UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET
ASSOCIATION INTERNATIONALE SANS BUT LUCRATIF BRUXELLES – BELGIQUE
THÈSE FINALE EN «MUSICOTHÉRAPIE»
DAR VOCE AL DOLORE
Ana Spasić
Matricule 2023
Bruxelles - 2008
ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES
ANA SPASIĆ – SST IN MUSICOTERAPIA - TERZO ANNO A.A. 2007 - 2008
Indice dei contenuti
1. Premessa ............................................................................. 4
2. Il dolore ................................................................................ 8
2.1 Definizione .......................................................................... 9
2.2 Il dolore passato, presente e futuro .................................... 10
2.2.1 Nel passato................................................................. 10
2.2.2 Nel presente ............................................................... 12
2.2.3 Nel futuro .................................................................... 13
2.2.4 Percorso etimologico del termine............................... 16
2.3 Fisiopatologia - Le vie del dolore ......................................... 18
2.3.1 Il sistema nocicettivo periferico .................................... 18
2.3.2 Le vie della sensibilità dolorifica nel SNC .................... 20
2.4 Le teorie sul dolore ............................................................. 23
2.4.1 Le teorie della specificità............................................. 24
2.4.2 Le teorie di modello..................................................... 24
2.4.3 La teoria del controllo del cancello.............................. 25
2.4.4 La teoria dei recettori oppioidi..................................... 26
2.5 Tipi di dolore ....................................................................... 27
2.6 Le diverse dimensioni del dolore ........................................ 30
2.7 Dolore e fattori demografici................................................. 36
2.8 L’accertamento e la misurazione del dolore ....................... 38
2.9 Trattamento del dolore......................................................... 45
2.9.1 Il trattamento farmacologico........................................ 45
2.9.2 Il trattamento non farmacologico................................. 48
3. Le emozioni .................................................................................. 55
3.1 Definizione e multidimensionalità dell’emozione .................. 55
3.2 Principali teorie sulle emozioni ............................................ 60
3.3 Distinzioni concettuali e terminologiche emotive ................. 75
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3.4 Manifestazioni e comunicazioni delle emozioni ................... 78
3.5 Semantica delle emozioni.................................................... 83
3.6 Risultati degli studi sulla risposta emozionale alla musica... 89
3.7 Meccanismi d’attivazione delle emozioni musicalmente indotte ... 92
4. Epidemiologia ...................................................................... 104
5. Esperienza lavorativa = Project Work................................ 106
5.1 Introduzione ........................................................................ 106
5.2 Prospettive aperte e obiettivi sostenibili............................... 109
5.3 Rassegna della letteratura scientifica .................................. 111
5.4 Metodologia di intervento musicale...................................... 115
5.4.1 Panoramica sulla “MusicMedicine” ........................... 121
5.4.2 Ritmicità psicologica e la Musica in Medicina ........... 126
5.4.3 Principio di “entrainment” .......................................... 129
5.4.4 Musica come fattore dell’inibizione algica ................. 133
5.4.5 Strumento musicale/somministrazione del canto… .. 135
5.5 Frequenza degli incontri e setting ........................................ 139
5.6 Criteri di conduzione individuale .......................................... 140
5.7 Contenuti musicali ............................................................... 142
5.8 Valutazione.......................................................................... 148
ƒ
Valutazione iniziale ................................................ 148
ƒ
Valutazione intermedia........................................... 152
5.9 Partecipanti agli incontri....................................................... 153
6. Conclusioni ......................................................................... 166
6.1 Conclusioni della mia osservazione .................................... 166
6.2 Conclusioni generali ........................................................ 169
7. Riferimenti bibliografici ...................................................... 170
8. Sitografia ............................................................................. 174
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1 Premessa
Un infermiere professionale, in qualsiasi branca clinica egli operi, spesso
ha a che fare con la sofferenza umana e il dolore fisico che può sconfinare e
confondersi con il dolore psichico; ai quali, altresì, si potrebbe associare il
disagio spirituale. Proprio per questo motivo, a nessuna persona così
strettamente a contatto con la sofferenza umana può sfuggire il pensiero, per
quanto a volte possa sembrare difficile o persino impossibile di trovare una
soluzione per svolgere il proprio lavoro, di applicare la propria conoscenza
tecnica (per quanto essa sia raffinata, perfezionata o portata agli estremi della
possibilità umana), senza ricorrere ai soliti stratagemmi e sistemi di ritenzione
e/o aggressione fisica traumatizzanti verso la persona. Come se la paura
stessa di star male venisse fomentata e amplificata dall’atteggiamento del
personale sanitario. Ci sono diverse situazioni nelle quali per cercare di
prevenire che il paziente muovendosi arrecasse a se stesso un danno fisico,
useremmo mezzi di contenzione di vario tipo. Gli atteggiamenti di questo tipo, in
sostanza, sono frequenti all’interno degli ospedali e il dilemma morale è causa
di tante preoccupazioni per chi da poco si è inserito nel mondo clinico, per poi
essere sommerso dalla routine e dall’assuefazione a questa specie di dolore
morale professionale. Esso viene taciuto ufficialmente o comunemente
accettato come qualcosa di ordinario poiché atteggiamenti di questo tipo
vengono legalizzati facendo firmare dai familiari la scheda adozione mezzi di
prevenzione/contenzione.
La stessa afflizione d’animo io ho trovato e sto trovando nelle mie ore di
lavoro clinico, e proprio questo project work deriva dalla ferita morale e
personale infermieristica dalla quale, naturalmente, è nato il bisogno di cercare
di superare la maggior parte di questi momenti oltrepassando “la norma” nel
modo di trattare e applicare la terapia. In questo caso, in questo modo, il
presidio musicale ed artistico (il canto, la recitazione, la recita et similia quando
e quanto basta) diventa una vera e propria alleanza nella via e nella gestione
del dolore di ogni genere e sorta. Mi sembra in tali momenti che sia la musica a
prendersi cura della persona (abitualmente chiamato paziente, utente o cliente),
a darmi forza interiore e che io stessa diventi uno strumento, veicolata dal
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suono stesso: la buona tecnica e la preparazione infermieristica, invece, le
percepisco come necessarie ma non bastanti e quindi solo dei complementi ad
un senso più ampio, quello di prendersi cura del prossimo nella totalità senza
nuocere.
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Le immagini di un dolore spezzato
Nel corso dell’esperienza canto-infermieristica degli ultimi mesi in me improvvisamente scaturì
in mente una serie di vivide immagini della mia, probabilmente prima, esperienza del dolore acuto.
Rendendomi conto che la mia odierna pratica clinica non è altro che la giusta conseguenza del germe di
un pensiero seminato, all’incirca, ventisette anni fa, in questa sede cercherei diesporvi il suo contenuto.
Il dolore procurato e il disagio pertinente alla tecnica infermieristica che si stava applicando su di
me, indirettamente fu suscitato dall’ago (forse, sarebbe il nesso logico che proprio in questo periodo lo
fece riportare alla luce del momento presente) che aveva un preciso scopo, a me allora ignoto e che
nessuno cercò di farmi capire, di cucire la grossa abrasione sulla zona frontale destra del mio capo. La
ferita, invece, derivò da un mio illogico tentativo nell’asilo di prendere la palla, che con un calcio fu
intrappolata in mezzo alle sbarre di un termosifone, con la testa. I suoi segni cutanei sono ancora oggi
visibili. La presa in considerazione che ero ancora nel nido, magari potrà giustificare un pensiero cosi
irrazionale che io ricordo vividamente. E quando, dopo un po’ di tentativi di forza, decisi di rinunciare a
questa insolita impresa prendendo, alla fine, la palla in modo “tradizionale”, girandomi verso i compagni
notai che improvvisamente questi sospendevano i loro giochi, da prima pietrificandosi per poi irrompere in
forte pianto. Provai una sensazione di spavento e il mio pensiero, allora, si sforzò di capire le loro ragioni
di fissarmi con gli sguardi reagendo in quel modo, ma invano fu il mio tentativo perché non sentendo
nessun dolore e non potendo vedermi dei fiotti di sangue sul volto, non potei constatare nulla di strano.
Poi, la memoria delle immagini e di vaghi ricordi dei pensieri si spezza, e per cui percorrendole mi rendo
conto che sono come un rullino che fissa in se solo i momenti “scattati” per aiutarci un giorno a ripristinare
i ricordi, le sensazioni ed eventuali pensieri di un tempo “diviso”,”in pezzi” e oramai lontano. Riesco a
vedere la maestra dell’asilo mentre lasciava cadere giù le lacrime, ma anche lì non capisco il motivo di
questa sua reazione. In prossimità di un pensiero cosi vivo riesco a rivivere la situazione dove ci avevano
messo tutti allo stesso modo, seduti per terra con la schiena appoggiata contro l’armadio lungo la sua
parete oppure era il muro, creando una fila di “burattini”: fatti muti e immobili. A questa scena si sussegue
un’altra con le facce dei miei genitori che sulla porta parlavano con la maestra che era evidentemente
preoccupata per qualcosa, si vedeva dal volto: a quei tempi, forse, questa immagine non mi era del tutto
chiara come oggi, ma mi colpiva la sua espressione diversa dal solito.
Segue ancora un buco mnestico per arrivare al momento di cui sto per raccontare gli eventi e dai
quali un intero percorso di vita implicitamente ha tratto la sua direzione e le conclusioni. I risultati di
questa elaborazione mentale inconscia ed inoltrata sarebbero l’oggetto della mia “innovativa”, magari
“spavalda” (usando il termine delle mie colleghe seguaci e aderenti alla convenzione) pratica clinica nel
prelievo di sangue.
In questa specie di cronologia delle immagini spezzate, nell’immagine che viene dopo, vedo una
parete di vetro a sinistra dal letto dove ero coricata; paragonandola alla mia percezione odierna forse era
un lettino. Dall’altra parte della vetrata stavano in piedi delle persone “grandi” che come in uno
spettacolo stavano osservando la scena che si stava svolgendo all’interno. Mi si avvicinò con un
congelato sorriso, dal di sopra e davanti, un’infermiera cercando di trasmettermi l’idea di benevolenza,
ma bloccandomi con il suo corpo ed avvicinandomi l’ago vicino alla faccia. Indi, subito mi misi ad
insultarla: “Lasciami stare, tu non sei normale…”; ripetendolo svariate volte a squarciagola che ancora la
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mia memoria uditiva ne subisce delle torture solo cosi ricordandomi, ma non saprei raccontare come si
sentirono le orecchie dell’ infermiera. Potrebbe essere stata nulla di meno che una forma musicoterapica,
1
come il primo “ahi” dell’uomo primordiale, come una specie di Urschrei ovvero urlo primitivo ; sennò era
l’unica affilata arma che cosi impedita mi rimase per cercare di aguzzare le sue orecchie per comunicarle
qualcosa di forte nel tentativo di fermarla.
In seguito, riesaminando e riassumendo i significati dei miei ricordi chiesi a mia madre di dirmi
l’esatta età che ebbi in quel momento e le precise parole degli insulti che scatenai contro gli infermieri:
una che mi stava contenendo con forza e l’altra che cercando di sorridermi in faccia continuava a
ripetermi: “Stai tranquilla, non ti farò del male!”
Per quanto riferito da mia madre avevo tre anni di età e il contenuto delle mie parole, per le quali
loro dietro il vetro arrossivano di fronte agli altri genitori era:
- Tu sei pazza, questo fa male!
Nessuno aveva provato a trattarmi da homo sapiens, essere in grado di pensare, parlare,
elaborare una serie di cognizioni, cercando di prepararmi per quello che si faceva in seguito. Io non
sapevo nemmeno di avere una ferita alla fronte che doveva essere suturata. L’unica informazione che mi
fu consegnata era completamente erronea, “quello che faccio non ti procurerà del dolore” e ricorrere ai
mezzi contenitivi di una collega nel mio intimo procurò un senso di molestia. In effetti, non è il dolore fisico
che mi permane in mente, quello l’avevo probabilmente soppresso (“chiuso al cancello“) con le urla, ma le
immagini di corpi delle persone vestite in bianco che si porgevano verso di me invadendo tutto il mio
spazio visivo, per non so quale ragione.
Deve essere stata una specie di evoluzione interna alla personalità di scegliermi nella vita
proprio quel “mestiere mostruoso”,
abbracciarlo, invece di evitarlo, ed una volta averlo
compreso, con la musica, stravolgere il suo significato; trasformando tutto ciò che in esso
potrebbe minacciare e/o invadere l’integrità del prossimo.
1
Primal Therapy, a volte erroneamente chiamata Primal Scream Therapy, è stata ideata da
Arthur Janov, PhD. InThe Primal Scream (uno dei suoi 12 libri) del 1970, Janov sostiene che
nella Primal Therapy, i pazienti possono trovare i propri bisogni e le emozioni reali nel processo
di sperimentazione dei tutti i loro “dolori”.
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2 Il dolore
From: René Descartes.
From: René Descartes.
Renatus Des Cartes de homine. Lvgdvni Batavorvm:
L'homme de Rene Descartes. Paris:
Petrvm Leffen & Fransciscvm Moyardvm, 1662
Charles Angot, 1664
Cartesio riteneva che i nervi, che immaginava come corde che muovono le
campane,
poiché sono stati tagliati, entrino in agitazione e quindi possano fare suonare
le loro campane.
[René Descartes, nel 1644]
Si tratta di un esperienza multidimensionale altamente soggettiva, che
consiste non solo negli stimoli fisici bensì nell’interpretazione psicologica del
dolore. Svolge un’importante funzione di protezione funzionando come un
segnale d’allarme azionato dal nostro sistema di vigilanza. Può stimolare la
persona a immobilizzarsi o a fuggire,2 a evitare o a proteggersi. Potrebbe
essere considerato un meccanismo che presiede alla sopravvivenza e che
spinge al ripristino dell’equilibrio.3
2
Fight-or-flight response noto anche come acute stress response (la risposta allo stress acuto),
per la prima volta fu descritta nel 1927 da Walter Cannon. La sua teoria sostiene che gli animali
reagiscono ai trattamenti con le generali scariche del sistema nervoso simpatico, che preparano
l’animale a combattere o a fuggire. In seguito, questa risposta è stata riconosciuta come il primo
stadio dell’adattamento generale che regola le reazioni allo stress dei vertebrati e degli altri
organismi.
3
S. Minuzzo, Nursing del dolore, Carocci Faber, Roma. pg. 28.
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2.1 Definizione
Il dolore a tutt’oggi rimane uno dei fenomeni naturali senza una
definizione da considerare veramente scientificamente soddisfacente e
completa. L’Associazione internazionale per lo studio del dolore (IASP International Association for the Study of Pain, 1975) definisce tale sintomo come
”un’esperienza spiacevole, sensoriale ed emotiva, associata a un danno
tessutale reale e potenziale a carico di un tessuto o che viene descritta in
termini di tale danno”. Si aggiunge, inoltre, che l’incapacità del soggetto di
comunicare verbalmente non nega la possibilità che stia provando dolore e che
ha bisogno di un trattamento che gli procuri sollievo (IASP 2002).
La semeiotica4 classica definisce il dolore come un sintomo, il più
soggettivo tra i sintomi, il più influenzato, mediato, ingigantito o ridotto da infinite
variabili psichiche, personali, culturali, sociali e ambientali.
Nell’occidente, tra i tentativi di spiegare il (“togliere le pieghe” al) dolore
partendo dalle lontane prove nel tempo, troviamo:
“Un emozione opposta al piacere” (Aristotele)
“Un campanello d’allarme che avverte l’anima di un pericolo imminente”
(Cartesio nel ‘600)
“Il male”, (Milton, causato dal peccato originale).
“Uno stato di necessità” (Wall).
“L’avvenuta presa di coscienza di un messaggio nocicettivo” (Tiengo).
4
Semeiotica (Dal gr. Sēmeiōtiké (tékhnē) “arte diagnostica”) disciplina medica che si occupa del rilievo
e della valutazione dei sintomi diagnostici.
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2.2 Il dolore passato, presente e futuro
Il significato del dolore, della sofferenza, della malattia e della morte
mutano nel tempo.
2.2.1
Nel passato
Nell’antichità il dolore, la morte e la malattia erano interpretate come
la
dimostrazione
dell’intrusione
nella
vita
fisica
di
qualcosa
(spirito,
maledizione…) dell’altro mondo, quindi, con la presentazione di offerte e
sacrifici si cercava di riguadagnarsi il favore degli dèi. A poco a poco i fenomeni
naturali cominciano essere razionalizzati e all’epoca di Ippocrate (V sec.A.C.),
la malattia diventa un segno di rottura dell’equilibrio tra individuo ed ambiente.
Nella cultura greca coesisterono i seguaci di due grandi correnti culturali:
- epicurei: ogni piacere deve essere goduto, ogni dolore respinto.
- stoici: sopporta e rimani impassibile.
Con il diffondersi del cristianesimo cominciano ad affermarsi nuove
concezioni del dolore: un disordine creato dall’uomo rispetto all’ordine stabilito
da Dio. Il dolore viene inviato da Dio per mettere alla prova lo spirito, indi, il
dolore diventa un possibile mezzo di redenzione, come lo è stato per Gesù
Cristo. Per questa ragione il dolore veniva accettato e sopportato con
rassegnazione.
Dopo l’anno mille, con la nascita delle prime università, il dolore e la
malattia tornano ad essere considerati effetti di cause naturali. Nel
Rinascimento con Galileo entra in vigore il cosiddetto metodo scientifico. La
precedente metafisica viene soppiantata dalla metodologia analitica e dalle
osservazioni sperimentate e rigorosamente razionali.
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La convinzione dell’uomo nell’aldilà viene scardinata dall’illuminismo e
poi dal positivismo, e tutto ciò causerà profonde modificazioni nella visione del
dolore e il progresso dell’industria chimica da lì a poco permetterà di isolare
dalle sostanze tradizionali alcuni principi attivi, tra cui la morfina (nel 1803).
Negli ultimi decenni dell’800, viene prodotta un’altra sostanza analgesica,
ancora più efficace, la cocaina, erroneamente pensando di aver trovato la
soluzione per guarire la dipendenza che causava la morfina.
Per Freud, che fece largo uso della cocaina per combattere la
depressione e la dispepsia, la sofferenza psichica e quella psicosomatica
sarebbero il risultato di un conflitto tra le tre istanze psichiche e la psicanalisi
comincia a divenire una cura del dolore fisico e morale. Per Jung, invece, la
sofferenza sarebbe il tentativo dell’inconscio (Id) di prevalere sulla persona (Io)5.
5
Bellucci G., Tiengo M. (1996), Revisione storica dei tentativi umani di sedare il dolore.
Momento medico (edizione fuori commercio). Salerno Rey.R. (1998), Storia del dolore, Ed.
Tema.
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2.2.2
Nel presente
Un simbolo significa mettere insieme e di solito collega
materiale e spirituale, corpo ed anima. Il serpente è il simbolo di lunga
vita, ma, come la medicina, ha una doppia valenza, positiva e
negativa: è simbolico di salute e di insidia,
(3° il palo di Mosè con il serpente in
di rigenerazione e resurrezione, di astuzia e di prudenza, di dominio,
di perfidia e di tradimento; rappresenta la sequenza malattia-guarigione.
(1° e 2° la verga di Esculapio e il caduceo
mercuriale)
Nell’epoca attuale l’Organizzazione Mondiale della Sanità attraverso la
definizione scientifica riportata all’inizio di questo capitolo ci descrive il dolore
come un’esperienza sempre molto soggettiva. Non a caso, poi, l’odierna
definizione
semantica
della
parola
dolore
è
arrivata
alla
massima
indeterminatezza. Come nel termine inglese pain, che arriva a significare ogni
dolore, sofferenza o disagio, ma anche il semplice fastidio.
Si potrebbe cercare di attingere dall’ ovvero, provare a percorrere la
multidimensionalità del significato nel corso della storia umana, andare indietro
nel tempo per riprendere le matrici originarie attraverso l’etimo che sta dietro la
parola dolore, partendo dai tempi nostri come il precursore di un presente futuro
fino ad arrivare alle antiche civiltà e viceversa. L’etimo in pratica starebbe a
significare il vero, originario significato della parola stessa, la forma più antica,
documentata o ricostruita cui si possa ricostruire a ritroso la storia di una
parola6. In italiano, la lingua più vicina alla fonte che ci permane in latino, il
sostantivo dolor deriva dal dolere ovvero sentir dolore. Ancor oggi provare il
dolore vorrebbe dire percepirlo, sentirlo, assaporarlo con i sensi (esclusa la
vista). Dunque pure udirlo; la stessa ambiguità verbale del sentire e udire che la
lingua italiana ancora sta racchiudendo in sé. È a questo punto del codice
storico linguistico che per me si apre la porta per una tesi di sinergia,
complementarietà ed alleanza musicale nella via del dolore e potrebbe essere
un indizio della nuova e probabile svolta storica, tracciata già nel momento che
stiamo vivendo noi adesso.
6
Devoto Oli, “Il dizionario della lingua italiana”, Felice Le Monnier (edizione 2002-03), Firenze.
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2.2.3
Nel futuro
“Il dolore non deriva solo dagli stimoli periferici,
ma anche dall’esperienza emotiva
dell’anima,
che ha sede nel cuore”
[Platone]
Sostanzialmente
non
si
può
negare
la
presenza della musica per alleviare e trattare
il dolore dalle antiche civiltà in poi. Apollo, il dio mitologico, in effetti è ricordato
come il dio che ci donò la medicina e la musica. La lettura di una visione futura
potrebbe essere prevista dalle tracce presenti delle visioni passate.
Sembrerebbe una rinnovata coesistenza questa fusione delle arti, e delle
scienze. Un diretto e ciclico confluire verso le origini della parola mousiké (“arte
delle muse”): sotto la quale i Greci posero non soltanto l’arte dei suoni, ma tutto
un complesso di attività e di esperienze diverse comprendenti le arti sorelle (la
poesia e la danza), come pure la medicina e le pratiche magiche.7
Dalla riflessione e l’osservazione attenta sugli eventi che stiamo
percorrendo come civiltà odierna, quale possibili previsioni potremmo formulare
per i giorni a venire? Stanno le scienze, le religioni e le arti piano piano creando
l’esistenza di un triumvirato curativo? E non sta sbocciando fuori un fiore, un
fascio unico, stavolta compreso nella sua interezza e un potenziamento
sinergico nel quale ogni elemento è correlato, interdipendente? Questa
situazione odierna non sta forse celando in sé una promessa di ritorno
all’ancestrale senso di perfezione, alla trinità benefica in grado di sostituire i
problemi per cui in medicina negli ultimi tempi la scienza sembra non reggere
più da sola ed è cresciuta soprattutto attraverso la tecnologia?
La medicina occidentale (in pratica tutto lo stile di vita occidentale) è
principalmente stata fondata sul principio della funzione lineare. Tuttavia, la
7
E. Surian, Manuale di storia della musica, Rugginenti (1991), Milano. Pg. 44.
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concezione del futuro come un processo dinamico, termodinamico invece che
come stati regolari o simili, è già cominciata con la scoperta delle funzioni
matematiche non lineari delle “teorie del caos” e le funzioni matematiche non
lineari del nuovo ramo della matematica fondata da Hermann Haken e chiamata
“Synergetik”.8
La musica, quindi, si basa sulla matematica lineare e non lineare. È
accompagnata dall’ordine e dal disordine. Essa è razionale, irrazionale e
immaginativa. La musica è un processo dinamico oscillatorio ed è una delle
fondamentali potenze nello spazio e nel tempo. Nel caos del Gestaltlosigkeit9, e
nella turbolenza del disordine, essa diventa l’attrattore dell’ordine, del ritmo, del
processo dinamico, e persino influisce sulla nostra vita sociale.
La musica è un processo dinamico nello spaziotempo che a sua volta è
un processo dinamico curvato dall’energia e dalla materia che è senza limiti
nella direzione del tempo immaginato e limitata nella direzione del tempo reale.
Le malattie sono i processi dinamici disturbati nel tempo. Attraverso gli studi
della musica e il suo effetto sulla salute umana, gli scienziati sono alla ricerca
della porta d’accesso alla comprensione dei processi della malattia e i loro
sforzi sono rivolti ad ottenere l’entrata al sistema neurovegetativo, che è
considerato il centro di controllo dell’animo e del corpo umano, e ai suoi
cambiamenti adattivi nello spaziotempo. È da sottolineare che il pensiero
medico odierno è ancora fortemente influenzato dalla resistente impostazione
del pensiero lineare di Descartes, Newton e Leibnitz, nonostante stiamo
vivendo nel tempo di Hawking, Mandelbrot, Feigenbaum, Haken, Prigogine, e
nel tempo poco dopo Einstein, Planck, Gödel, Escher e Bach.
8
Spintge R. Droh Roland (1994), MusicMedicine II. Pg. 14.
9
Ted. Gestaltlosigkeit {f}, Formlosigkeit {f}, Unförmigkeit {f} (‘Informità’,’mancanza di forma’,
‘Shapelessness’)
In
una
lettera
del
1975
di
Gerhard
Richter
(Dresden
Germany
1932
vissuto e lavorato a Cologne) associa il colore grigio con Gestaltlosigkeit, ossia con la
mancanza di forma. E ha ripetuto che si considera un artista ‘informale’ i suoi lavori in grigio
riflettono la mancanza dei concetti guida della nostra era, come in pratica è composta la società
e, in connessione, con questo, dell’arte che vale di essere universalmente valida. Non di meno,
con il suo meraviglioso trattamento della pittura, il monocromatico attesta il credo persistente di
Richter nel valore della pittura.
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Il corpo e l’anima per molti secoli furono visti discernibili. Una
separazione netta tra di loro, in parte causata dall’influenza pervasiva delle idee
di René Descartes, portava il pensiero scientifico ad oggettivare il tutto, ma
l’abisso e il vuoto che si celavano in questo tipo di prospettiva sta diventando
sempre più evidente proprio nella gestione e nel trattamento del dolore. In
questo caso, e il dolore è una sindrome complessa e totalizzante, l’esperienza
sapiente da sola non può interagire con l’identità personale del curato salvo
assecondando le ragioni implicite che infliggono la sua personalità, ovvero
personalizzando il trattamento stesso. La situazione futura sembra prefigurare
l’umanità alla ricerca di veicolare la psiche e il vissuto umano, approdando alle
cause soggettive ed agendo in seguito con i principi oggettivi scientifici sulla
persona (un aspetto pluridinamico nel multidimensionale); allo stesso tempo
rispettando le sue scelte e le decisioni.
In altre parole, il nostro presente futuro sembra intravvedersi nella
comparsa e nella sempre più grande accettazione delle “nuove-vecchie”
discipline, come lo è la musicoterapia, in diversi contesti sociali fino ad
accedere all’ambito clinico. Pensiamo che solo fino a qualche decennio fa
questo sarebbe stato inimmaginabile. Solamente nel 1997 l’American Medical
Association richiamò le scuole di medicina per incrementare lo studio delle
pratiche complementari ed alternative, includendo l’uso della musica. In Italia,
invece, le scuole infermieristiche negli ultimi 3-4 anni stanno aggiungendo la
musicoterapia come la materia facoltativa; e nonostante tutto, in ambito clinico
la disciplina è ancora poco consueta rispetto alla realtà americana, australiana
e nordeuropea.
Sembra chiaro che prima che questa situazione venga divulgata ed entri
a far parte della coscienza e del senso comune della nostra società, passeremo
ancora assieme molte stagioni invernali, prima che la tiepida primavera
definitivamente ci investa di una luce della quale lungo i secoli stavamo
risentendo l’intensa e la continua nostalgia.
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2.2.4
Percorso etimologico del termine
Il termine latino “dolor” (antico comune e panromano) ha vari significati: al
pari dei suoi equivalenti attuali può indicare, dolore fisico, sofferenza, dolore
morale, pena, tormento, afflizione, dispiacere; usato come soggetto “dolor”
esprime l’emozione, la passione. Il verbo “doleo” si inscrive nella stessa logica
del sostantivo, ma usato nella forma intransitiva significa provare un dolore
fisico, soffrire, oppure essere afflitto, mentre nella forma transitiva invece viene
tradotto come deplorare. Nel tardo latino accanto a dolor, appare la forma
“dolus” il cui senso sarebbe “ricevere dei colpi, essere picchiato”. Il latino non
distingue il dolore fisico e il dolore morale, infatti per una caratteristica delle
parole primitive, che con uno stesso termine traducono l’effetto e la causa,
“dolor” può essere usato anche come soggetto.
Nel greco antico, il termine dolore si ritrova principalmente nel vocabolario
medico. Per esprimere il dolore, il greco utilizza un verbo specifico: alghyno-.
Accanto alla radice alg-, il greco ci ha fornito un altro termine per indicare le
affezioni dolorose legate a malattie: pathe-. Questa radice compare nella
designazione di sindromi, ma non si limita ad essa, si ritrova in un’ampia serie
di termini lessicali che appartengono sia al vocabolario medico (es.
anatomopatologia), che a quello relativo a vissuti affettivi (simpatia, empatia
ecc). La caratteristica sta nel fatto che i termini derivanti da questa radice hanno
il carattere passivo di ciò che si è provato, rispetto alle parole derivanti dalla
radice (algos), che esprimono più una sensazione.
La lingua francese ci mostra come in un primo tempo, dal X al XVI secolo,
sostantivi derivati dalla radice latina dolor, costruiti sul termine douleur,
richiamano più il significato di affettività che quello di sensazione per la quale è
impiegato doloison. Con il rinascimento, il termine douleur riprende una
dimensione sensoriale e corporea e sempre in questo periodo si afferma ed
evolve il termine souffrance, che in un primo tempo viene tradotto con l’idea di
resistenza, assumendo poi il significato di soffrire da un punto di vista fisico e
morale.
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L’etimologia dei termini tedeschi schmerzen e pein ci riconduce alle fonti
latine: schmerzen avrebbe come radice latina ‘mordere’ che trova il suo
corrispettivo greco nel termine odyn. Il termine pein è sinonimo di schmerz. La
sua radice si ritrova nell’aggettivo peinlich, che inoltre significa ‘doloroso,
penoso’. La parola pein richiama subito alla mente il vocabolo inglese pain, che
ha come origine latina poena, che significa ‘castigo’. Questo ci indica come
originariamente il dolore si confonde con la sensazione di colpa. L’antichità
quindi, ci tramanda una nozione di dolore associata all’idea di punizione. Alcuni
testi stabiliscono una corrispondenza tra i termini latini algeo algus e i termini
greci algheo-algos interpretando una evoluzione dall'idea di freddo a quella di
dolore. 10
10
Giovanni Spiga e Alessio Giampà, Il dolore tra scienza e arte medica. PSYCHOMEDIA
Telematic Review.
17
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2.3
Fisiopatologia - le vie del dolore
“L’opinione comune, che vuole le ferite inevitabilmente associate al dolore
e che più grande è la ferita peggiore è il dolore, non era sostenuta da
osservazioni fatte il più acutamente possibile nella zona di combattimento…non c’è
alcuna relazione semplice o diretta tra la ferita in sé e il dolore provato.
Il dolore è in gran parte determinato da altri fattori, e in questo caso è di grande
importanza il significato della ferita. Nei soldati feriti [la risposta al danno] era
sollievo, gratitudine di essere usciti vivi dal campo di battaglia, perfino euforia;
nei civili, l’intervento chirurgico era un evento deprimente, disastroso.”
[Henry K. Beecher, 1959]11
Il dolore percepito è il risultato di un insieme di processi complessi che
possano avvenire ad opera di strutture sia periferiche (sistema nocicettivo), sia
centrali (vie ascendenti e discendenti).
2.3.1 Il sistema nocicettivo periferico
I recettori sensoriali del dolore, o nocicettori, sono dei recettori sensibili
preferenzialmente a stimoli nocivi, o a stimoli che potrebbero diventare nocivi,
se protratti. Si presentano come le terminazioni libere presenti nei tessuti (pelle,
sottocute, muscolo, vasi sanguigni, articolazioni, visceri ed altre strutture) e gli è
deputato di rispondere a stimoli che danneggiano i tessuti stessi. Esistono
termorecettori, chemiorecettori come dei recettori meccanici che rispondono ai
cambiamenti di pressione.
A titolo di sintesi, in letteratura vengono individuate due principali vie del
dolore, una lenta e una rapida che in conseguenza stanno a identificare
l’esistenza di due tipi di dolore. Questo per quanto dimostrato dagli studi di
Ganong, 1971; Guidetti, 1976; Fields, 1988; Woolf, 1994. Si parla quindi di
11
Beecher H. K. (1959), Measurment of Subjective Responses, Oxford University Press, New
York; trad. it. in E. Tiberi (1988), Il primato delle emozioni, Giuffrè, Milano.
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dolore primario e dolore secondario, oppure del dolore immediato e del dolore
tardivo, secondo il tipo di fibre che sono state coinvolte.
I nocicettori si localizzano su due tipi di cellule nervose afferenti:
- fibre mieliniche di tipo A-delta, di piccolo diametro (2-5 μm) e a
conduzione veloce (5-30 m/s) che si attivano da stimoli meccanici e meccanicotermici, mentre sembrano insensibili agli stimoli di natura chimica. Questo tipo
di fibre sono responsabili della percezione del dolore di tipo acuto, pungente,
ben localizzato, immediatamente associato ad un danno.
- fibre amieliniche C, di diametro molto piccolo (o,3 -3,0 μm) e a lenta
conduzione (o,5-2 m/s). Vengono definiti polimodali, in quanto rispondono a
stimoli nocivi di tipo meccanico (punture e schiacciamento circoscritto), termico
(temperature superiori a 45° C e inferiori ai 12° C) e chimico. Sono responsabili
della percezione del dolore di tipo sordo, diffuso e persistente anche dopo il
danno.
