Il metodo variazionale in meccanica quantistica

Il metodo variazionale
in meccanica quantistica
In meccanica quantistica il metodo variazionale costituisce uno dei possibili metodi approssimati con
cui trattare quei sistemi che non si sanno risolvere esattamente. Esamineremo qui di seguito le sue
caratteristiche basilari ed alcune applicazioni.
1
1.1
Fondamenti del metodo variazionale
Stima dello stato fondamentale
Consideriamo un sistema fisico descritto da una Hamiltoniana H indipendente dal tempo, il cui
spettro sia per semplicità discreto e non degenere:
H | ϕn >= En | ϕn >, n ∈ N0 .
Se consideriamo un generico ket | ψ > che descrive il sistema considerato, possiamo scrivere il valore
d’aspettazione dell’Hamiltoniana nello stato | ψ > come
< H >ψ =
<ψ|H|ψ>
<ψ|ψ>
dove si è tenuto conto che il ket | ψ > non è necessariamente normalizzato. P
Esprimiamo ora lo stato
|Pψ > nella base ortonormale costituita dalle autofunzioni di H, | ψ >= n αn | ϕn > , laddove
2
n | αn | < ∞ . A questo punto è immediato rendersi conto che
P
P
2
2
n | αn | En
n | αn | E0
P
P
< H >ψ =
≥
= E0
2
2
n | αn |
n | αn |
dove E0 è il più piccolo autovalore dell’Hamiltoniana, associato allo stato fondamentale del sistema. Tale disuguaglianza indica un possibile stratagemma per una determinazione approssimata
dell’energia fondamentale E0 del sistema: infatti se consideriamo una famiglia di ket di prova
| ψ(ξ) > dipendenti da un certo numero di parametri ξ, possiamo calcolare il valore d’aspettazione
dell’Hamiltoniana < H > (ξ) e minimizzarlo rispetto ai parametri ξ. Dal momento che E0 è la
minima energia possibile per qualsiasi ket descrivente il sistema, il valore così calcolato costituirà
una stima dell’energia fondamentale E0 . La scelta dei ket di prova è in linea di principio arbitraria,
ma per ottenere un’approssimazione soddisfacente è opportuno adoperare l’intuizione fisica per determinare la conformazione globale della funzione d’onda, legando invece i parametri alle proporzioni
interne o sull’estensione spaziale della stessa.
1.2
Stima degli stati eccitati - teorema di Ritz
Quanto visto fino ad ora permette di stimare solo il più basso degli stati ignoti. Infatti supponendo di
conoscere esattamente i primi k stati del sistema, partendo da quello fondamentale possiamo costruire
un ket di prova tale da essere ortogonale a tutti gli autoket noti. In questo caso la disuguaglianza
di cui sopra diventa < H >≥ Ek e ci permette di stimare l’energia del k-esimo stato eccitato.
Sarebbe tuttavia comodo poter stimare le energie di più stati contemporaneamente, senza dover
1
ogni volta ricorrere a ket di prova diversi. Oltretutto quando si adopera il metodo variazionale
solitamente non si conosce nessuna autofunzione del sistema con esattezza; quindi a questo scopo è
utile dimostrare che il valor medio dell’Hamiltoniana, pur essendo minimo solo in E0 , é comunque
stazionario nell’intorno di tutti i suoi autovalori discreti En . Questa proprietà è nota come teorema
di Ritz.
P
Consideriamo come prima un ket generico | ψ > ed un ket infinitesimo | dψ >= n δn | ϕn >,
possiamo scrivere il differenziale del valor medio di H come
δ < H >=
(< ψ | + < dψ |)H(| ψ > + | dψ >) < ψ | H | ψ >
−
.
(< ψ | + < dψ |)(| ψ > + | dψ >)
<ψ|ψ>
Sviluppando i prodotti e trascurando gli infinitesimi del second’ordine otteniamo
δ < H >=
< ψ | H | ψ > +2Re < dψ | H | ψ > < ψ | H | ψ >
−
.
< ψ | ψ > +2Re < dψ | ψ >
<ψ|ψ>
Siamo interessati ai punti stazionari, quindi le situazioni in cui dH = 0. Ponendo questa condizione
segue che
< ψ | ψ > Re < dψ | H | ψ >=< ψ | H | ψ > Re < dψ | ψ >
che si può scrivere come
P
Re n δn∗ αn En
Re < dψ | H | ψ >
P
=
.
