Numero Settembre '07 EDITORIALE Bentrovati a tutti a questo primo appuntamento di “Fuori dal Mucchio” dopo la (meritata) pausa estiva. Il caldo è ancora tanto, ma noi siamo di nuovo qui pronti a offrirvi, come ogni mese, una panoramica quanto mai esaustiva e selettiva di quanto avviene nella scena underground italiana. A tal proposito, in vista di un autunno che si preannuncia ricco di tante – anzi, troppe – novità discografiche, non possiamo che invitare ancora una volta tutti quanti fossero interessati (artisti, etichette, promoter, uffici stampa) a farci pervenire le loro produzioni seguendo le indicazioni contenute nella pagina “Per invio materiale” linkata qui a destra. Con la fine delle vacanze, poi, si avvicina come sempre anche il momento del MEI, il Meeting delle Etichette Indipendenti, in programma il 24 e 25 di novembre a Faenza (RA) e giunto quest’anno alla undicesima edizione. Come da tradizione, noi saremo presenti non soltanto fisicamente con uno stand, ma anche con il premio “Fuori dal Mucchio”, che verrà assegnato a quello che a nostro giudizio è stato il migliore esordio discografico italiano della stagione appena conclusa. Di questo, però, parleremo meglio il mese venturo, quando saranno resi noti i titoli dei dischi in lizza. Per il momento, quindi, non ci rimane che augurarvi buone letture e buoni ascolti. Aurelio Pasini Pagina 1 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '07 Adriano Modica Il fantasma ha paura Trovarobato/Audioglobe Bassista (per Marco Parente, ad esempio, e ultimamente pure negli Ulan Bator), polistrumentista, compositore, cantautore: Adriano Modica bazzica da qualche anno la scena indipendente della nostra penisola ma è la prima volta che mostra ufficialmente – dopo alcuni demo sparsi – il proprio volto di autore. “Il fantasma ha paura”, “disco di pietra” di una trilogia in buona parte ancora inedita, esce per Trovarobato e non potrebbe essere altrimenti, vista l’obliquità della proposta. Di che si tratta? Di una forma cantautorale mutante e mutevole, diremmo fluttuante a tratti, ma sempre immersa in un contesto di orecchiabilità, nata dalla trasmutazione di quelle che ci paiono antiche e ben metabolizzate influenze di epoca italo-prog (il primo Alan Sorrenti, ma anche il primo Claudio Rocchi e, perché no, Juri Camisasca), da una moderna sensibilità per il collage sonoro e da una cifra poetica stralunata che non subisce forzature ma sgorga naturale in versi come “Il limite tra follia e fantasia / è una sbarra di legno / con scritto “Lory ti amo” / ed un bel panorama” oppure “Da qui la città / assomiglia a un gigante / che parla nel sonno / piange nel sonno / e il cuore ingoiato / dopo la corsa / è la più bella voglia di vomitare / che ho”. Una “destabilizzazione” gentile, morbida e psichedelica. Rassicurante in qualche modo, ma capace di lasciare tracce profonde. Sul podio, per quanto ci riguarda, finiscono le sincopi jazz di “Battito muto in 3/4”, “Il gigante si sveglia” e “Il paese dei balordi” (http://www.adrianomodica.it/). Alessandro Besselva Averame Alex Snipers Slackness Mammagamma/Jestrai Alex Snipers (al secolo Alessandro Cecchini) è un cantautore di cui si sa poco o nulla, e “Slackness” è il suo esordio: un disco registrato in solitaria, solo voce, chitarra e un fiume in piena di piccole canzoni tra folk e blues del delta. Nel libretto ringrazia Syd Barrett (e in effetti, si avverte qualche reminescenza qui e là) e i Rolling Stones, nella cartella stampa cita Springsteen e Steve Wynn come influenze, il che vuol dire tutto ma anche niente. Questo perché “Slackness” – Pagina 2 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '07 nomen omen – è dispersivo e camaleontico. Per quanto si resti sempre in coordinate di massima ben precise, Snipers è capace di citare una gamma incredibile di gruppi, artisti, generi musicali, e ognuno dei suoi sedici capitoli ha un spunto interessante che va oltre una registrazione approssimativa e una resa audio ai limiti delle demo su C-90. Classico esempio di disco inaspettato che se ad un primo ascolto non fa che mostrare difetti, già al secondo fa capire di avere qualcosa da dire. Certo, potremmo soffermarci sull’italianità del suo inglese, di come la pronuncia a volta possa infastidire – e a dire il vero questo è l’unico difetto davvero importante – ma non è il caso di puntualizzare. Non ora (http://www.jestrai.com/). Hamilton Santià Andrea Ra Le bighe sono pronte Altipiani Rock/Edel Cantautore sui generis e session-man dal buon curriculum, Andrea “Ra” Finocchi aveva esordito in proprio nel 2002 con “Scaccomatto” (Mescal), sorta di concept liberamente ispirato al “Settimo sigillo” di Bergman in cui si mescolavano pop (post)adolescenziale e metal mutante, intermezzi acustici e virtuosismi, bizzarrie sull’improbabile asse Camisasca-Primus e una punta di teatralità. Un lavoro ricco di spunti, ma anche eccessivamente dispersivo e a tratti fuori fuoco. Cinque anni dopo il cantante e bassista romano torna sulle scene con “Le bighe sono pronte”, un live registrato lo scorso aprile alla capitolina Locanda Atlantide. Al suo interno, gran parte dei brani del debutto più un pugno di inediti e quattro cover (di Alberto Camerini, Ivan Graziani, Lucio Battisti e – appunto – Primus), per settantaquattro minuti ad alta intensità, in cui non mancano gli sfoggi di tecnica (anche da parte del resto della band, ovvero Giacomo Anselmi alla chitarra e Daniele Iacono alla batteria) ma non vanno quasi mai a discapito della concretezza del tutto (tra le poche eccezioni, una “Balli con me” interminabile). Come a dire che in un contesto forzatamente più minimale e diretto come quello live Ra sembra guadagnare in concretezza, pur non perdendo la propria vena ironicamente stralunata. Non tutto è perfetto: ogni tanto il discorso sembra incepparsi, e la direzione intrapresa pare incerta, ma se l’alternativa devono essere l’omologazione e la piattezza allora va bene anche così (www.andreara.com). Aurelio Pasini Pagina 3 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '07 Clepsydra Second Era Of Stonehenge MP Nati nel 2002 come tribute band, a fasi alterne e alcune volte in simbiosi, di Cream e Jimi Hendrix Experience, i Clepsydra approdano alla convinzione di poter sviluppare un percorso autonomo nel tempo, senza per questo rinnegare quanto fatto nei primi anni di vita. Il punto di partenza rimane comunque uno: lavorare assolutamente come trio, un imperativo al quale Fabio Di Gianluca e Danilo Ricci (rispettivamente voce/chitarra e batteria) non hanno mai rinunciato, cambiando più volte il bassista, che ora sembra finalmente individuato in Filippo De Rubeis, che si cimenta anche come vocalist. La cosa veramente sorprendente è che una volta trovato il coraggio e l’ambizione di comporre materiale proprio, i Clepsydra sembrano aver messo alle spalle il bagaglio su cui avevano edificato il loro background per confrontarsi con un sound ad ampio respiro, decisamente originale, che abbraccia psichedelia, pop e rock, ma privo di quelle connotazioni classiche che ci si poteva attendere. Poco male, visto che le dieci tracce, più un breve finale che omaggia le vibrazioni misteriose di Stonehenge, si fanno ascoltare con piacere, risultando in più di un passaggio piene di verve. Resta solo il limite di una vocalità poco espressiva che alcune volte limita il potenziale di canzoni costruite con garbo e la giusta dose di coraggio (www.clepsydraband.it). Gianni Della Cioppa Deltaechopapazulu Download My Love Edel “Scarica il mio amore”, recita la copertina. Un invito a incastrare questo debutto tra le centinaia di gigabyte che già intasano i vostri hard-disk anziché ascoltarlo sul supporto originale? Difficile a dirsi (il testo della title-track è alquanto nebuloso al riguardo), ma a dirla tutta, sarebbe un peccato per voi e per le vostre orecchie. Alberto Fabris, artista dietro cui si cela l’inconfondibile ragione sociale, è un compositore di raro talento nonché ottimo polistrumentista e per la cura con cui ha saputo dosare suoni e strumenti, non merita di diventare un anonimo “folder”. Registrato volando da New York a Milano, da Londra a Lisbona, con qualche tappa on the road su suolo tedesco, l’album trova il suo punto di forza nell’inevitabile mescola di linguaggi e stili incontrati via via che prendeva forma, filtrando il tutto attraverso un personale quanto impeccabile gusto. In questa amalgama a cavallo tra nu-jazz, space age pop e funambolismi à la Pagina 4 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '07 Matthew Herbert, l’elettronica si fonde alla perfezione con i delicati arrangiamenti di fiati, così come la splendida voce di Ana Vieira, presente in quasi tutti i brani in scaletta, gioca a confondersi con il paesaggio sonoro, dimostrando una versatilità quasi ultraterrena (l’energica “Mama Soldier” e la sognante “Blue Silk” a mostrarne i due estremi). L’album si chiude con la strumentale “Die verliebte Forelle”, breve e fiabesca suite scritta a quattro mani con l’amico/collega Ludovico Einaudi. Un brano talmente perfetto che rischia di mettere in ombra tutto il resto. Ci piace pensare che sarà questa la pista da cui DeltaEchoPapaZulu spiccherà il suo prossimo volo ( www.deltaechopapazulu.net). Giovanni Linke Echoes Of The Whales Echoes Of The Whales Disasters By Choice/Wide Felicissimo parto delle menti di Pierpaolo Leo e Andrea Mangia (noto ai più come Populous), “Echoes Of The Whales” è uno di quei dischi che non ci vergogniamo di recensire con l’invidiabile ritardo di cinque mesi. Basta il primo minuto del brano di apertura (“Nature Was The Ancient Mobilia”) per capire quanto la musica contenuta in questo album si sposi alla perfezione con stagioni più malinconiche, alchimie dei primi freddi e non per gli ultimi pollini. In tutta onestà, non ci sarebbe spiaciuto parlarne in dicembre, ma a quel punto saremmo stati scandalosamente snob. O solo scandalosi. Ma di cosa sono fatti questi echi di balene? Innanzi tutto, scordatevi il blip-hop di Populous e gli esperimenti di musica concreta di Leo, ché questo album viaggia su ben altri binari, più dilatati, ma