- fibre mieliniche di tipo A-alfa di largo diametro, invece, non sono in
grado di segnalare la presenza di stimoli nocivi. Corrono accanto alle fibre Adelta e C e vengono eccitate da stimoli meccanici deboli quali il tocco leggero e
superficiale e la flessione dei peli (Fields, 1988).12 Tra le fibre di grande
diametro di tipo mielinico troviamo anche le fibre di tipo A-beta e L e ad essa
viene attribuita la conduzione delle sensazioni tattili; hanno una velocità di
conduzione molto più elevata confronto agli altri tipi di fibre (intorno ai 70 m/s).
La teoria del gate control si basa sull’idea che se riusciamo a stimolare le
fibre di grande diametro senza interessare le altre, viene attivata, a livello del
midollo spinale, l’inibizione delle fibre a piccolo diametro e quindi una specie di
blocco della via del dolore verso il cervello (la via ascendente).13
12
Cit. in Minuzzo S., Nursing del dolore, Carocci Faber, Roma. p. 29.
13
S. Minuzzo, Nursing del dolore, Carocci Faber, Roma. pg. 28.
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2.3.2 Le vie della sensibilità dolorifica nel sistema nervoso centrale
Tra la stimolazione dolorosa a livello tessutale e l’esperienza soggettiva
del dolore interviene una seria di eventi complessi conosciuti sotto il nome
nocicezione. Essa può essere suddivisa in 4 eventi (fasi):
- Trasduzione: è un processo chimico-fisico di depolarizzazione di
recettori nervosi periferici (di stimoli chimici, temici ecc.) e la loro conversione in
impulsi elettrici che vengono trasmessi al midollo spinale.
È stata avanzata l’ipotesi che, nel meccanismo della trasduzione, le
terminazioni di nocicettori siano attivate da mediatori o sostanze chimiche
algogene. Queste sono di diversa origine: possono provenire dal liquido
intracellulare uscendo dalle cellule danneggiate (il potassio, l’istamina,
l’acetilcolina e la serotonina); sintetizzate localmente, per via enzimatica dopo
un travaso di plasma o la migrazione di linfociti (tipo bradichinina), sintetizzate
in sede della lesione (prostaglandine, leucotrieni) e solitamente presenti negli
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essudati infiammatori.14 Gli stessi nocicettori producono delle sostanze in grado
di produrre il dolore come la sostanza P che determina vasodilatazione ed
edema, il rilasciamento dell’istamina e della serotonina.
- Trasmissione: gli impulsi raggiungono l’encefalo attraverso i nervi
sensitivi; le fibre nervose afferenti giungono nelle corna posteriori (dorsali) del
midollo spinale e da cui, attraverso i neuroni connettori, il segnale viene
trasmesso al sistema nervoso centrale, lungo le vie ascendenti e i tratti
spinotalamici.
- Modulazione: il segnale doloroso può essere modificato (amplificato o
attenuato) a vari livelli di circuito algico, sia prima sia dopo della proiezione dello
stimolo alle arie corticali specifiche, dando luogo a una varietà di possibili
risposte. Si ritiene che il controllo, in senso inibitorio o facilitatorio, del terzo
processo del circuito algico, avviene a livello delle corna posteriori del midollo
spinale, attraverso le modalità diverse. La modulazione è attivata da sostanze
endogene, degli stati emotivi, dallo stress, dai processi emotivi e dallo stesso
stimolo doloroso.15
- Percezione: è il meccanismo, ancora poco chiaro, attraverso il quale
viene percepito lo stimolo doloroso, mediato da una serie di fattori fisici o
psicologici (lo stress, la paura, il condizionamento, la suggestione ecc) tali da
renderlo un’esperienza estremamente variabile da individuo a individuo. Tuttora
esistono numerose incertezze sui meccanismi di elaborazione corticale dei
messaggi dolorosi e non si può escludere che esistono le loro diverse e
parallele
elaborazioni
corticali.
Studi
sperimentali
hanno
confermato
l’importanza della corteccia somatosensitiva nella nocicezione. Quando il
messaggio doloroso arriva a questo livello, si ha la chiara e precisa percezione
del dolore e la capacità di discriminarne la localizzazione, l’intesità e la natura.16
14
Kandel, Schwartz, Jessel (1994), Principi di neuroscienze, Ambrosiana, Milano.
15
Dossier inFad, Dolore postoperatorio nell’adulto, 2006, Ed. Zadig. Milano. pg. 1.
16
S. Minuzzo, Nursing del dolore, Carocci Faber, Roma. pg. 42.
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2.4
Le teorie sul dolore
“Secondo la tradizione, ad ogni essere umano sono affidati tre Angeli Custodi. Il
primo domina la sfera spirituale, il secondo influenza l’aspetto morale, la mente, le
nostre emozioni ed i nostri sentimenti; il terzo estende il proprio influsso sul piano
fisico, la salute, e le nostre azioni quotidiane. L’operato di questi tre Angeli non è così
rigorosamente suddiviso, ma soltanto i valori espressi all’unisono dai tre Angeli sono in
grado di integrarlo e valorizzarlo perfettamente.”
Come già accentato in precedenza, da un momento storico in poi si
è aperta la porta ad una concezione oggettiva, osservabile, discernibile
della natura umana, creandosi un netto divario tra l’anima e corpo, la
netta separazione tra i sistemi, meccanismi, organi del corpo dell’ essere
umano. L’enfasi viene posta sulla natura meccanicistica nelle ricerche e
nel pensiero sul dolore visto come un sintomo ignorando i fattori psichici
in quanto distinti dal dolore “reale”. Di conseguenza si cercavano le cause
dirette, escludendo ogni pensiero sulla possibilità di modulazione tra lo
stimolo e la risposta (la causa e l’effetto). L’egemonia filosofica di Cartesio e
le teorie della specificità ricalcate dalle sue orme in seguito e soprattutto nel XIX
sec., sarà infranta dal lavoro di Ronaldo Melzack e Patrick Wall e la loro teoria
del controllo del cancello (Gate Control Theory)17 secondo quale l’esperienza
del dolore coinvolge tre dimensioni della persona. Di conseguenza, dagli anni
sessanta del secolo scorso, comincia augurarsi ed avviarsi un nuovo punto di
vista. Il riduzionismo scaturito dalla rigorosità scientifica che ha regnato per
secoli comincerà a prendere una nuova piega aprendosi e spiegandosi in una
visone medica sempre più olistica.
17
Melzack R., Wall P.D. (1965), Pain mechanisms: a new theory. Science. 19;150(3699):971-9.
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2.4.1 Le teorie della specificità
Le teorie della specificità affermavano che la causa del dolore era
lineare, il danno o la lesione erano direttamente equivalenti al dolore percepito
e i fattori psicologici in conseguenza venivano ignorati (già proposta nel III sec
a.C. da Epicuro). I dolori che non rientravano in questo modello non venivano
valutati reali e i malati cronici di conseguenza erano considerati malati
psichiatrici.
Le moderne teorie della specificità ebbero il loro massimo sviluppo tra la
metà dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. L’incredibile intuito scientifico
cartesiano e la sua illustrazione delle vie afferenti del dolore nei testi furono
confermate da Müller, nel suo Physiologie des Menschen del 1840,
successivamente sviluppata da von Frey (nel 1894) in una più completa teoria
della specificità del dolore (parlava dei recettori sensoriali per il tatto, caldo, il
freddo,
il
dolore…).
L’estensione
di
questa
prospettiva
porterà
all’individualizzazione delle fibre per il dolore: le fibre A-delta e C, seguita dalla
identificazione del tratto spinotalamico, che comincia essere considerato la “via
del dolore”.
2.4.2 Le teorie di modello
La debolezza del modello di von Frey fu resa evidente da Goldscheider
alla fine del XIX secolo che pur riconoscendo alcune sue scoperte si concentrò
sul pensare a una qualche forma di processo centrale di sommazione degli
stimoli sensoriali e dolorosi a livello delle corna posteriori del midollo. Con
questa teoria si tentò a spiegare alcune situazioni del dolore patologico, come il
dolore dell’arto-fantasma. Il fenomeno di sommazione finalmente sarà proposto
come modello nel 1943 da Livingstone e la sua estensione in seguito prevederà
che, in soggetti normali, viene instaurato un sistema di stimolo-modulazione. Il
principio si basa sul pensiero che le fibre che conducono le informazioni del
dolore (A delta e C) vengono inibite dalla contemporanea conduzione di altre
informazioni da parte delle fibre di grande diametro. Quello che viene
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trasmesso
al
sistema
nervoso
centrale
è
il
risultato
dell’equilibrio
(“competizione”) dell’attività dei due gruppi di fibre.18
2.4.3 La teoria del controllo del cancello
Il precedente modello è stato sviluppato dalla teoria del cancello (Gate
Control Theory)19 che oltre alla dimensione fisiologica sensitivo-discriminativa
prende in considerazione altre due dimensioni stavolta psicologiche: una
cognitiva e una affettivo-motivazionale. L’aspetto cognitivo prende spunto sul
fatto che ciascuno di noi spontaneamente compie una valutazione cognitiva sul
significato della sensazione dolorosa. La terza dimensione o il processo
affettivo-motivazionale riguarda essenzialmente il significato che il soggetto, in
base ai suoi valori, credenze, convinzioni, personalità, esperienze precedenti e
in base alla particolare situazione, attribuisce alla propria esperienza di dolore.
Gate Control Theory è un tentativo di individuare tutti i fattori specifici e
individuali che sembrano influenzare in modo determinante la percezione e la
risposta al dolore. La novità assoluta di questa teoria è proprio “il cancello”
ipotizzato a livello delle corna dorsali del midollo, che funzionerebbe come un
filtro in grado di facilitare o impedire il passaggio dello stimolo doloroso e la
trasmissione del segnale al SNC.
L’apertura del cancello è determinata dal prevalere dell’attività delle fibre
a piccolo diametro (A-delta e C) su quelle a grande diametro (A-alfa e beta) la
chiusura è invece determinata dal prevalere dell’attivazione delle fibre a grande
diametro, delle vie inibitorie discendenti dai centri cerebrali superiori (situate nel
mesencefalo e nel sistema limbico) e dalla corteccia, sino al midollo spinale.
18
S. Minuzzo, Nursing del dolore Carocci Faber, Roma, pg. 51-54.
19
Melzack, R.; Wall, P. D., "Pain mechanisms. A new theory (Gate control system role in pain
mechanism, noting specificity and pattern theories)", Science, vol. 150, Issue 3699 (19 Nov.
1965), pp. 971-979.
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2.4.4 La teoria dei recettori oppioidi
L’oppio è un antichissimo rimedio algico. Il suo recente ritrovamento in
un’anfora sigillata, trasportata da una nave fenicia naufragata, è una vera
testimonianza della sua commercializzazione nel bacino Meditteraneo nei tempi
antichi. Tuttavia la civiltà umana ha dovuto aspettare l’anno 1803 prima che
Serturner da esso isolasse un analgesico attivo, noto come la morfina.
Nonostante la sua diffusione era ampia, fino agli anni sessanta del XX secolo, il
meccanismo d’azione della morfina a livello del sistema nervoso centrale non
era ben chiaro. Negli anni sessanta, a opera di Hughes e Kosterlitz, sono stati
per la prima volta isolati gli oppioidi endogeni e i recettori oppioidi. I loro studi
furono condotti prima sugli animali e poi sull’uomo. Si tratta di una teoria
biochimica della percezione e della modulazione del dolore (Summers, 2000).
Gli oppiacei, dopo il riconoscimento del proprio recettore specifico, si
legano ad esso producendo una serie di risposte biologiche. Oltre all’analgesia,
essi inducono anche una serie di azioni biologiche non desiderate come la
depressione respiratoria, letargia, sedazione, allucinazioni, diminuzione della
temperatura corporea e intestinale ecc.
Gli oppioidi endogeni sono sostanze endogene morfino-simili sintetizzate
dal cervello in grado di agire con i recettori oppioidi specifici. Di fatto hanno
un’azione farmacologia simile a quella della morfina. La più conosciuta tra gli
oppioidi endogeni è sicuramente l’endorfina che viene rilasciata nel torrente
sanguigno dalla ipofisi.
La teoria dei recettori oppioidi rispetto ad una interdipendenza
psicologica pervenutaci da Beecher (citato al punto 2.3.), sull’esperienza di
dolore dei soldati americani al fronte, di proposito ci fornisce delle spiegazioni
complementari rispetto al nudo correlato fisiologico.
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2.5
Tipi di dolore
“Di due dolori che appaiono insieme non nello stesso punto quello più veemente oscura
l’altro.”
[Ippocrate “Scritti scelti”]
Non esistono due individui che reagiscono al dolore allo stesso modo e
perciò attualmente il dolore non è più considerato una manifestazione
unifattoriale, ma una complessa esperienza multidimensionale. Nonostante le
descrizioni della persona variano da quella di un’altra sottoposta a stimoli
dolorosi simili, tuttavia, ci sono alcune caratteristiche sensoriali comuni nella
localizzazione, nella durata e nella qualità (la dimensione fisiologico-sensoriale),
quando si provano tipi simili del dolore.
A seconda della sede il dolore può essere:
-
superficiale è quello che colpisce la cute, il più studiato ed è
solitamente acuto, pungente, immediato, ben distinto, circoscritto. Il paziente è
in grado di riferire con precisione la sua localizzazione, mentre in esso le
reazioni emozionali e i segni vegetativi sono generalmente assenti.
-
profondo
è
quello
che
interessa
le
strutture
profonde
(muscoloscheletriche e i visceri). Si presenta in modo diverso, raramente è così
acuto e ben localizzato come dolore superficiale; è relativamente sordo e
generalmente la sua insorgenza è graduale. Può essere crampiforme,
costrittivo, lacerante, urente, gravativo, pulsante. In questo tipo la reazione
personale generalmente si esprime meglio nell’immobilizzazione piuttosto che
la fuga dell’altro caso, per prevenire ulteriori danni.
Esiste un altro tipo di dolore che dai precedenti due si distingue perché
accompagnato dalle reazione neurovegetative: nausea, vomito, sudorazione,
alterazione della frequenza cardiaca. Spesso il dolore viscerale può essere
trasferito ossia percepito anche dalle aree diversi dalla sede dell’organo colpito.
Questo fenomeno viene chiamato il dolore riferito.
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Rispetto alla modalità di insorgenza, all’intensità e alla durata è possibile
distinguere tra:
- dolore acuto viene considerato un dolore “utile”, un’importante segnale
di presenza di una lesione. Dura un breve periodo e il paziente si aspetta che
non sia a lungo termine.
Lo stato emozionale che caratterizza questo tipo di dolore, nel caso di un
dolore acuto e intenso, è la presenza d’ansia, ma man mano che l’intensità
cresce, tende a diventare lo spavento, la paura, l’angoscia. A volte possono
essere attivati le risposte di combattimento e fuga o potrebbe causare dei
cambiamenti psicologici.
- dolore cronico è un dolore che perdura per lunghi periodi ed esiste
senza una patologia desumibile. Il tempo che viene considerato a partire dal
quale il dolore comincia essere considerato cronico, secondo molti esperti, è
assolutamente arbitrario. Spesso troviamo indicato seguenti linee divisorie 6
settimane, tre mesi oppure 6 mesi. In ogni modo “dura più di un normale tempo
di guarigione previsto e si protrae oltre il normale decorso della malattia” (come
ci afferma la definizione della IASP).
È considerato un dolore “inutile”, perché spesso non è segno di un danno
incombente. Ed è tendenzialmente irrisolvibile con le conseguenti associazioni
di sentimenti di rassegnazione, sconforto, ansia, depressione e senso di
impotenza.
Nell’aggiornamento FAD per gli infermieri, secondo la patogenesi, il
dolore cronico viene considerato come la particolare mescolanza di tre
principali categorie di dolore:
•
dolore nocicettivo, a sua volta diviso in dolore muscolare e dolore
meccanico compressivo (o lo stiramento).
•
dolore neuropatico: causato da un danno o una disfunzione del
sistema nervoso centrale o periferico (ad es. sciatalgia da compressione di
nervi, neuropatia diabetica).
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•
dolore idiopatico (psicogeno o la sofferenza psicologica): di origine
non nota, l’intensità e la durata non corrispondono ad una motivazione
organica.20
20
Dossier in Fad, Dolore cronico, 2007, Zadig, Milano. pg. 2,3.
29
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2.6
Le diverse dimensioni del dolore
“La storia narrata tocca in chi ascolta quel nervo che corre attraverso la base del cranio giù fino
al cervelletto, appena sotto il ponte di Varolio. Allora gli impulsi degli ascoltatori sono spinti
verso la consapevolezza oppure, si dice, verso l’anima… a seconda del modo in cui ascoltano.
Antichi dissettori dicevano che il nervo degli ascoltatori si divide in due o tre vie nella profondità
del cervello. Pertanto supposero che l’orecchio potesse ascoltare a tre diversi livelli. Una
diramazione, si diceva, ascoltava le conversazioni mondane. Una seconda diramazione
apprendeva l’arte e il sapere. E la terza esisteva affinché l’anima stessa potesse ascoltare la
guida e capire il perché del passaggio sulla terra.”
[Clarissa Pinkola Estés, “Donne che corrono coi lupi”]
Il
dolore
viene
oggi
considerato
una
complessa
esperienza
multidimensionale. In esso vi è una compresenza e una stretta connessione tra
gli aspetti fisiologico-sensitivi, affettivo-motivazionali, cognitivi, culturali e
comportamentali.
La dimensione sensoriale si esprime attraverso la localizzazione,
l’intensità, la qualità, la durata e la modalità di insorgenza del dolore.
In questa sede mi occupo di apportare alcune definizioni che
inevitabilmente
vengono
utilizzate
come
i
parametri
linguistici
della
differenziazione dei diversi fenomeni comportamentali legati alla risposta alle
sensazioni dolorifiche:
La soglia del dolore rappresenta la quantità minima di stimoli richiesti
perché una persona percepisca dolore.
La tolleranza del dolore rappresenta il più alto livello di dolore che il
soggetto è in grado di tollerare.
La
dimensione
emotivo-affettiva
costituisce
la
parte
sofferta
dell’esperienza.
Nell’esperienza di ciascuno è possibile distinguere e misurare la
componente sensitiva dalla componente emotivo affettiva manifestata nel senso
di disagio, di spiacevolezza, di sgradevolezza, fino all’ansia, alla paura o
all’angoscia che possono accompagnare la sensazione dolorosa. La conferma
della presenza di un elemento emotivo accanto a quello sensitivo e facilmente
rilevabile raccogliendo il racconto dei pazienti che provano dolore. Melzack e
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Torgeson21 registrarono le parole utilizzate dai pazienti per descrivere il loro
dolore e nel 1975 ne derivò un questionario dove Melzack predispose venti
categorie di aggettivi. È conosciuto con il nome il questionario McGill. Gli
aggettivi in esso contenuti descrivono, da una parte le caratteristiche della
sensazione (prude, pulsa, tira, stringe, formicola, vibra, schiaccia, brucia…) e
dall’altra quelle dell’emozione (noioso, disturbante, spaventoso, allarmante,
terrificante…). I termini usati per descrivere la componente emotivo-affettiva
non dicono nulla sul dolore, ma rappresentano il vissuto e la sofferenza che il
soggetto sta provando.
Il dolore e la sofferenza non sono la stessa cosa. La sofferenza è
associata a eventi che mettono in pericolo l’integrità della persona il dolore è
associato a eventi che mettono in pericolo l’integrità dei tessuti. Le persone,
indi, possono soffrire senza dolore, oppure provare il dolore e non soffrire, o
ancora provare dolore e soffrire allo stesso tempo (Ferrell, 1993; IASP, 2002).22
La percezione del dolore infatti viene esacerbata dalla sofferenza. Emozioni
positive o stati d’animo come gioia, serenità e ottimismo possono invece
diminuirla. Un determinato stato emozionale, presente a priori, è in grado di
influire sulla percezione e sulla risposta al dolore fino al punto di favorire, a
volte, la sua cronicizzazione. Ci sono anche dei soggetti particolarmente
predisposti al dolore (dolore psicogeno): solitamente, si tratta dei individui con
grandi sensi di colpa, che essi riescono a mitigare attraverso il dolore. In questi
casi, il sede di dolore assume spesso un significato simbolico.23
La dimensione cognitiva e cognitivo-comportamentale riguarda i processi
mentali come percepire, ricordare, ragionare e le interazioni tra questi processi
ed il comportamento.
Il modo in cui viene valutata una determinata situazione, la valutazione
dell’evento emotigeno, la valutazione delle reazione emotive, l’insieme di
21
Melzack R. (1975), The McGill Pain Questionnaire (MPQ): Major Properties and Scoring
Methods, in Pain, 1, p. 277-99.
22
IASP (1999), A Virtual Pocket Dictionary of Pain Terms
(http://www.db.uth.tmc.edu/faculty/vlewis/Vahnspage/pain/pocket_dictionary_of_pain.htm)
23
S. Minuzzo, Nursing del dolore, Carocci Faber, Roma. pg. 64-67.
31
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pensieri ed opinioni che accompagnano l’emozione nel pensiero della
psicologia cognitiva principalmente viene suddiviso in due tipi di valutazioni:
- la valutazione primaria: esplora il grado di pertinenza e di importanza
della situazione per il benessere dell’individuo.
- la valutazione secondaria: esamina le diverse modalità con cui
l’individuo può far fronte e gestire l’emozione, strategie di coping.24
I significati e i valori che i soggetti attribuiscono al dolore e all’evento che
lo produce derivano dalle conoscenze possedute e dalle credenze personali, e
influenzano sia la percezione soggettiva, sia la risposta al dolore.
Le credenze personali di tipo pessimistico che il dolore significa sempre
un danno, che il soggetto ha uno scarso controllo sul dolore e che sarà un
elemento stabile della sua vita futura influiscono direttamente sulla disabilità,
influenzando formazione di particolari strategie di coping. Le strategie di coping
più attive vengono attivate dalle convinzioni e credenze di versante ottimistico
come il dolore non è un fenomeno duraturo o misterioso e la convinzione che
esso può essere debilito. Si tratta dell’autoefficacia ossia l’aspettativa di un
soggetto, in termini di fiducia, rispetto al esito di un’azione.
Il termine coping è stato introdotto in psicologia nel 1966 da R. S.
Lazarus con il saggio Psychological stress and the coping process.25 Nei testi di
argomento scientifico in lingua italiana compare spesso non tradotto, oppure
tradotto con le espressioni "fronteggiamento" o, più raramente, "gestione
attiva". È un concetto strettamente connesso con quello di stress, e indica
l'insieme delle strategie cognitive e comportamentali messe in atto da una
persona per fronteggiare una situazione di stress.26 Esso si riferisce sia a ciò
che un individuo fa effettivamente per affrontare una situazione difficile,
fastidiosa o dolorosa o a cui comunque non è preparato, sia al modo in cui si
adatta emotivamente a tale situazione. Nel primo caso si parla di coping attivo,
nel secondo di coping passivo. In generale il coping attivo è più efficace, dal
punto di vista dell'adattamento, quando la fonte dello stress può essere
modificata o eliminata, mentre il coping passivo lo è quando la fonte di stress
24
25
Psicologia Cognitiva (la dispensa in FAD musicoterapica), Istituto MEME, di C. Iani, p.36.
Lazarus, R.S. (1966). Psychological stress and the coping process. New York: McGraw-Hill.
26
“Lo stress risulta dallo squilibrio tra le attese del mondo e le risorse personali.” (trad. it. da
ingl.) Lazarus R.S. and S. Folkman (1984). Stress, Appraisal and Coping. New York: Springer.
32
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non è evitabile o il soggetto non ha alcuna influenza su di essa. Nella realtà, il
fronteggiamento efficace comprende sia la soluzione del problema che la
gestione dello stress. La valutazione della situazione e delle risorse a
disposizione per fronteggiare l'evento, condizione o situazione stressante,
quindi, sono di primaria importanza per comprendere la qualità emotiva e
l'intensità stessa dello stress negativo della persona.27
Keefe e collaboratori28 considerano il catastrofizzare come uno dei
predittori del dolore cronico suggerendo che questa strategia di coping,
assieme all’ansietà relazionata al dolore, contribuisce all’innalzamento della
percezione dolorosa.
Per quanto riportato negli studi dei programmi multidisciplinari di gestione
del dolore, i loro risultati dipendevano dalle rispettive risposte cognitive,
l’autoefficacia, il locus of control (luogo del controllo) e i tipi di strategie di
coping addottati dagli individui. Gli interventi basati sul modello bio-psicosociale del dolore e gli interventi di tipo cognitivo-comportamentale con i
appositi programmi multidisciplinari per la gestione del dolore si stanno
mostrando efficaci nella riduzione del distress.29 Un aspetto essenziale di questi
interventi è la riconcettualizzazione, cioè la rielaborazione del concetto di dolore
che l’operatore cerca di far compiere al paziente, fornendogli un modello di
dolore coerente con il trattamento offerto.30
Diversi studi hanno messo in evidenza che la convinzione (erronea) che
un aumento al livello dell’attività sia potenzialmente dannoso determina
associazione della disabilità al dolore.
27
La presentazione - STRATEGIE DI COPING E PROBLEM SOLVING PER UNA MIGLIORE
QUALITÀ DELLE CURE E DELL’ASSISTENZA.
http://www.cuoa.it/fc/cuoasanita/scarica/d4coping.pdf
28
Keefe F. J. et al. (2004), Psychological aspects of persistent pain: current state of the
science. J Pain. 5(4):195-211.
29
In medicina distress è lo stress suscitato dagli eventi avversi. Il suo antonimo che viene
considerato salutare perché si esibisce nel senso di appagamento, in inglese viene nominato
eustress.
30
Walsh D. A., Radcliffe J. C. (2002), Pain Beliefs and Perceived Physical Disability of Patients
with Chronic Low Back Pain, Pain, 97 (1-2):23-31.
33
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Dallo studio di Philips31, in seguito sviluppato da Vlaeyen32 si deduce che
i pazienti con dolore rischiano di imboccare una spirale discendente di
evitamento, disabilità e dolore sempre maggiori. Il modello postula che, quando
le sensazione corporee sono interpretate in modo catastrofico (dolore significa
pericolo), la paura legata al dolore aumenta, seguita da un numero di
comportamenti di sicurezza che comprendono evitamento e movimenti intesi
alla difesa/protezione.33 In altri casi, la paura associata all’esperienza di dolore
porta ad elevare il grado di attenzione (ipervigilanza) ai segnali di dolore.34
Per catastrofizzare si intende un comportamento esageratamente
negativo nei confronti di dolore, aspettarsi generalmente il peggio da una certa
situazione. Gli interventi che mirano alla riduzione o miglioramento della
catastrofizzazione, lavorano sulle variabili dell’autoefficacia (self-efficacy) e la
percezione di controllo sul dolore. Il concetto di self-efficacy si riferisce alle
valutazioni del soggetto in merito alla propria capacità di far fronte a una data
situazione (ad es. riuscire a controllare il proprio dolore). I livelli più alti di
autoefficacia risultano spesso collegati a livelli più bassi di dolore e di altri
sintomi.35 Un altro aspetto della personalità che può influire sulla percezione e
sulla risposta al dolore e il cosiddetto luogo del controllo - locus of control.36 Si
tratta in sostanza di un concetto derivante dalle teorie di apprendimento sociale.
I sistemi di attese strutturati di ciascun individuo che vengono categorizzate in
due tipologie personologiche: a controllo interno e a controllo esterno. I soggetti
con un controllo interno si giovano di informazioni specifiche e preferiscono
31
Philips H. C. et al. (1987), Avoidance behaviour and its role in sustaining chronic pain.
Behav Res Ther; 25(4):273-9.
32
Vlaeyen J. W. et al. (1995), Fear of movement/(re)injury in Chronic Low Back Pain and its
Relation to Behavioral Performance. Pain. 62(3):363-72.
33
Vlaeyen J. W., Linton S. J. (2000), Fear-avoidance and its Consequences in Chronic
Musculoskeletal Pain: a State of the Art. Pain. 85(3):317-32.
34
Arntz A., Dreessen L., Merckelback H. (1991), Attention, not Anxiety, Influences Pain. Behav
Res Ther; 29(1):41-50.
35
Keefe F. J. et al. (1997), Pain Coping Strategies that Predict Patients’ and Spouses’ Ratings
of patients’’ Self-efficasy, Pain;73(2):191-9.
36
Rotter J.B., Mulry R. C. (1965), Internal versus external control of reinforcement and decision
time. J Pers Soc Psychol. 2(4):598-604.
Rotter J.B. (1966), Generalized expectancies for internal versus external control of
reinforcement. Psychol Monogr. 80 (1):1-28.
34
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essere responsabilizzati in modo da esercitare un’influenza diretta sull’esito
dell’operazione, mentre i soggetti con un controllo esterno preferiscono
informazioni generiche e tendono a percepire gli eventi come dovuti a fattori
scarsamente controllabili dalla volontà della persona, quali il fato o la fortuna.
Nel primo caso si tratta di persone con il sistema di attribuzione dei problemi
alle proprie cause, nell’altro vi è presente la tendenza di attribuire e/o
colpevolizzare le cause esterne dalla persona.
I primi modelli di dolore vengono appresi nei primi anni di vita, mediante
l’osservazione dell’espressione, del grado e del tipo di attenzione che i familiari
riservano al dolore.37
Nel campo della psicologia comportamentista Fordyce nel 196838 creò la
distinzione tra il dolore rispondente e il dolore operante.
Inoltre è da riconoscere e comprendere il contributo della dimensione
culturale: appartenenza a una certa classe sociale e a una determinata etnia e
cultura; i valori e gli scemi comportamentali di vari contesti culturali con le
conseguenti diversità culturali nell’espressione del dolore.
37
S. Minuzzo, Nursing del dolore, Carocci Faber, Roma. pg. 72-76.
38
Fordyce W. E. et al. (1968), An application of behavior modification technique to a problem of
chronic pain. Behav Res Ther. 6(1):105-7; Some implications of learning in problems of chronic
pain. J Chronic Dis. 1968; 21(3):179-90.
35
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2.7
Dolore e fattori demografici
Sono stati svolti molti studi su quanto l’età, il sesso o il genere, la razza o
l’etnia siano in grado di influire sulla percezione e sulla risposta al dolore, ma
senza giungere a un grado di sufficiente chiarezza e i risultati di questi studi
spesso risultano contrastanti.
Il senso comune e le credenze (la scienza ingenua) a proposito
sostengono che gli anziani avvertono meno il dolore rispetto ai giovani, le
donne molto di più degli uomini che i neri tollerino il dolore meno dei bianchi.
Nonostante i risultati offerti dalla scienza sperimentata e oggettiva siano poco
univoci e definitivi in essi non sono state confermate i pensieri-credenze
comuni.
Riguardo l’età i vari studi hanno riscontrato che la differenza tra i giovani
ed anziani sarebbe nella qualità del dolore – nel senso che questi soggetti
utilizzano meno aggettivi per descrivere il loro dolore, ma non nella sua
intensità (Gagliese e Melzack, 1997). Questa situazione viene messa in
relazione alle perdite neuronali e cambiamenti degenerativi ovvero i
cambiamenti nell’integrità. Inoltre, questa ricerca riferisce che alcune delle
differenze
potrebbero
essere
dovute
anche
alle
scale
utilizzate
per
l’accertamento per quanto esse possano essere meno semplici e facilmente
manovrabili per questo tipo di utenza.
Essi hanno sperimentato anche le differenze legate all’età nell’inibizione
endogena del dolore e sembravano dare la prova all’ipotesi che i meccanismi
analgesici endogeni subissero un decremento funzionale progressivo con l’età.
La
letteratura
sulla
soglia
del
dolore
da
pressione
indotto
sperimentalmente sostiene che le differenze tra i sessi sono notevoli: le
femmine esibiscono una soglia più bassa rispetto ai maschi.39 Berkley sostiene,
invece, che le differenze tra i generi sono insignificanti e che derivano da
particolari condizioni sperimentali e dai diversi protocolli sperimentali usati.40
39
Fillingim R. B. (2000) Sex, gender, and pain: women and men really are different. Curr Rev
Pain. 4(1):24-30.
40
Berkley K. J. (1997), Sex differences in pain. Behav Brain Sci. 20(3):371-80; discussion 435513.
36
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D’altro canto, un'altra corrente di pensiero, sembra avere delle prove che
gli estrogeni modifichino la produzione di sostanze che regolano la percezione
del dolore come prostaglandine e ossido nitrico (una sostanza che è implicata
nella sensazione del dolore acuto). Inoltre gli estrogeni certamente regolano il
tono vasale e probabilmente influiscono sul controllo del sistema degli oppioidi
endogeni ovvero i controllori delle sensazioni dolorifiche. Essi concludono che
pertanto le donne in età fertile presentano probabilmente una sensibilità
dolorifica che è diversa da quella degli uomini.41
La proposta fatta da Myers42 in questo specifico campo di ricerca e di
considerare la distinzione tra sesso e genere: il termine sesso denota la
distinzione biologica tra maschio e femmina, mentre l’altro termine si riferisce
alla mascolinità e la femminilità appresi. Il ruolo del genere appreso, in fine, in
questo studio sperimentale nel 2001, viene correlato alla tolleranza, ma non alla
soglia di dolore: una più alta mascolinità viene associata alla più alta tolleranza
agli stimoli di dolore.
È probabile che i maschi e le femmine facciano l’esperienza del dolore in
modo differenziato, sviluppando diversi stili di coping.43 I maschi hanno
dimostrato un effetto benefico nel tentativo di focalizzare la sensazione che
difficilmente veniva riscontrata come un atteggiamento preferito anche dalle
donne.
Tutti gli studi ribadiscono la necessità di ulteriori ricerche.