< H >ψ =
Re < dψ | ψ >
Re n δn∗ αn
Volendo trovare i punti stazionari, questa relazione deve valere per qualunque scelta delle componenti δi che definiscono il ket infinitesimo. Non è difficile convincersi che ciò accade solo quando tutti
i coefficienti αn sono nulli tranne un certo αk , nel qual caso numeratore e denominatore si elidono
lasciando solo Ek che è proprio il valore d’energia atteso a primo membro per la | ψ >.
In conclusione, ricapitolando, possiamo affermare che il valore d’aspettazione dell’energia è stazionario
se e solo se lo stato in cui viene calcolato è un autostato dell’Hamiltoniana ed in particolare è minimo
per l’autostato fondamentale | ϕ0 >. Grazie a questo teorema (teorema di Ritz), se minimizzando
l’energia attesa per i ket di prova troviamo altri valori stazionari oltre al minimo ricercato, possiamo
considerarli come altrettante stime di alcune energie eccitate del sistema.
1.3
Caso particolare: i ket di prova formano un sottospazio vettoriale
In ultimo è interessante notare che se si scelgono come ket di prova i ket appartenenti ad un
certo sottospazio vettoriale dello spazio di Hilbert, il metodo variazionale si riduce alla risoluzione
dell’equazione agli autovalori dell’Hamiltoniana ristretta al sottospazio in questione.
Se formano un sottospazio vettoriale, i ket di prova devono essere nella forma:
| ψT >=
N
X
ci | ψi >,
i=1
il cui differenziale risulta banalmente
| δψT >=
N
X
i=1
2
δci | ψi > .
Nei punti stazionari vale la trattazione appena sviluppata per il teorema di Ritz, dove al ket infinitesimo | dψ > si sostituisce il differenziale appena calcolato.
Ponendo:
< ψT | H | ψT >
=E
< ψT | ψT >
possiamo dunque scrivere
Re < δψT | H | ψT >= E Re < δψT | ψT >,
che implica
Re < dψT | H − E | ψT >= 0.
Esplicitando il differenziale si ottiene
N
X
Re δci < ψi | H − E | ψT >= 0.
i=1
Questa relazione deve essere verificata per ogni scelta dei ci , quindi necessariamente
< ψi | H | ψT >= E < ψi | ψT >, i = 1, ...N.
3
2
Esempio didattico
Per prendere confidenza con il metodo variazionale è istruttivo dapprima applicarlo ad un caso noto,
che in realtà non richiederebbe un approccio approssimato, così da osservare nella pratica il suo
funzionamento ed i suoi limiti.
2.1
Applicazione del metodo variazionale all’oscillatore armonico
Come esempio consideriamo l’oscillatore armonico unidimensionale quantistico, descritto dall’Hamiltoniana
1
h̄2 d2
+ mω 2 x2
2m dx2
2
Visto che l’Hamiltoniana ha parità definita positiva, si può dimostrare che anche la funzione d’onda
dello stato fondamentale dev’essere pari, quindi nella scelta dei ket di prova ci limiteremo a funzioni
pari. Potremmo dapprima tentare con
2
ψ (x) = e−αx , α > 0.
H=−
α
Calcolando il quadrato della norma ed il valor medio di H abbiamo
Z +∞
2
< ψα | ψα >=
e−2αx dx;
−∞
2
< ψα | H | ψα >= [
1 mω 2
h̄
α+
]
2m
8 α
Z
+∞
e−2αx dx
2
−∞
ottenendo
h̄2
1 mω 2
α+
.
2m
8 α
1 mω
La derivata di tale funzione si annulla per α0 = 2 h̄ , cui corrisponde un’energia pari a < H > (α0 ) =
1
2 h̄ω, che è proprio l’energia dello stato fondamentale dell’oscillatore armonico unidimensionale.
Il motivo per cui abbiamo ottenuto non una stima approssimata bensì il valore esatto è presto detto:
la vera funzione d’onda dello stato fondamentale appartiene alla famiglia di prova considerata, quindi
banalmente è per quella funzione che si riscontra il minimo d’energia.
