi (resistenza/indisponibilità alla psicoterapia,
gravità della sintomatologia, elevato rischio suicidiario) deve essere considerata la
possibilità di una farmacoterapia.
10a raccomandazione
(Linea Guida clinica. Forza dell’evidenza: forte; forza della raccomandazione:
forte).
A causa dell’assenza di dati controllati sulla efficacia e sicurezza di farmaci
psicotropi in età pediatrica, i clinici sono talvolta costretti a fare un uso off-label dei
farmaci.
11a raccomandazione
(Linea Guida clinica. Forza dell’evidenza: forte; forza della raccomandazione:
forte).
I farmaci antidepressivi devono essere usati con cautela in età pediatrica.
12a raccomandazione
(Linea Guida clinica. Forza dell’evidenza: forte; forza della raccomandazione:
forte)
61
La prescrizione di un qualsiasi farmaco dovrebbe iniziare con la minima quantità
compatibile con una buona compliance, al fine di ridurre il rischio di overdose.
13a raccomandazione
(Linea Guida clinica. Forza dell’evidenza: forte; forza della raccomandazione:
forte).
I farmaci non devono essere sospesi bruscamente e senza il consenso dello specialista
neuropsichiatra infantile.
14a raccomandazione
(Linea
Guida
Clinica.
Forza
dell’evidenza:
sufficiente;
forza
della
raccomandazione: sufficiente)
Sebbene allo stato attuale non siano disponibili studi diretti comparati con altri
farmaci antidepressivi, gli SSRI sembrano dimostrare di avere una efficacia
maggiore rispetto al placebo nel trattamento della depressione in bambini e
adolescenti e, pertanto, sembrano essere gli antidepressivi di prima scelta nel
trattamento della depressione in questa fascia di età. Il farmaco che, in un rapporto
rischio-beneficio, appare il più favorevole nella sua azione antidepressiva (anche
sulla base delle maggiori evidenze della letteratura scientifica) è la fluoxetina, che
dovrebbe quindi essere considerato l’SSRI di prima scelta. La sertralina potrebbe
rappresentare il farmaco di seconda scelta.
15a raccomandazione
(Linea Guida clinica. Forza dell’evidenza: buona; forza della raccomandazione:
forte)
I dati sulla età evolutiva sono ancora relativamente scarsi, e questo porta ad avere
cautela nell’uso degli SSRI, che dovrebbero essere usati solo in condizioni di
sicurezza e da mani esperte.
16a raccomandazione
(Linea Guida Clinica. Forza dell’evidenza: buona; forza della raccomandazione:
forte)
La possibilità di un tentativo di suicidio fa parte del quadro del DDM e può
persistere finchè non occorre una significativa remissione della sintomatologia
62
depressiva. Pertanto, una supervisione ravvicinata di pazienti ad alto rischio
dovrebbe essere associata alla fase iniziale della terapia.
17a raccomandazione
(Linea Guida Clinica; forza dell’evidenza: buona; forza della raccomandazione:
forte)
I TCA (particolarmente desimipramina e imipramina) non dovrebbero essere mai
usati nei bambini e negli adolescenti in considerazione della letalità di una overdose,
della possibilità di morte improvvisa inspiegabile (verosimilmente correlata a
problemi di conduzione cardiaca) e della disponibilità di trattamenti più sicuri e più
facili da monitorare.
18a raccomandazione
(Opzione Clinica. Forza dell’evidenza: sufficiente; forza della raccomandazione:
sufficiente)
L’utilizzazione dei nuovi antidepressivi in età evolutiva è attualmente limitata dalla
scarsezza di dati disponibili sulla loro efficacia e sicurezza, e dovrebbe quindi essere
limitata a quadri chiaramente resistenti ad altri farmaci nell’ambito di trias clinici.
63
FLOW CHART
STRATEGIE TRATTAMENTO
PRIMA FASE
(1° episodio depressione lieve/moderata)
INTERVENTO PSICOEDUCATIVO
Se REMISSIONE, continuare per alcuni mesi.
Se NON RISPOSTA passare alla 2° fase
⇓
SECONDA FASE
(depressione lieve/moderata senza risposta alla prima fase)
PSICOTERAPIA
Se REMISSIONE , continuare per alcuni mesi
Se NON RISPOSTA dopo tre mesi (1/3 dei casi) passare alla terza fase
⇓
TERZA FASE
(depressione lieve/moderata senza risposta nelle prime due fasi e depressione grave)
PSICOTERAPIA ASSOCIATA ALLA FARMACOTERAPIA (fluoxetina)
Se REMISSIONE, continuare per 6-9 mesi.