Tra i diversi gruppi etnici o razziali, fino ad ora, le ricerche non hanno
trovato delle significative differenze biologiche. Sembra che la diversità, ove
sussiste, sia di natura culturale, e che il comportamento nei confronti e in
risposta al dolore sia appreso e non innato.
L’etnia dei pazienti può avere un impatto importante sul modo in cui gli
operatori sanitari valutano e trattano il dolore.44
41
L. A. Pini, L. Restuccia Saitta, Diamo parole al dolore, pg. 149.
42
Myers C. D. et al. (2001), Sex, gender, and blood pressure: contributions to experimental
pain report. Psychosom Med. 63(4):545-50.
43
Robinson M. E. , Riley J. L., Myers C. D., (2001), Gender role expectations of pain:
relationship to sex differences in pain. J Pain. 2(5):251-7.
44
S. Minuzzo, Nursing del dolore, Carocci Faber, Roma. pg. 83-95.
37
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2.8
L’accertamento e la misurazione del dolore
Il dolore è per definizione un sintomo soggettivo e multidimensionale e
può essere misurato solo da chi lo prova. Una misurazione basata
esclusivamente sui comportamenti o sui indici fisiologici non può essere
affidabile. Gli strumenti semplici che ci offre la letteratura sono le diverse scale
di valutazione riguardo l’intensità, la qualità e la durata del dolore:
™ Numerical rating scale (NRS);
™ Visual Analogical Scale (VAS);
™ Verbal rating scale (VRS);
™ McGill Pain Questionnaire (MPQ).
Se ne potrebbe facilmente dedurre che l’accertamento del dolore del
paziente dipenda da quanto egli stesso riesce a comunicare, sia con la parola
che con il comportamento. Nella letteratura medica si avverte che la scala di
valutazione va scelta in base alle preferenze del paziente, alla sua età, alle sue
funzioni cognitive e alla modalità di comunicazione. Inoltre, in essa si esorta a
considerare la misurazione del dolore alla stregua ai parametri vitali: frequenza
cardiaca, pressione arteriosa, temperatura, frequenza respiratoria e diuresi.
38
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La scala numerica (NRS) è costituita da una linea e una serie di numeri
(da 0 a 10, o da 0 a 100) a intervalli costanti, i gradi crescenti di intensità del
dolore. Il soggetto deve indicare il numero che corrisponde all’intensità del
dolore che percepisce. In quanto semplice da applicare questa scala è valida e
attendibile per la valutazione del dolore sia negli adulti sia negli anziani.
La scala analogico visiva (VAS) è costituita da una linea, orizzontale o
verticale, a un’estremità della quale è indicato “nessun dolore” e all’altra “il
peggior dolore possibile.” L’operatore provvede a tradurre in termini numerici la
scelta indicata con un segno trasversale alla linea dal paziente, servendosi di
un righello. Per le problematiche di deterioramento visivo con gli anziani è
preferibile l’orientamento della linea verticale (VAS-V) invece che orizzontale
(VAS-H), più utilizzato negli adulti. Questo tipo di scala è stato usato anche con
i bambini di 5 anni di età.45
La scala verbale (VRS) è una scala ordinale, prefissata spesso a 4, 5,
6, 12 e 15 categorie o aggettivi disposti in sequenza crescente (dal meno
intenso al più intenso): le varianti della Verbal Rating Scale contemplano quindi
da un minimo di 3 fino a 15 aggettivi. Il soggetto deve indicare l’aggettivo che
corrisponde alla sensazione percepita.
Gli strumenti multidimensionali (doppia VAS e McGill)
I precedenti tre tipi di scala misurano solo l’intensità, pur essendo una
dimensione saliente del dolore, sicché essi trascurano un’infinita varietà
di
qualità pertinenti al dolore. Descrivere il dolore esclusivamente in termini di
intensità sarebbe come cercare di descrivere una musica solo in termini di
vibrazione sonora: senza considerare il suo organico, la timbrica, la dinamica, il
ritmo, i rapporti tonali e tante altre dimensioni dell’esperienza uditiva.
Nel tentativo di compensare questo svantaggio la scala VAS è stata
usata per valutare, oltre all’intensità, anche la spiacevolezza, cioè il grado di
sgradevolezza, disagio e di sofferenza che accompagna la percezione del
dolore.
45
Dossier in Fad, Dolore postoperatorio nell’adulto, 2006, Zadig, Milano. pg. 2.
39
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La doppia dimensione della VAS:
a)
_______________________________________________________________
Nessun dolore
Il peggior dolore
che io possa immaginare
b)
_______________________________________________________________
Nessun fastidio
Il peggior fastidio
che io possa immaginare
L’autodescrizione: uso dei termini descrittivi
La convinzione che il linguaggio potesse offrire un mezzo di descrizione
dell'esperienza del dolore è stata presentata da Dallenbach nel 1939. Egli creò
cinque gruppi di descrizioni verbali, che rappresentavano le caratteristiche del
dolore, come la sua qualità, il decorso e le connessioni emozionali. Nel 1971,
Melzack e Torgerson continuarono questo lavoro sui termini descrittivi
aggettivali, utilizzando i propri gruppi verbali per rappresentare le diverse
caratteristiche del dolore.
Nella stesura iniziale essi inclusero 102 termini, tratti dalla letteratura sul
dolore e raggrupparono i termini in classi e sottoclassi, secondo le analogie di
significato.
Successivamente fu sfrondato il numero dei termini; in fine la selezione
dei termini descrittivi fu ritenuta in grado di rappresentare tre componenti
interconnesse ma distinte dell'esperienza del dolore: dimensione affettiva,
sensitiva e valutativa.
I gruppi di termini specifici furono inglobati in uno strumento di
misurazione del dolore, il Pain Rating Index, a sua volta incorporato nel McGill
Pain Questionnaire.
Molti medici si sono trovati d'accordo con l'uso dei termini descrittivi per
discriminare le diverse sindromi dolorose. Quanto maggiore è la loro
partecipazione all'assistenza dei pazienti affetti da dolore, tanto più essi
40
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apprezzano questa modalità di valutazione. Il grande limite di questi questionari
può risiedere nel fatto che molti degli aggettivi riportati non sono conosciuti dalla
media dei pazienti (anziani, cultura limitata, ecc.) o non rientrano nel linguaggio
comune.
Uno degli strumenti di valutazione di dolore usato più frequentemente è il
Mc Gill Pain Questionnaire (MPQ). Esso fornisce una grande quantità di
informazioni ma richiede molto più tempo per essere completato rispetto ad
altre scale. Ci sono anche versioni ridotte che consistono in 15 aggettivi
rappresentanti le dimensioni sensitive e affettive del dolore, ognuno dei quali va
da 0 (niente) a 3 (severo).
Il questionario di McGill (McGill Pain Questionnaire, o MPQ), elaborato
da Melzack nel 1975 presso l’Università McGill di Montreal (Canada), è uno
strumento multidimensionale composto da 20 categorie di aggettivi che
descrivono la qualità del dolore e fornisce tre indici di misura:
● Pain Rating Index (PRI) ossia il punteggio del dolore ossia una scala
descrittiva (Intensità del Dolore Attuale) con numeri che corrispondono ognuno
ad uno di cinque aggettivi: 1 (lieve), 2 (spiacevole), 3 (stressante), 4
(tremendo), 5 (insopportabile).
● Number Words Choice (NWC) ossia il numero di parole scelte ovvero
una seconda parte include un disegno frontale e dorsale di un corpo umano sul
quale il paziente indica la sede del suo dolore.
● Present Pain Index (PPI) la combinazione numero-parola scelta per
indicare l’intensità del dolore in quel preciso momento ossia la terza parte è un
indice di stima del dolore che si basa su una selezione di aggettivi provenienti
da venti categorie che riflettono le componenti sensoriali, affettive e cognitive
del dolore.
41
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L’MPQ è stato tradotto in molte lingue, anche in italiano da Majani e
Giorni (1984 e De Benedittis e collaboratori (1988).
Gli aggettivi descrittori del Questionario italiano del dolore
CLASSE : SENSAZIONE
Periodico
Persistente
Penetrante
Come un pugnale
Dà indolenzimento
Sordo
Pulsante
Martellante
Come un peso
Costrittivo
Come un cane che morde
Bruciante
Trafigge
Dilaniante
Mutevole
Diffuso
Fisso
Rende la parte più sensibile al tatto
Vivo
CLASSE 2: EMOZIONE
Debilitante
Snervante
Mette in agitazione
Angosciante
Dà nausea
Soffocante
Fa lamentare
Deprimente
Oppressivo
CLASSE 3: VALUTAZIONE
Noioso
Indefinbile
Preoccupante
Assillante
Insopportabile
Fastidioso
Disturbante
Invalidante
CLASSE 4: MISCELLANEA
Insistente
Acuto
Ostinato
Rode
Esasperante
Torturante
I comportamenti di dolore
Vocalizzazione
Verbalizzazione
Interrogativi
Espressioni facciali
Azioni del corpo
Attività motoria
Limitazioni funzionali
Relazioni sociali
gemiti, brontolii, pianto, sospiri, grida
imprecazioni, preghiere, frasi senza senso
Cosa mi sta succedendo? Perché proprio a me?
smorfie, stringere i denti, serrare le labbra, aggrottare la fronte,
battere in continuazione le palpebre
zoppicare, battersi, strofinarsi, massaggiarsi, proteggersi, muoversi
in continuazione, immobilizzarsi, assumere posizioni rigide o
particolari o cambiarle frequentemente
estremamente lenta
doversi sdraiare più volte al giorno e/o per lunghi periodi di
tempo; doversi fermare più volte durante la deambulazione
isolamento
42
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Forma breve del questionario McGill (traduzione italiana)
Nome del paziente _________________
Data __________________
Pulsante
0) __________
1) __________
2) __________
3) __________
Tira
0) __________
1) __________
2) __________
3) __________
Lanciante
0) __________
1) __________
2) __________
3) __________
Tagliente
0) __________
1) __________
2) __________
3) __________
Crampiforme
0) __________
1) __________
2) __________
3) __________
Rose
0) __________
1) __________
2) __________
3) __________
Scotta/Brucia
0) __________
1) __________
2) __________
3) __________
Fa male
0) __________
1) __________
2) __________
3) __________
Forte
0) __________
1) __________
2) __________
3) __________
Dà indolenzimento
0) __________
1) __________
2) __________
3) __________
Strappa/Lacera
0) __________
1) __________
2) __________
3) __________
Stancante/Spossante
0) __________
1) __________
2) __________
3) __________
Nauseante/Disgustoso
0) __________
1) __________
2) __________
3) __________
Pauroso/Spaventoso
0) __________
1) __________
2) __________
3) __________
Punisce/Crudele/Spietato
0) __________
1) __________
2) __________
3) __________
____________________________________________________________________________
Nessun
Il peggior
dolore
dolore possibile
PPI
0 Nessun dolore
__________
3 Stressante
__________
1 Leggero
__________
4 Orribile
__________
2 Fastidioso
__________
5 Straziante
__________
N.B. i termini descrittori sono stati tradotti liberalmente dall’inglese (S. Minuzzo, Nursing del dolore, p. 109)
Le misure obiettive del dolore Alcune situazioni cliniche richiedono la
valutazione delle misure oggettive fisiologiche e comportamentali del dolore. È
importante considerare che queste possono confermare le misure soggettive,
mai smentirle e che rimangono l’unica modalità possibile per i pazienti non in
grado a comunicare.
I comportamenti stereotipati negli uomini e negli animali possono essere
di due tipi:
43
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Tra le risposte verbali distinguiamo: a) la vocalizzazione: gemiti, brontolii,
pianti, sospiri, grida; b) la verbalizzazione: imprecazioni, preghiere, frasi senza
senso.
Le risposte non verbali sono costituite dalle espressioni fisiche di dolore
(del viso o del corpo).46
46
S. Minuzzo, Nursing del dolore, Carocci Faber, Zadig, Milano. pg. 97-115.
44
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2.9
Trattamento del dolore
Nella letteratura degli ultimi tempi la terapia antalgica viene sempre vista
in due rami, farmacologia e non, preferibilmente applicati in modo associativo e
in relazione ai compensi dei limiti e degli effetti collaterali prodotti dai farmaci.
2.9.1 Il trattamento farmacologico
Farmaci
Farmaci
Inducono una minor produzione di prostaglandine a
Attività
antinfiammatori
livello centrale e periferico. Possono essere utilizzati
non steroidei
negli interventi chirurgici di lieve entità o in associazione
con gli oppioidi deboli per interventi di moderata entità.
L’utilizzo dei farmaci antinfiammatori non steroidei deve
sempre tener conto dei limiti alla somministrazione nei
soggetti
con
pregresse
gastropatia,
coagulopatia,
intolleranza accertata ai farmaci antinfiammatori non
steroidei, bronchite asmatica, insufficienza renale. I
FANS non dovrebbero essere utilizzati per più di 5 giorni
consecutivi e non oltre il dosaggio consigliato.
Paracetamolo
Inibisce il rilascio delle prostaglandine a livello del
midollo spinale e influisce sui meccanismi serotoninergici
dell’inibizione spinale del dolore. Il suo effetto antalgico è
strettamente dose-dipendente, ma deve essere utilizzato
con massima attenzione nei soggetti con insufficienza
epatica e renale.
Oppioidi
Gli oppioidi gli alcaloidi dell’oppio naturali e sintetici,
mentre gli oppiacei sono gli alcaloidi naturali del oppio.
Agiscono sui recettori specifici presenti sulla membrana
del neurone (µ,κ,δ). Sono utilizzati per dolore di entità
elevata, ma non sono privi di effetti collaterali; i più
comuni
sono
la
nausea
e
vomito,
depressione
respiratoria, sedazione, prurito, allucinazioni, ritenzione
urinaria e ipotensione. Tra gli oppioidi viene usato il
tramadolo che inibisce la ricaptazione della serotonina e
della noradrenalina e si lega ai recettori µ. Le dosi di
somministrazione devono essere ridotte nei soggetti con
45
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insufficienza renale ed epatica. L’uso del tramadolo può
comportare nausea e vomito, tuttavia è possibile ridurre
l’incidenza
di
questi
effetti
collaterali
preferendo
l’infusione continua e somministrando in almeno 30
minuti il carico iniziale.
Anestetici
Bloccano i canali del sodio presenti sui nervi impedendo
locali
la propagazione dello stimolo lungo l’assone, possono
determinare ipotensione, reazioni allergiche e debolezza
muscolare; in caso di sovradosaggio possono favorire
l’insorgenza di reazioni tossiche cardiovascolari o a
carico del SNC.
Clonidina
Svolge un’azione del potenziamento degli oppioidi, oltre
a un’azione anestetica intrinseca. I possibili effetti
collaterali
sono
rappresentati
da
ipotensione
e
bradicardia, ma la loro manifestazione è rara a bassi
dosaggi.47
Spesso, per il trattamento del dolore, viene impostata una terapia con i
diversi tipi di farmaci analgesici (a dosi ridotte);
- gli antinfiammatori agiscono sul dolore somatico del trauma chirurgico e
riducono la reazione infiammatoria;
- gli oppioidi impediscono la trasmissione degli impulsi nocicettivi a livello
spinale e sovraspinale;
- gli anestetici locali impediscono la trasmissione del dolore a livello
periferico, spinale e centrale;
- gli adiuvanti aumentano l’efficacia dell’analgesia e riducono il consumo
dei farmaci e di conseguenza gli effetti collaterali.
47
Dossier in Fad, Dolore postoperatorio nell’adulto, 2006, Zadig, Milano. pg. 3-7.
46
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Gli effetti negativi del trattamento farmacologico
Alcuni principali effetti collaterali debilitanti nell’uso dei farmaci
sarebbero:
™ Nausea e vomito.
™ Stitichezza.
™ Letargia, sedazione e depressione respiratoria.
™ Allucinazioni.
™ Miocolonie e convulsioni.
™ Prurito.
™ Disforia.
™ Ritenzione urinaria.
™ Ipotensione.
™ Parestesie e debolezza.
™ Irritazione gastrointestinale.
™ Danno epatico e/o renale.
™ Aumento di tempi di coagulazione.
Inoltre, ricorrendo alla terminologia specialistica, si distinguono:
9 “effetto tetto” ovvero la caratteristica del dosaggio massimo dei farmaci;
9 dipendenza fisica insorgenza di sintomi e segni di astinenza quando
viene interrotto bruscamente il trattamento con l’oppioide o se viene
somministrato un’oppioide antagonista (la riduzione della dose avviene
quindi gradualmente);
9 dipendenza
psicologica
comportamento
da
abuso
di
farmaci
caratterizzato dalla necessità compulsava di avere ed assumere il
farmaco;
9 tolleranza ovvero lo stato in cui, per mantenere l’effetto analgesico,
occorre aumentare la dose del farmaco. È un fenomeno fisiologico che si
manifesta di più con alcuni oppioidi (morfina) rispetto ad altri (metadone)
e comporta la necessità di aumentare la dose degli oppioidi;
9 tossicità può essere causata dai dosaggi diversi a seconda della
tolleranza del paziente e delle sua condizioni cliniche (per es. i pazienti
con diminuita funzionalità renale sono a rischio).
47
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I farmaci adiuvanti nel trattamento del dolore
Si tratta dei farmaci che, pur non essendo propriamente analgesici,
vengono utilizzati assieme agli analgesici tradizionali per il trattamento di
particolari sindromi dolorose. Tra quelli più comunemente usati ci sono: gli
anticonvulsivanti, gli antidepressivi, gli anestetici locali, i corticosteroidi, i
neurolettici, gli psicostimolanti, gli antistaminici, i rilassanti neuromuscolari, i
bifosfonati,
gli
anticolinergici,
la
clonidina,
antipsicotici,
ansiolitici
e
corticosteroidi.48
2.9.2 Il trattamento non farmacologico
Numerose sono le tecniche non farmacologiche che la letteratura medica
propone per lenire il dolore.
Cognitivo-comportamentali
•
Tecniche fisiche
ƒ
Educazione, preparazione
Applicazione
caldo/freddo
all’intervento
•
Distrazione/Attenzione selettiva
ƒ
Massaggi
•
Rilassamento
(rilassamento
ƒ
Tocco terapeutico
profondo, training autogeno, bio-feed-
ƒ
Riflessologia
back)
ƒ
Agopuntura
•
Immaginazione, visualizzazione
•
Musica
Nonostante lo stimato potere e un largo uso dei farmaci, considerati
sempre come la strategia più efficace per il controllo del dolore fisico, gli effetti
negativi del trattamento farmacologico hanno costretto le ricerche e sempre
maggiore accettazione nei confronti dei trattamenti non farmacologici. Questo
genere di trattamenti, in pratica, non sostituisce gli interventi farmacologici
48
Dossier in Fad, Dolore cronico, 2007, Zadig, Milano. pg. 9.
48
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tradizionali ma serve ad coadiuvarli. Da sottolineare che non si possono
escludere del tutto possibili, anche se in rilevante modo meno presenti e gravi, i
loro effetti collaterali.
I trattamenti non farmacologici vengono adoperati con i pazienti che:
- mostrano interesse verso le terapie complementari;
- esprimono ansia e paura (non oltre i limiti fisiologici);
- possono beneficiare di una riduzione della terapia (reazioni allergiche a
farmaci in anamnesi, paura di tossicomania e sim.);
- insufficiente o parziale beneficio dei trattamenti tradizionali.
Possono essere usati da soli come strategia primaria per il controllo del
dolore leggero o breve, mentre presentano un effetto sinergico in aggiunta ai
farmaci: sono usati in modo complementare e non alternativo. Per la loro
sempre più grande futura accettazione, riconoscimento ufficiale e legislativo, la
necessaria condizione essenziale sarebbe la significativa conferma della loro
efficacia attraverso le ulteriori ricerche. Il concetto di salute della medicina
ufficiale che è stato messo in discussione negli ultimi decenni, in quanto in esso
non sono contemplati i bisogni e i disagi del soggetto, sembra trovare una sua
nuova concezione nella complementarietà sinergica dei mezzi e delle tecniche
non convenzionalmente dette mediche. Gli “altri” approcci e tecniche sono in
procinto di integrare le procedure convenzionali, colmando parte delle loro
lacune, arrivando dove esse non arrivano e facendosi carico della persona nella
sua totalità.
Nelle terapie complementari, secondo Cecchini,49 il protagonista è il
soggetto, mentre il terapista svolge il ruolo di facilitatore. I suoi interventi
saranno necessariamente focalizzati sulla connessine mente-corpo-spirito,
recuperando
quella
globalità
tanto
auspicata
anche
all’interno
dell’infermieristica. Il principio che sta alla base di questo pensiero è che
quando il soggetto trova l’armonia e l’equilibrio, in lui si innesca un processo di
autoguarigione. E non si può trascurare il fatto che le tecniche complementari
49
Cecchini S. (2002), Terapie complementari nelle donne operate, Attualità in senologia, 35:1720.
49
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hanno il vantaggio di non essere invasive né cruente, di non comportare i
pericoli o effetti collaterali debilitanti, di avere un basso costo economico e di
ridurre gli eccessivi costi riducendo il consumo dei farmaci. Inoltre, nel suo libro,
Cecchini aggiunge che la terapia migliore per un paziente è quella che nel suo
caso funziona.
Gli interventi non farmacologici comprendono tecniche cognitivocomportamentali e le tecniche fisiche.
Tecniche di approccio fisico
Sono quelle che più appartengono alla cultura e alla pratica
dell’infermiere e non.
La tecnica più utilizzata e una delle più semplici in generale di approccio
fisico sarebbe la stimolazione cutanea.
Applicazioni calde e fredde: l’applicazione di calore superficiale
incrementa la soglia di stimolazione dei nervi periferici, producendo l’analgesia
prossimale all’applicazione. Le applicazioni fredde possono aumentare la soglia
del dolore, ridurre l’edema locale e gli spasmi muscolari. L’applicazione di caldo
tiepido possono essere applicate 48 ore dopo l’intervento chirurgico, ma
assieme ad altri trattamenti viene usata nelle tromboflebiti. Per tutti gli altri casi
di origine infiammatoria, viene solitamente preferito il freddo.
Per il sollievo del dolore, rispetto al caldo, nonostante sia più efficace, il
freddo è meno usato autonomamente dai pazienti, che prediligono il calore che
porta in sé una connotazione di rilassamento e di comfort che il freddo non ha.
Massaggi: ci sono degli studi che suggeriscono l’uso del massaggio nel
trattamento del dolore. In Cina il massaggio era praticato 3000 a.C. Greci e
Romani lo usavano per la preparazione fisica dei gladiatori e soldati. Nel
periodo medievale per i diversi atteggiamenti nel confronto del corpo dettati
dalla chiesa in occidente il massaggio fu abbandonato.
Stimolazione elettrica transcutanea (TENS-transcutaneous electrical
nerve stimulation) si è dimostrata efficace nella riduzione della percezione del
50
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dolore e del consumo di farmaci dopo vari interventi. È una tecnica che si
avvale di un’apparecchiatura che trasmette impulsi elettrici, a basso voltaggio,
per mezzo di elettrodi applicati sulla cute.
Tocco terapeutico: sono le abilità sviluppate con quali il terapeuta con
le sue mani dirige o regola consapevolmente l’energia umana.50 Si tratta di
un’antica pratica su quale, fino d’oggi, sono stati fatti pochi e discordanti studi.
Riflessologia: l’uso terapeutico della pressione alle mani e ai piedi per il
trattamento del dolore e di altre problematiche esisteva in Cina e India già 5000
anni fa. Era conosciuto in Egitto, come ci dimostrano alcuni dipinti su una
parete di una tomba risalente a 4300 anni fa ed era usato anche dai nativi
americani. Più recentemente, la riflessologia viene studiata ed applicata,
all’inizio dell’900, da un otoiatra William Fitzgerald. Anche in questo caso le
ricerche eseguite sono insufficienti e incomplete, ma sono state ippotizate
diverse teorie per quanto riguarda il meccanismo d’azione.
Agopuntura: una revisione sistematica di 16 studi controllati e
randomizzati ha concluso che l’agopuntura è probabilmente efficace nel dolore
dopo interventi di chirurgia dentale. Gli altri studi hanno prodotto dei risultati
discordanti.51
Tecniche cognitivo-comportamentali
Approcci psicologici al controllo del dolore si sono sviluppati solo negli
ultimi decenni. Le caratteristiche che accomunano le tecniche cognitivocomportamentali riguardano il presupposto che le emozioni e i comportamenti
siano fortemente influenzati dalle cognizioni.
Siccome è difficile che un intervento modifichi le “cognizioni” senza che
questo di conseguenza implichi una modifica del comportamento, la distinzione
50
Krieger D. (1991), Il contatto terapeutico, Edizioni Mediterranee, Roma.
51
Dossier in Fad, Dolore postoperatorio nell’adulto, 2006, Zadig, Milano. pg. 7,8.
51
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tra gli interventi cognitivi, comportamentali e cognitivo-comportamentali è stata
considerata arbitraria.
Educazione pre-intervento: sono state studiate diverse modalità
educative: opuscoli informativi, audiovisivi e colloqui strutturati. L’educazione
sanitaria prima del ricovero si è mostrata efficace in quanto riduce il tempo
necessario ad eseguire specifiche abilità.
Le informazioni possono essere procedurali (riguarda gli aspetti e le fasi
dell’evento) e sensoriali (riguardo le sensazioni che il soggetto si deve aspettare
di provare).
Distrazione: probabilmente esiste dal primo “ahi” umano, ma solo di
recente è considerato come oggetto di studio. Si basa sulla logica che se i
pazienti sono concentrati su qualcos’altro non possono prestare troppa
attenzione al dolore (contare alla rovescia, ripetere le parole di una canzone
ecc). Le modalità della distrazione sono utili sul dolore acuto e breve come
iniezione, prelievo, la medicazione di una ferita ecc. ma non sono molto efficaci
per il dolore cronico e nemmeno per il dolore acuto più prolungato. Nell’ ultimo
caso sembra essere più efficace l’attenzione selettiva. Alcuni studi hanno
verificato una riduzione dell’esperienza dolorosa dopo interventi di chirurgia
addominale, isterectomia e bypass coronarico ed è stata rilevata una
significativa riduzione dei farmaci nel postoperatorio.
Rilassamento: in letteratura vi sono presenti diversi metodi utilizzabili
per ottenere il rilassamento.
La respirazione profonda, anche se sostituisce la prima fase di tutte le
tecniche di rilassamento, può essere usata come tecnica di rilassamento a se
stante. Per essa serve pochissimo addestramento e si apprende velocemente.
Nell’ultimo decennio è stata elaborata la teoria vascolare dell’efferenza emotiva,
secondo la quale il ritmo e la modalità della respirazione assicurano il
raffreddameno termico della regione talamica. Gli stati emotivi sono influenzati
in modo rilevante dai cambiamenti termici dell’ipotalamo. Innalzamento termico
52
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ipotalamico suscita le reazioni emotive negative, mentre un loro abbassamento
è connesso con le emozioni positive.52
Nel “rilassamento muscolare progressivo”, teoria di Edmund Jacobson,
dalla prima metà del Novecento, il rilassamento consiste nel produrre uno stato
di
calma
emozionale.
Il
neurologo
americano
attraverso
registrazioni
elettromiografiche dimostrò come le emozioni e ogni processo mentale siano
associati a manifestazioni neuromuscolari, misurabili in termini di contrazioni dei
muscoli stessi. Questa tecnica prevede tre fasi: tensione del muscolo,
localizzazione mentale della tensione, distensione.
Un’altra modalità di tecniche di rilassamento chiamata rilassamento
frazionato fu escogitata da un neurofisiologo tedesco di nome Oskar Vogt. Da
essa Johannes Schultz, neurologo e psichiatra tedesco, elaborò il training
autogeno (autorilassamento concentrativo).
Tra le diverse strategie di rilassamento che evocano le risposte
fisiologiche analoghe alla riduzione soggettiva del dolore, si trovano anche
l’ipnosi e il biofeedback.
Il biofeedback si basa sull’apprendimento volontario del controllo delle
funzioni organiche. Il suo concetto base è l’integrazione tra mente e corpo. A
questo scopo vengono usati degli specifici dispositivi elettronici per rilevare e
amplificare le risposte biologiche che poi vengono elaborate dalla persona.
Sulla base di questa informazione “esterna” (stimoli visivi e uditivi) il soggetto
apprende a controllare meglio le proprie risposte fisiologiche. Si è dimostrato
utile per ridurre l’ipertensione in maniera significativa,53 anche se per adesso
viene utilizzata esclusivamente come supporto ad altre forme di terapia.
Immaginazione, visualizzazione: le due parole stanno a significare le
due tecniche distinte e con le proprie connotazioni significative implicite.
52
Anolli L. (2002), Le emozioni, UNICOPLI, Milano.
53
Yucha (2001), The effect of biofeedback in hypertension. Appl Nurs Res. 14(1):29-35.
53
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L’immaginazione è vista come la rappresentazione mentale di realtà e fantasia,
riferendosi più a esperienze sensoriali e percettive. Nel caso si trattasse della
pura rivisitazione delle immagini, luoghi e le situazioni di cui si è già fatto
l’esperienza si potrebbe parlare della visualizzazione. In pratica i due sinonimi
sostanzialmente vengono utilizzati in modo integrato.
Le immagini evocano un’attività neurale associata alla memoria, alla
percezione e al pensiero che a sua volta è in grado di stimolare delle risposte
fisiologiche e comportamentali. In questo modo esse rappresentano un ponte
tra la mente
e il corpo. Il principio di base, anche in questo caso, lavora
mediante un’azione distraente oppur l’attenzione selettiva che impedisce allo
stimolo nocivo di “passare” (trasmettere i segnali dolorosi a livello centrale
come nella teoria del cancello).
Gli
studi
con
gli
esiti
significativi
dimostrano
l’efficacia
della
visualizzazione guidata nel ridurre l’ansia e il dolore postoperatorio.54
Musica: da alcuni studi emerge che la musica produce numerosi effetti:
distrazione, rilassamento, riduzione dell’ansia e dell’angoscia, diminuzione della
percezione
del
dolore,
stimolazione
della
memoria
e
apertura
alla
comunicazione.
Secondo la teoria di Beck l’azione della musica si esplica attraverso tre
tipi di stimoli:
o Affettivo: promuove il rilassamento e diminuisce la tensione e l’ansia;
o Cognitivo: provvede a distrarre dalla sensazione dolorosa, facilita il
processo di creatività e l’immaginazione, aiuta a sviluppare il controllo di
sé a ad aprire la comunicazione con i familiari e con i curanti;
o Sensoriale: agisce sulla componente sensitiva del dolore attraverso una
stimolazione/inibizione delle fibre sensitive.
A questi tre meccanismi è delegata la responsabilità della modulazione
endogena del dolore.55
54
Kresevic D., Antall G. F. (2004), The use of guided imagery to manage pain in elderly
orthopaedic population, Orthop Nurs. 23(5):335-40.
55
S. Minuzzo, Nursing del dolore, Carocci Faber, pg. 171-196.
54
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3 Le emozioni
“Quali sono i sentimenti degli uomini?
Sono la gioia, la collera, la tristezza,
la paura, l’amore, il dispiacere e il piacere.
Questi sette sentimenti appartengono
agii uomini, anche senza averli mai imparati.”
[Li Chi, enciclopedia cinese del primo sec a. C]
3.1 Definizione e multidimensionalità dell’emozione
La definizione di emozione presente nel Dictionnaire di de Furetière
(1690), uno dei primi dizionari della lingua francese:
"Emozione: movimento straordinario che agita il corpo e lo spirito, e che ne
turba il temperamento o l'equilibrio. La febbre comincia e finisce con un piccolo
turbamento del polso. Quando si compie uno sforzo violento, si prova emozione
in tutto il corpo. Un amante prova emozione alla vista dell'amata, un codardo
alla vista del proprio nemico."
Christophe André e François Le Lord nel testo "La forza delle emozioni"
(2001), affermano che nella definizione soprascritta sono presenti le
caratteristiche essenziali in base alle quali la moderna scienza definisce
un'emozione:
•
Un'emozione è un movimento, cioè un cambiamento rispetto ad
uno stato di immobilità iniziale.
•
Un'emozione comprende dei fenomeni fisici "in tutto il corpo"
(componente fisiologica delle emozioni).
•
L'emozione agita lo spirito, ci fa pensare in maniera differente
(componente cognitiva dell'emozione).
55
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•
L'emozione è una reazione ad un avvenimento. Furetière, ad
esempio, parla dell'emozione che l'individuo ha vedendo la donna amata o un
suo nemico.
•
Infine, anche se dalla definizione lo si può solamente supporre,
l'emozione
ci
prepara
e
spesso
ci
spinge
all'azione
(componente
comportamentale dell'emozione).
Anche
Goleman, nel libro "Intelligenza emotiva" (1995), afferma che
l'emozione inerisce ai sentimenti e ai pensieri, a condizioni psicologiche e
biologiche che la caratterizzano, nonché ad una serie di propensioni ad agire.
La radice etimologica del termine “emozione” deriva dal latino emovus, il
participio passato del verbo emovere che significa: “muovere”, “allontanare” e
rimanda, come il termine “motivazione”, al movimento, all’attività. Infatti parole
come paura, rabbia, gioia, portano alla mente immagini e ricordi di sensazioni di
qualcosa di irrefrenabile che smuove dall’interno le persone, al punto di alterare
la voce, l’aspetto e la condotta. Le emozioni possono essere definite come
esperienze soggettive accompagnate da modificazioni comportamentali,
espressive e fisiologiche solitamente di breve durata.56
James (1890) precursore nello studio psicologico delle emozioni,
sosteneva che la definizione di emozione non dovesse essere cercata nel
linguaggio ma bensì che le emozioni fossero le percezioni degli stati
corporei.