non meno strutturati. Sintetizzeremmo il tutto con il termine minimal ambient, ma i drone, gli organi e le chitarre qui presenti parlano anche un’altra lingua, vicina al post-rock ma che non disdegna omaggi alla lucida psichedelia di Robert Hampson (Loop nella teoria, Main nella pratica). Brani come “We Can Be Herons, Just For One Day”, “Arctic Sunrise” o la conclusiva “Earth Song” sono le perfette trasposizioni su pentagramma di stati mentali deliziosamente vacui, pericolosamente sognanti; un incedere ondivago che solletica le orecchie e accarezza la mente. Se già seguite la musica ambientale, questo disco non infetterà il vostro stereo con i germi della rivoluzione, limitandosi a offrirvi 40 minuti di piacere sonoro; se invece solo ora accedete a questo universo musicale, al momento non conosciamo biglietto da visita migliore ( www.echoesofthewhales.com). Giovanni Linke Pagina 5 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '07 Endura Bleu Tomato/Venus “Bleu” non è propriamente il secondo disco (terzo, se teniamo in considerazione un primo lavoro completamente autoprodotto nel 2000, “Due complesso”) dei cuneesi Endura. O meglio, guardando il tutto da un’altra angolazione, è qualcosa che va oltre. Questo lavoro, a quattro anni da “Les mots, la nuit, la danse” e come quello prodotto da Paolo Benvegnù, nasce infatti come estensione dell’omonimo spettacolo multimediale, rappresentato nell’estate del 2004 a Spoleto. Oltre a muoversi stabilmente sui propri passi, svincolata dalla rappresentazione, la musica qui contenuta asseconda con naturalezza ed efficacia la frammentarietà (voluta e funzionale) e il bisogno di vie di fuga che caratterizza da sempre la band piemontese. Una poetica fatta di frammenti e innesti che si concretizza in canzoni continuamente “sabotate” da svisate noise, infiltrazioni elettroniche, accorgimenti sonori fuor di sesto che, lungi dal creare una impressione di sfaldamento, restituisce alle composizioni la loro dimensione più autentica e aiuta ad illuminare gli scorci più creativi. Di buona fattura la cover degli Scisma, “In dissolvenza”, meno incisiva ma comunque interessante la ripresa di “Pag. 8, 45”, tratta da “Il grigio” di Gaber e Luporini. Per il resto, gli episodi autografi sono tutti caratterizzati da un ottimo lavoro sui suoni e da una scrittura eclettica che nelle eleganti orchestrazioni di “Ali” e nella psichedelia circense di “Mia” sembra esprimere il suo volto più credibile e incisivo ( www.endurableu.com). Alessandro Besselva Averame Fabrizio Zanotti Il ragno nella stanza Storie di Note/ Egea È dopo vent’anni di attività che Fabrizio Zanotti approda al primo lavoro a suo nome. Già noto in virtù della recente esperienza con i Foce Carmosina, nonché di un recente brano scritto per Claudio Lolli, Zanotti ha messo insieme un’esperienza e una sensibilità da artigiano e cesellatore di suoni. L’apertura “Controvento” è uno stadio evolutivo avanzato di un cantautorato alla Loy & Altomare, con belle chitarre diamantine a sferruzzare. Ché essenzialmente chitarristico e cantautorale è il mood di Zanotti, sebbene arricchito e arrangiato. Il prodotto finale è un album prismatico, che ci parla del nostro presente: l’ambiente in Pagina 6 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '07 “Fumo”, le relazioni dissestate e piatte di “Barbara e il sesso”, il miraggio di cambiare la propria sorte nel brano finale “Sarò libero”, che inizia con un verso del De André rom (“Anche oggi si va a caritare”) per dare voce alle vite parcheggiate a Lampedusa. L’eterno cancro della guerra staziona nell’insistente e drammatica “La mia divisa” e in “A Mostar”, che ci ricorda l’amore di Zanotti per un folk-rock di matrice nordamericana, che lo accosta per certi versi a Massimo Bubola. Il ritorno alla Foce Carmosina si compie alla traccia numero dieci – una delle più riuscite: “A piene mani” – in un onirico racconto di contrabbandieri imbastito su un ininterrotto accordo in minore, pieno di rifrazioni e atmosfere. Ancora una volta a farsi capolino è il nume genovese di “La domenica delle salme”. Zanotti, canzoni per pensare, per farsi avvolgere dalle spirali di una sana inquietudine. Sarebbe cosa buona che ciascuno avesse il proprio ragno nella stanza (www.fabriziozanotti.net). Gianluca Veltri Filippo Martin Still In My Dreams New LM Fa veramente bene al cuore vedere che la New LM Records da Ravenna è da qualche tempo tornata attiva con una certa continuità. Negli anni 80, senza l’accessorio New, era stata una della label più vitali e generose nel valorizzare il fermento underground nazionale, soprattutto in campo heavy metal, consegnandoci alcuni album che oggi sono autentiche chicche per collezionisti. Poi il declino fino al silenzio totale, interrotto anche per il rinnovato interesse verso quei dischi, fin troppo snobbati all’epoca. Ecco così una serie di nuovi progetti, divisi tra ristampe del vecchio materiale, alcune volte postumo e nomi nuovi. Tra questi ultimi va a collocarsi l’ottimo chitarrista Filippo Martin, che in questo esordio può vantare la collaborazione di Alex De Rosso (ospite in “Believe Me”, un talentuoso musicista veneto che da due decenni è noto negli ambienti rock internazionali, avendo suonato anche con le star americane Dokken. La sue esperienza serve solo a ravvivare ulteriormente un lavoro brillante e intenso, che mostra come Martin sia in grado di colorare le sue composizioni, senza scendere al gradino del virtuosismo fine a sé stesso. Ci sono melodie intense che accompagnano ogni partitura sulla scia, mi permetto l’azzardo stilistico non di caratura, con il gigante Joe Satriani. La produzione pulita e mai invadente risalta anche nell’unico brano cantato, “Believe Me” (c’è anche una versione strumentale, affidata alla solista di De Rosso), consegnato all’ugola sicura di Massimo Danieli (www.filippomartin.it). Pagina 7 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '07 Gianni Della Cioppa Go Down Moses Welcome Idiots Produzioni Sante Nella loro pagina MySpace i lombardi Go Down Moses non cercano chissà quali formule per descrivere la propria proposta, ma la sintetizzano in una sola, inequivocabile parola: “punk”. E tanto basta per inquadrarne, se non lo stile, per lo meno l’approccio e lo spirito di fondo. Perché, pur non rifacendosi in maniera diretta al ’77, è alla sua lezione che in qualche modo il trio guarda, alla sua urgenza, alla sua rabbia. E qui di rabbia ce n’è parecchia: non cieca, però, bensì incanalata in strutture ricche di cambi di passo e di umore ma sempre ben definite. Bassi pulsanti, chitarre secche e taglienti, una batteria nervosa e incalzante, una voce che bada al concreto – magari sgolandosi nel farlo – e, a riempire gli spazi, qualche occasionale nota di sintetizzatore: tutti elementi che collocano la band all’ipotetico crocevia tra post-punk e noise. Un territorio già ampiamente battuto, insomma, in cui l’energia e l’onestà contano ben più di una qualche presunta originalità. Accettate queste regole, “Welcome Idiots” si rivela un disco vibrante e sincero, di una potenza trascinante, doloroso nelle sue sferzate e nelle accelerazioni brusche, nella drammaticità neanche troppo latente di “What They Did Was Secret”, in una “Read My Lips: No More You” al fulmicotone, ma anche nella appena meno aggressiva (almeno nella parte iniziale) “We Plant Pumpkin Seeds”, con le tastiere in bella mostra. Musica non innovativa, forse, ma decisamente esplosiva; catartica da suonare e – se piace il genere – da ascoltare (www.godownmoses.com). Aurelio Pasini Gregorio Bardini La casa del custode Eurasia Attivo in ambito indipendente sin dagli anni 80 con gruppi quali Tuxedomoon, T.A.C. e Thelema, Gregorio Bardini ha intrapreso un percorso culturale complesso e Pagina 8 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '07 ambizioso, volto alla riscoperta delle tradizioni musicali eurasiatiche. Flautista di particolare talento, tra la fine degli anni 90 e l'inizio di questo decennio ha realizzato alcuni pregevoli dischi di folk acustico per la collana di autoproduzioni Arx, collaborando tra gli altri con il violinista Carlo Cantini ("The Cosmic Milk" – 1997) e con il polistrumentista Paolo Longo Vaschetto ("Sezione Aurea" – 2001). Più recentemente ha intrapreso percorsi ancor più colti e arditi, come quello che lo vede sonorizzare alcune liriche di Alberto Cappi. Realizzato grazie al supporto finanziario della Provincia di Autonoma di Bolzano, "La casa del custode" è il frutto concreto di questa singolare esperienza artistica. I flauti traversi del Bardini creano tappeti sonori protesi alla sperimentazione, carichi di mistero e di tensione, sui quali la voce del poeta lombardo recita versi di assoluto e incantevole lirismo. Ovviamente la fruibilità dell'opera rimane necessariamente circoscritta in ambito letterario, per quanto il contributo sonoro riesca davvero ad amplificare la forza evocativa della poesia ([email protected]). Fabio Massimo Arati I Ratti Della Sabina …Sotto il cielo del tendone Upr/Edel Sedici tracce dal vivo e tre inediti per fornire al pubblico la dimensione più congeniale ai Ratti, quella del concerto. I tre brani nuovi, registrati in studio, si avvalgono della produzione artistica dell’instancabile Bandabardò Alessandro Finaz – che già si era preso cura di “A passo lento” – e tanto vale a delineare una rotta stilistica puntuale. Il live è registrato al Villaggio Globale di Roma, nel concerto dello scorso marzo. Nostalgici, veraci, vitali, i Ratti, combo lussureggiante di otto elementi, esaltano l’etica/estetica della giostra e del circo, fin dal titolo, che è tratto da un verso di “Circobirò” (“Vengano signori sotto il cielo del tendone”). Allegria e divertimento nel rimpianto, il ritmo e l’abbandono della danza dentro la delicatezza delle immagini. Sempre “alla periferia della normalità”, l’orchestrina reatina ripropone “Radici”, “Il funambolo”, l’omaggio a Gianni Rodari “Il giocoliere”, “Chi arriva prima aspetta”; tempi in levare, tarantelle (del serpente), folk infiammabile, canzoni vagabonde e stradaiole. Sai cosa attenderti, e questo è