Supponiamo ora di fare un tentativo meno felice con una famiglia di funzioni che non contenga già
autofunzioni dell’Hamiltoniana, potremmo ad esempio provare con
1
ψa (x) = 2
; a > 0.
x +a
Si noti comunque che abbiamo sempre scelto funzioni d’onda pari, poichè questa è un’informazione
che possediamo al di là della conoscenza precisa delle soluzioni del sistema, ed è dettata dalle
proprietà di simmetria della Hamiltoniana. In questo caso dai calcoli otteniamo
Z +∞
π
1
< ψa | ψa >=
dx = √ ;
2+a
x
2a
a
−∞
< H > (α) =
h̄2 1 1
+ mω 2 a.
4m a 2
h̄
Ora < H > (a) ha un minimo per a0 = √12 mω
, dove l’energia vale < H > (a0 ) = √12 h̄ω, che
costituisce la nostra stima di E0 per questa nuova famiglia di funzioni di prova. Per avere un’idea
dell’errore commesso possiamo confrontare la differenza tra valore stimato e valore esatto con il
quanto d’energia h̄ω:
1 1
1
( √ h̄ω − h̄ω) ≈ 20%
h̄ω 2
2
< H > (a) =
4
2.2
Conclusioni improprie col metodo variazionale
Nel paragrafo precedente abbiamo ottenuto una stima soddisfacente dell’energia dello stato fondamentale del sistema adoperando una funzione di prova tutto sommato banale. A questo proposito
è interessante domandarsi se questo metodo ci permetta di ottenere altre informazioni sul sistema
basandoci sui calcoli che abbiamo appena fatto. Altrimenti detto, lo stato approssimato che abbiamo
trovato è adatto a fornire una buona descrizione dell’autostato effettivo nella sua interezza oppure
risulta verosimile solo quando si tratta di stimare l’energia?
Per valutare la questione possiamo confrontare la funzione d’onda esatta dello stato fondamentale
ϕ0 (x) =
2α0
π
1 /4
e−α0 x ;
2
con la funzione d’onda approssimata (e normalizzata) che abbiamo calcolato in precedenza
r
1
1
2 √
√
ψv (x) =
.
(2 2α0 ) 4
π
1 + 2 2α0 x2
1
0.8
0.6
0.4
0.2
-4
-2
2
Osservando il grafico, è evidente che la funzione d’onda approssimata (disegnata in rosso) è poco
fedele all’effettivo andamento dello stato fondamentale. Innanzitutto é troppo piccata nell’origine,
discostandosi circa del 20% dal valore esatto, analogamente a quanto già accadeva per l’energia
Inoltre le code della distribuzione differiscono notevolmente dalla soluzione esatta. Infatti si può
√
osservare che per α0 x = 2.5 l’autofunzione dello stato fondamentale è già pressochè nulla, mentre
√
la funzione approssimata presenta ancora un’ampiezza non trascurabile per α0 x = 4.
In definitiva possiamo concludere che una buona stima dell’energia del sistema non implica affatto
un’altrettanto buona stima della funzione d’onda dello stato ad essa associato. In effetti se adoperassimo lo stato approssimato per stimare altre osservabili oltre l’energia trarremmo spesso conclusioni
5
√
4
α0 x
fuorvianti: ad esempio se nel caso fino ad ora discusso volessimo calcolare il valore d’aspettazione di
x4 con la scelta che abbiamo fatto per la funzione di prova, otterremmo un valore infinito (integrale
divergente) che non ha fisicamente senso per un oscillatore armonico.
3
Esempio pratico: la molecola H2+
Chiaramente il metodo variazionale diventa interessante quando permette di trattare sistemi che
non si saprebbero risolvere altrimenti, cioè sistemi di cui non si riesce a diagonalizzare esattamente
l’Hamiltoniana.
Un esempio pertinente a questo proposito è la trattazione della molecola H2+ , ovvero del sistema
costituito da due protoni ed un elettrone.