Reisenzein (1983) ritiene che le emozioni rappresentino una risposta
complessa definita come: sindrome reattiva multidimensionale.
L’emozione quindi può essere considerata un evento multisistemico che
interessa
56
il
piano
dell’elaborazione
cognitiva
e
dei
resoconti
verbali
Ilaria Cecchi. Dottore in Scienze dell’Educazione. L’alfabetizzazione emozionale. L’ ANCORA
BLU. Nuove tendenze per nuovi orizzonti professionali in psicologia e pedagogia… e non solo.,
Firenze (p. 19-25).
56
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dell’esperienza soggettiva, il piano dei comportamenti motori e quello delle
risposte fisiologiche. Ciò significa che in esse si possono individuare diverse
componenti:
1. Risposte fisiologiche: si fa riferimento in particolare all’attivazione del
sistema nervoso centrale, del sistema nervoso autonomo e del sistema
endocrino che producono delle risposte fisiologiche peculiari; come ad esempio
l’aumento o la diminuzione della frequenza cardiaca e della pressione
sanguigna, la salivazione, le variazioni della pupilla, le modificazioni
dell’apparato gastroenterico, che avvengono in concomitanza con lo stato
emotivo.
2. Risposte tonico-posturali: tensione o rilassamento del corpo nel suo
complesso.
3. Risposte motorie strumentali: ad esempio il mordere, il graffiare, lo
scappare, il colpire, anche nel caso in cui queste reazioni siano solo abbozzate
o in prontezza di attuazione, ed in generale irrequietezza motoria.
4. Risposte motorie espressive: in questo gruppo si dovrebbero includere
la liberazione di sostanze chimiche come i feromoni ma, vista la loro rilevanza,
in questo caso vengono considerate in modo particolare la mimica facciale, la
gestualità e le vocalizzazioni.
5. Componente esperienziale soggettiva: l’ultimo costituente, ma non
meno importante, è relativo al vissuto cosciente che non può essere descritto in
quanto soggettivo ed inerente a ciò che ognuno di noi prova quando è felice,
irato, sorpreso e via dicendo.
La componente esperienziale soggettiva può essere analizzata secondo
diversi aspetti tra i quali sono di particolare rilevanza:
57
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• Intensionalità57: prerogativa dell’esperienza emotiva è di essere sempre
esperienza di un qualcosa e quindi sempre legata ad un fenomeno o ad un
avvenimento.
Allo stesso tempo però può accadere di essere felici o tristi senza sapere
consciamente per via di che cosa o perché; in questo caso l’intensionalità è
vuota ma comunque non assente.
Inoltre questa componente implica la distinzione tra sé e gli altri ed è
considerata da Lewis e Michalson (1983) un prerequisito della competenza
emotiva.
• attenzione: nel processo emotivo sono implicati diversi processi cognitivi tra
cui quello attentivo; infatti le emozioni permettono l’incremento delle
informazioni mobilitando l’attenzione su di esse (Izard 1977, Tomkins 1980),
quindi uno stato emotivo coincide con uno stato attentivo.
• percezione: oltre al processo attentivo è coinvolto anche quello percettivo
che consente di individuare le qualità totali espressive (Metzger 1966) e
fisiognomiche (Werner 1957), per questo motivo la realtà che ci circonda ci può
apparire invitante, minacciosa, eccetera.
• recupero: infine entra in gioco anche il processo mnemonico che ci permette
di ricordare gli aspetti di situazioni in cui si sono già provate le emozioni (Bower
e Cohen 1982).
Le diverse componenti delle emozioni sono correlate tra loro da
complessi rapporti di interdipendenza.
57
Viene usato il termine “intensionalità”, in luogo di “intenzionalità”, seguendo Boden [1977],
perché quest’ultimo è abitualmente riferito al carattere, proprio delle azioni, di essere eseguite
in vista di uno scopo.
58
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L’emozione intesa come sindrome reattiva multidimensionale costituisce
in questo modo l’emozione allo stato più sviluppato ed il prodotto finale
dell’evoluzione filogenetica ed ontogenetica (Brady 1975).
59
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3.2
Principali teorie sulle emozioni
Nel bene o nel male,
quando le emozioni prendono il sopravento,
l’intelligenza può essere di nessun aiuto.
[Goleman, “Intelligenza emotiva”]
A partire dagli anni settanta si è assistito a una forte progressione negli
studi psicologici delle emozioni, giungendo a una maggiore compressione della
loro realtà e dei processi a esse sottesi. Anche la neuropsicologia affettiva ha
fatto grandi progressi e nonostante le rilevanti acquisizioni scientifiche raggiunte
in tempi recenti, non esiste a tutt’oggi una teoria scientifica soddisfacente in
grado di definire e di spiegare le emozioni.
La teoria periferica
A distanza di alcuni anni dalla fondazione del primo laboratorio di
psicologia sperimentale in Lipsia a opera di Wundt, James (1884) pubblicò un
contributo teorico sulle emozioni che era destinato a diventare nel tempo un
termine classico di confronto per tutti gli studiosi del settore.
Teoria periferica o teoria del feedback, secondo cui alla base
dell’esperienza emotiva vi sarebbe un meccanismo retroattivo dalla periferia
dell’organismo al sistema nervoso centrale. In modo più specifico, l’evento
emotigeno
determinerebbe
immediatamente
una
serie
di
risposte
neurovegetative che sono avvertite dal soggetto. La percezione di queste
modificazioni neurofisiologiche sarebbe alla base dell’esperienza emotiva. Si
passa così dall’evento semplicemente percepito all’evento emotivamente
sentito. Pertanto “non tremiamo perché abbiamo paura, ma abbiamo paura
perché tremiamo; non piangiamo perché siamo tristi, ma siamo tristi perché
piangiamo”. James inoltre ci lascia una spiegazione biologica dell’emozione
proposta dalla teoria periferica. L’assunzione di questo punto di vista pone in
evidenza, anzitutto, l’importanza fondamentale dell’attivazione fisiologica
(arousal) e delle risposte biologiche per poter definire come ‘emozione’ un
60
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determinato processo psichico. In questa prospettiva, dunque, se non vi è
attivazione biologica, non vi è neppure emozione. James introduce anche il
concetto del programma nervoso e che perciò a ogni emozione corrisponde uno
di essi.
L’ipotesi del feedback facciale
Secondo l’ipotesi del feedback facciale le espressioni facciali forniscono
informazioni propriocettive, motorie e cutanee (Tomkins, 1984) o vascolari
(Zajonc, 1985) che influiscono il processo emotivo. Una versione forte di tale
ipotesi avanzata da Ekman e dai suoi collaboratori, sostiene che le espressioni
facciali da sole siano sufficienti a generare l’esperienza emotiva corrispettiva.
La teoria vascolare dell’efferenza emotiva
Ulteriori conferme nei confronti della prospettiva periferica giungono
dalla teoria vascolare della efferenza emotiva, secondo cui il ritmo e le modalità
della respirazione (azioni che possano essere svolte sotto il controllo volontario)
assicurano il raffreddamento termico della regione talamica. Quest’ultimo
consente il mantenimento degli stati emotivi positivi legati alla sensazione del
benessere. Infatti, i cambiamenti dei valori termici dell’ipotalamo influenzano in
modo rilevante gli stati emotivi, in quanto un loro innalzamento suscita reazioni
emotive negative mentre un loro abbassamento è connesso con le emozioni
positive.
Il superamento di cosiddetto ”errore di Cartesio”
Damasio (1994,1999) propone una concezione unitari dell’organismo,
secondo la quale occorre prevedere la “mentalizzazione del corpo” e la
“somatizzazione della mente”. Mente e corpo vanno considerate come
componenti integrate e interdipendenti di un unico organismo capace di
interagire in modo intelligente ed efficace coll’ambiente. Secondo Damasio, le
emozioni rappresentano la convergenza sinergica fra la mente e il corpo,
poiché sono certamente un processo mentale ma hanno come il teatro il corpo.
61
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In modo più preciso, per Damasio l’emozione consiste nella combinazione fra il
processo valutativo mentale della situazione e le modificazioni somatiche
concorrenti.
Al pari di James, Damasio pone grande attenzione sul sentimento
(feeling), che non coincide coll’emozione ma che si aggiunge ad essa e che
consente di sentirla in modo consapevole. Damasio distingue altresì fra le
emozioni primarie (risposte spontanee, innate e precodificato dell’organismo e
né distingue cinque: gioia, tristezza, colera, paura e disgusto) ed emozioni
secondarie
(sono
maggiormente
connesse
con
l’apprendimento
e
coll’esperienza personale, per es. colpa, vergogna ecc.).
Proseguendo il pensiero di James,
egli ritiene che l’organismo
rappresenti una “superficie risonante” rispetto alle situazioni emotigene. In esso
la mente lavora in sinergia con il corpo per apprendere a valutare i diversi
stimoli esterni e interni. In questa prospettiva non è soltanto la mente a guidare
il corpo, ma è anche il corpo a guidare la mente poiché la sua risonanza
positiva o negativa, attuale o semplicemente memorizzata, costituisce un
sistema di valutazione primaria degli stimoli, attribuendo ad essa significati e
pesi diversi.58
La teoria centrale
Contrapponendosi alla teoria periferica di James, Cannon (1927) ha
elaborato e proposto la teoria centrale delle emozioni. Per Cannon i centri di
attivazione, di controllo e di regolazione dei processi emotivi non si trovano in
sedi periferiche come i visceri, ma sono localizzati centralmente nella regione
talamica del cervello, in quanto i segnali nervosi da essa provenienti sarebbero
in grado sia d’indurre le manifestazioni espressivo motorie delle emozioni sia di
determinare le loro componenti soggettive attraverso le connessioni con la
corteccia cerebrale.
58
Galati D. (2002), Prospettive sulle emozioni e teorie del soggetto, Bollati Boringhieri, Torino.
62
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Il sistema limbico e l’ipotalamo
Partendo dal contributo di Cannon, Papez (1937) ha avanzato l’ipotesi
secondo cui i centri di elaborazione e di controllo delle emozioni si situano
lungo un circuito composto dall’ipotalamo, dal talamo anteriore e dall’ipocampo
(circuito di Papez). MacLean (1949) integrò il circuito di Papez con altre regioni,
quali l’amigdala, i nuclei del setto, porzioni della corteccia fronto-orbitaria e
porzioni dei gangli della base. Denominò insieme di queste strutture
neuroanatomiche con il termine di sistema libico (dal latino limbus “annello”).
Fra l’altro, esso è ritenuto la sede di elaborazione e di regolazione della
condotta emotiva.
Tra le strutture che formano il sistema limbico due risultano
particolarmente importanti in riferimento alle emozioni: l’ipotalamo e l’amigdala.
L’ipotalamo svolge la funzione di coordinamento del sistema autonomo
(simpatico e parasimpatico) ed è la sede della regolazione centrale
dell’ambiente interno dell’organismo, in quanto sovrintende a funzioni diverse
come l’equilibrio elettrolitico, la temperatura corporea, il metabolismo dei glucidi
e dei lipidi. Esso inoltre esercita un’azione centrale di controllo sul sistema
endocrino attraverso il circuito portale ipotalamo-ipofisario (infatti l’attivazione
della risposta adrenalinica allo stress indotta dall’ormone adrenocorticotropo
dell’ipofisi è regolata dal rilascio di corticotropina da parte dei neuroni
ipotalamici para ventricolari).
A sua volta, l’amigdala (un termine derivante dalla parola greca che
significa “mandorla”) è un gruppo di strutture interconnesse, a forma appunto di
mandorla, posta sopra il tronco cerebrale, vicino alla parte inferiore del sistema
libico. Ci sono due amigdale. Una su ciascun lato del cervello.
È stata ritenuta come una sorta di computer della vita emotiva (LeDoux,
1993). L’asportazione dell’amigdala è sufficiente a rendere un animale
sperimentato emotivamente insensibile a stimoli visivi, uditivi, tattili e gustativi.
LeDoux, un neuroscienziato che lavora al Center for Neural Science
della New York University, fu il primo a scoprire il ruolo fondamentale
dell’amigdala nel cervello emozionale. Egli nel 1993 ha spiegato il ruolo-chiave
svolto dall’amigdala che risiede nella sua posizione connessione con tutte le
altre strutture nervose. In particolare, il circuito subcorticale (proiezione
63
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amigdala-talamiche) che assicura la trasmissione diretta delle informazioni dal
talamo sensoriale, costituisce un sistema primitivo in termini evoluzionistici e
svolge la funzione di valutare in modo rapido e immediato gli stimoli. LeDoux
spiega in che modo l’amigdala riesca a mantenere il controllo sulle nostre azioni
anche quando il cervello pensante – la neocorteccia – deve ancora arrivare a
una decisione.
Nel suo libro Goleman59 asserisce che l’amigdala e la sua interazione
con la neocorteccia rappresentano il centro dell’intelligenza emotiva. Inoltre in
quella sede egli spiega il meccanismo del sequestro emozionale, consentito
dall’estesa rete di connessioni neurali dell’amigdala che durante un’emergenza
emozionale le consente di sequestrare gran parte del resto del cervello – ivi
compresa la mente razionale – e di imporle i propri comandi. Ad esempio,
quando scatta l’allarme della paura, l’amigdala invia i messaggi di emergenza a
tutte le parti principali del cervello: stimola la secrezione degli ormoni che
innescano la reazione di combattimento o fuga, mobilita i centri del movimento
e attiva il sistema cardiovascolare, i muscoli e l’intestino. La sua scoperta ha
dimostrato che nel cervello gli input sensoriali provenienti dal’occhio o
dall’orecchio viaggiano dapprima diretti al talamo e poi – servendosi di un
circuito monosinaptico – all’amigdala; un secondo segnale viene poi inviato dal
talamo alla neocorteccia – il cervello pensante. Questa ramificazione permette
all’amigdala di cominciare a rispondere prima della neocorteccia; quest’ultima,
elabora l’informazione e dà una risposta molto più raffinata rispetto a quella
dell’amigdala.
La sottile via d’emergenza che dall’orecchio o dall’occhio va al talamo e
poi all’amigdala è di fondamentale importanza in questi casi: risparmia tempo in
situazioni d’emergenza, proprio quando più è necessaria una risposta
istantanea. D’altra parte, questo circuito che dal talamo va all’amigdala porta
solo una piccola parte dei messaggi sensoriali, mentre la maggior parte di essi
prende la via principale diretta alla neocorteccia. Pertanto, ciò che viene
registrato nell’amigdala attraverso questa via ultrarapida (nel cervello il tempo si
misura nel ordine dei millisecondi) è, nei casi migliori, un segnale solo
59
Goleman D. (1995), Intelligenza emotiva, Fabbri editori.
64
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approssimativo, appena sufficiente per lanciare un avvertimento. LeDoux dice:
“Non c’è bisogno di sapere di conoscere esattamente di cosa si tratti per sapere
che può essere pericoloso”.
Un segnale visivo proveniente dalla retina viene inviato dapprima al talamo, dove è
tradotto nel linguaggio del cervello. Gran parte del messaggio viene poi smistato alla corteccia
visiva, che lo analizza e lo valuta per comprendere il significato e produrre una risposta
appropriata; se quella risposta è di tipo emotivo, un segnale viene inviato all’amigdala per
attivare i centri emozionali. Una porzione più piccola del segnale originale, però, va
direttamente dal talamo all’amigdala, percorrendo una via di trasmissione più breve, e
consentendo così una risposta più veloce (anche se meno precisa). In tal modo, l’amigdala può
innescare una risposta emotiva ancor prima che i centri corticali abbiano del tutto compreso ciò
che sta accadendo.
A sua volta il circuito corticale (proiezioni amigdala-talamo-corticali) pone
in contratto questa struttura con i sistemi visivo, uditivo, gustativo e
somatosensorio, nonché con le arie di associazione polimodali dei lobi frontale,
temporale e parietale. In funzione di questa rete di connessioni l’amigdala
partecipa in modo rilevante ai processi cognitivi superiori (confronti,
categorizzazione, interferenza ecc.) di valutazione degli eventi emotigeni e di
attribuzione del significato emotivo degli eventi (qualità edonica, proprietà di
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ricompensa o di punizione ecc.). Quest’ ultima condizione a volte viene indicata
con l’espressione “cecità emotiva”. La vita senza l’amigdala è un’esistenza
spogliata di significato personale.
All’amigdala è legato qualcosa di più dell’affetto: tutte le passioni
dipendono da essa. Per concludere, l’amigdala è perciò un’interfaccia fra gli
eventi ambientali e mentali da un lato e le risposte emotive dall’altro, i due
circuiti cerebrali distinti sebbene interconnessi.
Canali di stimolo: 1 caratteristiche; 2 oggetti; 3 concetti; 4 contesto
N LAT AMIG = Nucleo LATerale del AMIgdala
NCE
= Nucleo Centrale
NB
= Nucleo Basale
NBA
= Nucleo Basale Accessorio
Schema dell’elaborazione emotiva e cognitiva dell’informazione attraverso
l’attivazione di una via subcorticale e di una via corticale secondo LeDoux (1995)
66
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La teoria cognitivo-attivazionale delle emozioni
Schachter con i suoi collaboratori nel 1962 concepì l’emozione come la
risultante dell’interazione fra due componenti distinte: una di natura fisiologica
con l’attivazione diffusa dell’organismo (arousal); l’altra natura psicologica,
con la percezione di questo stato d’attivazione e con la sua spiegazione in
funzione di un evento emotigeno plausibile. Entrambe queste componenti sono
considerate condizioni necessarie per l’occorrenza di uno stato emozionale; ma
la loro semplice presenza non è tuttavia sufficiente a generare un emozione.
Secondo Schachter, occorre un’attribuzione causale che stabilisca una
connessione fra queste due componenti, in modo da attribuire la propria
attivazione corporea a un evento emotigeno pertinente e da etichettare (label)
la propria esperienza emotiva in maniera adeguata. In altre parole, la
percezione dell’attivazione fisiologica e la sua interpretazione cognitiva
attraverso il processo di denominazione lessicale determinano il tipo di
emozione che l’individuo prova.
Le teorie dell’appraisal
La linea teorica interpretata da Schachter è stata feconda nello studio
psicologico delle emozioni, poiché ha aperto il dibattito sul rapporto fra
cognizione ed emozione. Secondo la teoria dell’appraisal esiste una stretta
relazione fra il modo con cui una persona interpreta e valuta la proprietà
dell’ambiente e le emozioni che prova. Pertanto la valutazione (appraisal),
introdotto da Arnold (1960), indica un atto diretto e immediato di conoscenza
che integra la percezione e del quale si può diventare consapevoli soltanto a
processo concluso. Secondo questa teoria, di conseguenza, due individui posti
di fronte alla medesima situazione, possono provare emozioni diverse se le
valutano in modo differente. Questa impostazione ha avuto particolare enfasi e
successo soprattutto negli anni Ottanta, dando origine alle cosiddette teorie
dell’appraisal (Frijda, 1986; Ortony, Clore, Collins, 1988; Scherer, 1988; Smith,
Ellsworth, 1985; Stein, Levine, 1989). Essa gode tuttora di un notevole
consenso fra gli studiosi del settore.
67
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Le teorie psicoevoluzionistiche
Contemporaneamente allo sviluppo delle teorie dell’appraisal, attorno
agli
anni
Sessanta
assumeva
una
notevole
rilevanza
la
teoria
psicoevoluzionistica delle emozioni. Rifacendosi direttamente alla teoria
evoluzionistica di Darwin, Tomjins e Plutchik ritengono che le emozioni siano
direttamente associate alla realizzazione di scopi universali, connessi con la
sopravivenza della specie e dell’individuo.
In particolare, secondo Plutchik (1962, 1980, 1984, 1994) si possono
individuare otto comportamenti di base necessari per la sopravvivenza della
specie umana:
1) incorporazione (assunzione di cibo ecc.);
2) rifiuto (espulsione di sostanze pericolose, rigetto di stimoli nocivi
ecc.);
3) protezione (per evitare i pericoli);
4) distruzione (per eliminare ostacoli che impediscono il raggiungimento di scopi ecc.);
5) riproduzione (per continuare la specie);
6) reintegrazione (per recuperare i rapporti protettivi importanti ecc.);
7) orientamento (per dirigere l’attivazione verso i stimoli nuovi);
8) espolorazione (per conoscere l’ambiente).
Sulla scorta di questi bisogni fondamentali sono generate otto emozioni
primarie (o fondamentali). Dalle otto emozioni primarie derivano tutte le altre
emozioni secondarie che sono generate dalla mescolanza e dalla combinazione
di due o più emozioni primarie secondo proporzioni diverse.
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Evento
Effetto
stimolante
cognitivo
affettivo
comportamentale stimolante
Minaccia
“Pericolo”
Paura, terrore
Fuggire
Protezione
Ostacolo
“Nemici”
Collera, rabbia
Mordere, colpire
Distruzione
“Possesso”
Gioia,
Corteggiare,
Riproduzione
estasi
accoppiarsi
Tristezza,
cordoglio
Piangere, chiedere
aiuto
Potenziale
compagno
sessuale
Perdita di un
on specifico
significativo
Membro del
“Separazioni”
“Amico”
Accettazione,
fiducia
Fare toeletta,
condividere
gruppo
Reintegrazione
Affiliazione
Vomitare,
Oggetto
“Veleno”
Disgusto, schifo
“Cosa c’è là?”
Anticipazione
cacciare via
Rifiuto
disgustoso
Indagare,
Nuovo territorio
rappresentare
Esplorazione
Arrestarsi,
Oggetto
imprevisto
“Che cos’è?”
Ansia
allertarsi
Orientamento
Tabella 1.1 Descrizioni delle connessioni fra gli stimoli ambientali, le emozioni primarie e
il loro effetti (Fonte: Plutchik, 1980, modificato)
La prevalenza relativamente regolare di un certo quadro di emozioni è
connessa con il profilo di personalità del soggetto, in riferimento sia ai dispositivi
difensivi da lui messi in atto sia alle eventuali forme patologiche.
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Schema dei rapporti tra emozioni, difese e tratti psicologici (Kellerman, 1980)
Rappresentazione dei diversi livelli di intensità delle emozioni e dei loro rapporti
reciproci secondo Plutchik (Plutchik, 1994)
70
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La teoria costruttivistica
In esplicita contrapposizione al punto di vista psicoevoluzionista si
colloca la prospettiva costruttivistica (o costruzionistica) delle emozioni.
Secondo tale prospettiva, sostenuta soprattutto – fra gli altri – da Averil (1980,
1985), Harré (1986), Lutz (1988) e Mandler (1990), le emozioni si configurano
non come i processi e fenomeni naturali, bensì come i prodotti eminentemente
sociali e culturali. Esse sarebbero risposte coordinate apprese che servono a
regolare le interazioni sociali fra gli individui piuttosto che salvaguardarne la
sopravivenza biologica.
Secondo questa prospettiva teorica le emozioni sono considerate
sindromi socialmente costituite e ruoli sociali transitori, una specie di codice
comportamentale sociale acquisito attraverso l’educazione.60
Alcuni dei recenti studi sulle emozioni in musica
Lo studio dell’emozione musicale sta conoscendo oggi una rinascita.
Tuttavia la letteratura su musica ed emozione presenta ancora un quadro
confuso. Il suo terreno concettuale è tuttora in fase di ricognizione, e occorre
inoltre un considerevole raffinamento nelle modalità di studio su musica ed
emozione. Nell’abbondanza di ricerche oggi votate a questo oggetto, è tanto più
importante farsi un’idea completa dello stato di avanzamento attuale, per non
ripetere l’invenzione della ruota.61
Il lavoro dell’estetica musicale sul significato in musica è importante per
la ricerca psicologica sulle espressioni musicali dell’emozione come ci dimostra
uno studio.62 Si forniscono le distinzioni fra emozioni semplici, emozioni
superiori e stati d’animo, e si riassumono dibattiti, ad esempio su quali tipi di
emozioni o stati d’animo la musica può essere in grado di esprimere (date le
60
Anolli L. (2002), Le emozioni, Edizioni Unicopoli, Milano.
Patrik N. Juslin and Marcel R. Zentner, Attuali orientamenti nello studio di musica ed
emozione.
62
Justin London, Alcune teorie dell’emozione musicale e le loro implicazioni per la ricerca della
psicologia musicale.
61
71
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capacità e le limitazioni semantiche della medesima). Quindi si prende in
considerazione l’interrogativo di come la musica possa esprimere tali emozioni
e stati d’animo. L’articolo dello studio si conclude con alcuni accorgimenti per i
ricercatori di psicologia dell’emozione musicale:
(1) l’espressione musicale coinvolge sempre caratteristiche sonore che
vanno tenute in considerazione.
(2) Se si utilizzano stimoli musicali provenienti dal “mondo reale”, si può
avere a che fare con fenomeni di interferenza associativa.
(3) Il contesto farà spesso isolare un’espressione emozionale, e
trasformare un’emozione semplice in una superiore fornendo un oggetto
intenzionale.
(4) Non esiste una relazione lineare semplice fra l’intensità di un
parametro musicale e l’intensità di un’espressione musicale.
(5) Alcune validissime espressioni musicali di emozioni possono non
destare quelle emozioni nell’ascoltatore, tuttavia non sarebbe corretto chiamare
siffatti passaggi “inespressivi”.
(6) Talune emozioni destate dall’ascolto musicale, sebbene simili a
quelle che si presentano in contesti non musicali, mostreranno ciononostante
una serie di importanti differenze.
Per classificare le emozioni solitamente nelle ricerche viene utilizzato un
metodo di selezione e raggruppamento delle immagini proposte e da questo
tipo di studio, nella distribuzione si sono delineate due dimensioni: la valenza
(negativa e positiva) e l’intensità o arousal (bassa e alta). Le emozioni positive
vengono associate ad un avvicinamento, mentre le emozioni negative vengono
associate ad un comportamento di ritiro. Riguardo alle emozioni in musica, altre
ricerche hanno mostrato che l’identificazione della connotazione emozionale di
un brano avviene in tempi brevissimi, inferiori al secondo. Le conclusioni di
questi studi non implicano che il brano ci trasmetta tutte le emozioni in meno di
un secondo, ma semplicemente che la connotazione emozionale di un brano
musicale è spesso presente fin dal principio del brano, è percepita in maniera
simile dai diversi individui e ha luogo senza sforzo e in modo automatico.
72
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Fra i diversi fattori strutturali che giocano un ruolo nell’espressione
dell’emozione in musica, il tempo sembra avere un ruolo privilegiato. Non a
caso alcune delle indicazioni usate dai compositori per segnalare a che tempo
una determinata opera debba essere eseguita hanno una connotazione
emozionale (ad es. allegro, vivace). Il tempo veloce fa variare considerevolente
la dimensione dell’arousal, definibile anche come una sorta di attivazione
generalizzata. Anche il modo (odierna tonalità), ha un ruolo importante, e
questo era noto fin dall’antichità.63 Un altro fattore importante è il timbro degli
strumenti, che è ovviamente legato al registro (acuto – medio – grave) nel quale
essi suonano.64
Gabrielsson65
distingue
fra
percezione
emotiva,
ossia
percepire
un’espressione emotiva in musica senza venirne necessariamente coinvolti in
prima persona, e induzione di un’emozione, ossia la risposta emotiva alla
musica da parte degli ascoltatori. Egli afferma che tale distinzione non viene
sempre osservata nelle conversazioni quotidiane sulle emozioni, e neppure
negli articoli scientifici. Inoltre si sottolinea come sia la percezione dell’emozione
sia, in particolar modo, la risposta emotiva dipendano da un’interazione tra
fattori musicali, personali e contestuali. Nell’articolo si discutono alcune
questioni metodologiche e alcune proposte per la ricerca futura.
Ad un gruppo di esperti di musica (n = 98) è stato chiesto di riportare
(rispondendo ad un questionario) le loro reazioni affettive, cognitive e
psicologiche ad un brano musicale ascoltato di recente che li avesse colpiti
producendo in loro una risposta emotiva. Inoltre si è chiesto ai partecipanti di
valutare l’importanza relativa di un elenco di fattori musicali ed extramusicali
che avrebbero potuto contribuire alle loro reazioni. È stato sviluppato un
sistema codificato per organizzare e quantificare le reazioni che erano state
63
Aristotele, per esempio, sosteneva che i malati del nervo ischiatico sarebbero salvati
dall’attacco più intenso se con l’aulos gli si fosse suonato utilizzando la scala frigia (corrisponde
all’odierno dorico) sopra la zona affetta da dolore (И topија Mузике Coња Mapиkoвић,
еoгpaд / Storia della musica, Sonia Marinković, Beograd 1994).
64
65
Schoen D. (2007), Psicologia della musica, Carocci editore, Roma (p. 82 - 94).
Alf
Gabrielsson,
Emozione
percepita
ed
emozione
73
sentita:
uguali
o
differenti?
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liberamente descritte. Per quanto riguarda i sintomi corporei, le reazioni più
frequenti comprendevano variabili semi-fisiologiche quali lacrime e brividi,
sintomi cardiovascolari, come pure stimoli all’azione motoria, ad esempio a
saltare o a danzare. Riguardo alle esperienze soggettive ovvero alle sensazioni,
erano più frequenti descrizioni come il sentirsi nostalgici, affascinati, commossi,
o stimolati, che non resoconti di emozioni “fondamentali” come tristezza, rabbia,
gioia o paura. Alla struttura musicale è stato conferito il valore più importante
nell’elenco delle determinanti potenziali, ma anche aspetti tecnici, acustici ed
interpretativi hanno ottenuto valori elevati. Gli autori discutono il modo in cui tali
risultati e la loro elaborazione concettuale possono fornire una guida per
un’indagine più sistematica dell’induzione di emozioni attraverso la musica. 66
66
Klaus R. Scherer, Marcel R. Zentner and Annekathrin Schacht, Stati emozionali generati dalla
musica: uno studio esplorativo su esperti di musica.
74
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3.3
Distinzioni concettuali e terminologiche emotive
Affetto ed emozione
La parola affetto deriva dal latino afficere, che vuol dire “portare qualcuno
in una situazione organica o mentale”, “stimolare, impressionare”. È un termine
generale che concerne le qualità e i tratti centrali dell’esperienza emotiva e che
attribuisce a quest’ultima il suo carattere non-cognitivo (Frijda, 1993).
Umore e stati dell’animo
La distinzione fondamentale per distinguere fra emozione e umore
ovvero una tonalità emotiva di base (e stati d’animo) è quella fra episodio e
tratto emotivo. Un episodio emotivo fa riferimento a una risposta transitoria e
momentanea a specifici eventi elicitanti, accompagnata da determinate
modificazioni neuropsicofisiologiche, idonea a mantenere un adattamento attivo
all’ambiente. Un tratto emotivo, invece, si riferisce ad una disposizione o
tendenza del soggetto a reagire prevalentemente secondo una definita modalità
emotiva al flusso delle situazioni ambientali. In altre parole, quando l’emozione
è considerata come episodio, si orienta l’attenzione sulla situazione che la
induce; mentre, quando è considerata come tratto, si pone l’accento sulla
persona per rendere ragione alle sue risposte emotive ricorrenti.
Sulla base di questa distinzione preliminare, in psicologia si è soliti
ritenere l’umore (dal latino humere, che vuol dire “essere umido, bagnato”) o
stato d’animo (mood) come tratto e l’emozione come l’episodio.
A livello psicofisiologico è stato indicato che le emozioni rifletterebbero
un’attivazione intensa dei sistemi nervosi che condurrebbero l’organismo ad
agire in modo immediato e impellente, mentre gli stati d’animo sarebbero
qualificati da un livello più modesto di stimolazione dei sistemi affettivi,
mantenendo l’organismo in una condizione più riflessiva. Un’elevata eccitazione
nell’occorrenza di un determinato episodio emotivo tende a inibire la comparsa
contemporanea di altre emozioni; mentre gli stati d’animo, a motivo del loro
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modesto livello d’attivazione, consentirebbero la possibilità di provare nello
stesso tempo altri stati d’animo.
Temperamento ed emozione
Gli studiosi e la psicologia del sentimento comune operano parimenti una
distinzione fra emozione e temperamento. Il temperamento deriva dal latino
temperare che significa “mescolare nella giusta proporzione” i vari umori
corporei. Può essere definito assieme dei tratti e delle differenze individuali,
presenti ben presto nella vita, fortemente influenzate da fattori biologici, che
riguardano la manifestazione della emotività, dell’attività, della reattività e della
socievolezza.
Si tratta di un concetto diverso dalla personalità in quanto essa è un
costrutto psicologico più ampio, che include importanti strutture cognitive, il
concetto di sé, il sistema delle credenze, dei valori e delle aspettative, i
meccanismi di difesa ecc.
Tuttavia, l’emotività rappresenta il cuore del costrutto psicologico del
temperamento (Goldsmith, 1989, 1993).
Si tratta quindi di una costituzione emotiva costante e costituzionale che
in un certo senso più assomiglia allo stile emotivo, inteso come modalità
ricorrente di rispondere emotivamente alle varie classi di eventi e situazioni.
Sentimenti
I sentimenti sono intesi come disposizioni affettive rivolte in maniera
relativamente stabile verso specifici oggetti o classi d’oggetti e sono prodotti
sula base di esperienze precedenti o dell’apprendimento sociale.
Al pari delle emozioni (e a differenza degli stati d’animo), i sentimenti
sono focalizzati su un oggetto. Essi sono processi consapevoli e vanno
interpretati come “schemi cognitivi”, che generano una serie di aspettative e il
cui contenuto informativo dà luogo a una determinata valutazione dell’oggetto
medesimo.
A volte si può avere una certa confusione fra emozioni e sentimenti. Per
esempio, l’amore e l’odio sono sentimenti se considerati nella loro stabilità in
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quanto disposizioni d’animo; sono emozioni quando sfociano in episodi
temporalmente circoscritti.
