Depressione - IRCCS Eugenio Medea

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S
in alute
DA SAPERE
LA DEPRESSIONE È UNA
MALATTIA CHE RIGUARDA
SOLTANTO GLI ADULTI?
Purtroppo anche i bambini e gli
adolescenti possono presentare
un vero disturbo depressivo.In
questo caso, però, la malattia si
manifesta generalmente con sintomi diversi da quelli dell’adulto:
peggioramento del rendimento
scolastico, tendenza all’irritabilità,
disinteresse diffuso, disturbi del
sonno e paure ingiustificate. Inoltre, con l’inizio dell’epoca adole-
info
➔ Per informazioni sulla
depressione infantile rivolgersi al Raggruppamento di Psicopatologia
dell’età evolutiva, IRCCS
“E. Medea”, Associazione La Nostra Famiglia
(031 877 111)
scenziale possono presentarsi
comportamenti antisociali, fra cui
l’abuso di alcool o l’assunzione di
droghe. È importante che i genitori siano sempre attenti a questo
tipo di manifestazioni, perché già
dall’età di cinque-sei anni i bambini possono essere affetti da una
sindrome depressiva.
EREDITARIETÀ E DEPRESSIONE
Mentre è relativamente facile studiare l’ereditarietà delle malattie
fisiche, valutare la componente
ereditaria dei disturbi psichici è
un’impresa molto più complessa.
Per alcuni di questi disturbi, ad
esempio la schizofrenia, una base
ereditaria è stata sostanzialmente
dimostrata e si ritiene che anche
la depressione possa avere caratteristiche analoghe, nel senso che
in alcuni gruppi familiari sia l’una
che l’altra patologia si manifestano con una frequenza decisamente superiore a quella con cui compaiono nel resto della popolazione. Ciò non significa che i figli di
una persona depressa avranno
senz’altro, a loro volta, una malattia depressiva, ma che hanno
maggiori probabilità di presentare
in qualche periodo della vita questo disturbo.
SI TRATTA DI UNA
MALATTIA FISICA O DI UN
DISTURBO PSICOLOGICO?
La vera malattia depressiva consiste in un’alterazione di alcuni neurotrasmettitori, sostanze che regolano l’attività del nostro sistema
nervoso: in questo senso, la depressione è da considerare una
malattia fisica. Bisogna però tener
presente che la depressione può
essere scatenata da cause psichiche come lo stress e che il depresso risente molto dei fattori affettivi e delle circostanze psicologiche in cui vive. Tener presente
questa dimensione significa potenziare l’efficacia delle cure mediche e aiutare il paziente ad affrontare meglio i periodi in cui è
vittima della malattia.
Un nemico invisibile
che può essere sconfitto
Di depressione si sente parlare molto spesso ai nostri giorni, ma non sempre è
chiaro il confine tra la vera malattia depressiva, che può essere curata e
guarita, e il semplice stato d’animo triste o malinconico, che non richiede
ovviamente alcuna terapia medica
DEPRESSIONE
C
hi di noi non si è
mai sentito, per
un periodo più o
meno lungo della
sua vita, particolarmente stanco e giù di morale? Si tratta di sensazioni
comuni, generalmente di breve durata (qualche giorno, al
massimo un mese), scatenate
da cause facilmente individuabili e proporzionate alla
loro gravità. Questa è la cosiddetta
depressione
reattiva, che si risolve con la
scomparsa delle cause che
l’hanno provocata.
Talora, però, può capitare che
stanchezza e malinconia si
presentino senza motivi apparenti, con intensità notevole e per un periodo di tempo
prolungato: si tratta allora
della depressione endogena
(o depressione maggiore)
che è una vera e propria malattia.
Questo tipo di depressione
colpisce senza distinzioni di
classe sociale e di cultura, ed
è piuttosto diffusa: secondo le
statistiche, nei Paesi occidentali ne è affetto un individuo
ogni cinque/sei. In alcune categorie di persone questo disturbo è più frequente: ne soffrono infatti più le donne che
gli uomini e più i giovani che
gli anziani; inoltre, le persone
che hanno già avuto un familiare con la stessa malattia rischiano maggiormente di soffrirne a loro volta.
Distinguere la semplice malinconia dalla depressione vera e propria può essere difficile; per questo motivo gli
esperti hanno identificato due
gruppi di sintomi che rivelano la presenza di un vero di-
sturbo depressivo.