Volendo scrivere l’Hamiltoniana completa dovremmo includere tre termini cinetici, uno per ciascun protone piú quello relativo all’elettrone, oltre all’energia potenziale dovuta all’interazione tra le
cariche elettriche. Così facendo tuttavia dovremmo risolvere un sistema a tre corpi (che richiede una
soluzione numerica). Il problema può essere notevolmente semplificato ricorrendo all’approssimazione
di Born-Oppenheimer, ovvero trascurare i termini cinetici dei protoni (protoni fermi) in considerazione del fatto che il moto dell’elettrone è molto più rapido delle vibrazioni di questi ultimi. In
questo modo possiamo scrivere l’Hamiltoniana del sistema come
H(r) = −
e2
e2
h̄2 2 e2
5 − −
+
2m
r1
r2
R
(1)
dove le ri sono le distanze tra l’elettrone e ciascun protone, mentre R è la distanza tra i due protoni,
che per quanto detto prima è un parametro e non una variabile.
A questo punto bisogna operare la (delicata) scelta dei ket di prova; ragionando fisicamente si può
intuire che qualora la distanza R sia molto maggiore di a0 (raggio dell’atomo di Bohr) l’elettrone
risentirà fortemente dell’attrazione del protone a lui più vicino mentre la sua interazione con quello
distante sarà molto più debole. La Hamiltoniana corrispondente sarà quindi quella di un singolo
atomo di idrogeno centrato sul protone interessato. In luce di queste considerazioni, un buon tentativo per i ket di prova può essere una combinazione lineare tra gli stati fondamentali dei due atomi
di idrogeno centrati sui singoli protoni, ovvero
| ψ >= c1 | ϕ1 > +c2 | ϕ2 >;
1
< r | ϕi >= (πa30 )− 2 e−ρi ,
dove si è espressa la distanza in unità di a0 , ρi = ri /a0 . Una famiglia di ket di prova definita in
questo modo costituisce un sottospazio vettoriale (combinazione lineare di due ket con coefficienti
complessi); quindi per quanto detto nella discussione generale, anzichè procedere col calcolo variazionale vero e proprio possiamo in maniera del tutto equivalente impostare e risolvere l’equazione
agli autovalori dell’Hamiltoniana ristretta al sottospazio in questione. In particolare ci interessa
risolvere il sistema
< ϕi | H | ψ >= E < ϕi | ψ >, i = 1, 2
(2)
ovvero
c1 < ϕi | H | ϕ1 > +c2 < ϕi | H | ϕ2 >= E(c1 < ϕi | ϕ1 > +c2 < ϕi | ϕ2 >), i = 1, 2
nelle incognite c1 e c2 . Possiamo ora riscrivere il sitema in forma canonica
(H11 − ES11 )c1 + (H12 − ES12 )c2 = 0
(H21 − ES21 )c1 + (H22 − ES22 )c2 = 0
6
(3)
(4)
dove abbiamo posto Sij =< ϕi | ϕj > e Hij =< ϕi | H | ϕj >. Per risolvere tale sistema possiamo
equivalentemente risolvere
H11 − ES11 H12 − ES12
Det
= 0.
(5)
H21 − ES21 H22 − ES22
A questo punto occorre calcolare i vari Sij ed Hij . Ricordiamo che stiamo lavorando con funzioni
d’onda | ϕi > reali, normalizzate, ma non ortogonali; risulta quindi banalmente
S11 = S22 = 1,
mentre
Z
S12 = S21 = S =
1
ϕ1 (~r)ϕ2 (~r)d~r = e−ρ [1 + ρ + ρ2 ].
3
Quest’ultimo integrale viene denominato integrale di sovrapposizione (si rimanda all’appendice per
i dettagli sui calcoli).
I termini diagonali di H risultano essere
2
e2
e2
e2
e2
p
−
| ϕ1 >= −EI +
− C,
| ϕ1 > − < ϕ1 |
| ϕ1 > + < ϕ1 |
H22 = H11 =< ϕ1 |
2m r1
r2
R
R
dove abbiamo posto
Z
C=
e2
2
[ϕ1 (~r)]2 d~r = EI [1 − e−2ρ (1 + ρ)],
r2
ρ
che è il cosiddetto integrale di Coulomb. Rimangono in ultimo i termini non diagonali
2
p
e2
e2
e2
e2
H21 = H12 =< ϕ1 |
−
| ϕ2 > − < ϕ1 |
| ϕ2 > + < ϕ1 |
| ϕ2 >= −EI S + S − A,
2m r2
R
r1
R
dove
Z
A=
ϕ1 (~r)
e2
ϕ2 (~r)d~r = EI 2e−ρ (1 + ρ)
r1
è detto integrale di risonanza. A questo punto, ponendo E = EI , A = αEI , C = γEI possiamo
riscrivere l’equazione (5) come


−1 + ρ2 − γ − −1 + ρ2 S − α − S
=0
Det  (6)
−1 + ρ2 − γ − −1 + ρ2 S − α − S
ossia
2
2
−1 + − γ − = ± −1 +
S − α − S
ρ
ρ
cui corrispondono i valori di ± = −1 +
2 α∓γ
±
.