In altre parole i sentimenti, in confronto alle emozioni, potrebbero essere
definiti come le modificazioni della tonalità emotiva durevoli e di intensità
spesso moderata.
77
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3.4
Manifestazioni e comunicazioni delle emozioni
Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi.
[Antoine de Saint-Exupéry, “Il piccolo principe”]
Che il volto sia considerato come una sorta di “finestra dell’anima” è dato
per scontato dal senso comune, dalla tradizione, nonché dalla scienza e
dall’arte, dall’Omero e da Aristotele ai giorni nostri. Oggi il tale punto di vista è
stato messo in discussione e il dibattito scientifico si è aperto ai nuovi orizzonti.
La prospettiva emotiva delle espressioni facciali parte con Darwin, anche
se la sua idea era quello di opporsi alla versione creazionista dell’università
delle espressioni facciali, e viene ripresa e avanzata con le assunzioni teoriche
di Tomkins oggi conosciute come ipotesi standard o programma delle
espressioni facciali. Secondo questa teoria ad ogni emozione concepita come
categoria discreta corrisponde una determinata espressione facciale nel suo
insieme come Gestalt unica.
Più tardi Ekman e Friesen (1978) hanno elaborato il Facial Action Coding
System (FACS) come sistema di osservazione e classificazione di tutti i
movimenti facciali visibili (anche quelli minimi) in riferimento alle loro
componenti anatomico-fisiologiche corrispondenti. Nella teoria neuro-culturale
di Ekman ogni emozione attiva un determinato e specifico programma facciale
affettivo attraverso una serie di istruzioni codificate dal sistema nervoso centrale
e autonomo, nonché dal sistema endocrino. Da tale collegamento biunivoco fra
emozione e “programma facciale” derivano l’invariabilità delle espressioni
facciali e la loro universalità. All’espressione naturale dell’emozione in funzione
delle aspettative e degli standard culturali di riferimento, i processi cognitivi
possono aggiungere delle modificazione o delle interferenze ed esse da Ekman
vengono chiamate regole di esibizione (display rules). Il soggetto ha la
possibilità di governare le modalità espressive delle emozioni secondo quattro
regole di accentuazione (intensificazione), attenuazione (deintensificazione),
neutralizzazione (o negazione) e simulazione (o mascheramento).67
67
Anolli L. (2002), Le emozioni, Edizioni Unicopoli, Milano (p. 85-121).
78
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Alla prospettiva universale in alternativa viene aggiunta la prospettiva
comunicativa delle espressioni facciali secondo cui le emozioni assumono un
valore eminentemente comunicativo, poiché manifestano agli altri le intenzioni
del soggetto in base al contesto. All’interno di questa prospettiva, le espressioni
facciali
sono
considerate
come
‘strumenti
sociali’
che
facilitano
la
comunicazione e la negoziazione degli scambi relazionali (Smith, 1977). Si può
sorridere quindi perché si è felici ma anche perché si è incerti, ansiosi, paurosi
o perché si prova vergogna.
Gli studi delle fasi di encoding e di decoding
Negli studi delle fasi di encoding68 e di decoding risultava che ogni
emozione è caratterizzata da un preciso e distintivo profilo vocale.
Dalle circa quaranta ricerche passate in rassegna e dallo studio condotto
in Italia da Anolli e Ciceri (1997) emerge che la collera è caratterizzata da un
incremento della media, della variabilità e della gamma della frequenza
fondamentale della voce, da un aumento dell’intensità della voce, dalla
presenza di pause molto brevi o anche dalla loro assenza, da un ritmo elevato.
La paura viene espressa con un forte aumento della media, della
variabilità e la gamma della frequenza fondamentale con una elevata velocità
del ritmo d’articolazione, con un intensità della voce molto forte. La voce della
paura è quindi sottile, oltremodo tesa e stretta, e segnala la condizione
d’impotenza di fronte ad una minaccia.
A sua volta, la tristezza è espressa a livello vocale con un tono
mediamente basso per il decremento della media e della gamma della
frequenza fondamentale, un volume modesto, la presenza di lunghe pause e un
ritmo d’articolazione rallentato. Si tratta di una voce rilassata e stretta.
68
Encoding è il processo della trasformazione (la nuova codificazione) dell’informazione da un
formato ad altro. L’operazione contraria è chiamata decoding.
79
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La voce della gioia è qualificata da un incremento della media, con una
tonalità molto acuta e con un profilo d’intonazione progressivo, da un aumento
d’intensità e da un’accelerazione del ritmo di articolazione.
Il disprezzo, che è stato finora poco esaminato, è espresso attraverso
un’articolazione molto lenta delle sillabe e una durata prolungata della frase,
con un tono di voce profondo e con un’intensità piena. Anche la tenerezza è
caratterizzata da una tonalità grave e con un profilo d’intonazione lineare e da
un volume tenuto tendenzialmente basso. È quindi una voce ampia e distesa.
Nell’insieme gli studi sull’encoding vocale delle emozioni confermano
capacità del canale vocale non verbale nel trasmettere in modo autonomo
precise e distinte informazioni circa gli stati affettivi dell’individuo, in maniera
indipendente dagli aspetti linguistici dell’enunciato.
Le ricerche sulla fase decoding, invece, concernono la capacità del
destinatario di riconoscere lo stato affettivo ed emotivo del parlante, prestando
attenzione soltanto alle sue caratteristiche vocali.
I gesti delle emozioni
I gesti, differentemente da altri movimenti (semplici o complessi) sono
azioni motorie coordinate e circoscritte, volte a generare un significato e
indirizzate ad un interlocutore, al fine di raggiungere uno scopo. Il loro assieme
è stato definito anche il linguaggio del corpo, anche se sono interessate
soprattutto le mani. Ci sono diverse tipologie di gesti tra cui troviamo la
gesticolazione (gesti iconici o lessicali), la pantomima, gli emblemi (o gesti
simbolici), i gesti deittici (di norma compiuti con indice), i gesti motori (o
percussioni), il linguaggio dei segni (è il sistema di segni impiegato dai
sordomuti).
Fatta eccezione per il linguaggio dei segni, le altre categorie del sistema
dei gesti partecipano in vario titolo e in modo differente a manifestare le
emozioni. In particolare, la pantomima, le percussioni, i gesti iconici e i “gesti di
autocontatto”, servono ad esprimere una vasta gamma di esperienze emotive.
80
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Essi sono associati soprattutto all’intensità delle emozioni, oltre che alla loro
natura.
Il sistema prossemico e aptico nella manifestazione delle emozioni
Si tratta di due sistemi di contatto umano.
La prossemica concerne la percezione, l’organizzazione e l’uso dello
spazio, della stanza e del territorio nei confronti degli altri.
L’uso dello spazio e della distanza implica un equilibrio emotivo e
relazionale instabile fra processi affiliativi (di avvicinamento) ed esigenze di
riservatezza
(di
distanziamento).
La
regia
di
queste
oscillazioni
fra
affiliazione/vicinanza e riservatezza/distanza è mediata attraverso la gestione
della propria territorialità. La gestione del territorio personale concerne anche la
relazione della distanza spaziale, che rappresenta un buon indicatore della
distanza comunicativa fra le persone. A questo proposito si è soliti distinguere
diversi tipi di distanza:
a.
Zona intima (fra 0 e 0.5m circa): è la distanza delle relazioni
intime; ci si può toccare, sentire l’odore del partner, avvertire le
intensità delle sue emozioni, parlare sottovoce.
b.
Zona personale (fra 0-5 e 1m circa): è l’aria invisibile che
circonda in maniera costante il nostro corpo; è possibile toccare
l’altro, vederlo in modo distinto, ma non sentirne l’odore.
c.
Zona sociale (fra 1 e 3.5 - 4 m): è la distanza per le
interrelazioni meno personali; è il territorio in cui l’individuo
sente di avere libertà di movimento in maniera regolare e
abituale; in esso prova un senso di agio e ne possiede il
controllo.
d.
Zona pubblica (oltre i 4m): è la distanza tenuta in situazioni
pubbliche ufficiali che comporta un’enfatizzazione dei movimenti
e un’intensità elevata della voce.
Esistono
rilevanti
differenze
culturali
nella
prossemica.
Alcune
popolazioni come quelle europee settentrionali, quelle asiatiche e indiane, sono
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caratterizzate dalla cultura della distanza. Si tratta delle culture che privilegiano
autocontrollo emotivo, la riservatezza, e la competenza nel mantenersi freddi
nelle varie circostanze (prospettiva della de-emozionalizzazione). Per contro,
altre popolazioni come quelle arabe, quelle sudamericane, slave e latine sono
caratterizzate da una cultura della vicinanza. In queste culture le emozioni
rappresentano un valore da difendere e da enfatizzare.
L’aptica fa riferimento all’insieme di azioni di contatto corporeo con un
altro.
Nell’ambito dell’aptica si è soliti distinguere le sequenze di contatto
reciproco dai contatti individuali. Per entrambi i tipi di contatto vi sono delle
regioni del corpo “non vulnerabili” come le mani, le braccia, le spalle, e la parte
superiore della schiena e possono essere toccate anche dagli estranei; per
contro le ragioni che sono considerate “vulnerabili”, di norma sono toccate solo
da poche persone (gli intimi e gli specialisti).
Accanto alle culture del contatto come quella araba e quella latina, vi
sono culture del non contatto come quelle nordiche, quella giapponese e quella
indiana.
Attuale attenzione alle molestie sessuali, soprattutto nelle culture
occidentali, ha reso problematica anche questa modalità comunicativa.
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3.5
Semantica delle emozioni
Il piano semantico concerne i significati e le etichette verbali (parole)
delle emozioni. Ogni lingua presenta un definito lessico emotivo, in funzione
delle coordinate della cultura di riferimento.
Le emozioni, al pari degli oggetti o di altri eventi e processi, sono
mentalmente rappresentate da schemi cognitivi e da concetti, nonché
classificate in categorie fra loro distinte. Il processo di categorizzazione
seleziona e organizza il flusso delle esperienze emotive in modo da ridurne e
gestirne la grande variabilità e articolazione.
Tra i concetti, i significati e le esperienze emotive da alcune prospettive
risulta che in qualunque modo esse fossero concettualizzate, sono universali e
condivise dagli individui di tutte le culture, anche se etichettate con parole
diverse (Spiro, 1992). D’altro canto viene sostenuto che esistono differenze
culturali nella categorizzazione e nel lessico emotivo che contribuiscono
attivamente, a definire e a precisare le specificità emotive di una cultura
(Markus, Kitayama, 1994).
Il fondamento biologico delle emozioni ha fatto ritenere che esse
costituissero dei processi universali e panculturali, sostanzialmente identiche
nella specie umana. A conferma di ciò, sembra esistere un soddisfacente grado
di somiglianza nei concetti emotivi fra le varie culture, almeno a livello
superficiale. Questa ipotesi universalista si scontra anzitutto contro la diversità
dei lessici emotivi. Di fatto, ogni cultura ha elaborato il proprio lessico emotivo,
in funzione del quale gli individui ad essa appartenenti riescono a dare un nome
alle proprie esperienze emotive, a comunicarle e a riconoscerle negli altri.
Esistono notevoli differenze nell’estensione quantitativa dei singoli repertori
linguistici. Si potrebbe partire dal lessico inglese (più esaminato) che contiene
oltre 2000 parole (Rusell, 1991) a quello olandese, con 1500 termini, per
giungere al lessico cinese (di Taiwan), con 750 voci e alla lingua di Malay, con
230 termini. Fra le culture preletterate, gli Ifaluk hanno un vocabolario emotivo
composto da 58 termini, mentre i Chewong fruiscono soltanto di una decina di
parole per esprimere le emozioni (Howell, 1981).
83
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Il fatto che un’emozione non sia lessicalizzata non vuol dire che non sia
esperita, ma la presenza di una parola significa certamente la presenza di una
determinata esperienza emotiva e ne pone in evidenza la rilevanza concettuale,
semantica e relazionale.
Lewy
(1984)
aveva
posto
in
evidenza
il
fenomeno
dell’iper-
cognitivizzazione di un’emozione: essa risulta ipercognitivizzata, quando una
società ha a sua disposizione un ampio e articolato repertorio di vocaboli ed
espressioni per manifestarla. Per esempio, nel tahitiano vi sono 46 termini
distinti di collera (riri), per cui è possibili comunicarne ogni tipo di sfumatura:
mentre in italiano ci sono a disposizione neanche una decina di termini per
questa
emozione.
Per
contro
esiste
anche
l’ipocognitivizzazione
di
un’emozione. Prendendo come esempio il tahitiano, in quella lingua non
esistono concetti né termini per la tristezza: quando compare questa emozione,
essa è descritta, come sentirsi malati o come affaticamento.
Persino il termine stesso ‘emozione’ non è universale. Dai resoconti
etnografici risulta che tale parola è assente presso i Tahitiani, i BiminKuskusmin della Nuova Guinea, i Gidjingali dell’Australia, gli Ifaluk della
Micronesia, e Chewong della Malaysia (Russel, 1991).
Ma anche nelle culture più avanzate non vi è una corrispondenza precisa
per il concetto di “emozione”. Il termine inglese emotion non trova un
corrispettivo nella lingua tedesca comune, dove esiste la parola Gefühl per
indicare i sentimenti sia a livello fisiologico sia psicologico (da fühlen come
equivalente
di
to
feel).
In
francese,
italiano
e
spagnolo
i
termini
sentiment/sentimento/sentimiento indicano uno stato d’animo esclusivamente
cognitivo, mentre l’inglese feeling rappresenta anche una condizione fisica. Per
contro le parole émotion/emozione/emoción hanno un significato più ristretto
rispetto all’inglese emotion e fanno riferimento ad un preciso episodio emotivo,
piuttosto intenso e improvviso.
Le categorie emotive
Dalle diverse ricerche su soggetti in lingua inglese è risultato che le
categorie emotive, al pari di quelle di generi naturali e dei manufatti:
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-
sono strutturate secondo la dimensione verticale, avendo come livello
sovraordinato la categoria di emozione;
-
come livello categorie di base quali gioia, amore, paura, collera,
tristezza;
-
come livello subordinato categorie quali irritazione, agitazione,
fastidio, rabbia, furia, furore, ostilità, ferocia, odio, vendetta,
risentimento, in riferimento di base collera.
Boucher (1979) ritiene che le categorie emotive di base, da lui previste
nel numero 7+/- 2, corrispondono alle cosiddette emozioni “di base”, discrete e
universali, ipotizzate dalla teoria psicoevoluzionistica di Ekman e altri.
Organizzazione gerarchica del concetto proto tipico di “emozione”. A livello intermedio
si trovano le cosiddette “emozioni primarie” intese come esempi tipici delle emozioni
(Fonte Shaver et al., 1987)
1.
adorazione, affetto, amore, amorevolezza, predilezione, attrazione, attenzione,
tenerezza, compassione, sentimentalismo
2.
eccitazione, desiderio, piacere, passione, infatuazione
3.
brama
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4.
divertimento, beatitudine, allegria, gaiezza, gioia, ilarità, giovialità, diletto, godimento,
contentezza, felicità, giubilo, esaltazione, soddisfazione, estasi, euforia
5.
entusiasmo, zelo, godimento, esaltazione, eccitazione, euforia
6.
appagamento, contentezza
7.
orgoglio, trionfo
8.
impazienza, speranza, ottimismo
9.
incanto, rapimento
10.
sollievo
11.
meraviglia, sorpresa, stupore
12.
esasperazione, irritazione, irrequietezza, fastidio, malumore, irritabilità
13.
esasperazione, frustrazione
14.
collera, rabbia, sdegno, furia, ira, ostilità, crudeltà, rancore, odio, ripugnanza, ripicca,
vendetta, avversione, risentimento
15.
disgusto, repulsione, disprezzo
16.
invidia, gelosia
17.
tormento
18.
agonia, sofferenza, danno, angoscia
19.
depressione, disperazione, mancanza di speranza, cupezza, tristezza, infelicità,
affanno, pena, miseria, malinconia
20.
costernazione, disappunto, dispiacere
21.
colpa, vergogna, rimpianto, rimorso
22.
alienazione, isolamento, trascuratezza, solitudine,
sconfitta, insicurezza, imbarazzo, umiliazione, offesa
23.
pietà, empatia
24.
allarme, shock, paura, spavento, orrore, terrore, panico
25.
ansietà, nervosismo,
afflizione, timore
tensione,
inquietudine,
emarginazione,
apprensione,
nostalgia,
preoccupazione,
Russel (1980) ha proposto il modello circomplesso, riportato nella figura
seguente. A grandi linee questo modello appartiene all’area dimensionale ed è
caratterizzato da tre proprietà:
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a)
gli
assi
edonico
(piacere/dispiacere)
e
attivazione
(eccitazione/calma) che generano lo spazio semantico delle
emozioni;
b)
la bipolarità di tali assi, in base alla quale i tali termini e i
concetti emotivi si possono rappresentare come i gradi di
variazione d’ intensità compresi fra i loro estremi;
c)
l’ordine circolare grazie al quale ogni concetto e termine
emotivo può essere definito come la combinazione fra
determinati livelli dei due assi (edonico e attivazionale).
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1.1
INTENSITÀ MAGGIORE (Eccitazione)
*Attivato
* Meravigliato
Allarmato *
Teso *
Spaventato *
Adirato *
Contrariato *
Afflitto *
* Eccitato
Frustrato *
* Deliziato
Felice *
Compiaciuto *
Avvilito *
Contento *
* Sereno
Triste *
*Tranquillo
* A proprio agio
* Calmo
* Rilassato
Malinconico * * Depresso
Annoiato *
Abbattuto *
Stanco *
Soddisfatto*
*Assonnato
INTENSITÀ MINORE (Calma)
Rappresentazione delle relazioni di somiglianza di termini emotivi a seguito di una procedura di
scaling multidimensionale. I termini risultano organizzati attorno a due assi: un asse verticale
relativo all’attivazione (alta e bassa attivazione) e uno orizzontale concernente la valutazione
edonica (piacevolezza/spiacevolezza). (Russel, 1980)69
69
Anolli L. (2002), Le emozioni, Edizioni Unicopoli, Milano (p. 124–156).
88
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3.6
Risultati degli studi sulla risposta emozionale alla musica
La somma delle prove della reazione emozionale alla musica in termini delle varie sottocomponenti
Componente
Riferimenti
emozionale
Conclusioni
selezionati
Sentimento soggettivo
Gli ascoltatori riportano che, mentre
ascoltano la musica durante appositi
esperimenti, essi provano regolarmente
delle emozioni. Le emozioni positive sono
più frequenti di quelle negative.
Behne (1997),
DeNora (2000),
Juslin&Laukka(2004),
Pike (1972),
Sloboda & O’Neill
(2001)
Psicofisiologia
L’ascolto musicale può incrementare la
risposta di reazioni fisiologiche simili a
quelle manifestate attraverso altri stimoli
emotigeni, inclusi il battito cardiaco, la
temperatura dell’epidermide, la risposta
elettrodermale, la frequenza del respiro, e
le secrezioni ormonali.
Attivazione cerebrale
Le risposte degli ascoltatori alla musica
coinvolgono quelle aree del cervello già
fatte oggetto di precedenti ricerche in
questo campo, e come tali implicate nelle
risposte emotive: fra queste aree, il
talamo,
l’ipotalamo,
l’amigdala,
la
corteccia pre-frontale, la corteccia orbitofrontale, il cervello medio/PAG, l’insula, e
il nucleus accumbens.
Bartlett (1996),
Krumhansl (1997),
Nyklíček ed al.
(1997),
Vait ed al. (1993)
Blood&Zattore
(2001), Blood ed al.
(1999), Brown ed al.
(2004), Kölsch ed al.
(2006),
Menon&Levitin
(2005)
Espressione emotiva
L’espressione musicale induce i soggetti
a piangere, a sorridere, a ridere, ad
aggrottare le loro sopracciglia come viene
autoriportato dalle persone coinvolte e
indicato nelle osservazioni, e inoltre
attraverso le misurazioni elettromiografiche dei muscoli facciali.
Becker (2004),
Frey (1985),
Gabrielsson (2001),
Sloboda (1991),
Witvliet&Vrana
(2007)
Tendenza all’azione
La musica influenza le tendenze che
alcune persone manifestano ad agire in
un dato senso, così come possono
esserlo il fatto di aiutare gli altri, di
consumare certi prodotti anziché altri, di
muoversi (tendenze che possono restare
allo stato latente o svilupparsi concretamente, restare inespresse o trovare
compiuta espressione dal punto di vista
corporeo).
Fried & Berkowitz
(1979), North ed al.
(2004),
Rieber (1965),
Harrer & Harrer
(1977)
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Regolazione emotiva
Gli ascoltatori tentano di regolare le loro
reazioni alla musica, con particolare Becker (2001),
riguardo a quale risposta possa essere o Gabrielsson (2001)
meno ritenuta la meglio appropriata, o la
più conveniente, nel contesto sociale.
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Esempi tratti dalle conclusioni dagli studi che si occupano di qualificare e quantificare le emozioni musicalmente indotte:
Misura
Descrizione
Studio
Psico-motoria
Velocità di scrittura
Minor tempo richiesto per scrivere Pignatiello et al. (1986)
una serie di numeri da 100 a 1.
Tempo di calcolazione
Minor tempo richiesto per calcolare Clark &Teasdale (1985)
una serie di numeri da 1 a 10.
Approssimazione della distanza
Miglior valutazione della distanza.
Kenealy (1988)
Motivazionale
Incentivi
Il più alto grado di volontà riferibile Wood et al. (1990)
al fatto di partecipare alle attività
sociali.
Processo dell’informazione
Associazione fra parole
Velocità nel codificare
Tempo di decisione
Minor tempo nel produrre
associazioni fra parole.
Kenealy (1988)
Minor tempo nel completare la
procedura per la codificazione di
simboli.
Minor tempo nel processo
decisionale.
Wood et al. (1990)
Kenealy (1988)
Decisionale/Comportamentale
Probabilità soggettiva
Più alta stima della probabilità di Teasdale
successo e più bassa di fallimento.
(1984)
Giudizi valutativi
Più positiva
pubblicità.
Intenzioni dell’acquisto di beni
Più basse intenzioni dell’acquisto in Bruner (1990)
deposito.
Eccitazione sessuale
Più forte eccitazione sessuale.
Mitchell et al. (1998)
Attrazione fisica
Più alto livello d’attrazione.
May & Hamilton (1980)
Percezione emozionale
Più gioia e meno tristezza percepita Bouhuys et al. (1995)
nelle espressioni facciali.
valutazione
91
&
Spencer
delle Gorn et al. (2001)
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3.7 Meccanismi di attivazione delle emozioni musicalmente
indotte
In questo studio70 viene sottolineata una nuova struttura
teorica
caratterizzando i sei meccanismi psicologici che gli autori ipotizzano essere
coinvolti nell’induzione musicale delle emozioni71. I seguenti meccanismi
consistono, più o meno, nel numero delle distinte funzioni cerebrali che
gradualmente e in un ordine specifico si sviluppano durante il processo
evolutivo, dalle sensazioni (Reflessi del tronco cerebrale) fino ai processi
sintetici (Aspettativa musicale) (Gärdenfors, 2003):
1) Brain stem reflexes (Riflessi del tronco cerebrale).
2) Evaluative conditioning (Condizionamento valutativo).
3) Emotional contagion (Contagiosità emotiva).
4) Visual imagery (Immaginazione visiva).
5) Episodic memory (Memoria episodica).
6) Musical expectancy (Aspettativa musicale).
1) I riflessi del tronco cerebrale si riferiscono al processo dove
l’emozione è indotta dalla musica perché una o più caratteristiche acustiche
della musica sono ricevute dall’asse cerebrale per segnalare un evento
potenzialmente importante ed urgente (Berlyne, 1971; Burt et al., 1995; Foss et
al.,1989; Halpern et al., 1986). Una risposta simile riflette l’impatto sulla
sensazione uditiva – musica come suono nel senso più di base.
Il sistema percettivo costantemente scannerizza l’ambiente circostante
con lo scopo di scoprire eventi o cambiamenti potenzialmente importanti.
Alcune qualità del suono sono indicative del cambiamento, come i suoni
70
Juslin P.N., Västfjäll D. Emotional Responses to Music: The Need to Consider Underlying
Mechanisms. Behavioural and Brain Sciences, Cambridge University Press 2008.
71
Induzione emozionale: Si riferisce a tutti i quei casi dove la musica evoca un emozione
nell’ascoltatore – riguardante la natura del processo che evoca le emozioni.
92
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improvvisi ed estremi, i suoni che cambiano repentinamente, o i suoni che sono
il risultato della grande forza oppure sono di grandi dimensioni. I suoni che
esprimono alcuni criteri (per es. veloci, alti, rumorosi, di frequenze piuttosto
basse oppure di molto alte) produrranno perciò un’attivazione incrementata del
sistema nervoso centrale. I precisi processi psicologici che soggiacciono a tale
risposta del tronco cerebrale finora non sono completamente chiari, anche se
l’evidenza suggerisce che accadono nella vicina connessione della formazione
reticolare dell’asse del cervello e dei nuclei intralaminari del talamo, che
ricevono gli input del sistema uditivo.
I riflessi dell’asse cerebrale sono veloci e automatici, come dimostrato
attraverso l’evidenza della rapida categorizzazione pre-attenzione delle sottili
differenze nei timbri associata alle differenti emozioni (Goydke et al., 2004).
Affermazione finale è che il meccanismo dei riflessi del tronco cerebrale
può spiegare l’effetto stimolante o rilassante della musica, e anche come
solamente con i suoni si potrebbe indurre la piacevolezza o la spiacevolezza di
essa. Tuttavia, non è ancora chiaro come il meccanismo potrebbe spiegare
l’induzione delle emozioni discrete.
2) Condizionamento
valutativo
si
riferisce
al
processo
dove
un’emozione è causata da un brano musicale semplicemente perché questo
stimolo è stato ripetutamente copiato con gli altri stimoli, positivi o negativi.
Così, per esempio, un particolare pezzo di musica potrebbe essere accaduto
ripetutamente assieme nel tempo con un specifico evento nelle circostanze che
rendono sempre una determinata persona felice (per es. incontrare un amico).
Col tempo, attraverso ripetuti accoppiamenti del genere, la musica alla fine
evocherà la gioia anche in assenza di amichevole interazione.
Condizionamento valutativo (evalutative conditioning) anche allude
all’apprendimento affettivo (affective learning), all’apprendimento di risposte
condizionate alla paura (fear conditioning), al condizionamento emozionale
(emotional
conditioning),
al
condizionamento
preferenziale
(preference
conditioning), ma nonostante i termini scelti in ciascuna di essi, sembrano
riferirsi tutti allo stesso fenomeno. In altre parole, i processi qui sopra elencati,
messi a confronto, sembrano avere le stesse caratteristiche.
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In primo luogo il condizionamento valutativo può accadere anche mentre
il partecipante non è cosciente della contingenza dei due stimoli, cosa che
potrebbe non essere vera per gli altri tipi di condizionamento classico. In
secondo luogo questo tipo di condizionamento sembra essere più resistente
all’estinzione delle altre forme di condizionamento classico (Le Doux, 2002).
In terzo luogo il condizionamento valutativo sembra dipendere dai
processi inconsci, non intenzionali, e facili (De Houwer et al., 2005; Le Doux,
2002), che coinvolge le aree cerebrali subcorticali del cervello come l’amigdala
e il cervelletto (Balleine & Killcross, 2006: Johnsrude et al., 2000; Sacchetti et
al., 2005).
Per concludere, sembra plausibile che il condizionamento valutativo
possa spiegare molte risposte emozionali alla musica nel quotidiano.
3) Contagiosità emotiva si riferisce al processo dove un’emozione è
indotta da un brano musicale, e in tal caso mima la stessa espressione
interiormente, sia attraverso la risposta periferica dei muscoli, sia attraverso la
più diretta attivazione delle rilevanti rappresentazioni emotive nel cervello, e
porta all’induzione dell’emozione stessa. Per esempio, la musica potrebbe
contenere un’espressione di tristezza (attraverso il tempo lento, di basse
frequenze, il volume basso del suono ecc.) che induce la tristezza
nell’ascoltatore (Juslin, 2001). L’evidenza che la musica con l’espressione
specifica emotiva può mettere in rilievo la stessa emozione nell’ascoltatore è
stata riportata in diversi studi (alcuni esempi Kallinen & Ravaja, 2006; Lundqvist
et al.).
Questo meccanismo è imparentato, è affine all’espressione emozionale
della musica, su cui esiste una vasta letteratura. È stato suggerito che
l’espressione potrebbe essere un’iconica risorsa delle emozioni (Dowling &
Harwood, 1986). Il termine iconico si riferisce al fatto che la struttura della
musica indica le somiglianze formali alla struttura delle emozioni espresse
(Kivy, 1980) o sentite (Langer, 1957). I numerosi studi hanno dimostrato che gli
ascoltatori sono capaci di riconoscere le emozioni discrete nei pezzi musicali
(Gabrielsson & Juslin, 2003) e che persino i bambini di tre o quattro anni
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possono essere in grado di riconoscere le emozioni primarie nella musica
(Cunningham & Sterling, 1988).
La questione che si pone l’autore di questo studio è come esattamente la
percezione di un’emozione in musica porta all’induzione della stessa
nell’ascoltatore.
Il processo empatico
Lipps (1903) è stato, probabilmente, il primo a postulare un meccanismo
che riguarda l’empatia, dove la percezione dei gesti emozionali di una persona
direttamente inducono la stessa emozione nel ricevente senza il processo di
valutazione (appraisal process, Preston & de Waal, 2002). La moderna ricerca
ha confermato che le persone possono ‘afferrare’ l’emozione degli altri
semplicemente guardando le loro espressioni facciali (Hatfield, Cacioppo, &
Rapson, 1994) o solamente ascoltando le loro espressioni vocali (Neumann &
Strack, 2000).
Le precedenti ricerche riguardanti la contagiosità emotiva sono state
focalizzate prevalentemente sulla espressività facciale. Per esempio, le persone
messe di fronte alle immagini dell’espressione facciale spontaneamente
attivavano gli stessi muscoli (com’è stato dimostrato tramite elettromiografia)
anche dove le immagini sono processate senza consapevolezza. Inoltre, loro
riportavano di esperire le stesse emozioni (Preston & de Waal, 2002). Per di
più, una tale contagiosità sembra creare affiliazione e simpatia (Lakin, Jefferis,
Cheng & Chartrand, 2003), che non necessariamente è di beneficio
nell’interazione sociale.
Recentemente la ricerca ha suggerito che il processo della contagiosità
emotiva può occorrere attraverso la meditazione dei cosiddetti ‘neuroni
specchio’72 scoperti negli anni Novanta durante gli studi della corteccia pre-
72
Neuroni specchio sono una classe di neuroni specifici che si attivano sia quando si compie
un'azione sia quando la si osserva mentre è compiuta da altri (in particolare tra conspecifici). I
neuroni dell'osservatore "rispecchiano" quindi il comportamento dell'osservato, come se stesse
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motoria nei primati (Pellegrino et al., 1992). È stato trovato che i neuroni
specchio si attivano in entrambi i casi, quando la scimmia compie un’azione e
mentre osserva un altro individuo (umano o delle scimmie) compiendo
un’azione simile (Rizzollati & Craighero, 2004). Questi neuroni specchio
risultano collocati nelle aree premotorie ventrali del cervello, che dipende dal
tipologia dello stimolo. Ci sono molte indirette dimostrazioni della presenza dei
neuroni specchio anche nell’uomo.73
De Gelder et al. (2004) riportano che osservando l’espressione della
paura nel linguaggio corporeo aumenta l’attività nelle arie motorie del cervello,
come addizione a quelle associate alle emozioni, il che è coerente con la
nozione dei meccanismi specchio.
Considerando che la musica spesso innesca i pattern acustici espressivi
simili che troviamo nel linguaggio emozionale (Juslin & Laukka, 2003), si è
argomentato che noi veniamo destati, interiormente attivati, dagli aspetti
musicali pertinenti e assomiglianti alla voce attraverso i processi nei quali il
meccanismo neuronale risponde velocemente e automaticamente ad alcune
particolarità degli stimoli, che ci portano a mimare interiormente l’emozione
percepita. In accordo alla teoria della ‘super-espressività vocale’ (superexpressive
voice
theory:
Juslin,
2001),
cosa
rende
la
particolarità
dell’esecuzione musicale così tanto espressiva, per esempio al violino, è il fatto
compiendo l'azione egli stesso. Questi neuroni sono stati individuati nei primati, in alcuni uccelli
e nell'uomo. Nell'uomo, oltre ad essere localizzati in aree motorie e premotorie, si trovano
anche nell'area di Broca e nella corteccia parietale inferiore. Alcuni scienziati considerano la
scoperta dei neuroni specchio una delle più importanti delle neuroscienze degli ultimi dieci anni.
Per esempio Ramachandran ha scritto un saggio[1] sulla loro importanza potenziale nello studio
dell'imitazione e del linguaggio (Wikipedia, l’enciclopedia on-line).
73
Affinando le tecniche di indagine (fMRI) e di brain imaging è stata eseguita una localizzazione
precisa
dei neuroni specchio
umani.
Le
aree
contemporaneamente
attive
durante
l'osservazione degli atti altrui sono risultate: 1) la porzione rostrale anteriore del lobo parietale
inferiore; 2) il settore inferiore del giro pre-centrale; 3) il settore posteriore del giro frontale
inferiore; in alcuni esperimenti si osservano attività anche 4) in un'area anteriore del giro
frontale inferiore e 5) nella corteccia pre-motoria dorsale. Questo per quanto riguarda l'azione e
l'osservazione di movimenti fondamentali, ancora slegati da comportamenti emotivi.
