Kant: Critica della ragion pratica. Della proporzione saggiamente

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Kant: Critica della ragion pratica. Della proporzione saggiamente conveniente della facoltà di conoscere
dell’uomo rispetto alla sua destinazione pratica
« Se la natura umana è determinata ad aspirare al sommo bene» bisognerebbe che l'intelligenza ci mettesse nelle
condizioni di raggiungere questo scopo. Ma la Critica della ragion pura ha dimostrato che proprio i problemi che più ci
stanno a cuore, e cioè quelli della conoscenza dei sommi principi, sono anche i più lontani dalle nostre reali possibilità
conoscitive.
Quindi sembra che in questo caso la natura, nel provvederci di una facoltà necessaria al nostro scopo ci abbia trattati
soltanto da matrigna.[Kant, Critica della ragion pratica, Della proporzione saggiamente conveniente alla facoltà di
conoscere dell'uomo rispetto alla sua destinazione pratica, a cura di F. Capra, riveduta da E. Garin, Roma-Bari Laterza,
1982, pp. 176-178]
Ora, posto che essa qui fosse stata condiscendente al nostro desiderio e ci avesse dato quella perspicacia e quei lumi
che vorremmo ben possedere
quali conseguenze ne deriverebbero per noi? A meno che l'uomo non fosse diverso da quello che è,
le inclinazioni [cioè i condizionamenti della nostra costituzione e dei nostri bisogni e desideri], che hanno sempre la
prima parola, domanderebbero la loro soddisfazione [Ibidem]
in una continua e inesausta ricerca della felicità; « poi parlerebbe la legge morale» per contenere queste pulsioni
entro limiti convenienti, o addirittura per piegarle al raggiungimento di qualcosa di elevato. Ma al posto della già dolorosa
lacerazione che, così come stanno le cose, dobbiamo subire nel conflitto tra desiderio e coscienza morale, in quel
caso «Dio e l'eternità, nella loro tremenda maestà, ci starebbero continuamente davanti agli occhi». Certamente non
avremmo più il coraggio di disubbidire alla nostra coscienza, e la ragione non avrebbe bisogno di sforzarsi per resistere
alle tentazioni del desiderio, avendo di fronte a sé l'immagine stessa di Dio; ma poiché l'intenzione, per essere tale, non
può essere determinata da qualcosa di esterno,
la maggior parte delle azioni conformi alla legge avverrebbe per il timore, soltanto poche per la speranza, e nessuna
affatto per il dovere; un valore morale delle azioni, dal quale solo di-pende agli occhi della saggezza suprema il valore
della persona, e anche quello del mondo, non esisterebbe affatto. [Ibidem]
L'uomo sarebbe ridotto al rango di marionetta nel teatrino della vita, e il suo fare un gesticolare privo di senso.
Ora, per noi, la cosa è ben diversa; del nostro avvenire, dell'eternità e del senso della vita abbiamo « una veduta assai
oscura ed ambigua», e di Dio non possiamo saper nulla con certezza; «e, invece, la legge morale in noi, senza
minacciarci, esige da noi il rispetto disinteressato»; e questo stesso rispetto è l'unico che ci permetta di scorgere,
dentro di noi, «nel regno del soprasensibile» [vedi la Fondazione della metafisica dei costumi, sopra citata]; solo
così si attua pienamente un'intenzione veramente morale
e la creatura razionale può diventare degna di partecipare al sommo bene che è conforme al valore morale della sua
persona, e non semplicemente alle sue azioni. [Ibidem]
Dunque è ben vero che siamo limitati, ma
la saggezza impenetrabile [Dio], per la quale noi esistiamo, non è meno degna di venerazione per quello che ci ha
negato che per quello che ci ha concesso. [Ibidem]
Ermetis - Ma i tempi cambiavano, la sensibilità morale anche, e
con essi le ragioni che potevano spingere un uomo a "fare filosofia". In questo senso, dire che Fichte continua la
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conversazione avviata da Kant è un'incongruenza. Il piano dei discorsi stava "scivolando" verso altri sbocchi, come un
fondale che cambia con il trascorrere dal primo al secondo atto, mentre è ancora in scena il protagonista del primo. Con
la Critica della ragion pratica Kant diceva cose che non trovavano più orecchie disposte a capire. Il mondo aveva altre
attese che non erano più quelle della saggezza illuminista.
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In questa unità
Testo: Storia delle idee
Autore: Maurizio Châtel
Curatore: Maurizio Châtel
Metaredazione: Erica Pellizzoni
Editore: BBN
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