ρ
1∓S
Per trovare le effettive energie dobbiamo ancora moltiplicare questi valori di per EI , ma visto che
± tende a −1 (quindi all’energia di un atomo di idrogeno isolato) quando ρ → ∞ è più conveniente
esprimere le energie finali come differenza rispetto ad EI
(
)
2
−ρ
−2ρ
2 2e (1 + ρ) ∓ ρ [1 − e (1 + ρ)]
∆E± = E± − EI = EI
±
(7)
ρ
1 ∓ e−ρ (1 + ρ + ρ2 /3)
7
Abbiamo così trovato una stima E− per lo stato fondamentale del sistema (lo stato legante) ed una
stima E+ per uno stato eccitato (lo stato antilegante).
E(EI )
0.4
0.2
2
3
4
Per quanto riguarda la funzione d’onda dobbiamo ancora determinare i coefficienti variazionali
ci , sostituendo
i valori trovati per E± nel sistema (4) si ottiene banalmente c1 ± c2 = 0, per cui gli
-0.2
stati approssimati sono
1
| ψ+ >= p
[| ϕ1 > − | ϕ2 >]
2(1 − S)
| ψ− >= p
1
2(1 + S)
[| ϕ1 > + | ϕ2 >]
concludendo possiamo notare che lo stato antilegante è antisimmetrico rispetto allo scambio dei due
protoni, mentre lo stato legante è simmetrico.
3.1
Possibili miglioramenti al modello
Il modello sviluppato fino ad adesso garantisce una descrizione soddisfacente del sistema in esame
qualora la distanza R tra i due protoni sia un valore intermedio se confrontato con il raggio dell’atomo
di Bohr, più grande di a0 ma comunque dello stesso ordine di grandezza: insomma possiamo trattare
adeguatamente quei casi in cui effettivamente si forma una molecola di H+
2 . Sarebbe interessante
invece scoprire cosa succede nelle altre situazioni, ad esempio quale comportamento predice il nostro
modello per ρ → 0.
Innanzitutto per l’energia possiamo vedere che trascurando la repulsione tra i due protoni (cioè il
termine 2/ρ nella formula (7) ) otteniamo un’energia dell’elettrone pari a −3EI . Per quanto riguarda
la funzione d’onda sommiamo e normalizziamo due stati fondamentali d’idrogeno centrati nello stesso
punto, quindi chiaramente otteremo un orbitale 1s di raggio a0 e centrato in P1 = P2 .
Ragionando fisicamente però i conti non tornano: se i due protoni sono molto vicini il nostro sistema
diventa uno ione d’elio (meno alcuni neutroni nel nucleo), ma per l’elio l’energia associata agli
elettroni non eccitati dovrebbe essere −Z2 EI = −4EI , mentre per l’orbitale 1s ci si aspetta un
8
5
ρ
raggio pari a a0 /Z = a0 /2. Quindi, se vogliamo descrivere più realisticamente il sistema per ρ < 1
dobbiamo migliorare in qualche modo il modello.
Un approccio interessante che sfrutta il metodo variazionale consiste nel porre come parametro
aggiuntivo nelle funzioni di prova il raggio dell’orbitale, ovvero combinare linearmente
s
Z3 −Zρi
e
, i = 1, 2.