gratificante per i fan; la sincerità combat è la forza del gruppo e anche il suo limite. Non è certo nell’inattesa modulazione o nella sorpresa d’una melodia il punto forte dei Ratti (anche se mica male quella battuta dispari che scompagina “Lo scemo del villaggio”). Ma piuttosto è – dentro il solco di Nomadi, MCR, Bandabardò – nel calore, nella capacità di trascinare, nella vicinanza che i suoni e le parole sanno trasmettere a chi ascolta ( www.rattidellasabina.it). Pagina 9 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '07 Gianluca Veltri Isabel At Sunset Meet The Gang! Tea-Kettle Facile cedere alla tentazione di considerare gli Isabel At Sunset come un progetto parallelo dei Pecksniff, dal momento che le due band condividono un membro, il bassista Cianzo. Facile, ma sbagliato, perché un debutto come “Meet The Gang!” – prima uscita anche per la neonata Tea-Kettle – mette inequivocabilmente in evidenza come la band sappia ampiamente camminare sulle proprie bande, pur condividendo con la “sorella maggiore” il macro-genere di appartenenza, l’indie-pop. Ove però i Pecksniff l’accento è maggiormente spostato verso il twee, gli Isabel At Sunset si muovono in territori più marcatamente pavementiani. Ascoltare per credere l’iniziale “Hey Dude”, che paga aperto debito alla band che fu di Stephen Malkmus (nelle chitarre, nelle melodie sghembe) ma, allo stesso tempo, ci mette di suo una buona dose di fresca spensieratezza, a dimostrazione di come si possano pagare apertamente i propri debiti mettendoci comunque qualcosa di proprio. Discorso che vale in qualche modo anche per il resto del programma, che regala una serie di brani semplicemente deliziosi, da “The Coming Back Guy” a “Kevin And The Wannabe Indie Stars”, senza farsi mancare qualche momento di introspezione (“Just Me In The Mirror”) e alcuni improvvisi quanto riusciti cambi di umore, come per esempio in una “Trucks’n’Cars” che da ballata si trasforma in impetuosa cavalcata elettrica. Senza strafare, un inizio che lascia sulle labbra un piacevole sorriso (www.myspace.com/isabelatsunset). Aurelio Pasini JiAndri Susak Etnagigante-V2/Edel Gli estremi entro cui si muove l’esordio di JiAndri (al secolo Alessandro Andrian) stanno nelle prime due canzoni di questo suo lavoro di debutto: “5 volte male” e “Due ricordi”. La prima un robusto ma innocuo esempio di pop dalle venature sintetiche non troppo lontano da certi Subsonica, l’altra una ballata pop languida e Pagina 10 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '07 orecchiabile ma un po’ troppo patinata. Ecco, quando si avvicina troppo a questi due poli l’artista sembra perdersi e perdere di efficacia; quando invece svaria più liberamente e meno prevedibilmente – a partire dalla immediatamente successiva “I’m looking for” – allora mette in mostra doti da non sottovalutare. Quelle che gli permettono di muoversi con destrezza tra arpeggi acustici e tecnologia, tra sonorità solari e squarci di notturno intimismo, tra trombe, archi e cori femminili (a dire il vero non troppo incisivi). Grazie anche a un pool di collaboratori che comprende il produttore berlinese Gary Marlowe e il padovano Alberto Roveroni e alla presenza di un padrino di eccezione come Roy Paci (che non a caso lo ha voluto nel roster dell’Etnagigante), JiAndri si rivela un artista mille sfaccettature, raffinato ma non per questo privo di profondità, fedele ai dettami della forma-canzone ma allo stesso tempo tutt’altro che spaventato dalla prospettiva di allargarne i confini. Basti dire che in “Grace” (per quanto ci riguarda, il momento migliore del lotto) riesce persino a rendere sopportabile un’altrimenti imperdonabile vocoder. Un esordio di spessore, insomma; interessante nei suoi momenti migliori e in ciò che questi lasciano intravedere per il futuro (www.jiandri.it). Aurelio Pasini Kiddycar Forget About Seahorse/Goodfellas Un po’ shoegaze, forse non nei suoni ma nella docile rassegnazione delle melodie. Un po’ laptop generation. Ma soprattutto molto pop. Un pop sottile e lieve, quello dei Kiddycar, che tuttavia non eccede in volatilità. La Seahorse, etichetta che ruota intorno ai Blessed Child Opera, si dimostra ancora una volta interessante laboratorio di musica indie nell’accezione più ampia, creativa ed eclettica del termine. Non solo: esportabile anche, e non perché si cerchi di ammiccare alle proposte più cool del panorama estero, ma perché si è in grado di maneggiarne le stesse cifre espressive, senza inutili complessi di inferiorità. Se un nome su tutti salta alla mente al primo ascolto di questo “Forget About”, quello dei Lali Puna, c’è da dire che il gruppo aretino può giocarsi la partita con l’ibrido elettropop dei bavaresi, se non ad armi pari, quantomeno armato di una solida credibilità. L’elettronica è amministrata con cura, mai semplice sostegno per gli arrangiamenti e mai puramente colore strumentale, la scrittura pop intriga e si rende accattivante, sfociando talvolta nella canzone d’autore. Come definire altrimenti una “Ame et peau” in francese che pare rubata al songbook di Keren Ann? E pure il pianoforte di “Time”, cui da manforte un elegantissimo finale affidato ai fiati, cerca di svincolarsi, riuscendoci, allo schema di riferimento – ottimamente maneggiato e utilizzato, a scanso di equivoci - che caratterizza la gran parte delle canzoni di “Forget About”. Che è un bel disco, ben Pagina 11 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '07 suonato e ben prodotto. E soprattutto ben scritto (www.kiddycar.it). Alessandro Besselva Averame Le Braghe Corte King Of The Fools LBC/Venus Si autodefiniscono Re dei Folli i bolognesi Le Braghe Corte, che per meglio ribadirlo intitolano proprio così il loro secondo album. Un album che arriva a ben quattro anni di distanza dal precedente per un gruppo che, sinceramente, avevamo un po’ perso di vista. Loro invece non s’erano affatto persi, ma suonavano ed intanto lavoravano sodo alla composizione. Un giorno poi arriva anche la possibilità di comporre una colonna sonora, e il regista è tra i più “grandi” d’Italia: Rocco Siffredi. Ecco spiegato perché è proprio lo Stallone Italiano ad apparire nel video di “These Boots Are Made For Walking”, un arrangiamento à la Hormonauts coi fiati per il classico portato al successo da Nancy Sinatra, con la speranza non troppo nascosta di entrare con questo grimaldello nelle playlist nostrane. Il resto del disco però non è appiattito su questo schema già visto; ci mostra infatti una band che, senza rinnegare la componente ska, declina la propria musica in chiave rock. Ecco così fare capolino le chitarre grintose e qualche ritmo sostenuto, come in “Somebody Said War?!” o nel ritornello di “L.I.A.R.”. Non sempre questi innesti funzionano però alla perfezione, mentre invece la macchina gira alla grande quando i nostri tornano a sonorità più classiche, come il reggae di “Amsterdam”, che ospita una gradita, almeno da queste parti, citazione da “Star Wars”. Se non fosse che potrebbe suonare offensivo verrebbe da definire “King Of The Fools” il classico, ancorché perfetto, disco da lunga estate calda. Ma, qui e ora, è un complimento di quelli meritati ( www.lebraghecorte.com). Giorgio Sala Pagina 12 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '07 Le Sifflet Public Le Sifflet Public Daigo Music/Deltadischi “I Litfiba sono artisticamente morti, i Timoria sciolti come neve al sole, i Negrita adesso fanno salsa: ragazzi non dovete far altro che ascoltare gli L.S.P.!”. Queste le parole con cui si apre il comunicato stampa di presentazione dell’esordio – seguito di due autoproduzioni, la prima delle quali a nome Mafaste – dei Le Sifflet Public. Una dichiarazione di intenti impegnativa, a cui il quartetto non riesce a tener fede se non in parte. Perché, pur dimostrando di muoversi abbastanza bene in un territorio minato come quello del rock radiofonico (in) italiano, al crocevia tra visceralità e orecchiabilità, i modelli di riferimento – dichiarati o meno – sono inevitabilmente lontani. Del resto non si può certo chiedere troppo a un’opera prima, inevitabilmente acerba e a tratti indecisa. Senza sparare troppo in alto, restano comunque una dozzina di canzoni in cui la ricerca dell’appeal non va mai a discapito della sincera fisicità del tutto (sebbene l’ombra dell’ultimo Renga si allunghi minacciosa sei momenti più di atmosfera), con le chitarre a graffiare quando serve e a creare languide tessiture quando i ritmi e le luci calano, e un cantato in cui la rabbia e l’intensità non vanno mai sopra le righe. E se, come si diceva, non tutto gira per il verso giusto e non tutti i brani lasciano segni profondi, vale comunque la pena menzionare almeno l’acida “Sé per tre”, la drammatica “Mi muovo fermo” e una “L’immortalità” melodicamente assai solida (www.lesiffletpublic.it). Aurelio Pasini Magni Animi Viri Heroes temporis autoprodotto Sono tempi in cui è facile imbattersi in molteplici i casi di autoproduzione, non di rado meritevoli di attenzione, ma quella di “Heroes temporis” dei Magni Animi Viri è una storia assai diversa da intrallazzi caserecci a basso costo, trattandosi di una produzione a dir poco sontuosa. Basti citare la presenza della Bulgarian Symphony Orchestra e di musicisti internazionali come il bassista Randy Coven (Steve Morse, Ark), il batterista John Macaluso (Yngwie Malmsteen, Ark, George Lynch), il bassista Roberto D’Aquino (Edoardo Bennato, Gigi D’Alessio). Ma come sempre, anche tra tanto dispiegarsi di mezzi, c’è un’anima del progetto: un’opera rock classicamente intesa, a cura del pianista Giancarlo Trotta e del tastierista Luca Contegiacomo, che hanno voluto e messo assieme tutti gli elementi capaci dar peculiare rilievo alla centralità tematica e melodica. Il vestito sfarzoso, a partire dalla pregevolissima grafica, l’enfasi sinfonica, sono aspetti estetici dominanti, tipici di un Pagina 13 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '07 suono sinfo-metal-prog riscontrabile in ambito europeo, ma è la melodia a giocare un ruolo decisivo. Una melodia tutta italiana, tra l’operistico e l’elegante pop nazionale, a cui danno splendida