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che esso assomiglia molto alla voce umana dal momento che allo stesso tempo
questo strumento va molto oltre quello che la voce umana potrebbe offrire in
termini di velocità, intensità, e timbrica. Per esempio, nella lingua parlata umana
è percepita ‘rabbia’ quando essa consta di alta velocità, alta intensità, e timbro
duro. Gli strumenti musicali potrebbero sembrare estremamente ‘arrabbiati’ in
virtù della loro anche più alta velocità, più grande intensità, e più aspro timbro.
Questi aspetti renderebbero la musica una risorsa particolarmente potente della
contagiosità emotiva.
All’osservazione precedente si potrebbe aggiungere che la pioniera del
nursing, Florence Nightingale, in un suo scritto del 1859 riconosce il potenziale
curativo della musica nel trattamento della malattia che, in un certo senso,
conferma l’ipotesi dello strumento come l’estremizzazione degli aspetti emotivi
dell’espressività vocale a beneficio o come disturbo (se non propriamente
controllati) della salute del paziente. Nightingale osserva gli effetti nell’uso
controllato dei diversi tipi di musica, raccomandando quei pezzi strumentali che
sono affidati all’esecuzione di strumenti a fiato e, tra essi, quelli in cui i suoni
sono tenuti più a lungo. Nel suo singolare resoconto l’aria “cantabile” sembra
costituire il presidio terapeuticamente più efficace. Similmente, la Nightingale
paragona la voce umana allo strumento a fiato notando che molte volte
quest’ultimo, analogamente alla voce rassicurante, suadente, dell’infermiera, è
in grado di calmare il paziente ansioso. Al contrario, osserva la studiosa
britannica, allorché la musica è suonata (o riprodotta) a un volume eccessivo, o
quando essa è accompagnata e sovrastata da un gran numero di voci che
affollano la camera del degente, in tal caso da siffatta molteplicità di fonti
sonore può scaturire un sovrappiù di ansia per quest’ultimo.
Ritornando sempre alle tesi esposte da Juslan & Laukka, loro
concludono la spiegazione di questo meccanismo assumendo che i precursori
della contagiosità emotiva attraverso l’espressione facciale e vocale siano state
studiate, si potrebbe dire, già abbastanza, ma che rimane importante anche di
esplorarli in relazione alla musica. Per loro la contagiosità emozionale
principalmente coinvolge le emozioni primarie con le distinte espressioni non
verbali (Juslan & Laukka, 2003; Laird & Strout, 2007).
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4) Immaginazione visiva si riferisce ai processi in cui un’emozione è
indotta nell’ascoltatore perché in essa o in lui vengono evocate le immagini
visive mentre ascolta la musica. Le emozioni esperite sono il risultato
dell’interazione tra le immagini e la musica.74
L’immaginazione visiva è solitamente definita come un’esperienza
assomigliante all’esperienza percettiva, solamente che accade in assenza degli
stimoli sensoriali rilevanti. Lo studio di questa disciplina ha un vecchio ma
confuso status in psicologia, segnato da parecchia controversia (Kolers, 1983).
La controversia per di più concerne in due capitali quesiti: se l’immaginazione
visiva comporta una rappresentazione distintiva pittorica (der. di pictus , p.
pass.
di
pingěre
‘dipingere’)
oppure
riflette
una
rappresentazione
proposizionale (dal lat. proposizione.-onis, ‘il mettere innanzi’).
Kosslyn (1980) afferma che, dal momento che la struttura generativa e a
lungo termine dell’immagine è propositiva, le immagini in sé sono ‘quasi’ delle
rappresentazioni pittoriche (similmente al set televisivo il cui output,
la
fuoriuscita viene captata come un immagine, ma i meccanismi generativi della
stessa sono meglio espressi nei simboli discreti degli elettroni). La prospettiva
pittorica è supportata attraverso le scoperte che molte aree del cervello che
sono attivate durante la percezione visiva sono similmente attivate mentre la
persona è coinvolta nell’immaginazione visiva (Farah, 2000; Ganis et al., 2004).
In accordo con le teorie dello sviluppo simbolico (Piaget, 1951), si potrebbe
assumere che l’immaginazione visiva si sviluppa durante il periodo prescolare,
nel momento in cui i bambini in modo crescente creano le rappresentazioni
simboliche complesse del mondo esterno (Gärdenfos, 2003; come evidenza
empirica, consultare Kosslyn et al., 1990).
Le immagini mentali sono state considerate come degli ‘inneschi interni’
delle
emozioni
(Plutchik,
1984)
e
alcuni
studi
hanno
rilevato
che
l’immaginazione visiva associata a differenti emozioni coinvolge diversi contesti
immaginativi (Lyman & Waters, 1989), così come i differenti pattern della
risposta psicologica (Schwartz, Weinberger, & Singer, 1981). In questi studi
74
Gli autori si focalizzano sulla immaginazione visiva, poiché a loro sembra che gli ascoltatori
non sono in grado di attivare l’immaginazione uditiva durante un ascolto musicale.
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viene espresso che gli stimoli musicali sono particolarmente efficaci nella
stimolazione dell’immaginazione visiva (Osborne, 1980; Quittner & Glueckauf,
1983) e un paio di studi hanno indicato che l’immaginazione può essere
efficace nell’accrescimento delle emozioni in musica (Band, Quilter &Miller,
2001-2002; consultare anche Västfjäll, 2002).
La natura precisa di questi processi dell’immaginazione rimane ancora
da svelare, ma gli ascoltatori sembrano concettualizzare la struttura musicale
attraverso la metaforica mappa non verbale tra la musica e il cosiddetto
‘schema visivo’ scaturito dall’esperienza corporea (Bonde, 2006; Lakoff &
Johnson, 1980).
Osborne (1989) ha riportato alcuni temi ricorrenti nell’immaginazione
visiva alla musica, come le scene di natura (per es. il sole, il cielo, l’oceano) e le
esperienze extra-corporee (per es. fluttuare sopra la terra). Le precedenti
risposte potrebbero essere state anche indotte dai particolari stili sonori utilizzati
negli esperimenti come la ripetizione, il tempo lento, la semplice struttura (con
la prevedibilità melodica, armonica e degli elementi ritmici), che sono stati
confermati come delle caratteristiche musicali che sono particolarmente efficaci
nella stimolazione delle vivide immagini (Mc Kinney & Timms, 1995).
La musica è stata trovata come ‘terreno della fantasia’ che offre la
possibilità dell’esplorazione di sé durante l’importante processo della ricerca
della personale identità nella tarda adolescenza (Becker, 2001; De Nora, 2001).
Nel contesto della Musicoterapia l’immaginazione visiva è stata sviluppata nella
GIM (Guided Imagery and Music, ovvero Immaginazione guidata e musica)
modello della Helen Bonny, in cui il ‘viaggiatore’ è invitato a ‘condividere’ le sue
immagini che sono espresse in estemporanea durante le sequenze musicali
preprogrammate (Bonny & Savery, 1973).
Le immagini musicalmente indotte possono produrre stati di rilassamento
profondo, con benefici per la salute come la riduzione del livello di cortisolo (Mc
Kinney, Antoni, Kumar, Tims, & Mc Cabe, 1997). Tuttavia, sembrano esserci
molte differenze individuali in considerazione della capacità di generare le
immagini visive (Marks, 1973).
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5) Memoria episodica si riferisce ai processi dove un emozione viene
indotta nel soggetto perché la musica evoca la memoria del particolare evento
della vita dell’ascoltatore. A volte viene chiamato il fenomeno ‘Cara, loro stanno
suonando la nostra melodia’ (Davies, 1978).
La ricerca ha individuato che la musica spesso evoca la memoria di cose
ed eventi (Gabrielsson, 2001; Juslin et al., 2006; Sloboda, 1992). Allo stesso
tempo mentre la memoria viene evocata, viene rievocata anche l’emozione
associata a tale ricordo. Tuttavia, i ricordi possono riguardare diverse tipologie
di eventi, come le vacanze, i film, i concerti musicali, la vittoria di una partita
sportiva, la morte del nonno, o i ricordi d’infanzia (Baumgartner, 1992). In effetti
la musica accompagna tutte le più importanti attività umane dalla culla fino alla
tomba (Gregory, 1997). L’abilità nel bambino di richiamare e parlare della
memoria episodica si sviluppa lentamente durante gli anni prescolari d’infanzia
(Fivush & Sales, 2004; Perner & Ruffman, 1995), e la memoria episodica è
quella che tra gli altri tipi di memoria, come il risultato dell’invecchiamento,
declina per prima. (Tulving, 2002).
Tra i meccanismi di induzione, la memoria episodica tra i teorici della
musica comunemente era considerata come musicalmente meno rilevante. Le
recenti evidenze, invece, suggeriscono che essa potrebbe essere una delle più
frequenti e soggettivamente più importanti risorse delle emozioni in musica
(Juslin et al., Sloboda & O’Neill, 2001). Molti ascoltatori usano la musica per
rievocare gli eventi del passato, che significa che la musica serve come
funzione nostalgica importante nel nostro quotidiano. La musica aiuta nella
consolidazione dell’identità personale dell’ascoltatore. La memoria retrospettiva,
come studiata da Sloboda (1989), ha indicato che la memoria degli eventi
musicali fortemente e positivamente valutata durante l’infanzia possa essere
importante nel determinare quali individui raggiungeranno un alto livello di
sviluppo musicale durante la vita.
All’inizio negli studi i ricercatori consideravano il condizionamento
valutativo e la memoria episodica come la memoria basata sui meccanismi
associativi. Oggi ci sono importanti ragioni per cui esse vengono considerate,
almeno in parte, come due meccanismi separati e indipendenti. Nonostante il
condizionamento valutativo sia una forma di memoria, la memoria episodica è
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differente poiché in essa viene sempre coinvolta la cosciente riconnessione
dell’evento precedente nel tempo che conserva molte informazioni contestuali.
Così, a differenza del condizionamento, la memoria episodica sembra essere
organizzata in termini della struttura gerarchica con i suoi tre livelli: il periodo
vitale, gli eventi generici, e la conoscenza specifica dell’evento (Conway &
Rubin, 1993). Oltre a questo, i due tipi di memoria hanno in parte differenti
caratteristiche nel processo e nei substrati cerebrali coinvolti. Quindi, essi
dovrebbero essere distinti nella ricerca sulle emozioni musicali con lo scopo di
non produrre delle scoperte inconsistenti.
In secondo luogo la memoria episodica può accadere in connessione
all’immaginazione visiva, benché, anche in questo caso, sembra molto
importante distinguere i due meccanismi, perché l’esperienza musicale può
evocare le emozioni quando l’ascoltatore tira fuori dal nulla le cose e gli eventi
che quindi non sono mai accaduti, in assenza di ogni memoria episodica di un
evento precedente nel tempo.
Un’importante caratteristica della memoria episodica, più generalmente,
è la considerazione comune che le persone tendono a richiamare di più le
memorie della loro giovinezza e della prima adolescenza (da 15 a 25 anni) che i
precedenti o i successivi periodi di vita.
Schulkind, Hennis, e Rubun (1999) hanno trovato che gli adulti giovani
come quegli anziani sono più propensi al recupero spontaneo della memoria
autobiografica
quando
sottoposti
alla
canzone
in
grado
si
muoverli
emozionalmente. Holbrook e Schindler (1989) hanno trovato che i partecipanti
hanno mostrato più grande piacere per la musica che è stata popolare durante
la loro giovinezza. Dunque, una delle ragionevoli predizioni potrebbe essere
verso le reazioni emozionali alla musica, pertinenti alla memoria episodica che
più comunemente coinvolge gli eventi della giovinezza o della prima
adolescenza, che degli altri periodi della vita. L’evidenza empirica suggerisce
che la nostalgia75 potrebbe essere una delle più comuni risposte alla musica
(Sloboda & o’Neill, 2001).
75
“La nostalgia (da notos ‘ritorno’ e algos ‘dolore, ‘sofferenza’) si può definire come il desiderio
intenso, accorato e lacerante di persone, di cose e di luoghi a cui si vorrebbe tornare, ma anche
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6) Aspettativa musicale si riferisce ai processi in cui un’emozione è
indotta nell’ascoltatore perché una specifica caratteristica della musica viola,
ritarda, o conferma in egli o in essa l’aspettativa della continuazione della
musica.
Questo meccanismo psicologico è stato approfonditamente teorizzato da
Meyer (1956). La sua teoria è stata ispirata dalle idee di Aiken (1950)
riguardanti le aspettative musicali, così come dalle contemporanee teorie
psicologiche della percezione (Psicologia della Gestalt e così via) e delle
emozioni (La teoria del conflitto emozionale di Dewey). Tuttavia Meyer è stato il
primo teorico a teorizzare in modo più completo
e convincente la nozione
dell’aspettativa musicale.
È stato notato che l’aspettativa musicale non si riferisce a ogni evento
inaspettato che potrebbe accadere in relazione alla musica. La semplice forma
della non aspettativa (per es. l’improvviso inizio di un suono forte) invece
sarebbe un esempio del meccanismo dei riflessi del tronco cerebrale.
Similmente, le caratteristiche più generali della sorpresa
di un evento che
coinvolge la musica (per es. che il concerto era migliore di quanto l’ascoltatore
si aspettasse) sarebbe invece un esempio del meccanismo della valutazione
cognitiva. L’aspettativa musicale si riferisce a quelle aspettative che
coinvolgono la relazione sintetica tra le diverse parti della struttura musicale
(Nermour, 1991; Patel, 2003).
Il meccanismo dell’aspettativa musicale è noto per la sua forte
dipendenza dall’apprendimento (Meyer, 1956). La prova che le aspettative
musicali dipendono molto dell’apprendimento culturale arrivano dal fatto che tali
risposte non sono divise tra i bambini. Sloboda (1989) ha trovato che i bambini
di cinque anni sono stati incapaci di segnalare le grosse dissonanze negli
accordi come ‘sbagliate’. All’età di nove anni, tuttavia, gli stessi palesemente
ridevano agli accordi ‘sbagliati’ e davano punteggi pari al livello degli adulti. Un
altro test nello stesso studio è focalizzato all’ordine degli accordi che può
di situazioni già sfiorite che si vorrebbero rivivere. La nostalgia è un’esperienza (un modo di
vivere il mondo e di sprofondare nella propria interiorità) che sconfina nell’esperienza della
tristezza, dello scoramento della malinconia, del dolore morale del taedium vitae.” (L'arcipelago
delle emozioni Di Eugenio Borgna)
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essere convenzionale (finale della frase con la cadenza) o finire senza la
risoluzione. In questo test, i bambini non hanno realizzato i livelli della
perfomance degli adulti sino all’età di undici anni. La prova della differenza
nell’età è stata anche riportata riguardo alla sensibilità alle gerarchie tonali
(Krumhansl & Keil, 1982) e l’armonia implicata (Trainor & Trehub, 1994).
Nonostante l’abilità di individuare le violazioni sintetiche può essere osservata
presto (Jentschke et al., 2005), le risposte dovute all’aspettativa musicale
altrettanto dipendono da quanto gli individui sono stati esposti allo stile musicale
in questione.
Un brano musicale può produrre delle diverse aspettative nei differenti
gerarchici livelli musicali, e queste aspettative possono essere differenti nei
diversi ascoltatori. Quindi, è difficile comprendere o predire esattamente cosa
l’ascoltatore risponde nella determinata situazione.
Negli ultimi anni, tuttavia, i ricercatori hanno sviluppato i nuovi modelli
dell’aspettativa (Hellmuth, Margulis, 2005; Huron, 2006), che dovrebbero
rendere i risultati sperimentali più vicini alle predizioni dei test. I metodi
neurofisiologici potrebbero essere utili al riguardo. È stato dimostrato che
l’attivazione dell’aspettativa musicale attiva le stesse aree cerebrali che sono
state precedentemente coinvolte nella violazione della sintassi linguistica (Kölsh
et al., 2002; Mäss et al., 2001). Patel (2003) ha quindi suggerito che il processo
sintetico in entrambi, il linguaggio o la musica, condivide la comune serie dei
processi per l’integrazione sintetica (localizzati nell’area di Broca) che operano
nelle rappresentazioni strutturali distinte per la musica e per il linguaggio. In
quanto i meccanismi dipendono dalle distinte funzioni del cervello con le
rispettive differenti origini evolutive, ogni meccanismo dovrebbe possedere
caratteristiche uniche.
L’evidenza che la violazione dell’aspettativa può produrre le emozioni è
stata recentemente riportata da Steinbeis et al. (2006). In questo modo, sembra
probabile che alcune delle nostre emozioni suscitate dalla musica riflettono uno
sconvolgimento di aspettative specifiche.
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4 Epidemiologia
“Ogni giorno nel mondo si eseguono migliaia di interventi chirurgici;
sfortunatamente le indagini continuano a indicare l’insuccesso della terapia antalgica
post operatoria. I fattori che indicano maggiormente sono: l’insufficiente conoscenza
del problema da parte degli operatori sanitari, la mancanza di presidi e farmaci idonei e
la mancata personalizzazione dei trattamenti.”76
Credo che questa citazione, ufficialmente riconosciuta ed uno degli ultimi
aggiornamenti infermieristici in Italia sul tema del dolore, sia sufficiente a
mettere in risalto la situazione odierna e il problema da essa emerso, oramai
troppo evidente per essere ignorato. In essa vengono proposte delle strategie
non farmacologiche per il controllo e la personalizzazione della terapia del
dolore, complementari ai trattamenti tradizionalmente utilizzati, compreso la
musicoterapia.
Uno studio finlandese ha stabilito che il 40% delle visite al medico di
famiglia (su 5000 visite) è dovuto al dolore. Un quinto dei pazienti dichiarava di
provare il dolore da oltre ai 6 mesi.77 Da aggiungere che le indagini
epidemiologiche, almeno in Europa, risultano troppo scarse per poter essere
riferite ad una situazione più generale.
Anche se poche persone muoiono a causa del dolore, ogni giorno, tante
persone muoiono nel dolore e parecchie persone continuano vivere con il
dolore.
D’altro canto, la musica è onnipresente in tutte le culture umane ed è
ascoltata dalle persone di ogni età, razza e in tutti gli ambienti etnici,
paragonabile con la ubiquità del dolore (tenuto conto, naturalmente,
dell’antiteticità di queste due esperienze).
Una ricerca semplice effettuata da me in questo periodo sul motore di
ricerca Google, per avere l’idea e il confronto della popolarità di alcune parole,
76
Dossier in Fad infermieristico, Dolore post operatorio nell’adulto (2006), Zadig, Milano.
77
Mantyselka P. et al. Pain as a reason to visit a doctor: a study in Finnish primary health care.
Pain 2001; 89:279-91.
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usando i termini in inglese, in o,16 s mi ha procurato l’elenco di 2 miliardi 530
milioni di siti internet che contengono la parola musica (frequenza del termine
music in un anno di tempo si è praticamente raddoppiato dai precedenti 1
miliardo e 200 milioni di siti) confronto a “soli” 779 milioni (442 milioni di siti che
contenevano la parola sex nel mese di aprile del 2007) quindi un po’ di più di un
terzo in o,15 s, che contengono la parola sesso. Credo che questo risultato
semplicistico e generalizzante sia sufficiente a dimostrare, almeno, la misura
dell’importanza che la musica assume nel mondo, la pervasività delle sue
sembianze e l’importanza che essa assume nella civiltà umana.
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5 Esperienza lavorativa = Project work
La musica mi trasporta in un mondo in cui dolore non cessa
d’esistere, ma si allarga, si rasserena, diventa insieme più calmo e
più profondo, come un torrente che si trasformi in lago…
5.1 Introduzione
Il seguente progetto nacque durante il mio iter di infermiera professionale
ospedaliera. Esso rispecchia esattamente un percorso dello sviluppo e
l’applicazione di qualcosa di ancora insolito, quasi “trasgressivo” per un
ambiente del genere.
In quanto solo i fattori incombenti passeggeri e in parte già stati previsti e
prevedibili, intendo evitare qualsiasi racconto sulle ostilità incontrate dal
personale, dagli altri dipendenti della stessa clinica, durante questa specie di
avventura che, a mio parere, ha apportato il bagaglio utile allo sviluppo e per le
nuove visioni della professionalità stessa, concentrando la mia attenzione alle
risposte finali ed agli obiettivi più o meno raggiunti e/o attesi. Gli esiti dei miei
incontri musico-tecnico infermieristici ovvero l’intervento del prelievo di sangue
accompagnato da un canto, che preferisco chiamare l’intervento del cantoprelievo ematico, a essere sincera, non erano previsibili e lungimiranti. Essi
principalmente
nascevano
dalla
soddisfazione
dei
bisogni
inerenti
al
superamento, alla risoluzione delle difficoltà riscontrate e vissute al momento
con il curante. I quesiti erano sempre più numerosi e, man mano che si stavano
aprendo di fronte a me diverse soluzioni benefiche, le risposte teoriche dei
differenti campi di ricerca le traevo di conseguenza e a posteriori.
La reazione al dolore che inevitabilmente viene percepito da qualsiasi
individuo (salvo i portatori della rara mutazione in un gene, chiamato SCN9A,
non in grado di cogliere le sensazioni dolorose le quali io, fino ad ora, non ho
incontrato nella prassi) è assolutamente soggettiva; da aggiungere che la
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mappa venosa personale è in ciascuno diversamente disposta, condizionata
anche dalle condizioni fisiche e dalle patologie precedenti e/o in corso. La
percezione, la tolleranza, la soglia di dolore e la conseguente risposta clinica
negli stessi individui e diversa dall’una all’altra e che parzialmente varia, di volta
in volta, nella stessa persona. Da queste ultime considerazioni si può evincere
che la gestione e la pratica di qualsiasi operatore sanitario nello stretto contatto
con gli individui (che a sua volta è sottoposto alla periodicità delle giornate più o
meno predisposte alla buona prontezza d’animo di offrire una risposta
adeguata), variano e vengono influenzate dagli “umori correlati e collettivi” della
giornata. Inoltre che tuttavia, queste, non potrebbero in nessun modo, essere
considerate tra le attività semplici e poco impegnative.
Per rendermi conto che la mia attività stava prendendo “una nuova
piega”, che gradatamente stavo sempre di più aggiungendo delle “altre”
conoscenze apprese nella vita: la formazione di una cantante lirica e la
specializzazione, ancora in corso, in musico terapia, ci sono voluti ben tre mesi.
Da allora, tutti gli approfondimenti teorici della scienza medica, quindi le
metodologie, le tecniche e le procedure musicoterapiche e persino le
competenze e le esperienze musicali con le loro forme, tecniche, teorie; li ho
cominciati a vivere in un fascio conglobato, con un senso unico che le
accomuna. In seguito all’ideazione della confluenza medico-musicale, la mia
esperienza clinica, rinforzata dalla nuova vigoria, instancabilmente continua a
mirare allo stesso scopo ippocratico di prendersi cura del prossimo senza
nuocere.
La mia idea, al principio, era che il mondo degli musicoterapeuti
dovrebbe stare al posto suo senza molti contatti e tanto meno provare a
mischiarsi con le competenze tecniche della scienza infermieristica. La
gerarchia piramidale è ben consona al pensiero clinico, dove i musicoterapeuti
sembrano essere arrivati tra gli ultimi, essi non vengono presi ancora come una
parte dell’intera immagine del complesso che rappresenterebbe la cura medica,
e questo, soprattutto da parte di chi sta più in alto nel sistema gerarchico.
Nei cantanti, invece, trovando il loro posto sul palco, tra i begli abiti, i
gioielli, le maschere e i costumi, a mio parere, la loro espressione del dolore e
della sofferenza sembrava essere esclusivamente dispiegata sul palcoscenico
ovvero per un pubblico “in vigore fisico”, attraverso le forme musicali come lo è
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per es. il melodramma italiano, perciò, in ambito clinico, in veste professionale,
un cantante sarebbe ancor meno pensabile. Adesso mi rendo conto che un’
idea così lineare, categorizzante e riduzionistica, confronto la completezza
circolare della multidimensionalità delle nuove prospettive mediche, non era
altro che un retaggio del ben radicato pensiero cartesiano.
Nelle circostanze di necessità, dal momento che la buona tecnica e le
procedure abituali mi ponevano dei limiti, cominciai a frammischiare le
cognizioni e nella disperata confusione dell’incombenza di rendere al meglio, di
portare
avanti
il
compito
che
mi
era
assegnato,
rispettando
contemporaneamente i principi e le forze interne che mi caratterizzano come
persona, fondendo tutte le conoscenze sinora apprese, cominciai a cantare alle
persone.
Infine, ad un estraneo potrà sembrare più complicato cantare e prelevare
il sangue del tradizionale intervento tecnico unifattoriale, ma a tale obiezione
prontamente risponderei che, come per gli scopi più totalizzanti verso la
persona, ossia sul versante olistico dell’approccio medico, questa sembra
essere una delle soluzioni ottimali.
In questa sede sto per descrivere gli effetti musicali dell’ impatto prodotto
nell’individuo dal canto-prelievo di sangue e per gli altri che si trovarono nei suoi
sonori paraggi, nel corso di 8 mesi della sua applicazione: di cui, sei mesi di
lavoro clinico con la qualifica di infermiera prelievista, dall’ottobre del 2006 sino
ad aprile del 2007, più i due mesi (aprile e maggio) della, in pratica stessa,
attività considerata il tirocinio di formazione in musicoterapia.
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5.2 Prospettive aperte e gli obiettivi sostenibili
Gli
obiettivi
che
dall’esperienza
dopo
poco
tempo
si
stavano
individuando, potrebbero essere esplicati attraverso un semplice schema
mentale: secondo la loro generalità e in relazione alla loro specificità
applicativa.
9
Obiettivi generali:
1) Eseguire ed applicare qualsiasi tecnica infermieristica, e nello
specifico quella del prelievo di sangue, con l’apporto musicale in persone di
ogni età che presentino evidenti traumi e difficoltà ad affrontare l’intervento,
prendendo in considerazione la loro personale esperienza del dolore ed ansia
che da esso scaturisce.
2) Evitare che tale trauma venga sviluppato negli individui all’esordio
delle loro esperienze cliniche.
3) Umanizzazione e personalizzazione del trattamento stesso.
9
Obiettivi specifici:
1) Uso di musica come palliativo nel trattamento non farmacologico del
dolore acuto.
2) Apporto musicale come uno stimolo distrattore antalgico nella
gestione infermieristica del prelievo di sangue.
3) Fare in modo che non vengano sviluppati traumi dalla stimolazione
dolorosa attraverso l’incisione cutanea dell’ago e/o evitare il peggioramento
dello stato di salute psicofisica.
4) Energizzazione, innalzamento e ispirazione di tutti
i livelli del
benessere dell’individio.
5) Favorire il mantenimento nei range i valori dei parametri che nei casi
di svenimento solitamente risultano compromessi: la frequenza cardiaca (FC),
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la frequenza respiratoria (FR), la pressione arteriosa (PA), nonché gli aspetti del
sistema nevoso periferico (autonomo: simpatico) come il colorito cutaneo, la
sudorazione e cosi via.
6) Favorire una situazione non traumatica nel bambino cercando di
stimolare lo sviluppo di un buon sistema di coping indicandogli contemporaneamente diverse strategie cognitive e comportamentali da mettere in atto per
fronteggiare una situazione di stress.
7) Favorire il miglioramento delle strategie di coping già insiti e/o
sviluppati nella persona.
8) Dove le condizioni lo rendano attuabile, influire sul paziente con la
musica in modo indiretto attraverso gli effetti nei comportamenti e le attitudini
del caregiver.78
9) Superare e attenuare i livelli d’ansia prodotti nel disagio che spesso
scaturisce dal silenzio: l’effetto di modificazione nella percezione di spazio e di
tempo, come una delle caratteristiche musicali.
10) Favorire la vasodilatazione venosa e la distensione dei muscoli, il
rilassamento della persona che come feedback determina un effetto di maggior
agiatezza nell’infermiere.
11) Interferire e stimolare la modalità di attenuazione della percezione
algica nella terza e quarta fase nel circuito della nocicezione.
12)
Facilitare
l’esecuzione
tecnica
e/o
l’applicazione
terapica,
disponendo l’operatore sanitario nelle condizioni favorevoli alla più grande
soddisfazione personale della propria riuscita e il benessere psicofisico che da
esso può conseguire.
78
Caregiver, termine inglese traducibile con “chi si prende cura” di un malato, sia esso un
familiare, un amico, un operatore, una badante o un volontario.
110
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5.3 Rassegna della letteratura scientifica (alcune delle ricerche
scientifiche svolte e gli studi randomizzati)79
L’uso della medicina alternativa e complementare (CAM) è cresciuto
nell’ultima decade. Un recente studio su più di 31 000 adulti ha stabilito che
36% di loro riportavano l’uso di alcune delle terapie CAM (complementary and
alternative medicine) negli ultimi 12 mesi, e da quando la preghiera è stata
aggiunta come la modalità; questo numero è stato alzato al 62%.80 Tra esse,
assieme all’uso della musica, si possono trovare gli studi e le tecniche di
rilassamento, il massaggio, Stress balls, l’ipnosi,
la Tens, l’agopuntura,
l’aromaterapia ecc.
Tendendo ad essere orientata attorno a dei problemi clinici e patologici
molto specifici, per il campo della Musica in Medicina si potrebbe asserire che
sia più focalizzata agli studi e le ricerche che sosterebbero le ipotesi o le
evidenze scaturite dalla prassi, rispetto alla musicoterapia. Dall’esordio del
nuovo millennio in poi, l’applicazione della musica in campo medico sta
diventando sempre più precisa e definita e nel Web vi si possano trovare
numerosissimi PDF degli studi e degli articoli scientifici pubblicati delle ricerche
svolte (alcuni purtroppo disponibili solo a pagamento). Particolare attenzione
viene posta all’ambito della chirurgia (pre, intra e post-operativa), indi, andando
verso più specifico, la gestione, gli interventi, il trattamento e il supporto dei
problemi in: oncologia, pediatria, cardiologia, psichiatria e psicoterapia,
neurologia, stomatologia; con il loro ampio ventaglio delle rispettive patologie
cliniche possibili da includere e trattare nella ricerca.
79
Vedi elenco di riferimenti delle ricerche scientifiche ed alcuni degli articoli pubblicati presenti
in letteratura.
80
Barnes, Powell-Griner, McFann&Nahin (2002), Complementary and alternative medicine use
among adults: United States.
111
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Ci sono diversi modi attraverso i quali la musica si assume il compito di
modulare le risposte fisiologiche. Può agire come uno stimolo non verbale che
potrebbe colpire la corteccia uditiva e in seguito essere ricollegata alle più
profonde strutture influendo le connessioni neuronali emotive oltre al sistema
nervoso autonomo.
La musica è uno stimolo singolare in grado di tranquillizzare ma anche
attivare in modo benefico con conseguenze positive per l’interazione futura.81
Essa si è stata dimostrata un efficace ansiolitico per coloro che venivano
sottoposti a indagini diagnostiche particolarmente stressanti. Altre ricerche,
invece, sottolineavano l’efficacia musicale nel promuovere il rilassamento,
indicato dalla riduzione della frequenza cardiaca e respiratoria oppure, in altri
casi, un miglioramento dello stato d’animo in pazienti in Unità di cure intensive
che si sottoponevano
all’ascolto delle cassette di musica da loro stessi
selezionata. L’effetto rilassante della musica è stato altresì usato con successo
per trattare l’insonnia.82
Ralph Spintge, il direttore esecutivo della Società Internazionale della
Musica in Medicina con sede in Germania, ha studiato gli effetti della musica su
incirca 97.000 pazienti prima, durante e dopo intervento chirurgico. Il 97% di
loro ha riportato che la musica li aiuta nel rilassarsi durante il ricovero e molti
hanno riferito di aver sentito meno bisogno dell’anestesia. “La musica dolce,
tonale è particolarmente efficace. L’ascolto della lenta musica barocca o della
musica classica diversi giorni prima dell’intervento ed ascoltarla di nuovo nella
sala intensiva riduce il loro disorientamento postoperativo”.
Oltre a ciò, la musica da sola, in generale, possiede la positiva influenza
sul ritmo e il battito della mente e del corpo. E questo potrebbe avere delle
attinenze primitive, considerando che il battito del feto deriva da quello del
cuore materno, un intima relazione che noi possediamo con il ritmo e il suono
dell’umano battito cardiaco.
81
Standley J. M., Hanser S. B. (1995), Music therapy research and applications in pediatric
oncology treatment. J Pediatr Oncol Nurs. 1995 Jan;12(1):3-8; discussion 9-10.
82
Fletcher D. J., (1986), Coping with insomnia. Helping patients manage sleeplessness without
drugs. Postgrad Med. 1986 Feb 1;79(2):265-74.
112
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L’ascolto della musica scelta dal paziente, in aggiunta alla terapia
antiemetica, si è dimostrato efficace per ridurre la nausea e il vomito derivanti
dal trattamento chemioterapico.83
Sembra infatti che la musica, o almeno una parte di essa, abbia la
capacità di stimolare la produzione e la circolazione di endorfine, in pratica le
morfine naturali che il nostro organismo sviluppa per difenderci dal dolore.
In seguito riporterei le discussioni finali di alcune ricerche disposte per
ambito di cura tra i pazienti randomizzati:
- gli interventi ortopedici (al ginocchio e la proteisazzione dell’anca - T.
