L`amante dell`amica: cosa cucinare a un ospite speciale

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Pubblicato su Territori.Coop (http://www.territori.coop.it)
29 Luglio 2014
L’amante dell’amica: cosa cucinare a un ospite speciale
Egeria Di Nallo ci racconta di una cena segreta, dove i piatti sono capaci di rivelare il carattere dei
convitati
menu eccezionale o tradizionale?
La mia amica del cuore mi porta il suo nuovo amico. È una storia un po’ démodé perché nessuno lo
deve sapere e non si sa perché. In casa ci siamo solo noi e nessuno può mormorare…Ma cosa gli
preparo da mangiare?
Per me è un ospite importante e lo tengo in grande considerazione. Vorrei preparargli qualcosa di
eccezionale, non usuale dalle nostre parti e anche un po’ elaborato: involtini di melanzane e pesce
spada, per esempio, o passatelli in brodo di pesce, o gamberoni allo zenzero. Servizio in carattere,
vecchi piatti su cui sono effigiati pesci, gamberi malinconici e stelle marine, bicchieri di mia nonna in
cristallo, tovaglioli grandi quanto asciugamani.
Gli involtini non li aveva mai mangiati, i passatelli mai provati in brodo di pesce, i gamberoni
suscitano in lui una curiosa domanda: “Hai mai cucinato una stella marina?”.
Una volta studiato il personaggio, alla cena successiva mi butto sul tradizionale ed escludo le
novità. Scelgo un menu quasi obbligato nelle famiglie di qualche decennio fa: gnocchi al sugo di
pomodoro, arrosto di vitello, patate fritte, latte in piedi.
Gli gnocchi sono fatti alla perfezione, perciò mi permetto di chiedergli se li gradisce.
“Li faceva anche mia mamma”, risponde, “ma quelli di mia mamma erano elastici, questi invece si
sciolgono…sono un’altra cosa”. Stavolta è mio, penso tra me e me.
Chiunque abbia un minimo di consuetudine con la cucina e la gastronomia, conosce la difficoltà del
fare buoni gnocchi che non si disfino nel sugo e nello stesso tempo siano morbidi in bocca. Sul
tema c’è una nutrita tradizione scritta e orale e varie scuole di pensiero relative al tipo di patate da
usare, la quantità di farina, la presenza o no di uova, e altro ancora. Che colpa ne ho io se sua madre
ci metteva troppa farina? Più farina ci metti più è semplice lavorarli, ma allora oggi tanto vale
prendere quelli surgelati.
Passiamo all’arrosto. Il macellaio mi ha dato un taglio di spalla, leggermente venato di grasso. Cotto
con particolare attenzione e una serie di trucchetti, è tenerissimo e quasi si taglia con il
cucchiaio. “Non sembra neanche carne”, commenta il mio ospite, “piuttosto, somiglia al tonno”.
A uno così cosa gli fai? Gli chiedi che cosa pensa delle patate fritte, fatte come una volta a
tocchi grossi, cotte nello strutto con uno spicchio d’aglio e un rametto di rosmarino. “Sono strane,
e a certi sapori non si è più abituati”, risponde.
L’ultima mia speranza è riposta nel “latte in piedi”, una versione paesana del crème caramel. E lui
interviene prima che io ponga la domanda: “Ma in questa crema non ci sono i buchi! Mia mamma la
faceva, ma c’aveva tanti buchini come un alveare…”. Forse non sa che il massimo di un latte in
piedi è di essere liscio come seta. È per questo che l’ho tenuto a bagnomaria nel forno, a 80 gradi
per una vita.
E se la prossima volta mettessi nel forno anche lui?
A cura di Egeria Di Nallo - Homefood - Le Cesarine
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