voce, spesso in duetto, il tenore Francesco Napoletano e l’espressiva Ivana Giugliano. Ed è soprattutto nel canto che sa palpitare l’anima dei protagonisti del racconto musicale, colti in un percorso atemporale e onirico, tra brume, cavalieri e storie d’amore, con brani come “Desertanima” e “Sai cos’è?” a segnare momenti particolarmente toccanti. Un disco consigliato a tutti i fruitori del progressive più vigoroso, epico e melodico, gestito impeccabilmente in ogni suo dettaglio (http://www.magnianimiviri.com/). Loris Furlan Overmood Sorry For The Setbacks Suiteside/Audioglobe Figli illegittimi dei Modest Mouse e dell’estetica Anticon? Fatte le debite proporzioni con gli originali sembrerebbe proprio di trovarsi davanti ad un fenomeno di questo tipo, ascoltando il debutto degli alessandrini Overmood. È soprattutto la voce di Alessandro Bovo, anche autore dei testi, molto simile a quella di Isaac Brock nelle cadenze e nelle ossessioni nervose, a far venire in mente il gruppo statunitense, mentre le strutture delle canzoni, infarcite di elettronica, campioni e sintetizzatori, riportano idealmente a cLOUDDEAD e soci, pur senza veicolare deviazioni troppo marcate e trovate altrettanto geniali, rimanendo anzi al servizio di una struttura compositiva classica. Il che non significa che i risultati non siano meritevoli di attenzione. La scrittura è infatti agile ed estremamente pop, come evidenziato da episodi quali la scanzonata “Winning Guitars”, tutta power chords e ritornelli a presa rapida, la electro-funkeggiante “Flame-Red Lawn”, o ancora “Grain Of Hope”, incerta tra chitarre sfrangiate e groove indolenti. Tirando le somme, in questi solchi scorre parecchio entusiasmo e un gran gusto per le melodie e per i ritornelli efficaci, mentre a tratti le giunture tra i mondi sonori che vengono fatti collidere, tra rock ed elettronica, sono ancora troppo visibili. “Sorry For The Setbacks” è in ogni caso un esordio sul quale puntare, che affronta un percorso ancora poco battuto e piuttosto promettente (www.myspace.com/overmood). Alessandro Besselva Averame Pagina 14 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '07 Quinto Stato Le ultime tracce di Mr. Tango Midfinger/Venus Chitarre dissonanti, ritmo serrato, voce sguaiata e incazzata: “Ecco, un altro disco italiano”. Sembra sempre la solita storia vero? Invece, quello che ad un primissimo impatto poteva sembrare un copione già visto, quello del disco ascoltato per motivi professionali e poi accantonato da qualche parte tra tutte le altre robacce spacciate per “nuove realtà della musica italiana”, si rivela essere un disco con tutti i crismi per non passare inosservato. “Le ultime tracce di Mr. Tango”, secondo album degli emiliani Quinto Stato è un solido esempio di rock come negli anni ci hanno fatto intendere i Marlene Kuntz di “Ho ucciso paranoia”, i C.S.I. di “Ko de mondo” e, in tempi più recenti, il Giorgio Canali di “Rossofuoco” e “Tutti contro tutti”. Non è un caso, quindi, che sia stato registrato negli studi ferraresi di quest’ultimo e che si porti dietro questa rabbia anarchica ed iconoclasta che riesce sempre a fermarsi prima di scadere nel qualunquismo. Insomma, non la solita manfrina, ammesso che si sia disposto a lasciar da parte i pregiudizi (e il sottoscritto ne è pieno, da sempre) ed ascoltare la musica per quello che ha da offrire. Quindi, se da un lato questo rock viscerale e al vetriolo può sembrare una soluzione di comodo, dall’altro, prestando la dovuta attenzione ai testi, alla cura degli arrangiamenti e all’intensità con cui tutto questo è suonato, possiamo proprio dire di essere davanti ad un bel disco. Niente più, niente meno. Ed è già una gran cosa. (www.midfinger.net) Hamilton Santià Santunione Gasparazzo e la Bandabastarda Tiro di classe Terracalda/Self Calore, energia, gioia di vivere, divertimento, ma anche malinconia e impegno. Ecco cosa aspettarsi dai Santunione Gasparazzo e la Bandabastarda (o, più brevemente, Gasparazzo e basta), formazione di stanza a Reggio Emilia ma il cui nucleo proviene dall’Abruzzo. Una miscela esplosiva che prende corpo in un suono “totale” e “globale” che fa suoi elementi mediterranei, mediorientali, balcanici, africani e sudamericani, mescolati insieme a una puntina di rock fino a dar vita a una patchanka multicolore e torrida. Tantissimi, quindi, gli odori e i sapori che si alternano e si mescolano nelle dieci canzoni di “Tiro di classe”: gli intrecci tra Pagina 15 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '07 percussioni e fisarmonica dell’iniziale “La margherita dell’amore”, il cui titolo ironicamente non fa riferimento al fiore ma alla pizza, il reggae di “Mesci do’ tazz e rulla nu truzz’” e il raga in levare de “Il bastardo”, e ancora lontani echi messicaneggianti, intermezzi quasi teatrali e un finale (“Solami”) che più “tatantolato” non si potrebbe. Un vero e proprio viaggio tra suoni e ritmi, tenuti insieme con classe e allegria, che non è difficile immaginare travolgente in un contesto live, ma che anche su disco diverte non poco. E, particolare di tutto rilievo, fa anche pensare, come per esempio in titoli come “Americca” e “Georg Elser” (dedicata al responsabile del fallito attentato dinamitardo a Hitler del 1939). Un album estivo buono per tutte le stagioni (http://www.gasparazzo.it/). Aurelio Pasini The Green Man The Teacher And The Man Of Lie Hau Ruck SPQR Già autori di un pregevole CD autoprodotto e di un EP in vinile pubblicato per iniziativa della Hau Ruck SPQR, i Green Man approfondiscono le proprie inclinazioni stilistiche e le tematiche religiose a loro care nel concept "The Teacher And The Man Of Lie", uscito in primavera sempre sotto le insegne della citata etichetta romana. Rievocando le figure di Cristo, Giovanni Battista e Maria Maddalena così come sono rappresentate in alcuni vangeli apocrifi, il duo milanese si fa portavoce di un radicale revisionismo del Nuovo Testamento cristiano. Peccato che l'uso esclusivo della lingua inglese renda per lo più ostica – sia pure con libretto alla mano – la comprensione di testi già pervasi di impegnativi concetti esoterici. Come si accennava, anche da un punto di vista prettamente musicale il gruppo rafferma la propria vena espressiva, incentrata su un ritualismo elettroacustico ricco di influenze orientali. Il largo uso delle percussioni e le chitarre elettriche impiegate come elementi di disturbo rimandano ai migliori cimenti dei Sol Invictus (quelli di "Lex talionis", per intenderci); ma la ricerca folklorica è qui finanche più scrupolosa: l'interpretazione di ancestrali melodie è così schietta e scevra di orpelli da risultare credibilmente commisurata alle antiche nenie popolari dell'Alto Medioevo. Valga sapere che il CD è stato pubblicato anche in edizione speciale, arricchita da un 45 giri inedito e da un libretto che riproduce in formato 7" tutte le caratteristiche pitture a tema di Maria Chiara Armenia (www.hauruckspqr.com). Fabio Massimo Arati Pagina 16 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '07 Zetazeroalfa La balata dello stoccafisso Rupe Tarpea/Perimetro Sin dagli anni 70 i musicisti “di destra” hanno intrapreso numerosi tentativi per ottenere visibilità e consensi anche al di fuori della militanza politica, di cui erano esclusiva e caratteristica espressione. L'impresa si è sempre rivelata vana, vuoi per i pregiudizi e l'imponenza del muro culturale cui si contrapponevano (che peraltro amplificava le difficoltà logistiche e operative di tutto il rock indipendente), vuoi per il livello artistico non sempre competitivo dei loro prodotti. Negli ultimi anni gli Zetazeroalfa si sono tuttavia affermati – a Roma e non solo – come un fenomeno mediatico non più ignorabile; dischi di qualità, concerti affollatissimi in Italia e all'estero, merchandising che va a ruba, iniziative sociali e culturali ad ampio raggio: nel bene e nel male il loro nome sta uscendo pian piano dal ghetto delle sezioni di partito. Convergenza stilistica e contrapposizione rivoluzionaria li rendono i legittimi antagonisti della Banda Bassotti, contesa peraltro recentemente consumata anche sui palchi. Dopo tre album in studio, un live ed una manciata di singoli, "La ballata dello stoccafisso" segna la maturità del quartetto capitolino: un disco ruvido e potente; rock‘n’roll aspro, spigoloso, ovviamente aggressivo, tanto nello stile vocale quanto nei taglienti riff di chitarra. Il loro limite rimane certa goliardia di sapore squadrista, che impedirà a due gioiellini hardcore come “Cinghiamattanza” e “Nel dubbio mena” di essere apprezzati anche al di fuori degli ambienti politici (www.zetazeroalfa.org). Fabio Massimo Arati Pagina 17 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '07 Comaneci Forse non si guadagnerà le migliori pagine delle riviste, ma l’esordio sulla lunga distanza dei Comaneci ("Volcano", su Disasters By Choice/Wide) è uno di quei dischi in grado di stupire. Saranno le loro melodie mai banali, saranno i loro intrecci sempre tendenti a qualcos’altro chenon la semplice canzone, ma è uno di quegli ascolti che ti fanno venire delle domande. Ecco le risposte della band ad alcune di queste. Come nasce l'esperienza Comaneci? Come si evolve, come arriva fino a qui? Ci siamo incontrati circa 4 anni fa e abbiamo deciso di unire le nostre menti: da tre almeno ne abbiamo ricavata una! Vivevamo nelle bidonville di Ravenna ad un passo dai pescherecci, siamo usciti dalla miseria grazie a questo progetto…che anche se di soldi ne ha portati pochi finora. Ci stiamo senza dubbio arricchendo, almeno interiormente. A parte gli scherzi, viviamo nella stessa città e ci conoscevamo da tempo…abbiamo provato a suonare insieme e i Comaneci sono nati in modo piuttosto spontaneo. L’idea del nome è legata ad un’immagine di qualcosa di minuto ma intenso e questo a nostro parere caratterizza il nostro percorso. Siete arrivati a "Volcano" dopo due demo-EP autoprodotti e la partecipazione ad una colonna sonora ("Provincia meccanica"). Il vostro esordio sulla lunga distanza è arrivato a quattro anni dalla vostra formazione. Volevate aspettare che i tempi fossero "maturi" o avete semplicemente seguito lo svolgersi degli eventi? Siamo fatalisti. Seguiamo sempre lo svolgersi degli eventi! Sicuramente il tempo ci è servito per creare un progetto sempre più consistente che ci potesse portare alla realizzazione di un vero e proprio album. L’immediatezza e l’istinto sono parti fondamentali dell’approccio Comaneci tanto quanto la lentezza. La colonna sonora è arrivata un po’ per caso ed è servita a farci conoscere. Com'è avvenuto il contatto con la Disasters By Choice? Come mai avete scelto lei? In realtà è lei che ha scelto noi. Siamo partiti da una collaborazione con Fooltribe, che ci ha permesso di suonare molto anche al di fuori della nostra città e di incontrare persone che ci hanno sostenuto. Al Tago Fest di un anno fa abbiamo incontrato Salvo della Distasters che ci ha proposto di fare un disco con lui e noi abbiamo accettato. Poi il nome dell’etichetta ci piaceva molto! Come sta andando la promozione del disco? Le recensioni mi sembrano tutte molto buone... a livello di concerti? Siamo molto contenti di come stanno andando le cose. Vendiamo molto quando suoniamo e suoniamo molto… Quindi bene! Anche se non basta mai. La vostra musica è molto trasversale. Spesso chi ne parla mette in luce le Pagina 18 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '07 vostre melodie, ma ascoltando il disco non ho potuto fare a meno di notare un arrangiamento che tende ad allontanarsi dagli elementi melodici per cercare un colpo "a effetto". Cosa avete cercato di ottenere? Avete raggiunto quello che volevate? Per noi suonare è sempre un gran piacere e del disco siamo molto soddisfatti. Quando abbiamo detto di aver messo insieme le nostre menti non era a caso, pur avendo gusti comuni ascoltiamo anche generi diversi e di sicuro abbiamo formazioni diverse. Inizialmente eravamo più melodici, con il tempo ci stiamo strutturando ed evolvendo, imparando a conoscerci e dando sempre più valore alle potenzialità dei nostri strumenti. Ci sentiamo comunque di essere solo all’inizio! I vostri punti di riferimento sembrano pescare un po' ovunque lungo la tradizione folk, ma ho notato certi "aromi" che arrivano direttamente dal moderno folk "deviato". Soprattutto per quanto riguarda la voce. Si sentono degli eco che arrivano fino ad Elizabeth Anka Vajagic, a Shannon Wright. Per le musiche invece, sembra che l'orecchio vaghi tra Inghilterra e Canada (zona Constellation). Da dove nasce questo eclettismo? Per noi è un po’ implicito, nel senso che i nostri ascolti variano, così come, di conseguenza, le influenze. Ci sentiamo un po’ istintivi nel fare musica, ma altrettanto consapevoli. Da ascolti diversi nasce comunque ciò che ci accomuna. Sarebbe bello piacere alla Constellation tanto quanto a noi piacciono i gruppi che promuove! In luce di questo eclettismo, come vi trovate in un paese come l'Italia? La musica di questo tipo ha delle difficoltà ad arrivare anche in certi ambienti in cui non si dovrebbero disdegnare progetti un po' trasversali rispetto alle canoniche dell'indie. Non pensate che questo possa essere un po' "limitante"? Ma, in realtà non ci sentiamo limitati. Ci siamo trovati a suonare anche in contesti molto differenti. È chiaro che ci piacerebbe poter suonare di più, magari anche all’estero ma è principalmente un problema di fondi. A cosa ambite come gruppo? Alla copertina di "Ricamo e punto croce"! Progetti per il futuro? Dove e come cercherete di evolvere il vostro sound? È difficile dirlo. Vorremo fare cover di liscio… Contatti: www.comaneci.org Hamilton Santià Pagina 19 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '07 Fuzz Orchestra Esce per Wallace/Audioglobe l’esordio omonimo della Fuzz Orchestra, nuovo progetto dei Bron Y Aur di Milano. Anche questi ultimi hanno appena fatto uscire il disco nuovo e quindi si tratta di due progetti che vogliono convivere parallelamente. La Fuzz Orchestra arriva tagliente come la punta di un diamante ed espleta quello che sempre di più non ha voce: la verità. Parole quindi – a differenza delle abitudini bronyauriane – per mettere sul piatto idee politiche, ma anche tecniche sopraffine di composizione che si muovono verso nuove vie. Nostro interlocutore è Marco Mazzoldi il batterista per entrambi i gruppi. Sta per uscire il disco nuovo dei Bron Y Aur, ma come mai avete sentito il desiderio di realizzare un altro progetto? La Fuzz Orchestra è nata perché ai Bron Y Aur mancava il chitarrista, che difatti vive a Cagliari mentre noi tre abitiamo a Milano. Questo non ci permetteva di trovarci tutti e di suonare, quindi aspettando che accadesse abbiamo deciso noi altri di dar vita a una avventura, differente non poco con quello dei Bron. L’idea era di un progetto parallelo, così come d’altra parte il buon Fabio ha messo su i Plasma Expander in Sardegna, altro gruppo uscito per la Wallace, e quindi non è che stiamo con le mani in mano. Quando poi riusciamo ad esserci tutti e quattro si riparte con i Bron Y Aur e infatti il disco nuovo mi sembra che lo stia testimoniando. Comunque la Fuzz Orchestra è un progetto nato da poco: un paio d’anni. Avevamo cominciato a sperimentare un po’ di cose nuove, rumori e improvvisazioni e in pratica il disco è nato dopo tempo. Eravamo partiti con delle cose più minimali e alla fine invece, siamo approdati su un genere più duro e con quest’idea che c’è subito piaciuta di fare un duo chitarra e batteria più un disturbatore e narratore che è il buon Fiè, bassista dei Bron Y Aur che qua non suona il basso ma giradischi, nastri, cassette e rumori vari e soprattutto dà il suo contributo con parti di testo che nel disco della Fuzz Orchestra sono piuttosto presenti. Ecco ma quando nascono i pezzi, il vostro approccio è più verso l’improvvisazione o verso la composizione? Assolutamente verso la composizione. È la principale differenza con i Bron Y Aur che continuano a improvvisare come gli è sempre piaciuto fare. Il disco della Fuzz è composto da composizioni provate e riprovate e poi messe su disco; chiaramente nascono da improvvisazioni, perché questo è sempre stato il nostro modo di lavorare, però non sono improvvisazioni pure, come invece succede nei dischi dei Bron Y Aur. È un progetto quindi ben preciso nato prima e messo su CD. Quale figure del nostro tempo hanno influenzato la Fuzz Orchestra? Tanto per cominciare i Bron Y Aur perché il nostro retroterra è lo stesso visto che siamo tre quarti del gruppo. La Fuzz Orchestra ha nelle sue tracce, diversi contributi che provengono da reali documenti, come interviste a partigiani o anti-rivendicazioni radiofoniche da parte delle Brigate Rosse sulla strage di Bologna che dichiaravano ad una radio libera dell’epoca di non c’entrare nulla. Poi ci sono stralci tratti da film a Pagina 20 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '07 partire da “Pasqualino Settebellezze” a “Il potere”. Per cui, quello che c’è venuto in mente è stato quello di far capire come la pensavamo su certe cose, soprattutto in questo periodo di poca veritiera informazione politica e di scarso revisionismo. Ultimamente, si è molto dibattuto sulla fucilazione di Mussolini in piazza che è diventata improvvisamente un’azione scandalosa. Per quanto ci riguarda non è proprio così e l’abbiamo voluto mettere su questo disco. Se tu ci chiedi quali personaggi c’ispirano. Siamo stati influenzati dalla storia degli ultimi cinquanta anni. E vorremmo rimediare dove molte cose stanno sparendo nel nulla, grazie ad una controcultura e un’informazione molto discutibili. Quando avete composto le canzoni per la Fuzz Orchestra pensavate di proseguire per questo percorso o i Bron Y Aur, in ogni caso avrebbero continuato? Sono due progetti distinti e separati e infatti, in questi giorni assieme a Fabio venuto su da Cagliari stiamo provando per Bron Y Aur delle scalette per i prossimi concerti che faremo in settembre. Tra registrazioni e uscita del disco sono passati solo quattro mesi, quasi un record per un’etichetta indipendente. Mentre per il disco dei Bron Y Aur è necessitato il periodo di due anni per problemi di spostamenti vari del nostro chitarrista, ma entrambi i progetti hanno vita propria. Tra i due gruppi vuoi, mettere in rilievo altre differenze? A parte la strumentazione musicale che è diversa, io sono il meno indicato a dire come suona un disco e come l’altro. Il disco dei Bron è molto più rock‘n’roll, molto vasto come atmosfere ed è molto più Seventies come suono, tanto è vero che s’intitola “1973”. Il disco della Fuzz invece è molto più granitico. È una mezz’ora di disco da tenere a volume molto alto. Dove l’avete registrato? Nella nostra saletta milanese, quindi nessuno studio. Abbiamo fatto tutto noi in questo caso, perché l’abbiamo registrato e mixato. L’unico intervento esterno è stata la masterizzazione, perché lì ci vogliono le macchine che noi non abbiamo, però abbiamo fatto tutto noi tre inter nos. Che difficoltà avete avuto con le registrazioni? I casini ci sono sempre, però avendo già registrato con Fabio Magistrali, Paolo Cantù, Xabier Iriondo o Simon Balestrazzi, ormai abbiamo fatto parecchia esperienza. Tutta gente che sapeva come utilizzare le tecniche e soprattutto era ben disposta a spiegarci come funzionano, quindi abbiamo fatto tesoro di queste cose. E grosse difficoltà non ne abbiamo avute dal punto di vista della registrazione. In passato abbiamo fatto degli errori che abbiamo pagato: come quando abbiamo dovuto buttar via tutto ed è saltato un disco. Da quel punto di vista siamo abbastanza ben messi adesso da essere indipendenti e questo è un ulteriore motivo di soddisfazione. Visto che la Wallace è sbarcata anche in Giappone, vi sono già arrivati dei feedback? Pagina 21 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '07 No, ma ce li aspettiamo. So che sono state prodotte già delle magliette bellissime per il pubblico giapponese che sono andate a ruba. Per ora in Giappone sono andati i Polvere e altri che non ricordo; per noi ancora nulla. So che faremo delle date in Europa in compenso. La difficoltà maggiore è sempre di poter suonare in giro dal vivo. Noi non campiamo di musica. Ognuno