Pellino ed al., Orthopedic Nursing, 2005): questo studio ha dimostrato la
significante correlazione tra l’intensità del dolore post-operatorio, la quantità
degli oppioidi assunti e l’ansietà nel gruppo che aveva scelto di utilizzare il kit
delle strategie non farmacologiche confronto al gruppo di controllo che non
l’aveva assunto. Nelle conclusioni tratte, i ricercatori ribadiscono che nel gruppo
che in aggiunta al trattamento era fornito dal kit non farmacologico è stato
riportato l’uso parsimonioso degli oppioidi durante il primo giorno, la significata
riduzione nel uso degli analgesici nel corso del secondo giorno postoperativo e
la tendenza alla minore ansietà rispetto al gruppo di controllo. Non è stata
valutata significante la differenza statistica nell’intensità del dolore, tuttavia, in
ultimo, questo studio conclude con la domanda (visto che il gruppo provvisto di
un kit non farmacologico ne aveva assunto meno) se l’intensità del dolore
sarebbe stata pressa poco simile anche se i pazienti di tutti e due gruppi
avessero assunto la stessa quantità di oppioidi.
- la chirurgia laparoscopica ginecologica (Ikonomidou E. e col., 2005):
nello studio è stata esaminata l’ipotesi che l’ascolto pre e postoperativo
musicale avrebbe influenzato l’esperienza del dolore nelle pazienti, la
sensazione di nausea e di benessere, e che avrebbe avuto l’impatto sui
parametri vitali. In base ai risultati, l’intervento di ascolto del cd con le musiche
suonate dal flauto di pan, ha procurato altamente significativa riduzione dei
83
Ezzone S. et al, (1998), Music as an adjunct to antiemetic therapy. Oncol Nurs Forum.
25(9):1551-6.
113
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valori della frequenza respiratoria nel periodo preoperativo come la diminuzione
del consumo postoperativo degli oppioidi (sparing effect).
- la cute (Khalfa S. e col. 2001): misurando l’attività elettrodermica sono
stati resi accessibili gli indici autonomici, come la risposta della conducibilità
della pelle (SCR, skin conductance response) agli eventi relazionati alle
emozioni indotte con la musica. Lo studio ha misurato i livelli della tonicità
dell’attività elettrodermica attraverso lunghe durate degli ascolti musicali (30s6min) ed essa risultava essere più alta nelle melodie poste per rappresentare la
felicità e la paura rispetto alle altre due categorie emotive prese in esame, la
tristezza e la tranquillità. Questo studio non è riuscito a dimostrare nessuna
significativa differenza nella modalità di risposta tra le copie di 4 categorie
emotive prese in considerazione (tra la felicità e la paura ad es.).
- operazione d’ernia (Nilsson U., 2005) con una prova randomizzata i
pazienti sottoposti a questo tipo di intervento sono stati assegnati a tre gruppi
diversi: musica rilassante intraoperativa, m. rilassante postoperativa (per un ora
di rilassante musica New Age in tutti e due gruppi sperimentali) e il silenzio
(gruppo di controllo). Il livello di stress veniva stabilito misurando il livello di
cortisolo nella plasma e i livelli del glucosio nel sangue. In più, è stata valutata
la risposta immunologica attraverso lo studio dei livelli dell’immunoglobulina A
(IgA è l’anticorpo salivare che ci protegge dalle tossine e i batteri nocivi ed è un
importante marcatore della migliorata resistenza umana alle malattie).
Le conclusioni tratte da questo studio, per l’importante riduzione sierica
del livello del cortisolo rispetto al gruppo di controllo, hanno riportato l’efficacia
della musica nel periodo intra e postoperativo nel ridurre: il dolore, il consumo
della morfina e la risposta stressata all’intervento. Gli altri due parametri (IgA e
glucosio) non hanno dato dei risultati che potrebbero essere considerati una
dimostrazione dell’influenza della musica e rimangono ancora solo dei termini di
speculazione.
114
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5.4 Metodologia di intervento musicale
Durante questo percorso esperienziale nell’integrazione musicale,
avvenuta spontaneamente, alle tecniche e ai tradizionali comportamenti
attinenti al lavoro dell’infermiere, diverse volte mi sono posta la seguente
domanda: se il mio operato potrebbe essere considerato dell’ambito della
Musicoterapia oppure della MusicaMedicina e quale sarebbe la misura o il
criterio che porterebbe alla loro migliore demarcazione nel senso di una loro più
marcata differenziazione o verso una loro più perfetta integrazione e
correlazione disciplinare.
In quanto la mia concentrazione e i miei sforzi sono posti
all’energizzazione ed ispirazione di tutti i livelli del benessere personale, il mio
obiettivo è rivolto verso la modalità psicosociale - dove la musica funge da
stimolo per una determinata funzione (tecnica co-antalgica ed ansiolitica
eterodossa) e costituisce il modello formale al cui interno questa funzione si
articola – e viene sottolineata la sua natura biomedica; alla luce di questa
considerazione, si potrebbe costatare che il mio approccio musicale tecnico
complementare agli interventi infermieristici appartenga più alla sfera della
Musica e Medicina84.
Nell’applicabilità pratica che si è potuta realizzare in questo periodo del
percorso, le condizioni relative ai tempi di gestione - in misura dell’efficacia e
della sempre maggiore tendenza ospedaliera alla riduzione del numero del
personale sanitario con il rischio di grave compromissione dell’aspetto
assistenziale
clinico
del
paziente
–
aggravatosi
nel
tempo;
sarebbe
inimmaginabile e dispersivo, e non professionale, svolgere una ricerca
metodologica approfondita che portasse allo sviluppo e/o applicazione di un
vero e proprio modello musico-terapico. I tempi organizzativi nel contatto con i
pazienti risultano troppo risicati e ridotti all’essenziale perché nella loro
concezione non vi è ancora una previsione dell’attuazione organizzativa che si
avvierebbe in direzione alla realizzazione degli orientamenti d’approccio olistico
verso la persona.
84
La MusicMedicine considerandone l’importanza per l’ambito in cui mi trovo tratterò
posteriormente in modo più ampio.
115
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Tuttavia, ho avuto l’opportunità di assistere di persona al realizzarsi e al
tratteggiarsi dei preliminari alla nascita metodologica, in forma di procedure, di
variazioni e tecniche che sembrano essersi concretizzate in alcune forme,
strategie e parametri precisi del mio operato.
Inizialmente, il canto veniva adoperato, nelle situazioni di problematiche
di stress, incontrate nei meccanismi di preoccupazione manifestati nelle
condizioni ansiogene come lo è l’intervento di prelievo ematico: con gli evidenti
segni di disagio psicologico nei confronti di una situazione di potenziale
“pericolo” verso la persona; il melo85 come l’ansiolitico non farmacologico.
La paura dell’ago e l’istintiva reazione umana nel rifiutare il dolore acuto,
per quanto esso ad altri potrebbe risultare qualcosa di piccolo ed irrilevante, in
alcuni soggetti viene portata alle estreme tensioni e problematiche psicologiche
fino a produrre degli evidenti segni destabilizzatori e debilitanti della salute
psico-fisica, oggettivamente identificabili nell’eccedere ai range dei parametri
vitali (tachicardia oppure calo pressorio) oltre agli evidenti segni cutanei
neurovegetativi (sudorazione, cambiamenti di colorito) e nel comportamento
manifestato o verbalizzato. Lo stress del dolore, per quanto viene espresso in
letteratura su questo argomento, può causare ipertensione, tachicardia e
potrebbe contribuire allo sviluppo dell’ischemia del miocardio. I suoi effetti
negativi, oltre nel sistema cardiovascolare, si manifestano sulla funzionalità
polmonare, gastrointestinale ed endocrino-metabolica, nonché sulla sfera
psicosociale. La paura, per di più, abbassa la soglia di dolore e ne aumenta la
percezione.
La cute è un tessuto molto innervato e alcuni stimoli esterni, avvertiti
come pericolosi dall’organismo, devono produrre una reazione immediata di
fuga: la velocità di percezione è quindi essenziale, al fine di proteggere
l’individuo dai possibili danni.
Il solito stratagemma tecnico infermieristico, per adeguarsi e stare nei
tempi ottimali alla velocità della percezione neurofisiologica in termini della sua
attenuazione nella trasduzione (la prima fase della nocicezione) e la
susseguente sua trasmissione dell’impulso elettrico lungo le vie sensitivi
85
Dal. Lat melos; trascr, del gr. mélos ‘membro di una frase musicale’, ‘canto, melodia’.
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ascendenti fino all’encefalo, consiglia di effettuare qualsiasi puntura in tempi
molto rapidi. Il suggerimento, nonostante la sua provata efficacia, in molti casi
(e dipende anche dai livelli di concentrazione e le condizioni psicofisiche
dell’operatore nelle diverse giornate), non è realizzabile e certamente non
sufficiente ad oltrepassare il problema del disagio che solo il pensiero ad un
intervento invasivo all’integrità naturale corporea della persona può suscitare,
oltre alle difficoltà che potrebbe esserci di trovare un accesso venoso.
La presa in considerazione di altri due livelli, la valenza affettivomotivazionale e cognitivo-comportamentale che vengono aggiunte, per reagire
con altre modalità di intervento, si è dimostrata realmente necessaria, a rigore
di logica e di conseguenza. Dapprima intuitivamente ed in seguito anche
coscientemente includendoli nel mio piano ho cominciato ad aggiungere le
tecniche, fino ad ora “estranee” ed “altre” al piano di cura medica: il canto, le
proposte di elementi distrattori verbali, la prossemica e le discipline e/o
atteggiamenti affini. In quanto desumibile, gli elementi aggiunti, diventano dei
complementi o dei captatori dell’attenzione nella direzione di una percezione e
visione più selettiva e mirata. Il silenzio, siccome direttamente relazionato alla
percezione psicologica del tempo e potenziale fiancheggiatore degli alti livelli
percettivi somatici individuali, viene trattato con le tendenze alla soppressione.
Da subito si cerca di influenzare, interagire con le strategie di coping già
sviluppate nella persona cercando di coinvolgerla, accompagnarla e indurla a
fronteggiare lo stress (le strategie più attive) verso i criteri ritenuti ottimali.
Dopo l’individuazione del dolore o ancora meglio dell’emozione, come la
causa scatenante di una molteplicità di effetti, gli obiettivi che si stavano
aprendo
e
definendo
di
fronte
a
me
stavano
moltiplicandosi
ed
improvvisamente, il pensiero sul fenomeno complesso come è il dolore suscitò
la formazione di un’intera costellazione di possibilità da mettere in atto per
cercare di superare le condizioni di ostacolo.
Nell’incombenza della difficoltà di eseguire l’intervento di prelievo, e
propensa verso l’evitamento delle strategie contenitive tradizionali, ho trovato la
voce e la sua forma artistico espressiva di estensione melodica ovvero il canto,
come un grande alleato utile ad adempire agli scopi.
Per quanto in seguito riscontrato anche in letteratura negli studi di Brown
e Spintge (già dal 1976 viene contemplata la cosiddetta musica ansiolitica), in
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seguito vennero pubblicati diversi testi sugli studi effettuati riguardo le
valutazioni degli attributi musicali per il controllo del dolore, ho potuto avere
ulteriore conferma degli effetti musicali positivi che emergevano già fuori dalla
mia pratica.
Brown86 assegna alla musica due principali qualità che possono essere
usate per sviluppare strategie efficaci per far fronte al dolore: dimensione
attenzione/distrazione e dimensione affettiva.
La musica, per quanto riferisce questo studioso, ha la capacità di
catturare l’attenzione impegnando l’intelletto e modificando lo stato emozionale
al di la delle preferenze personali o delle competenze musicali richiedendo
all’individuo di impegnarsi nell’esperienza momento per momento. Essa ha la
potenzialità di alterare la percezione del tempo e la sensazione del dolore può
non essere necessariamente diminuita ma la sofferenza provata potrebbe
essere decisamente inferiore. Per quanto riguarda invece la dimensione
affettiva, la musica è in grado di influenzare l’umore e può stimolare esperienze
emozionali in grado di dare un maggior significato ad una situazione, rievocare
le memorie del passato, o permettere un’auto-catarsi.
Lo studioso tedesco Ralph Spintge,87 invece, nel 1993 descrive l’uso di
quella che lui chiama “musica ansioalgolitica” nelle procedure mediche e
chirurgiche per ridurre l’angoscia, l’ansia e il dolore provato dai pazienti. Egli
segnala una significativa riduzione della necessità d’anestesia durante
l’operazione, in particolare, in quelle situazioni in cui l’anestesia non è totale.
86
Brown C. J., Chen A. C. N., Dworkin S. F. (1991), Music in the control of human pain. Music
Therapy 8: 47-60.
87
Spintge R. (1985-1986), Some neuroendocrinological effects of socalled anxiolytic music. Int
J Neurol. 19-20:186-96; Spintge R. (1993), Music and Surgery and Pain Therapy. Unpublished
paper given to the NAMT/AAMT/CAMT. Conference on Music Therapy: Crossing Borders,
Joining Forces in Toronto.
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Spintge osservò gli elementi musicali che stava analizzando individuando
le differenze nella musica definita come rilassante da quella che lui chiama
ansioalgolitica.
La seguente tabella rappresenta i parametri specifici da lui segnalati per
poter distinguere tra la semplice musica rilassante e quella ansioalgolitica:88
Elementi musicali
Musica rilassante
Musica ansioalgolitica
Frequenza
600 Hz – 900 Hz
20 Hz – 10.000 Hz
Dinamica
Piccolo cambiamento
Piccolo cambiamento
Melodia
Prevedibile
Prevedibile
Tempo
60-80
50-70
Ritmo
Costante con pochi contrasti
Fluttuante senza contrasti
Circolo vizioso Dolore Stress
In seguito in italiano riporto il contenuto di questo grafico in un diagramma simile per
riportare l’idea di Ralph Spintge.
88
T. Wigram, I. N. Pedersen e L. O. Bonde (2004), Guida generale alla musicoterapia, ISMEZ
Editore.
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Rabbia
Delusione
Rifiuto
Paura
Desideri
Impotenza
Speranze
Negazione
Come rappresentato nel diagramma precedente, nella terapia del dolore ogni
dolore cronico è un fenomeno che tormenta l’intera persona.
Si afferma nell’applicazione di routine con più di 120 000 pazienti di Spintge89,
domanda principale all'interno della struttura di tale tentativo di trattamento, che
la musica è predestinata ad essere il più intenso senso della comunicazione
emotiva.
89
http://www.sportkrankenhaus.de/Artikel/schmerz.htm
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5.4.1 Panoramica sulla MusicMedicine
La MusicMedicine90 essenzialmente e complessivamente significa la
valutazione scientifica degli stimoli musicali nel setting medico, in particolar
modo attraverso le ricerche nell’ambito della matematica, fisica, fisiologia e
medicina, così come la sua applicazione terapeutica, per complementare il
trattamento medico tradizionale, con il riguardo alla particolari malattie,
medicamenti, e le procedure implicate in ogni caso particolare
[Spintge &Droh, 1992°; Marano, 1992; Pratt, 1995]
MUSICA E
MEDICINA
MEDICINA DEL
MUSICOTERAPIA
PERFORMANS
TRADIZIONALE
MUSICALE
MUSICOTERAPIA
MEDICA
(MUSICMEDICINE)
91
Secondo gli scritti dei capostipiti della Musica (e) medicina essa diverge
dalla Musicoterapia tradizionale, e secondo gli autori,92 essa viene vista come
90
MusicMedicine letteralmente sarebbe tradotto in italiano come MusicaMedicina poiché
inizialmente essa rappresentava l’abbreviazione della Music Performans Medicine, inerente ai
problemi della salute e/o psicologici degli esecutori della musica. Nel corso di faticosi anni di
ricerche il termine ha maturato il proprio significato, espandendosi agli altri ambiti di ricerca. In
questo senso MusicMedicine, negli ultimi anni, sta per Musica e Medicina oppure per
Musicoterapia medica con le sue varie suddivisioni come mostrato nella figura successiva.
L’evoluzione e la spontanea trasformazione del suo significato in futuro potrebbe portarci ad
altre attribuzioni di senso e ad altri titoli.
91
Il modello esposto nel 1989 da parte di Cheryl Dileo Maranto, nell’articolo A Comprehensive
Definition of Music Therapy with an Integrative Model for Music Medicine, con riferimento alle
comunicazioni personali da parte di R. Spintge e C. Eagle.
92
Spintge R., Droh R. (1994), MusicMedicine 2, Barcelona publishers, Texas.
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parte della cura psichiatrica oppure della psicoterapia stessa. D’altra parte si
sostengono le interrelazioni di base tra la Musica e Medicina e la Musicoterapia.
In questa chiave di lettura la Musicoterapia viene considerata come le
applicazioni psicoterapeutiche della musica come parte integrante della Musica
e medicina.
La Musicmedicine da parte sua era quella che si prendeva cura dei
problemi della salute degli esecutori della musica. Per questo motivo la
medicina della performance musicale si riferisce ai problemi pertinenti al
trattamento dei problemi medici e psicologici dei musicisti.
In base alla definizione di Bruscia93 sulla musicoterapia vengono
individuati i requisiti di base della Musicoterapia medica, come rappresentato
nel diagramma seguente.
Componenti necessari della Musicoterapia
RELAZIONE
TERAPEUTICA
ESPERIENZE MUSICALI
MUSICOTERAPISTA
COMPETENTE
OBIETTIVI TERAPEUTICI
PAZIENTE/CLIENTE/FACILITATO
…
Kenneth Bruscia94 nel suo libro fa la distinzione tra la “Musica in
medicina” e la “Musicoterapia in medicina”.
93
Definizione di Bruscia: “La musicoterapia è un processo interpersonale in cui le esperienze musicali
vengono usate per migliorare, mantenere o ristabilire il benessere del cliente.” (1986)
“La musicoterapia è un processo finalizzato in cui il terapeuta aiuta il cliente a migliorare, mantenere o
ristabilire uno stato di benessere, usando esperienze musicali e le relazioni che si sviluppano tramite e
come forze dinamiche di cambiamento.” (1987a).
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Musica in Medicina consiste nell’utilizzo della musica per influenzare gli
stati fisici, mentali o emotivi del paziente, durante o dopo il trattamento medico.
Lo scopo è di preparare il paziente all’intervento medico, nonché quello di
rafforzare e facilitare l’effettivo processo di trattamento o consapevolezza. Sono
inclusi anche gli effetti diretti della musica sul corpo. In essa la relazione clienteterapeuta è di secondaria importanza rispetto agli effetti diretti della musica,
mentre il rapporto cliente-musica assume il ruolo chiave.
Musicoterapia in medicina si realizza nel terapeuta che usa le
esperienze musicali e le relazioni che si sviluppano come strumento per aiutare
i pazienti clinici ad ottenere un maggior controllo sulla loro malattia, cura o
consapevolezza. Qui gli scopi sono di medicina e/o psicoterapeutici per natura,
e l’obiettivo può essere quello di influenzare la condizione medica stessa, o
quello di costruire uno stile di vita che aiuti il paziente a superare o a gestire i
suoi problemi di salute. Naturalmente l’ultimo obiettivo richiede quasi sempre
cambiamenti cognitivi, affettivi e comportamentali.
In un certo senso, la “Musicoterapia in Medicina”, include solitamente gli
scopi della “Musica in Medicina”, e li supera per comprendere qualche forma di
psicoterapia, e al contrario della Musica e medicina, in essa il rapporto clienteterapeuta gioca un ruolo centrale nel processo d’intervento, con il rapporto
cliente-musica di uguale o minore importanza.
In alcuni casi Musicoterapia in medicina riguarda soltanto i bisogni
psicoterapeutici del paziente.
94
Bruscia Kenneth E. (1993), Definire la musicoterapia – Percorso epistemologico di una disciplina e di
una professione. Gli archetti, Ismez, Roma.
123
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Categorie della Musicoterapia medica
MUSICA COME MEDICINA
MUSICA IN MEDICINA
MUSICOTERAPIA E MEDICINA
MUSICOTERAPIA COME MEDICINA
MUSICOTERAPIA IN MEDICINA
I criteri che hanno portato allo sviluppo delle soprastanti categorie sono i
seguenti:
- Quando la musica è l’agente primario del cambiamento, è usata
direttamente per influire sulla salute; in tal caso la relazione terapeutica è di
minore importanza, anche se considerata componente vitale del processo.
- Quando la relazione terapeutica è l’agente primario del cambiamento, è
usata direttamente per influire sulla salute; in tale istanza la musica è di minore
importanza, anche se considerata componente vitale del processo terapeutico.
- Allo stesso modo il ruolo della musicoterapia medica nel trattamento
medico può essere entrambe le cose, di ruolo primario o di supporto. Quando è
di primaria importanza è utilizzato direttamente per influire sulla salute, come un
trattamento medico. Di supporto invece è utilizzata per migliorare o aumentare
l’efficacia del trattamento medico.
- Quando la musica e la relazione terapeutica hanno la stessa incidenza,
l’importanza dell’una non tende a prevaricare sull’altra parte, si realizzano nella
categoria Musicoterapia e Medicina. In altre parole in essa la musicoterapia ha
ruolo eguale, nei termini di significato, al trattamento medico utilizzato.
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Obiettivi delle varie applicazioni in Musicoterapia Medica
BIOMEDICA (Engel 1977)
Esempi:
o
La musica per influenzare il battito cardiaco, la pressione arteriosa, la
tensione muscolare, pressione intracranica ecc;
o
La musica per accrescere la risposta immunitaria;
o
Può migliorare l’effetto dell’anestesia;
o
La musica per facilitare la respirazione ritmica e profonda;
o
La musica per la soppressione del dolore;
o
La musica nei problemi alimentari;
o
La musica per abbassare i livelli ormonali causati dallo stress (ACTH,
cortisolo, noradrenaline).
PSICOSOCIALE
Esempi:
o
La musica per ridurre l’ansia preoperatoria e ridurre la quantità del
medicinale necessaria per l’anestesia;
o
La musica per la riduzione dei disagi e la distrazione del paziente
durante la dialisi renale;
o
La musica per la diminuzione della depressione dovuta alla deprivazione
sensoriale durante l’isolamento;
o
La musica per ridurre il trauma e la paura nel paziente;
o
La musica assistenziale nella presa di decisione riguardo le cure del
paziente;
o
La musica può diminuire la sensazione di essere indifesi durante le cure
mediche e aumentare il livello di contentezza;
o
La musica per facilitare il supporto gruppale tra i pazienti;
o
La musica per provvedere allo sbocco sociale per i pazienti nelle cure a
lungo termine;
o
La musica per provvedere al supporto per i familiari di pazienti terminali.
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Classificazione delle esperienze musicali in musicoterapia
Esperienze passive in sé comprende le attività musicali ricettive come:
• Biofeedback musicale facilitato;
• Ascolto musicale per la riduzione dello stress;
• Ascolto proiettato;
• Reminiscenza musicale;
• Musica ansiolitica;
• Terapia vibrazionale.
Esperienze attive, in essa musica viene eseguita, improvvisata o creata
attraverso le varie attività musicali come:
• Suonare lo strumento;
• Cantare;
• Musica e movimento (o esercizi);
• Musica contingente;
• Direzione;
• Improvvisazione strumentale;
• Song-writing;
• Improvvisazione, espressione corporea;
• Song-discussion.
5.4.2 Ritmicità neurovegetativa e la Musica in Medicina
Sembra che ci sono i consensi generici per i quali la musica è
considerata la più efficace come significato emozionale ed estetico della
comunicazione.
Perché la musica è efficace e cosa sono i suoi parametri effettivi?
Un'altra domanda che si pone è: come noi possiamo decifrare il codice
musicale della comunicazione emozionale?
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Il lavoro clinico ha portato una serie di medici a ritenere il ritmo, un solo
parametro musicale, come l’elemento base delle loro ricerche. Oltre questo
alcuni gruppi di ricerca hanno tentato anche di costituire un modello matematico
complessivo per la musica.
La vita biologica è un processo ritmicamente organizzato con le
frequenze che coprono un ampio spettro. Persino le molecole, le più piccole
componenti della funzione vitale, esercitano a livello oscillatorio variazioni
chimiche e funzionali. La vita umana, come parte del mondo vivente, è fondata
in ordini ritmici, anche se noi abbiamo coscientemente presente solo una
piccola
parte
di
tutti
questi
ritmi.
L’analisi
matematica
non
lineare
dell’autoorganizzazione potrebbe essere applicata a tutti questi sistemi
fisiologici molto differenti.
È notevole menzionare che la gamma delle frequenze realizzate nel
metronomo, usato negli studi di musica, corrispondono esattamente alla
gamma di frequenze del battito cardiaco che accadono tra il riposo e il lavoro
fisico (Spintge 1994 p.6).
In medicina, le ricerche sul ritmo hanno oramai coperto un largo spettro dei
fenomeni come la variazione della frequenza cardiaca, l’autoritmicità dei vasi
sanguigni (controllo della pressione del sangue e della perfusione), l’attività
ritmica simpatetica nervosa, la ritmogenesi dei principi respiratori (la sindrome
dell’apnea nel sonno, la sindrome dell’improvvisa morte infantile), la
sincronizzazione della coordinazione nella funzione motoria, il ritmo circadiano
del sonno, l’attività elettrica cerebrale, l’oscillazione della percezione e molto
altro (Abel, Berger, Conze, Droh, Klüssendorf, Koepchen, Koralewski, Krause,
Spintge, 1994; Haken, Kelso & BUnz, 1985; Haken & Koepchen, 1991).
Il ritmo è dunque uno dei fenomeni di base in tutti sistemi biologici (Haken &
Koepchen, 1991). Oggi la musica ha rapidamente raggiunto le ricerche
principali in fisica, psicologia e matematica, cosi come la medicina clinica. Il
trend è scaturito dai nuovi metodi dell’acquisizione e dell’analisi dei dati. I
metodi non invasivi per osservare continuamente i processi psico-dinamici
assieme alla loro valutazione computerizzata assistita, e i nuovi concetti
matematici dell’analisi dei processi sistemi biologici non-lineari, hanno
permesso di osservare, descrivere, visualizzare e predire allo stesso modo le
complesse interazioni dei differenti sistemi oscillatori (Haken, 1978; Haken
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1986; Haken & Koepchen, 1991). Per esempio, uno dei sistemi del genere
sarebbe musica ed un altro potrebbe essere la frequenza cardiaca o l’attività
elettrica del cervello (EEG- elettroencefalogramma).
Nell’articolo di Spintge95 si afferma che la percezione del tempo come
elemento base della nostra esistenza è organizzata nei cicli ritmici come è il
giorno e la notte, la sequenza delle quattro stagioni, il ciclo mestruale e così via.
In un certo senso l’uomo può proiettare le componenti essenziali del suo
cervello e delle funzioni corporee nella sua creazione chiamata musica. Dal
principio dell’esistenza umana, l’organizzazione del tempo aveva, molto
probabilmente, il significato speciale della sopravivenza. Oggi il Bioritmo96
risulta essere un nuovo, ma ben fondato ramo della scienza.
VARIABILITÀ RITMICA
Struttura temporale dei
Struttura temporale dei
processi biologici
processi musicali
Bioritmica
Medicina
Clinica
FISIOLOGIA
Cronopsicologia
Ritmo come stimolo
Cronomedicina
principale
Modello matematico
non lineare dei processi
dinamici
Musica ansioalgolitica
MUSICA
Fisiologia musicale
Musica Medicina
Musicoterapia
95
Psichology, Mathematics, Music, and Medicine: Definitions and concepts for research, 1994.
96
Bioritmo significa ritmo biologico: l’attività dei processi biochimici, enzimatici, fisiologici,
elettrochimici, e anche comportamentali, che si verificano negli organismi viventi con ritmicità
costante e inalterata, dalla quale dipende lo stato ottimale di efficienza dell’individuo (DevotoOli, l’edizione 2002-03).
Ci sono tre cicli che influenzano la vita, l’umore ed il temperamento dell’uomo: Il ciclo emotivo
ha una durata di 28 giorni e regola ed influenza il nostro temperamento; Il ciclo intellettuale dura
33 giorni e influisce sul nostro intelletto e la nostra capacità di pensare e di riflettere; il ciclo
fisico di 23 giorni influenza le condizioni del nostro corpo.
128
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Il soprastante organigramma illustra il concetto della interrelazione tra
Psicologia, Medicina, Matematica/Fisica, e Musica, con il Ritmo come principio
di base nella loro connessione. Ristringendo il campo musicale e precisando i
termini, questo rappresenterebbe la Musica Ansioalgolitica (per la diminuzione
dell’ansia e del dolore).97
5.4.3 Principio di entrainment
Il comprendere l’entrainment comincia con la conoscenza dei ‘ritmi della
vita’. D’altro canto l’uso ritmico ha da sempre rappresentato un importante ruolo
nei concetti fondamentali della musica. Tutta la vita quindi si fonda su processi
ritmici. Dalla semplice pulsazione dell’organismo della singola cellula fino
all’inspirazione e all’espirazione dell’aria. Il ritmo è anche chiamato periodicità,98
che significa l’attività di qualcosa che si svolge ciclicamente. La vita è
controllata dai ritmi di natura, esterni al corpo.
I biologi molecolari hanno scoperto che le biomolecole, l’elemento più
importante della funzione vitale, non sono statiche, ma che esercitano
movimenti oscillatori più piccoli dell’orologio atomico.99
Il suono potrebbe essere compreso come qualcosa di ritmico. Il suono
prende la forma dalle onde, che sono misurate in cicli per secondo (o Herz).
Questa periodicità è ritmica per natura. Ogni ciclo dell’onda potrebbe essere
riconosciuto come una pulsazione al secondo. Le note basse pulsano più
97
Cronomedicina, studia i periodi e le ore in cui un rimedio naturale o farmacologico è
maggiormente efficace.
Cronopsicologia studia i ritmi degli esseri viventi nell’arco temporale della giornata, il
cosiddetto "periodo circadiano".
Questi ritmi, mentre prettamente biologici nel mondo animale, nell’uomo vengono fortemente
influenzati dallo psichismo, cioè da tutte le sue componenti mentali, sia emotive che razionali:
umore, emotività, ideazione, attenzione, memoria, aspettative e strategie d’azione.
98
Ritmo (dal lat. rhythmus, gr rhythmós): è il movimento organizzato dei suoni nel tempo. Una
successione regolare, periodica, cadenzata: il ritmo delle stagioni; il ritmo cardiaco; un passo di
marcia dal ritmo sostenuto | (estens.)…
99
L'orologio atomico è un tipo di orologio in cui la base del tempo è determinata dalla
frequenza di risonanza di un atomo.
129
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lentamente delle nota alte. La più bassa nota che viene prodotta sul pianoforte
produce una frequenza di 27.5 Hz. La più alta nota sul piano vibra a 4186 Hz.
Entrainment o sincronizzazione armonica è un aspetto del suono che è
correlato ai ritmi e al modo in cui questi ritmi interagiscono con noi. È un
fenomeno del suono, in cui la potente vibrazione ritmica di un oggetto susciterà
la meno potente vibrazione su un altro oggetto, per accomodarsi “in fase” ossia
nel proprio ritmo oscillatorio. Questo fenomeno naturale ha a che fare con la
conservazione dell’energia. Sembra che la natura trovi molto più economico in
termini di energia di avere eventi periodici che sono abbastanza vicini con la
frequenza che accade nella fase o nel passo uno con l’altro.
Un formidabile esempio della sincronizzazione armonica è stato illustrato
da Itshak Bentov (1988). Se avessimo una stanza piena di orologi a pendolo e
mettessimo i pendoli in moto nei diversi momenti nel tempo, loro inizialmente
oscilleranno diversamente. Tuttavia, dopo un giorno si troverebbe sul campo
che tutti i pendoli ciondolano assieme nella stessa velocità. Questo
accomodamento in fase dei ritmi viene chiamato entrainment. È stato scoperto
da un scienzato olandese, Christian Huygens nel 1665.
Entrainment in pratica è uno degli aspetti della risonanza. La risonanza
potrebbe essere definita come la frequenza sulla quale un oggetto più
naturalmente tende a vibrare. Un oggetto mette in vibrazione l’altro se con esso
condivide la stessa frequenza risonante. Per esempio, se si colpisse un
diapason a 100 cicli al secondo e si mettesse vicino ad un diapason della
stessa frequenza, automaticamente anche quest’ultima sarà messa in moto.
Anche se essa non è stata colpita, comincerà a vibrare solamente per essere
stata nel campo del diapason messo in vibrazione.
Si parla del cantante che rompe il bicchiere con la sua voce. È un altro
esempio di risonanza. Lo stesso fenomeno esiste anche tra due corde della
chitarra, una percossa e l’altra no. La risonanza è un fenomeno cooperativo tra
due oggetti differenti che dividono la stesa frequenza. Con la risonanza si
stimolano le naturali vibrazioni di un oggetto con la propria frequenza vibratoria
in grado di metterlo in moto. Per questo motivo la risonanza è un fenomeno che
si realizza su un oggetto in condizione passiva.
130
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D’altronde, l’entrainment sembra essere un fenomeno attivo. Con esso
un oggetto cambia i naturali modelli oscillatori di un altro oggetto, che li
riproduce sostituendoli con i modelli oscillatori diversi dai propri. È una
sostituzione attiva delle vibrazioni di un oggetto. Normalmente, è il più veloce
oscillatore che induce un altro più lento a operare accomodandosi in fase.
In sostanza è il ritmo vitale, essendo un processo dinamico, a permettere
al fenomeno della sincronizzazione armonica di realizzarsi.
Tra gli altri esempi di questo fenomeno naturale è quello delle compagne
di classe in una scuola, o delle colleghe di lavoro in quotidiano contatto, che
spesso risultano avere i cicli mestruali sincronizzati. Lo possiamo trovare anche
quando due persone hanno una conversazione facile. Una tale relazione la
troviamo pure tra gli studenti e i professori. Le loro onde cerebrali oscilleranno
in modo sincrono. Gli psicoterapeuti con i loro pazienti entrano in
sincronizzazione armonica uno con l’altro. Allo stesso modo si attivano i preti
con la loro assemblea.100
La nostra frequenza cardiaca, la respirazione e le onde cerebrali, tutte si
sincronizzano una con l’altra. Quando la respirazione si rallenta vengono
rallentati anche il battito del cuore e le onde cerebrali. Al contrario per chi fosse
in grado di rallentare le proprie onde cerebrali, per esempio durante la
meditazione, viene rispecchiato sulla frequenza del battito cardiaco (e influisce
su di esso) e sulla frequenza respiratoria.