Se NON RISPOSTA, rivalutare diagnosi, cause mediche generali, condizioni socioambientali, psicoterapia. Se questi fattori risultano non causali, passare alla 4° fase
⇓
QUARTA FASE
(depressione lieve/moderata senza risposta nelle prime tre fasi e depressione grave)
PSICOTERAPIA ASSOCIATA ALLA FARMACOTERAPIA
POTENZIARE LO STESSO FARMACO O CAMBIARE FARMACO: sertralina; se
sospetto di bipolarità, associare stabilizzante dell’umore
64
FLOW CHART
TATTICA TRATTAMENTO FARMACOLOGICO
-
-
FASE INIZIALE
Fluoxetina o sertralina a dosaggi bassi e aumenti ogni 3-5 giorni
Ogni 1-2 settimane monitorare per per valutare: compliance, effetti indesiderati,
peggioramento clinico, tendenze suicidarie compliance
Attendere 3-4 settimane in pazienti con risposta scarsa o nulla, 6 settimane in pazienti
con risposta parziale.
Dopo tale periodo SE NON RISPOSTA cambiare trattamento.
Effetti collaterali: ridurre il dosaggio. Se permangono, sospensione.
FASE DI CONTINUAZIONE
Dopo la remissione della sintomatologia, continuazione del trattamento per almeno 612 mesi, a dosaggio pieno, con controlli almeno ogni 3 mesi.
Al termine del periodo di continuazione sospensione graduale, dilazionata per 6-8
settimane (riduzione non più rapida di ¼ del dosaggio alla settimana).
Informare circa la possibilità di ricaduta nei primi 8 mesi (50%).
Valutazione ogni 2-4 mesi per gli 8 mesi dopo la sospensione.
FASE DI MANTENIMENTO
- Dopo il terzo episodio depressivo OPPURE dopo il secondo episodio in:
- Familiarità per depressione ricorrente o bipolarità
- Grave sintomatologia (rischio suicidario, sintomi psicotici)
- Grave comorbidità
- Per almeno 3 anni
- Dosaggio pieno (riduzione aumenta il rischio di ricadute)
65
11. Depressione e medicina generale
Le necessità imposte dalla specialistica ambulatoriale, in ordine ai tempi ristretti per la
visita e agli obiettivi rivolti principalmente al benessere fisico, rendono difficoltoso il
riconoscimento di situazioni psicopatologiche, che necessitano, al contrario, di
osservazioni più prolungate rivolte alla psiche. Il pediatra di famiglia prende in carico il
bambino sin dalla nascita, lo segue nel suo sviluppo e conosce il contesto familiare e
socio-ambientale in cui cresce. Pertanto, è certamente la figura professionale più adatta
per riconoscere, in riferimento ai Disturbi Depressivi, i soggetti a rischio, i sintomi e i
segni e per valutare, in base alla durata, gravità ed interferenza funzionale, se questi sono
da riferire ad una depressione “normale” o “patologica”. Nel primo caso, basterà
rassicurare la famiglia e monitorare nel tempo l’evoluzione. Nel secondo caso, il pediatra
dovrà fare un invio al neuropsichiatria infantile, gestendo eventuali resistenze da parte dei
genitori, secondarie a pregiudizi culturali, in considerazione degli elevati rischi correlati
all’outcome dei disturbi depressivi. In seguito, sarà necessario, durante il follow-up, un
continuo scambio tra il pediatra di famiglia e il neuropsichiatra infantile, al fine della
valutazione sia della compliance al trattamento sia di eventuali effetti collaterali.
19a raccomandazione
La diagnosi e le indicaizoni dei trattamenti sono di pertinenza specialistica
neuropsichiatrica infantile.
Il medico di medicina generale e il pediatra di famiglia hanno il compito di
individuare i segni e i sintomi indicativi per la diagnosi, al fine di inviare il paziente
ad una valutazione specialistica neuropsichiatrica infantile, e in seguito monitorare
gli eventuali effetti collaterali dei farmaci, seguire l’andamento clinico, intervenire
tempestivamente, rinviando nuovamente il paziente allo specialista in caso di
recidiva.
66
FLOW CHART
MMG
RICONOSCIMENTO DEI SOGGETTI A RISCHIO
¾
¾
¾
¾
¾
Familiarita’ per disturbi dell’umore o altri disturbi psicopatologici
Vulnerabilita’ temperamentale
Eventi vitali negativi
Deprivazione socio-ambientale
Malattie croniche
⇓
INDIVIDUAZIONE DI SINTOMI e SEGNI (IN PIU’ CONTESTI-SITUAZIONI)
VALUTAZIONE DI: DURATA - GRAVITA’ - INTERFERENZA FUNZIONALE
⇓
Se DEPRESSIONE “NORMALE”: rassicurazione
Se DEPRESSIONE “PATOLOGICA”: INVIO AL NPI e GESTIONE DELLE
DIFFICOLTA’ AD ESSO CORRELATE (PREGIUDIZI)
⇓
FOLLOW-UP
VALUTAZIONE DELLA COMPLIANCE AL TRATTAMENTO
VALUTAZIONE DEGLI EFFETTI COLLATERALI
MONITORAGGIO REAZIONI AVVERSE
Ad ogni visita o prescrizione utilizzando apposita scheda studio in associazione alla
scheda ministeriale.
Continuare, dopo sospensione, con controlli ogni 2-4 mesi.
67
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