di noi hai il suo mestiere, quindi i tempi sono sempre un po’ stretti e organizzarsi è sempre un problema per cui non siamo di quelli che riescono a fare duecento date di seguito. Forse suoneremo in Germania che sarebbe già una bella uscita per quanto ci riguarda. Contatti: http://www.fuzzorchestra.com/ Francesca Ognibene Jet Set Roger Trascorsi punk, presente glam da dandy romantico, oggi scrive “canzoni tristi”. Un filo rosso: il rock. Nato a Londra da padre bresciano e madre inglese, Roger Rossini si fa chiamare “Jet Set”. La Snowdonia/Audioglobe ha pubblicato il suo primo album solista “La vita sociale”. Ci parli di te? Origini bresciane, nascita londinese… Sono nato a Wimbledon nel ’73 da madre inglese, ma nel tennis sono una schiappa, come in quasi tutti gli sport. Ero bravino con il fioretto elettrico, mi piaceva la scherma perché ci si mascherava. Avevo la fissa dei travestimenti: mia madre era preoccupata perché mi chiudevo in salotto e marciavo vestito da guardia inglese al suono di “Pretty Ballerina” degli Abba. Ero indeciso fra la carriera militare e il vaudeville, e così li mescolavo insieme. Con quali ascolti musicali sei cresciuto? A parte il primo flirt con gli Abba, ho ascoltato un sacco di hard rock (Thin Lizzy, Blue Öyster Cult, Motörhead, AC/DC, Whitesnake). Il mio problema era che a parte Phil Lynott, questa gente sembrava ok quando si trattava di chitarre elettriche, ma aveva modi rustici. Pensavo: “Non potrei portarli da nessuna parte, farei una figuraccia”. Poi vidi una foto di Nikki Sixx su “H/M”: aveva capelli cotonati e la matita sotto agli occhi, con una giacchetta da dandy di città. Capii che il glam rock era quello che faceva per me e mi gettai alla scoperta di David Bowie, Lou Reed, gente che sapeva come muoversi nel bel mondo, e che non avrebbe mai ruttato ad un vernissage. In generale quali sono (stati) i tuoi riferimenti culturali più influenti? Soprattutto Evelyn Waugh e P.G. Wodehouse, due facce della stessa ironia Pagina 22 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '07 sprezzante. Il primo è caustico, il secondo più leggero, anticipatore di certe atmosfere da commedia garbata. In genere cerco di smussare toni troppo drammatici nelle mie canzoni. Sono affascinato da film come “Victor Victoria”, “L’abominevole dottor Phibes”, “La Rosa purpurea del Cairo”. Opere riconducibili all’estetica anni ’30, quelli in cui operavano Waugh e Wodehouse. Ho anche riferimenti al di fuori di questa dimensione, ma resisto alla tentazione di gettarmi in un lungo elenco: sono un maniaco compulsivo. “La vita sociale” è il tuo primo album solista. Dopo quali esperienze ci sei arrivato? Dopo noiosissime e deprimenti traversie. Ho avuto un’esperienza di qualche anno con le cosiddette major, da cui sono uscito triturato e masticato come una Big Babol, poi ho incontrato Cinzia La Fauci (della Snowdonia, NdI) che mi ha regalato una nuova vita musicale. Perché hai scelto il parziale pseudonimo “Jet Set” (visto che la vita sociale non fa per te)? Da adolescente ero timido e schivo, ma penso di aver fatto pace con la vita sociale: forse non sono un compagnone, ma riesco a farmi due risate. Quando si sciolsero i Tommy Rot (il mio primo gruppo), ero rimasto solo: nessuno voleva suonare con me perché non avevo pedigree. Lasciai il punk e iniziai a esibirmi come pianista cantante. Dovendo suonare seduto al pianoforte era il caso di spingere sull’immagine, e mi inventai una dimensione scenica: una specie di travestito ingenuo e un po’ buffo. L’appellativo Jet Set viene da “Tenera è la notte” di Fitzgerald. Mi piaceva l’idea di questi ricchi annoiati e depressi in perenne vacanza autodistruttiva in Costa Azzurra. Nonostante le tue ascendenze siano british, ti esprimi in italiano. Come mai? Perché quando cantavo in inglese nessuno capiva un accidente. Le tue canzoni delineano il ritratto di un “goffo cool”, se mi passi l’ossimoro. Sicuramente un po' goffo, cool non lo so. Sarcastico, distaccato, ma i miei atteggiamenti da dandy sono solo uno scherzo. Non c’è nulla di serio nel rock. Molti non lo sanno e si rendono ridicoli. Sono reali anche la tua misantropia e la tua tristezza? Mi sento vicino a Jospeh Roth, l’autore della “Leggenda del santo bevitore”. Mio nonno era ungherese, gli ungheresi sono malinconici. Sono l’unico popolo oltre ai brasiliani ad avere un concetto per la “nostalgia di casa anche quando sei a casa”: un perenne spaesamento. In brasiliano si chiama saudade, in ungherese suona come “mulozog”, ma non so come si scriva (neanche noi, NdI). Qual è la “vita sociale” accettabile per Roger? Domanda difficile. Lucio Fulci diceva di non ritrovarsi nelle manie autopsicanalitiche di colleghi come Dario Argento; preferiva svegliarsi ogni mattina senza sapere chi fosse. È un esercizio arduo, ma ci provo. Mi viene bene quando la sera prima ho Pagina 23 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '07 esagerato un tantino. Qualcuno ha paragonato la tua musica a un incrocio tra Baustelle e Morrissey. Cosa ne pensi? Mi piacciono molto gli Smiths, e mi accorgo di somigliare un po’ a Morrisey nel cantato, anche se avendoli conosciuti tardi, quando avevo già formato il mio modo di cantare, posso dire di non esserne un emulo. Conosco e apprezzo i Baustelle (suonammo insieme sei o sette anni fa). Ma a volte in questo tipo di pop raffinato manca un po’ il sugo: io sono un rocker, e penso che il glam rock si senta parecchio nella mia musica. Mi sento più vicino a gruppi come i Damned o Adam & The Ants. Ci sono musicisti italiani che apprezzi? Devo confessare di conoscere poco il rock e il pop italiano. Dovrò rimediare. Mi piacciono il primo Edoardo Bennato, Alberto Camerini, i Diaframma e i CCCP. Poi ci sono musicisti della mia generazione come Bluvertigo, Afterhours, Cristina Donà, Baustelle, gente che stimo. Domanda d’obbligo: prossimi programmi. Sto finendo di registrare una canzone, “Manituana”, come il libro di Wu Ming. Sarà pubblicata sul sito omonimo. A novembre registrerò il mio album di Natale, un misto fra il cabaret anni 40 e la musica elisabettiana, rivisti in ottica dark-vaudeville, vedrò come e quando pubblicarlo. A breve pubblicherò in rete una versione ampliata de “La vita sociale”, che conterrà le versioni in inglese (sono madrelingua, che diamine!). Nel frattempo sta circolando un documentario della B&B film su Che Guevara: “Il corpo e il mito”. Il brano che si sente nei titoli di coda è “El Che chez Roger”, la versione glam di “Hasta siempre comandante” che ho scritto come ideale colonna sonora di “Havana Glam” di Wu Ming 5. Il brano è scaricabile dal sito di Wu Ming. Per ora il film è passato sulla TV irlandese, e ci sono stati i primi contatti di gente che chiede chi è il tizio che canta alla fine del film... Ho anche chiuso la scaletta del mio secondo album, che si intitolerà “Canzoni Tristi”. E continuo a cercare un’agenzia che mi trovi un po’ da suonare. Contatti: http://www.jetsetroger.it/ Gianluca Veltri Pagina 24 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '07 Port-Royal “Afraid To Dance”, opera seconda dei genovesi Port-Royal, pubblicata come il debutto “Flares” (2005) dalla label britannica Resonant (con distribuzione Goodfellas), ci mostra una maturazione innegabile: soluzioni ambient trattate con una sensibilità elettronica sempre più affinata, senza rinunciare alle suggestioni melodiche - quelle di un rock di confine, “post” in una accezione niente affatto scontata - che già avevano reso interessante l’esordio. Ne abbiamo parlato con i diretti interessati. Se il titolo del vostro secondo lavoro è "Afraid To Dance", mi pare che voi non abbiate affatto paura di ballare, come dimostra la scelta di incrementare l'uso dell'elettronica soprattutto attraverso l'inserimento di ritmi sintetici e l'intensificazione, qua e là, dei BPM. Che origine ha avuto questa svolta, che pur mantenendo una certa continuità "ambient" con il lavoro precedente sembra avere lontane origine in certa IDM dello scorso decennio (un nome fra i tanti: Orb) e in ascolti più recenti (certe soluzioni glitch)? In effetti quella di incrementare l’uso di ritmi e suoni elettronici è stata una scelta precisa maturata subito dopo l’uscita di “Flares”. Quell’album era ancora intriso di una sensibilità diciamo post-rock e ambient, mentre frangenti più schiettamente ballabili o “artificiali” erano principalmente racchiusi in un unico pezzo, cioè “Karola Bloch”. Ecco, quello che a metà 2005 avevamo voglia di fare era, per così dire, toglierci certi sfizi legati a scelte stilistiche più vicine a quel pezzo. D’altra parte i nostri ascolti non sono mai stati legati a una matrice di rock strumentale più o meno melodico per batteria basso e chitarra: abbiamo sempre sentito il bisogno di fluidificare il sound con tastiere e delay e di arricchirlo con l’innesto di beats vari. E la nostra passione per certa elettronica, come noti giustamente, viene da lontano, dagli anni 90 e dall’ascolto dei primi dischi degli Autechre prima di tutto. Ci teniamo anche a sottolineare che l’uso che facciamo di beats, glitches eccetera è sempre stato e sarà sempre strumentale alla nostra ricerca melodica per chitarre e tastiere: in questo senso “Afraid To Dance” mantiene più o meno il medesimo comune denominatore di “Flares” quanto a mood e significati. Permettetemi di farvi i complimenti per la profondità di suono del disco. Al di là della qualità della scrittura o degli arrangiamenti mi pare che, dal punto di vista strettamente tecnico, sia eccellente. E non è un caso, mi sembra di poter dire, che abbiate affidato il missaggio finale a Murcof. Come siete arrivati a lui e perché? In questi due anni siamo entrati in contatto con diversi artisti soprattutto in merito al progetto di remix di brani di “Flares”. Ne è nato un album che finalmente vedrà la luce alla fine di quest’anno in edizione limitata, sempre per Resonant. Tra questi artisti c’era anche Murcof, il quale all’epoca ci disse che non avrebbe potuto partecipare al progetto, visti i suoi impegni, pur apprezzando molto il nostro lavoro. Rimanemmo dunque in contatto e ci incrociammo