Il primo gruppo è composto
da due sintomi molto importanti, la cui presenza è determinante per la diagnosi di un
disturbo depressivo:
1. umore depresso;
2. mancanza di interesse per
le normali attività della vita.
Il secondo gruppo di sintomi,
che però sono significativi solo se si associano a quelli del
primo gruppo, comprende alterazioni del sonno, del peso
corporeo e dell’appetito, affaticamento e stanchezza, difficoltà di concentrazione, bassa
autostima, agitazione e, in alcuni casi, pensieri di morte e
idee di suicidio.
Per poter diagnosticare la presenza di un disturbo depressivo non è necessario che tutti i
sintomi elencati siano presenti contemporaneamente: è
sufficiente che almeno cinque
di questi si presentino per almeno due settimane e che tra
di essi sia compreso almeno
uno dei sintomi del primo
gruppo.
È anche importante saper distinguere fra depressione e altri disturbi psichici che hanno manifestazioni simili: ad
esempio la distimia (cioè la
presenza di umore depresso
per almeno due anni, ma in
forma più leggera rispetto alla
depressione); i disturbi bipolari (in cui a periodi di depressione si alternano periodi
di euforia) e l’ansia.
Una volta diagnosticata la
presenza di un disturbo depressivo, per poterne valutare
la gravità gli specialisti hanno
elaborato alcune “scale”, costituite da domande che ven-
gono rivolte al paziente. Il
punteggio attribuito alle risposte, opportunamente valutato dallo psichiatra, consente
di ricavare preziose indicazioni sulla gravità della malattia.
Per quanto riguarda la terapia, i farmaci di cui oggi disponiamo per curare le cause
biologiche della depressione
(alterazioni di alcuni neurotrasmettitori) sono molto efficaci; inoltre, alle terapie mediche vengono spesso affiancate quelle di tipo psicologico, modellate sulle esigenze
del singolo paziente. In casi
particolari, quando la malattia si dimostra resistente a
questi provvedimenti, si può
ricorrere all’elettroshock, che
va preso in considerazione
con molta cautela ma che generalmente è risolutivo.
Per le terapie antidepressive
si devono considerare diverse
fasi:
1. Fase acuta: detta anche “fase di risposta”, è quella in
cui il paziente comincia a
rispondere positivamente
alla terapia. Questa fase
inizia di solito dopo qualche settimana di cure, e
procede attraverso un miglioramento che può arrivare fino alla completa
scomparsa dei sintomi. Se
questa fase non si presenta,
lo specialista può scegliere
di prolungare ancora il trattamento, cambiare tipo di
farmaco, affiancare alla terapia farmacologia un intervento psicoterapeutico o
ricorrere all’elettroshock.
2. Fase di continuazione: una
volta che i sintomi sono
scomparsi subentra una se-
conda fase, in cui il paziente deve proseguire la terapia per evitare che il disturbo si ripresenti. Questa
fase dura solitamente 4-5
mesi.
3. Fase di mantenimento: Il
50-85% dei pazienti che
hanno sofferto di un disturbo depressivo rischia di esserne colpito nuovamente.
In questi casi, si può decidere per una terapia di
mantenimento, tenendo
presenti alcuni fattori importanti quali la gravità
dell’episodio depressivo
precedente, la presenza di
eventuali sintomi residui,
di altre patologie di tipo
psichiatrico e di pregressi
episodi multipli di depressione e il rischio di suicidio.
4. Fase di interruzione: si
tratta di una fase molto delicata, le cui modalità vengono decise dal medico
esperto in base ai criteri già
utilizzati nella fase precedente e ponendo una particolare attenzione anche al
parere del paziente. Di solito, la terapia viene sospesa
gradualmente, per evitare
contraccolpi negativi.
In alcuni casi, la depressione
è scatenata dalla diminuzione
di ore di luce che si verifica
durante la stagione invernale:
i pazienti che rientrano in
questa categoria possono trarre beneficio dall’esposizione
a speciali lampade. Infine,
per i casi meno gravi si stanno facendo strada terapie appartenenti alla cosiddetta
“medicina alternativa” e basate su alcune sostanze naturali, come l’iperico.
Bisogna quindi essere consapevoli del fatto che i depressi
non sono individui destinati
all’infelicità, ma persone che
possono e devono essere curate, perché un’adeguata terapia seguita scrupolosamente
per tutto il tempo necessario
garantisce loro una migliore
qualità di vita e, nella maggior parte dei casi, la completa guarigione.
[a cura di Ada Moretti ]
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