< ~r | ϕi >=
πa30
Con calcoli analoghi a quelli precedentemente illustrati si ottiene l’energia per un orbitale 1s isolato:
2
p
e2
EZ =< ϕi |
−
| ϕi >= EI Z(2 − Z);
2m
ri
l’integrale di sovrapposizione:
SZ =< ϕi | ϕj >= e−Zρ [1 + Zρ +1 /3 Z2 ρ2 ];
l’integrale di Coulomb:
CZ =< ϕi |
e2
2
e2
[1 − e−2Zρ (1 + Zρ)] = EI [1 − e−2Zρ (1 + Zρ)];
| ϕi >=
rj
a0 ρ
ρ
l’integrale di risonanza:
AZ =< ϕi |
e2
e2 Z
| ϕj >=
[1 + Zρ]e−Zρ = EI 2Z[1 + Zρ]e−Zρ ;
ri
a0
gli elementi di matrice diagonali di H:
HZ =< ϕi | H | ϕi >= −EZ +
e2
− CZ = EI
R
2
Z(Z − 2) + e−2Zρ (1 + Zρ) ;
ρ
gli elementi di matrice non diagonali di H:
0
2
HZ =< ϕi | H | ϕj >= (Z − 2)AZ + ( − Z2 )EI SZ =
ρ
2
2
2 2
−Zρ
−Zρ
1
= EI 2Z(Z − 2)[1 + Zρ]e
+
−Z e
[1 + Zρ + /3 Z ρ ] .
ρ
Nello stato fondamentale i coefficienti c1 e c2 risultano nuovamente uguali, per ragioni di simmetria;
quindi l’energia puó essere espressa come
0
< H >=
(< ϕ1 | + < ϕ2 |)H(| ϕ1 > + | ϕ2 >)
HZ + H Z
=
.
(< ϕ1 | + < ϕ2 |)(| ϕ1 > + | ϕ2 >)
1 + SZ
A questo punto si tratta di minimizzare questo valore rispetto al parametro Z fissata una certa
distanza ρ tra i due protoni. Il grafico seguente mostra il valore Z0 di Z per cui l’energia risulta
stazionaria calcolato per vari valori di ρ.
9
Z0
2
1.8
1.6
1.4
1.2
1
2
3
4
5
6
L’andamento mostrato dal grafico è consistente con i motivi per cui abbiamo introdotto la correzion:
infatti per ρ → 0 il valore di Z0 tende effettivamente a 2 come dovrebbe, mentre quando ρ > 5a0
abbiamo Z0 ≈ 1 e quindi il sistema assume la configurazione di due orbitali 1s d’idrogeno separati.
10
7
ρ
4
Appendice
Gli integrali svolti nella terza sezione sono stati risolti passando ad un sistema di coordinate ellittiche
che semplifica grandemente la computazione permettendo di integrare separatamente le variabili
adottate. In questo sistema un punto normalmente identificato dalle distanze r1 ed r2 rispetto a due
punti P1 e P2 distanti R tra loro, viene invece caratterizzato con le variabili
µ=
r1 + r2
,
R
r1 − r2
R
oltre all’angolo φ misurato attorno all’asse P1 P2 . Le nuove coordinate variano come segue: 1 < µ <
∞, −1 < ν < +1, 0 < φ < 2π. Per poter svolgere correttamente gli integrali dobbiamo ancora
esprimere l’elemento di volume rispetto a µ, ν e φ. A questo scopo calcoliamo lo Jacobiano della
trasformazione, tenendo presente le relazioni tra i due sistemi di coordinate


µx
µy
µz + νR/2
1
R 2
1
−νx
−νy
−νz − µR/2  =
Det 
(µ − ν 2 )
J=
(r1 r2 )2
(r1 r2 )2 2
2
2
2
2
−y/(x + y ) x/(x + y )
0
ν=
4r1 r2
otteniamo J = 3 82 2 , quindi in definitiva d~r = 3 82 2 dµdνdφ.
R2
R (µ −ν )
R (µ −ν )
Adoperando questo cambio di variabili tutti gli integrali trattati possono essere risolti facilmente
per parti o rifacendosi alla funzione speciale Γ di Eulero.
Per i calcoli con il parametro aggiuntivo Z é utile ricordare che l’impulso p2 puó essere riscritto come
ora poichè (µ2 − ν 2 ) =
p2 =
L2
+ p2r
r2
∂
∂
dove abbiamo definito l’impulso radiale p2r = h̄2 r12 ∂r
r2 ∂r
, mentre l’operatore momento angolare L2 dà risultato nullo quando opera sugli orbitali a simmetria sferica che interessano in questa
trattazione.
11