anche in occasione di un paio di festival in Italia. Al momento di decidere a chi fare masterizzare l’album – e ci Pagina 25 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '07 teniamo a precisare che Murcof ha curato solo questo aspetto conclusivo e non il missaggio finale delle varie tracce, aspetto per noi fondamentale e che non potremmo mai delegare a terzi – venne naturale pensare a lui, visto che i suoi album, che cura personalmente anche sotto quest’aspetto, hanno un ottimo sound. In effetti siamo contenti del risultato finale, pensiamo che rispetto a “Flares” ci siano stati dei progressi importanti, anche grazie a certi accorgimenti di base – cioè precedenti alla fase del mastering – di cui siamo diventati avveduti col tempo attraverso l’esperienza maturata. La vostra storia musicale è iniziata subito oltremanica, e sta proseguendo laggiù, discograficamente parlando, visto che entrambi i vostri dischi sono usciti per la inglese Resonant. Come ci si sente a vivere questa dimensione lontana, da un certo punto di vista, dall'affannarsi spesso controvento della scena indie italiana, una dimensione che, ci tenete a specificarlo, vi sete scelti da subito? Quali sono stati gli effetti concreti di questo approdo, se ve ne sono stati? Vi ha permesso di avere maggiore visibilità altrove e magari, paradossalmente, pure in Italia? Sebbene si stia parlando di una realtà discografica di piccole dimensioni – dell’ultimo album abbiamo per ora stampato 3000 copie, che non sono poche, intendiamoci, ma certo non si sta parlando di numeri da capogiro – uscire per un’etichetta come la Resonant ci ha dato la grande possibilità di avere uno sbocco immediato su scala mondiale: siamo distribuiti ovunque e questa per noi era la cosa più importante da ottenere sin dall’inizio, anche perché ci permette di andare a suonare in moltissimi bei posti all’estero. La nostra, del resto, è una musica che non ha niente di specificamente italiano, è musica di confine, universale, ed è giusto che possa essere ascoltata ovunque. Secondo noi, ed è centrato quindi il tuo accenno, il fattore Resonant e Inghilterra ci ha in parte aiutato per quel che riguarda l’accoglienza – ottima – ricevuta dalle riviste e fanzine specializzate italiane, perché si è un po’ creata l’immagine – non del tutto corrispondente a realtà – del gruppo che non è stato capito qui da noi e che invece ha trovato spazio e consacrazione all’estero, e il “mito” dei ragazzi di Genova che sono riusciti a farsi strada nel mercato discografico internazionale… Potrà sembrare una domanda banale, ma mi piacerebbe sapere come avviene il processo di scrittura e come vi suddividete compiti e mansioni, soprattutto perché, ascoltando il risultato finale, è difficile capire chi ha suonato cosa, da quale strumento proviene un determinato suono... Inoltre la vostra musica rappresenta da un certo punto di vista una specie di "astrazione" del concetto di band, con confini poco netti tra gli ingredienti e molte sfumature. Hai perfettamente centrato il punto: non abbiamo quasi nulla della band tradizionale quanto a dinamiche interne, metodi di registrazione, approccio live e via dicendo. Anzitutto registriamo ogni cosa in camera, a casa, con i nostri strumenti e i nostri computer e lo facciamo con calma, nel corso di mesi/anni. Non esiste ovviamente un processo standard di scrittura, ma di solito si procede a partire da un’idea melodica su cui si costruiscono alcune varianti, per poi passare alla fase della ricerca della struttura del pezzo e del suo arrangiamento, i due momenti più Pagina 26 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '07 bisognosi di tempo e riflessioni, in cui il lavoro si fa più lento e dettagliato. Noi amiamo dire che i Port-Royal restano fondamentalmente una band che suona, e quindi non troviamo del tutto veritiero definirci come gruppo elettronico; però è un fatto che quello che suoniamo spesso diventa quasi irriconoscibile, viene cioè scomposto, risistemato, processato; il risultato finale che vogliamo ottenere è quello di un unicum dotato di grande fluidità, allo stesso tempo profondo ed etereo, levigato ma anche concreto, ricco eppure per certi verso minimale. Musica e immagini, un connubio che ha sempre solleticato sia musica che arti visive. Per voi si tratta di un elemento fondamentale, soprattutto dal vivo. Più che un ulteriore mezzo di espressione mi sembra di capire che sia una parte inscindibile di Port-Royal. All'epoca di “Flares” progettavate un disco di remix al quale allegare un DVD, c'è qualcosa che bolle in pentola attualmente? Come abbiamo accennato prima un album di remixes delle canzoni di “Flares” uscirà alla fine dell’anno, ma non ci sarà nessun dvd allegato. Per noi, comunque, l’elemento visuale è decisivo, soprattutto per i concerti. L’artista - che ora si è trasferito da Genova a Berlino - che cura i visuals per i nostri live, Sieva Diamantakos, è diventato un membro a tutti gli effetti del gruppo. Pensiamo che un certo tipo di immagini, un certo tipo di montaggio, possa offrire sensazioni ulteriori a chi ascolta la nostra musica, nuove chiavi di lettura, rappresentando un arricchimento importante. Si tratta peraltro di un percorso che non deve mai farsi scontato e che speriamo nel futuro di approfondire e variare ulteriormente; al momento però non sappiamo esattamente che tipo di progetti potranno nascere. Contatti: www.port-royal.it Alessandro Besselva Averame Supernaturals Supernaturals è il frutto della collisione sonora di due band dell’underground italiano di area heavy-psych: gli Ufomammut, band-culto apprezzata anche all’estero, e gli esordienti Lento. “Record One”, primo capitolo sulla nostrana Supernatural Cat, è una jam session improvvisata che si snoda lungo sei tracce a base di psichedelia, stoner, doom, post-rock e ipnotiche aperture space/ambient. Abbiamo intervistato alcuni membri di questo singolare supergruppo per fare il punto della situazione. Spiegatemi come è nato il progetto “Supernaturals”. Cosa accomuna Pagina 27 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '07 musicalmente due band come Ufomammut e Lento, rispettivamente dediti allo stoner doom e al post-rock? Poia (chitarra Ufomammut): Al solito, le definizioni di genere non ci aiutano. “Helter Skelter” dei Beatles potrebbe essere protopunk psichedelico, apparentemente distante anni luce da “Let It Be”. Eppure qualcosa le accomuna. Lorenzo (chitarra Lento): Sinceramente credo che la nostra musica sia quanto di più lontano dal post rock, come credo che quella degli Ufomammut sia quanto di più lontano dallo stoner. Ci accomunano sicuramente molti ascolti, ma soprattutto l'attitudine. Urlo (basso e voce Ufomammut): C'è del metal di mezzo, ma mi auguro che si vada un po’ oltre. Appena entrati in studio ci siamo subito trovati in sintonia, sembrava che suonassimo insieme da anni. Vita (batteria Ufomammut): I migliori progetti spesso nascono dal nulla, soprattutto quando l'interesse comune è la musica, Ufomammut è un esempio. Comunque è bello mischiare le proprie idee con altri musicisti e trasformarle in suono. Nel disco affiorano dilatazioni space/ambient e inserti elettronici, uniti a riff di chitarra pesanti e ossessivi, che creano atmosfere oscure e spettrali. Tutto ciò è frutto di una autonoma scelta artistica o vi ispirate a qualche band in particolare? V: I Beatles dichiararono che senza Elvis non sarebbero esistiti, e il "re del r'n'r" non avrebbe avuto la corona se prima di lui non ci fossero stati i grandi cantanti blues degli anni 30/40. L'importante è che si prenda l'ispirazione dai grandi della musica che ti hanno preceduto, non cercare di clonarli come purtroppo fanno in tanti. In altre occasioni avete dichiarato di essere musicalmente ispirati da gruppi come Beatles, Pink Floyd e Mogwai più che da band-culto dell’heavy psych come Sleep ed Electric Wizard. Confermate? Quali dischi di queste band amate di più? P: Gli Sleep li ho sempre amati. I Mogwai li ascolto molto poco, i Wizard sono derivativi. Dei Beatles non so cosa scegliere, mentre considero i Floyd fino a “The Final Cut” (in realtà “Dark Side Of The Moon” e “Animals” mi piacciono meno). U: EW sono un gruppo inutile, appunto. C'erano già gli Sleep, che sono una delle mie band preferite. Tutto o quasi è stato detto e fatto dai Beatles che con dischi come il “White Album” e “Abbey Road” si sono spinti oltre. Poi ci sono pezzi come “Tomorrow Never Knows” che devono essere stati suggeriti dagli alieni. I Pink Floyd per me sono “Meddle”, quindi tutto il resto è ok, anche se non mi fanno impazzire da dopo il ‘76. Dei Mogwai adoro “My Father, My King”. Oggi non li reggo molto perché il panorama è saturo di cloni che escono da ogni dove. V: E' una questione di gusti, per prima cosa non trovo che gli Electric Wizard siano tanto psych e comunque non mi sono mai piaciuti. Gli Sleep e i Mogwai mi piacciono ma non mi hanno mai fatto impazzire e li ascolto poco. Riguardo agli Dei Beatles e Floyd cosa dire? Mi piace tutto, ma da “Revolver” in avanti i Fab Four hanno dato il meglio, mentre i Pink Floyd li adoro fino a “The Final Cut” compreso, poi il buio più totale. Pagina 28 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '07 Toglietemi una curiosità: ci sono riferimenti satanici o “luciferini” nella vostra musica? P: La religione, di qualunque natura essa sia, distoglie dalla verità. Lucifero e Dio sono la stessa persona: l'uomo. La religione è letteratura. Il male e il bene sono il risultato di azioni prodotte dalla mente umana: noi siamo responsabili di ciò che facciamo. V: Non credo in Dio né tanto meno a Satana, Buddha piuttosto che Maometto. Le religioni servono solo a chi non ha voglia di far funzionare il cervello, scegliendo di vivere seguendo la corrente. La Bibbia è un romanzo, un racconto dal quale è stato mitizzato un uomo creando un alone di mistero intorno. E' come se oggi nascesse una nuova religione basata sulle miracolose magie di Harry Potter o Mago Merlino, in fin dei conti credo che con la bacchetta magica fossero anche loro in grado di moltiplicare i pani e i pesci, e soprattutto di trasformare l'acqua in vino! Anche io cercherei di salvare una prostituta dalla lapidazione, anche io professo pace, libertà e uguaglianza per tutti, ma non perché l'ha detto Gesù né tanto meno per imitarlo, bensì perché è così che dovrebbe funzionare il mondo e basta! Il paradosso è che sono proprio coloro che seguono e diffondono la parola di Dio ad usare e abusare della fede per i loro sporchi interessi. La vostra attività musicale procede parallelamente al progetto grafico/artistico di Malleus, noto a livello internazionale per aver realizzato poster di Blues Explosion, Stooges, Cure, Korn, QOTSA, Beck, Mark Lanegan. Come e perché è nato Malleus? Possiamo azzardare un confronto con la Man’s Ruin di Franz Kozik? P: Malleus è la terra di mezzo tra musica e immagini, nacque dalle ceneri del dottor Genialis (Urlo ed io) che si occupava dei manifestini e delle copertine dei demo su cassetta dei Judy Corda, la nostra prima band. U: Penso che la nostra visione discografica sia parecchio distante dalla Man's Ruin di Kozik. Noi suoniamo e ci siamo fatti un'etichetta perché ci siamo stufati di dipendere da altri. Credo che il nostro discorso potrebbe avvicinarsi più a etichette come Ipecac o Hydrahed in cui un musicista si fa l'etichetta. La Man's Ruin ha dato vita a un genere, ha aperto gli occhi su una certa musica. Poi è scoppiata. Speriamo di non fare la stessa fine. Supernatural Cat è l’etichetta che ha stampato “Lucifer Songs” degli Ufomammut (insieme all’inglese Rocket Recordings) e l’album dei Supernaturals. Da chi è gestita e quali sono i suoi progetti futuri? P: Supernatural Cat nasce dal concetto del fai da te. Dopo alcune deludenti esperienze discografiche, gli Ufomammut si sono rivolti a noi per cercare qualità e attenzione al dettaglio made in Ialy. Insomma ci siamo rivolti a noi stessi. U: Oltre a Ufomammut e Lento siamo fieri di avere i Morkobot in Supernatural Cat, una delle migliori band che girano oggi. Progetti futuri sono il primo disco dei Lento (un gioiello dal titolo “Earthen”), il nuovo lavoro di Ufomammut, alcune ristampe su vinile e probabilmente FarwestZombee (progetto che vede componenti di Ufomammut e partecipazioni di differenti artisti stranieri). Pagina 29 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '07 Contatti: www.supernaturalcat.com Gabriele Barone Taxi L’intervista che non avresti mai voluto fare. E dire che, fin dal primo ascolto, il nuovo disco dei Taxi “Yu Tolk Tu Mach” (GonnaPuke/Goodfellas) mi era sembrato un lavoro fresco e ben fatto. Purtroppo però un destino particolarmente stronzo s’è accanito sulla formazione romana, portandosi via una notte di giugno Francesco, che del gruppo non era semplicemente il batterista ma molto, molto di più. Le domande, che prima mi apparivano serie e meditate, hanno perso buona parte del loro significato, ma forse la musica è il modo più bello per ricordare una persona che la faceva. Almeno lo spero. Un grazie di cuore a Lorenzo (chitarra) e Tenda (voce) che, nonostante tutto, hanno trovato il tempo per rispondermi. Viene difficile, sempre che sia necessario, etichettare la vostra musica. C'è qualcuno a cui, per musica o attitudine, vi sentite più affini? Siamo cresciuti ascoltando punk rock ma non ci siamo mai sforzati troppo di assomigliare a qualcuno in particolare, abbiamo voluto fare di testa nostra. Il nostro sound è unico. Se però devo fare un nome credo che il gruppo al quale ci avviciniamo di più siano gli inglesi Slaughter And The Dogs. Non si può non notare il balzo in avanti che avete fatto con "Yu Tolk Tu Mach". Credete che sia stato solo il suonare assieme a portarvi questo risultato o secondo voi c'è qualcosa d'altro? Suoniamo insieme da quando avevamo 13 anni e come Taxi dalla fine del 1997, proprio per questo, sul palco ci capivamo con uno sguardo e anche se tecnicamente non eravamo infallibili, questo passava in secondo piano. Credo che tutti i nostri dischi siano differenti tra loro, “Yu Tolk Tu Mach” lo è soprattutto per il suono. Il disco, infatti, è stato registrato in coproduzione con i ragazzi di UFO Hi-Fi che dobbiamo ringraziare per la loro competenza e disponibilità. Come siete riusciti a farvi "regalare" una canzone inedita da Clive Jones? E come mai la scelta per l'altra cover è caduta su Serge Gainsbourg, di certo non qualcosa subito assimilabile a voi ma che suona incredibilmente bene. Nel nostro primo album c'è una cover degli Agony Bag, che furono il secondo gruppo di Clive Jones dopo i Black Widow. Un giorno mi arrivò una e-mail proprio da Clive dicendomi che aveva sentito il pezzo, che gli era piaciuto tantissimo e che sarebbe stato contento di "regalarci" un brano che gli Agony Bag avevano scritto alla fine degli anni 70. Pochi giorni dopo mi arrivò un pacchetto con il testo ed una Pagina 30 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '07 cassetta audio, registrata malissimo, con la versione originale di “Hard Times”. Tutto quello che ne è scaturito lo puoi ascoltare nel disco. Per quanto riguarda la cover decidemmo di fare "Qui est in, qui est out" di Serge Gainsbourg prima di un nostro concerto a Parigi, la canzone c'è piaciuta, veniva bene e così abbiamo deciso di registrarla per inserirla nel disco. È stato qualcosa di assolutamente improvvisato ed istintivo, non calcolato. Incidete sia per l'italiana GonnaPuke che per l'americana Dead Beat, avete così la possibilità diretta di confrontare i due mercati: cosa c'è di differente e di simile per un gruppo come voi? Per i contatti in America hanno influito le recensioni ultrapositive oppure è successo il contrario? Sinceramente non so quali siano le differenze tra i due mercati, probabilmente la cosa più importante è che in America si vendono più dischi, e quindi il mercato è più vivo sotto tutti i punti di vista. Devo però dire che con l'uscita del nostro primo album "Like A Dog" per l'americana Dead Beat le cose sono notevolmente cambiate; sono uscite molte recensioni ed interviste per fanzine varie e, quasi di conseguenza, sono arrivati i due tour americani. Di sicuro questo ha portato una maggiore considerazione verso di noi anche in Italia, è stata una sorta di legittimazione a posteriori. In tema di America avete intenzione di ritornarci presto in tour? Non credo, alla luce di quanto successo, che suoneremo ancora assieme. Non so che dire, e credo che in certe situazioni forse è meglio proprio stare zitti. Immagino non ne abbiate molta voglia di parlare, ma se ve la sentite potreste tracciare un ricordo di Francesco per chi non lo ha conosciuto… Una tempesta, un ciclone che investiva e divertiva tutti quelli che incontrava. Un uragano di gioia pura, sincera che lasciava immediatamente il segno nei cuori di chi lo conosceva o nell'angolo dei ricordi più belli di chi lo incrociava per la prima volta, anche se per pochi attimi. Un amico, un amico vero, uno di quelli che l'amicizia la vivono nella sua forma più semplice e pura, un cuore immenso sempre pronto a dare anche quando magari forse era meglio fermarsi e ricevere ogni tanto qualcosa. Una parola, un sorriso, una chiamata o una battuta inventata li per li c'era sempre, anche quando non te lo aspettavi. Solare, esuberante, della musica non gli fregava nulla ma i Taxi dovevano rompere, e lui era il primo che pestava quel rullante da romperti i timpani. È difficile trovare amici veri. Noi lo eravamo, lo siamo e lo saremo per sempre. Contatti: www.petrosh.it/taxi Giorgio Sala Pagina 31 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '07 Pagina 32 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '07 Beatrice Antolini Friction Festival, Spilamberto (MO), 1 luglio 2007 Due tastiere, un basso, una batteria e una chitarra, per mezz'ora di musica spumeggiante. Questa Beatrice Antolini al Friction Festival di Spilamberto (Mo). Un'entità confusa tra i colori dei suoni ma precisissima negli attacchi, rapita dal dialogo serrato tra gli strumenti – apprezzabile, in questo senso, il lavoro della band di supporto - ma capace di non perdere di vista l'unità dell'insieme. Impegnata anzi a riproporre quel quadro variopinto che è “Big Saloon” con cura e senza cedimento alcuno, grazie anche ad una coesistenza armonica tra carisma e tecnica. Lo stile arrembante della proposta contribuisce, in dimensione live, a rendere il quadro generale ancor più appetibile: merito di una scrittura che spazia tra forward rapidissimi di piano – “Topogò (Dancing Mouse)” – e geometrie irregolari – “Bread & Puppets” –, psichedelia – “Monster Munch” – e atmosfere sognanti – “Lazy Jazy” –, unita a un notevole fiuto per la melodia. Melodia veicolata in maniera sorprendente dalla voce e dai saliscendi ritmici del piano, elementi peculiari di una musica che superata brillantemente la prova del disco d'esordio, si conferma anche on stage come una delle scoperte più elettrizzanti del panorama indie di casa nostra. Fabrizio Zampighi Pagina 33 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '07 Les Jumeaux Discordants Un’elegante confezione in cartoncino racchiude il CD-R di debutto dei Les Jumeaux Discordants: sei validi episodi di matrice dark, contraddistinti da testi in inglese, francese e latino. La formazione nasce dal sodalizio tra Roberto Del Vecchio (artefice di tutte le musiche) e Aimaproject (testi e voce), entrambi precedentemente già attivi in ambito neofolk. Principale obiettivo dei “gemelli discordanti” è creare un’interazione tra poesia, musica e arte visiva; pertanto non lesinano riferimenti colti: “Le destin” è tratta da un poema di Gérard de Nerval, i versi di “Almus spiritus” sono di Sallustio e lo stesso brano racchiude un campionamento da “Il trionfo della volontà” della Riefenstahl. L’incontro di queste diverse forme espressive è scandito da atmosfere elettroniche dalle tinte fosche, a tratti sinistre, a volte dolcemente malinconiche. Il CD-R esce in tiratura limitata a cento copie col marchio della Misty Circles e distribuzione Hau Ruck SPQR, e può essere in parte ascoltato sul sito www.myspace.com/lesjumeauxdiscordants. Fabio Massimo Arati Pagina 34 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it