È stato dimostrato che la frequenza del polso, della respirazione e della
circolazione sanguigna, come le loro attività combinate, tutte funzionano in
armonia. In pratica, i loro ritmi sono strettamente coordinati nelle proporzioni
intere numeriche - due per uno, tre per due (Berendt 1987).
Come
le
funzioni
corporee
nell’uomo
possono
sincronizzarsi
armonicamente una con altra, così è possibile usare dei ritmi musicali e suoni
esterni per influire interni meccanismi del battito cardiaco, della respirazione, e
dell’attività delle onde cerebrali. Un articolo di Kneutgen (1970), riguardo
l’effetto calmante delle ninne-nanne cantate ai bambini, ha segnalato che i ritmi
respiratori diventano sincronizzati con il ritmo musicale. Un altro studio ancora,
di Landreth e Hobart (1974) ha trovato che la frequenza cardiaca cambia
100
Myers J. 1988. Human rhythms and the psychobiology of entrainment. Unpublished, Bell
Communication Research.
131
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direttamente in relazione al tempo musicale. Una serie di studi intensivi di
Harrer e Harrer (1977) ha esplorato alcuni effetti che le esperienze emozionali
della musica hanno sul sistema neurovegetativo, comprendendo la pressione
arteriosa, il polso, la respirazione, la risposta cutanea evocata e la tensione
muscolare. Hanno trovato che la frequenza cardiaca è sensibile ad entrambi i
parametri: il volume musicale e il ritmo.
Mentre un ritmo esterno di 60 pulsazioni al minuto dovrebbe ridurre il
battito cardiaco, quest’ ultimo non è sempre direttamente proporzionale al
cuore. Sessanta battiti musicali al minuto non sempre danno come risposta i
sessanta battiti cardiaci. Per esempio, alcuni battiti del cuore potrebbero
scendere al 64 battiti al minuto, altri ancora al 68 e i terzi scendere sino a 72
battiti. Anche se questo fatto rende impossibile prevedere i dati finali negli studi,
con esso non viene negata l’abilità dei ritmi esterni di sincronizzare
armonicamente i ritmi interiori.
È altrettanto importante capire anche che diversi individui che sono stati
testati hanno dimostrato la loro abilità di combattere contro i ritmi esteriori
rimanendo non influenzati dall’entrainment.101
I benefici effetti della musica si trasmettono secondo il principio di
sincronizzazione armonica (entrainment) che, come esposto precedentemente,
dalla fisica delle onde ritroviamo in moltissimi altri fenomeni naturali. La musica
per ciò fa risuonare ed induce ad una sincronizzazione reciproca dei ritmi, ad
esempio respiratori, di coloro che assieme l’ascoltano, oppure la eseguono
(Bertirotti A., 2003). La musica dall’esterno stimola l’attivazione di processi
endogeni di rilassamento e riduzione del dolore, nonché di guarigione (Rider
M.S., 1985:183-192).
Conferme a questo fenomeno si hanno nella registrazione dell’attività
elettrica evocata (Fig .1), o nella misurazione dei parametri fisiologici come la
frequenza cardiaca (Fug.2).
101
Jonathan S. Goldman, (1994). Sonic entrainment. IV International MUSICMEDICINE
Symposium. California.
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Fig. 1
Fig. 2
Frequenza cardiaca (PF) e attività muscolare integrata (EMG) mentre il soggetto stava ascoltando:
(1) il Wiegenlied di Johannes Brahms, (2) i fischi delle sirene dei pompieri, (3) lo stridìo di una sega, (4) il
Concertino n. 3 in La bemolle di Giovan Battista Pergolesi, (5) Lalinka, (6) Telemusic di Karlheinz
Stockhausen, (7) la Toccata in Re minore di John Sebastian Bach, (8) musica Dixieland, (9) durante lo
svolgimento di un compito aritmetico, (10) associato ad un colpo di tosse, (11) durante il rilassamento.
Burrai F., Corso di Laurea in Scienze Infermieristiche, Università degli Studi di Bologna. Cfr.
http://www.docalternativemedicine.info
5.4.4 Musica come fattore dell’inibizione algica
Secondo la Gate Control Theory, la distrazione può funzionare
modulando il dolore dalle vie corticali discendenti e inibendolo su quelle
periferiche.102 Melzak e Wall spiegano gli aspetti multidimensionali del dolore,
comprendendo sia quelli fisiologici sia quelli cognitivi ed emotivi (come già
esposto nel capitolo 2.4.3, p.26). Le strutture più importanti del sistema limbico,
per ciò, attivano, attraverso una sorta di apertura/chiusura del cancello
sensoriale, nel midollo spinale, l’informazione nocicettiva afferente, che qui
102
Melzak R. W., 1996; Melzak R. W., 1965:971-979; Megel M. E., Houser C. W., & Gleaves L.
S., 1998:129-145.
133
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converge dalla periferia. Dal cervello limbico, che è anche quello emozionale,
parte quindi una modulazione e inibizione del dolore.
Il sistema inibitorio del dolore utilizza i peptidi oppioidi e agisce per le vie
discendenti sulle afferenze al midollo spinale.
La musica si è mostrata di un effetto multiplo e diversificato sui fattori che
determinano le diverse responsività al dolore:
ƒ
fattori costituzionali (come la personalità, individualità, la fisiologia,
la genetica);
ƒ
fattori comportamentali-esistenziali (l’apprendimento strumentale,
operante istruttivo e sociale);
ƒ
fattori cognitivi (la cultura, le opinioni, le aspettative, il pensiero, il
significato);
ƒ
fattori affettivi (i sentimenti e le emozioni).
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5.4.5 Strumento musicale/somministrazione del canto
La voce umana come la fonte sonora viene eseguita o somministrata in
estemporanea proiettandola verso e sulla cute del paziente, durante lo
svolgimento del prelievo. Secondo la classificazione di base, esposta
nell’articolo di Cheryl Dileo Maranto,103 la musica dunque viene realizzata nel
paziente come la musica in terapia: in quanto il suo ruolo è quello di agire come
stimolo e rinforzo di un comportamento non musicale e in tale istanza la musica
è di minore importanza, anche se considerata la componente vitale del
processo terapeutico.
A quanto sembra derivare dalle mie conoscenze, il mio operato pratico
attraverso l’esperienza che viene proposta e attuata sulla persona potrebbe
essere considerato un intervento (la tecnica) di musica ricettiva: basata sul
processo di ascolto e volta a risvegliare l’interesse, aprendo un canale di
comunicazione alternativo rispetto a quello verbale e influenzando una serie di
risposte fisiologiche in favore agli scopi terapeutici. Il canto come l’esaltazione
di espressione e del sentire umano, insito nella voce, diventa un mezzo
comunicativo, un ponte, un bozzolo sonoro allargato e proiettato per lasciare
intendere alla persona i sentimenti di accoglienza e benevolenza.
Questo aspetto, vale a dire la mentalizzazione di un "eccitamento
corporeo", costituisce una importante finalità dell'intervento recettivo, finalità
che lo distingue dalle tecniche di musicoterapia attiva dove invece prevalgono
obiettivi espressivi e creativi. La procedura metodologica di un intervento
recettivo presuppone inoltre la proposta di specifiche audizioni, preliminari al
trattamento, volte a definire le peculiari caratteristiche delle individuali modalità
di fruizione musicale. Appare però evidente come tale prassi, che possiede
aspetti direttivi e potenzialmente "indagatori", possa sollevare in alcuni pazienti
103
C.Eagle, la comunicazione personale 1989; Ralph Spintge, la comunicazione personale
1989.
Cheryl Dileo Maranto (1989), A Comprehensive Definition of Music Therapy with an Integrative
Model for Music Medicine, Barcelona publishers, California (pg. 19-25).
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fantasmi intrusivi e persecutori, compromettendo la successiva fase di
trattamento. La linea divisoria tra l’aspetto sonoro invasivo verso la persona e la
fondamentale idea di umanizzare un tipo di tecnica infermieristica già di per se
risultante e istintivamente colta come “aggressiva” verso l’individuo, è davvero
sottile e facilmente sconfinabile nel trasgredire al lato “distruttivo” o
“decostruttivo” che il suono possa assumere e manifestare. Onde evitare questi
momenti mi preoccupo di creare inizialmente uno spazio sonoro/musicale
rassicurante, un bagno sufficientemente cullante con l'ausilio di musiche
familiari al paziente, oltre alla loro introduzione graduale, testandolo attraverso
le dimensioni del piano e dalle durate limitate oppure, a volte, seguendo le
reazioni del vicino del letto, mentre essa viene somministrata ad altro individuo.
La musica occupa un ruolo essenziale nella creazione di un'alleanza
terapeutica in quanto cagiona all'interno di una relazione il sentirsi di essere
immersi in un bagno di calore, di dolcezza e di nutrimento. Il successivo
articolarsi dell'intervento e la conseguente selezione musicale saranno poi
determinati dall'obiettivo terapeutico, il quale, a seconda dei casi, potrà limitarsi
alla soddisfazione della aspettativa di una relazione rassicurante e nutriente, o
viceversa potrà promuovere un lavoro di elaborazione psichica, che, nasce
nella situazione di confronto.
Nei casi in cui la musica non risulta gradita, accolta con l’interesse o
desiderata, il trattamento musicale può essere completamente sospeso e
ridotto alla essenzialità dello scopo dell’intervento del prelievo ritornando ai
metodi e ai comportamenti convenzionalmente accettati come ordinari.
Ponendo attenzione sulle definizioni di Bruscia104 delle varie pratiche
musicoterapiche, come già stato in parte esposto nel precedente capitolo, il mio
operato clinico potrebbe rientrare, oltre nella Musica in Medicina, anche per
alcuni aspetti metodologici e attraverso gli obiettivi che si stavano realizzando
sul campo - per esempio per l’inclusione della relazione terapeutica e il lavoro
che naturalmente come l’ultimo obiettivo richiede quasi sempre cambiamenti
104
Bruscia Kenneth E. (1993), Definire la musicoterapia – Percorso epistemologico di una
disciplina e di una professione. Gli archetti, Ismez, Roma.
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cognitivi, affettivi e comportamentali - a un certo livello di sviluppo il mio operato
clinico potrebbe essere definito una delle pratiche della Musicoterapia in
Medicina.
I contenuti canori, applicati nell’ambulatorio e nei reparti, si sono delineati
con le seguenti caratteristiche:
- sono melodici (poco dissonanti);
- prevedibili;
- usando la terminologia benenzoniana dell’ISO si potrebbe dire che
appartengono all’identità sonora universale, all’identità sonora culturale di
questa parte dell’Europa (come anche nell’uso della lingua prevalentemente
italiana) e nell’incontro con altre etnie ho cercato di proporre delle modalità
musicali etniche più possibilmente vicine alla determinata cultura, per quanto i
miei limiti e le conoscenze umane siano in grado di rispondere al tale compito;
- sono prevalentemente, (per così dire) in “maggiore”, ovvero con il
marcato trasporto delle sensazioni d’allegria;
- la scelta dei testi, con i messaggi stimolanti verso i pensieri costruttivi e
ottimistici, legati alla stagione, alle feste, nomi, circostanze, parole dette, frasi
pronunciate, significati tratti e pertinenti alle caratteristiche personali, proposte o
scelte dal paziente stesso e cosi via;
- la costruzione ritmica è regolare e tendenzialmente moderata;
- il tempo musicale è direttamente collegato al polso del curato, la
frequenza cardiaca viene stimolata verso la direzione ritenuta ideale: il
progressivo rallentamento nelle situazioni di ansia, i tempi velocizzanti graduali
nel risveglio, situazioni dell’ipotensione ecc.;
- le dinamiche vocali sono molteplici e direttamente influenzabili dalle
variabili, tutti gli altri parametri musicali contingenti;
- la vocalità utilizzata aderisce allo stile della canzone applicata (voce
leggera nelle canzoni popolari, lirica nelle arie d’opera, da musical ove occorre);
Con l’intento di mettere e far sentire la persona a proprio agio la
posizione ed atteggiamento corporeo di chi esegue l’intervento musicale,
quando
c’è
la
possibilità
di
separare
137
le
due
tecniche
operando
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contemporaneamente, è mettersi al livello fisico inferiore, al di sotto della testa
della persona seduta in poltrona, stando accovacciati. Nelle situazioni dove il
curante sta coricato nel letto, l’atteggiamento corporeo dovrebbe tendere a
occupare meno possibilmente il campo visivo della persona, con la maggior
possibile distanza fisica, per lasciar l’idea dello spazio sufficiente per
rassicurare, placare l’istinto di fuga, solitamente insorgente nelle reazioni
inerenti al dolore acuto.
138
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5.5 Frequenza degli incontri e il setting
In questi casi non può essere stabilita una frequenza e continuità dei e
negli incontri semplicemente perché le analisi ematochimiche vengono eseguite
sporadicamente e in media una volta l’anno (per i pazienti esterni), una volta
ogni dieci giorni (per gli interni); anche se ho trovato delle persone anziane
ricoverate in ospedale per la prima volta con scarsa o quasi nulla esperienza di
questo genere di intervento. In alcuni specifici casi, come nelle persone in
trattamento anticoagulante, il prelievo ematico viene eseguito una o più volte al
mese tra i pazienti esterni, due o tre volte la settimana tra quelli interni.
Il setting è quello ospedaliero, accettato per quello che è e secondo le
circostanze cliniche concomitanti trovate sul posto. San Giacomo105 come
clinica, in particolare, ha una buona acustica in tutti i suoi spazi interni: dalle
camere, corridoi all’ambulatorio (in quale vengono eseguiti prelievi di sangue
per i pazienti esterni). Le stanze non sono sonorizzate e quindi il materiale
musicale vocale, di una voce impostata (anche se abbastanza contenuta
ovvero non spiegata con tutti i mezzi tecnici vocali, in quanto non occorrenti al
bisogno) traspare e viene accolta anche fuori camera o ambulatorio. La
comunicabilità con l’esterno non si è dimostrata come una circostanza
aggravante, piuttosto affermerei il contrario, è una condizione facilitante, spesso
invitante e stimolante per gli altri. In qualche senso si presta come anticipazione
per ciò che può essere trovato e in seguito vissuto all’interno dell’ambulatorio.
Può essere un modo per diminuire l’effetto sorpresa che in alcuni casi, al primo
impatto e senza tali esperienze, viene vissuto come una specie di imbarazzo
contingente (per quanto in seguito riferito dalle persone coinvolte nell’intervento
del canto-prelievo). Tuttavia, la sorpresa musicale non deve per forza essere
vissuta o assumere i connotati o sembianze negative. In quanto, può
direttamente essere accettato come stimolo distrattore antalgico, esso si
afferma, pure, come stimolo positivo per la riduzione del dolore.
105
San Giacomo, Ospedale di Medicina Riabilitativa, Ponte dell’Olio – Piacenza (Italia).
http://www.san-giacomo.it/
139
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5.6 Criteri di conduzione individuale
“Chi può degnamente piangere i miei mali? Quale usignolo potrà emettere lamenti pari alle mie
lacrime? Oh, se solamente i fati dessero a me le sue penne! Portata via dalle mie ali fuggirei
lontano dai miei lutti, dalla triste compagnia degli uomini e dai loro feroci assassinii. Sola, in un
bosco deserto, sospesa ad un fragile ramo, potrei emettere con voce querula un mesto canto.”
[versi 908-946 “Octavia”, Tragedia di Seneca]
La persona, dunque, non viene “invasa” dalle vibrazioni sonore se essa
stessa non acconsente a livello verbale o comportamentale una situazione del
genere. La musica semplicemente viene proposta nelle situazioni in cui il
paziente dichiara la propria paura e disagio (oppure questi sono già stati
registrati in precedenza) ed egli attraverso il canto viene invitato a partecipare,
in forma passiva e qualche volta attiva, richiamando l’attenzione e la reazione
della persona. Anche se nella maggior parte dei casi l’invito viene positivamente
accolto e poi, in seguito, continuamente richiesto; in alcuni casi viene visto con
la paura che l’operatore possa essere distratto con la conseguente scarsa
riuscita della tecnica stessa. Per rassicurare la persona, in tale caso, la scelta
potrebbe essere quella di ritornare al metodo tradizionale.
Nonostante la percentuale di pazienti con trattamento musicale rispetto
al complessivo numero di pazienti col prelievo, previsti in una giornata sia pur
basso (circa un decimo), la voce del ‘canto-prelievo’ viene riecheggiata
velocemente in modo che anche incontrandomi senza il camice verde le
persone anticipatamente a volte
richiedano di partecipare a un prelievo
cantato, elencando persino le canzoni che essi vorrebbero sentire.
A posteriori, ho potuto constatare che i brevi canti, le melodie, i ritornelli,
che sono stati utilizzati negli interventi di canto-prelievo ematico e nelle
situazioni dove c’era effettivo bisogno della sua messa in atto (esistendo la
comunicabilità nei diversi spazi per le porte solitamente tenute aperte),
adempievano la funzione di “pubblicità ambulante”. In altre stanze, anche dopo
qualche giorno, a volte, succedeva che un paziente al quale non avevo mai
cantato mi chiedesse una canzone da lui sentita, raccontandomi persino il
momento della vita alla quale egli lo riconnetteva. Siccome queste persone non
rientravano proprio tra quelle che consideravo potessero averne bisogno o
140
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persino la necessità, in quanto non provavano disagio nell’incontro con l’ago, in
questi casi, la successiva attuazione del canto-prelievo cominciava ad avere
funzione ed essere a servizio ed apertura dei nuovi spazi di ricerca, degli
inaspettati e nuovi obiettivi.
Tuttavia, rendere chiaro alle persone che il canto era direttamente legato
all’intervento del prelievo e che fuori di quel contesto non poteva essere fruito,
ovvero insegnarle le regole di “quel gioco”, innovativo, per me non si è mostrato
come un’impresa difficile. La situazione si manteneva sotto controllo, anche se,
per quanto si è potuto sentire dopo i miei interventi, le persone ogni tanto
andavano imperterrite dietro la scia della melodia, alzando la quantità dei suoni
organizzati nel tempo dell’ambiente ospedaliero solitamente abituato ad
esserne sprovvisto.
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5.7 Contenuti musicali
“Oh, iniziando un grande lamento di grandi sofferenze,
quale compianto levare potrò?
A quale musica volgermi con lacrime e voci di dolore? Aaah!”
[165, “Elena”, la tragedia di Euripide]
I contenuti musicali canori che sono stati “somministrati” nelle diverse
giornate dei mesi trascorsi, e che in seguito hanno potuto essere razionalmente
distinti nelle varie categorie, si potrebbero suddividere:
9 in senso generico come canti di diversi repertori: classico-operistico,
musical, repertorio popolare ed etnico, standard jazz; prevalentemente
in italiano e in inglese, una piccola percentuale nelle “altre” lingue, più o
meno comunitarie,
ma di ceppo indoeuropeo (serbocroata, rom,
norvegese, ceco, russo e francese) oppure in forma vocalizzata ovvero
senza testo.
9 nello specifico:
-
i brani, a volte, a livello testuale vengono adattati alla
richiesta della situazione stessa assieme ad un modo, direi,
quasi scenico e teatrale nel coinvolgimento della persona
ad un intervento clinico del genere.
142
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Alcuni esempi:
(aria di Rodolfo, La Boheme, Puccini)
Che gelida manina
Se la lasci riscaldar
Cercar non* giova
*(che)
Quando vena*non si trova.
*(al buio)
(aria di Rosina, Il barbiere di Siviglia, G. Rossini)
Ma se mi pungono*
*(toccano)
dov’è il mio debole
Una vipera sarò
Di cento trappole
Prima di cedere
Farò giocar…
-
le proposte di vocalizzi: le lunghe melodie di tempo lento
assomiglianti alle nenie, cullanti e rilassanti, già esistenti o
composte al momento.
-
nei
bambini,
l’oggetto
o
l’immagine
(presente
sulla
maglietta, il giocatolo che tiene in mano ecc) diventano lo
spunto e il tema della breve seduta nata e svoltasi
nell’immediatezza.
I due esempi di questa modalità dell’intervento musicale tra i casi ricevuti
in ambulatorio:
1) Ad un ragazzino di cinque anni, che aveva presente l’immagine del Topolino
sulla maglietta ho cantato:
143
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Mickey Mouse March (Viva Topolin)
Topolino, Topolino,
come noi bambini tu sei tanto piccolin.
Mickey Mouse, Mickey Mouse, detto Topolin!
Rassomigli a tutti noi sei furbo e birichin
E perciò noi gridiam’ viva Topolin.
Solo tu, Topolin! Puoi capir, Paperin!
I mille e mille sogni d’un bambin.
Noi gridiam in coro evviva, hip hip, hurrà, cin-cin!
Topolin, Topolin, viva Topolin!
Ad un altro ancora che aveva in mano un giocattolo fatto di gomma delle
sembianze di un coccodrillo ho subito iniziato il canto di:
E il coccodrillo come fa!
Oggi tutti insieme cercheremo di imparare
Come fanno per parlare fra di loro gli animali
Come fa il cane? Bau Bau!
E il gatto? Miao!
L'asinello? Hi! Ho!
La mucca? Muu!
La rana? Cra cra!
La pecora? Beee!
E il coccodrillo? E il coccodrillo? Boh!
Il coccodrillo come fa,
non c'è nessuno che lo sa.
Si dice mangi troppo,
Non metta mai il cappotto,
Che con i denti punga,
che molto spesso pianga,
però quando è tranquillo come fa sto coccodrillo....
Il coccodrillo come fa,
non c'è nessuno che lo sa.
Si arrabbia ma non strilla,
sorseggia camomilla
e mezzo addormentato se ne va.
144
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-
con il criterio delle preferenze musicali (dichiarate); le
musiche che facevano parte dei tempi della giovinezza del
facilitante (curante) che viene stabilità all’incirca attraverso
l’età della persona: la media in un centro riabilitativo
sarebbe intorno a 70 anni; a volte viene richiesta oppure
proposta con la voce del paziente stesso.
Tra esse sono state accolte in modo significativo (in quanto, poi, ripetutamente
richieste da me oppure sentite cantare persino dai ricoverati che direttamente
non erano coinvolti nell’intervento di prelievo di sangue cantato), le seguenti
canzoni italiane (TOP 10 senza un ordine numerico preciso):
i.
Il valzer dell’allegria (Cantato da Claudio Villa, Autori: Vigevani - E. Frati );
ii.
Luna malinconica - Titolo originale: Blue Moon (Cantata da Carlo Buti, Autori: R.
Rodgers - L. Hart - A. Bracchi);
iii.
Besame mucho (Cantata da Dea Garbaccio, Autori: Velasquez - Fecchi - Nati);
iv.
Volare (Cantata da Domenico Modugno, Autori: D. Modugno - Migliacci);
v.
Ciliegie rosa (Cantata da Nilla Pizzi, Autori: Larue, J.Leonardi-Louiguy);
vi.
Il Tango delle capinere (Cantata da Nilla Pizzi, Autore: C. A. Bixio);
vii.
Bella ciao (Canzone dei partigiani, Autore: Anonimo);
viii.
Rose rosse (Cantata da Massimo Ranieri, Autori: E. Polito - G. Bigazzi)
ix.
O sole mio ( Autori: G. Capurro - E. Di Capua - 1898);
x.
Parlami d’amore Mariù (Autori: Neri - Bixio);
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Alcuni ritagli testuali come esempi dei contenuti delle melodie utilizzate:
I.
Dice un proverbio:
"Nel mondo chi vive cantando
morrà sorridendo".
Anche il destino ch'è cieco
puoi fartelo amico
prendendolo in giuoco.
La vita é fatta di sogni,
disegni e di segni,
speranze e guadagni.
Perciò al domani
non devi pensar
se vuoi tranquillo campar.
Questo è il valzer che
tutti dobbiamo cantar
allegramente.
Per le strade del mondo
lo deve ascoltar
tutta la gente.
Se un dolore ti assale
tu devi restar
indifferente.
Per campare cent'anni
tu devi cantar
allegramente.
II.
Ma tu,
Vola, colomba bianca, vola,
pallida luna, perchè
diglielo tu che tornerá.
sei tanto triste, cos'è,
che non risplendi per me.
Dio del ciel se fossi una colomba
vorrei volar laggiù dov'è il mio amor,
Lassù,
che inginocchiata a San Giusto
tu puoi vederlo il mio cuore,
prega con l'animo mesto:
la delusione d'amore,
Fá che il mio amore torni, ma torni presto.
questo mio grande dolore.
Vola, colomba bianca, vola,
Tu sai che baci sapeva dare
diglielo tu che tornerò.
ed anche tu non puoi dimenticar.
Dille che non sarà più sola
Forse tu senti la malinconia,
e che mai più la lascerò.
forse tu sai che non ritorna più.
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III.
IV.
Besame,
E volavo
besame mucho.
volavo felice
In questo bacio
più in alto del sole
la vita ti voglio donar.
ed ancora più su.
Besame mucho,
Mentre il mondo pian piano
in questa ebbrezza
spariva lontano laggiù
di tutto
una musica dolce suonava
mi voglio scordar.
soltanto per me.
Pensa che un giorno lontano,
Volare, oh oh!
un dolce ricordo solo resterà.
Cantare, oh oh oh oh!
E le parole "Io t’amo"
Nel blu dipinto di blu,
il labbro tremante mai più ti dirà.
felice di stare lassù.
147
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5.8 Valutazione
9
Valutazione iniziale
Compilazione di un modulo strutturato, utilizzando le scale validate per lo
stato di ansia e di dolore: NRS, VRS, VAS-H (qualità sensitiva) e un breve STAI
form adattato per lo scopo e tale applicazione clinica (qualità affettiva):
STAI FORM:
IN PRECEDENZA SI è MAI SENTITo-a A DISAGIO DURANTE UN PRELIEVO DI SANGUE?
1
2
3
4
Quasi mai
Qualche volta
Spesso
Quasi sempre
OGGI IL PRELIEVO DI SANGUE HA INFLUENZATO IL SUO STATO D’ANIMO?
1
2
3
4
Per nulla
Abbastanza
Moderatamente
Moltissimo
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COME SI SENTE ADESSO?
A. Mi sento a mio agio
1
2
3
4
B. Mi sento a disagio
1
2
3
4
Riguardo al modulo, esposto nella pagina che precede, che in alcuni casi
chiedevo di compilare da parte del paziente,106 e con delle condizioni pratiche
trovate sul posto: i tempi, l’età, le funzioni cognitive delle persone, il fatto che
tutto svolgevo da sola ovvero senza un’équipe che lo avrebbe accompagnato
con i protocolli ritenuti più adeguati strumenti alla più approfondita indagine
clinica ecc.; avrei da esprimere alcune cose:
a) è stato mirato con i criteri di una fondamentale semplicità
compilativa e per essere rapidamente e facilmente
spiegato al paziente il suo scopo e il modo di utilizzo;
b) basato sugli strumenti o le scale di valutazione già
validate
e
conosciute
per
essere
state
utilizzate
nell’ambito clinico (come esposto nel capitolo 2.8 di
questo scritto);
c) l’oggetto della mia potenziale indagine era bimodale, in
quanto, ha osservato le due misure soggettive, le più
rilevanti perché più distintive del fenomeno trattato, prese
in considerazione: il dolore (espresso in tre modalità
diverse) e l’ansia (di tratto ovvero caratteristica per
quell’individuo e di stato ossia al momento stesso del
prelievo).
Tuttavia, non potrei asserire che questo foglio di lavoro, concepito nelle
mie modeste conoscenze dell’ ambito della strutturazione, osservazione e la
progettazione di una ricerca, almeno nel modo come è stato svolta da me, è
106
Nonostante la sua apparente semplicità, pochi pazienti erano disposti a (in grado di)
effettuare la compilazione.
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potuto esserne utile, servire ad un’osservazione a pieno titolo riconosciuta
come scientifica o oggettiva. Sicuramente non potrebbe essere considerato
come un parametro che avrebbe potuto abolire l’efficacia della validità di
procedure e tecniche svolte da me e nemmeno a confermare la rilevanza dei
suoi risultati, in termini dell’effetto positivo che sembra aver procurato. A mio
parere, esso solo parzialmente sta a rappresentare tutti e due gli aspetti, per il
fatto che non ha avuto una completa strutturazione e la programmazione
scientificamente validata per un’analisi convincente che fosse basata e
coinvolta sulla chiave dei seguenti componenti: la misura efficace, la
significanza, la tipologia e il numero dei soggetti.
Nelle possibili future indagini in questo campo di ricerca, prevederei
alcune modifiche nella sua struttura tra cui: una variazione o ampliamento dello
STAI form (State-Trait Anxiety Inventory for Adults),107 lo sviluppo e la
presentazione della scala analogico visiva per il dolore nella sua forma
bidimensionale (capitolo 2.8.4) ed riterrei importante eventuale aggiunta di
qualche
versione modificata di CSQ (Coping Strategies Questionnaire di
Rosenstiel & Keefe, 1983, sviluppata da Lin, 1995),108 come la più utilizzata
misura delle strategie di coping per il controllo del dolore. Inoltre, sicuramente
cercherei l’aiuto degli psicologi con le competenze nell’ambito di ricerca che
seguirebbero monitorando con più successo gli effetti della pratica a quale io, in
tale caso, mi potrei occupare a pieno e senza dispersioni, per offrire un’analisi
più seria e consistente.
La mia discreta ricerca su 15 diversi individui ha prodotto seguenti risultati:
107
Spielberger C. (1970), Manual for the State-Trait Anxiety Inventory (Self-Evaluation
Questionnaire). Palo Alto, CA, Consulting Psychologists press; Spielberger C. (1979),
Preliminary manual for the State-Trait Personalità Inventory (STPI) University of South Florida.
108
Rosenstiel A.K., Keefe F. J.(1983), The use of coping strategies in chronic low back pain
patients: relationship to patient characteristics and current adjustment. Pain. 1983 Sep;17(1):3344. Lin C. (1995), A comparison of the effects of perceived self-efficacy on coping with chronic
cancer pain and coping with chronic non-malignant pain. University of Wisconsin, Madison.
Unpublished doctoral dissertation.
150
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-
il livello percepito dalle persone sulla scala numerica del
dolore (dall’1 al 10), non ha mai superato il numero 2;
-
dal risultato letto dalla scala verbale consegue in modo
paritario: “nessun dolore” e “dolore leggero”.
-
l’utilizzo della VAS non si è discostato molto dai risultati
della scala numerica, eppure in alcuni casi rappresentava i
valori poco di più o di meno da quelli segnati nella NRS. 109
-
nessuno dei partecipanti ha riferito di essersi trovato a
disagio durante l’intervento del prelievo di sangue cantato,
fra essi, solo 4 non hanno indicato i valori più bassi del 4
ovvero il massimo nella piccola scala del benessere
personale;
-
solo tre di loro, riguardo la caratteristica dell’ansia di tratto,
avevano segnato di non essersi quasi mai trovati a disagio
durante il prelievo di sangue tradizionale.110
-
nella seconda domanda posta nel breve modulo di tipo
STAI, nonostante la sua potenziale ambiguità nel come
potrebbe essere compreso il termine influenzato, tutti,
escluso due, avevano risposto per nulla. In un caso, tra altri
due che hanno risposto abbastanza, per quanto riferito in
seguito dalla persona stessa era inteso come un’influenza
positiva; in altri invece le persone con influenzato
intendevano sottintesa l’ansia ovvero il versante negativo di
tale parola. Uno dei punti che certamente dovrà essere
corretto (chiarito) nelle prossime indagini di questo tipo.
109
Questo potrebbe essere spiegato da diverse cause e problematiche di quest’analisi. A me
non risulta rilevante da prendere in considerazione in quanto già dichiarato di non aver trovato
questo modulo sufficientemente utile ad una potente analisi e da essere ritenersi un mezzo di
maggiore validità.
110
I criteri di scelta della persona per la compilazione del modulo erano: che già mostrasse
problematiche legate all’intervento in corso e che l’individuale funzionalità cognitiva permettesse
la comprensione e la compilazione del foglio.
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9
Valutazione intermedia
Con la valutazione intermedia intendo il proseguimento nell’uso del
modulo nelle persone lungo un arco di tempo che avesse potuto
permettere il caso stesso, con traguardo di monitorare eventuali
cambiamenti e le modifiche percettive del dolore e lo stato d’ansia che ne
conseguirebbe.
Solo in due casi, Silvia e Marco, tutti e due trentaquattrenni, ho
considerato sensato e utile proseguire con gli accertamenti strumentali
dell’auto-misurazione dei valori dell’intensità del dolore e l’ansia.
Tratterò i loro casi in altra occasione, ma direi che oltre all’età
erano accomunati anche dal trattamento anticoagulante in corso e dalla
significativa e alta caratteristica d’ansia di tratto nei confronti del prelievo
di sangue. Mentre nel caso di M. che incontravo, per due settimane,
ricoverato in cardiologia (paziente interno), l’INR (i tempi di coagulazione)
doveva essere monitorato spesso per l’impostazione di un coretto
schema terapeutico e si svolgeva ogni due, tre giorni; in S. che veniva in
ambulatorio (cosiddetto paziente esterno), gli accertamenti venivano
svolti una sola volta al mese: ho stabilito e proposto il modulo solo
partendo dal mese di gennaio.
Per le altre persone, come valutazione provenuta potrebbe risultare
valevole e/o legittima la presa in considerazione delle osservazioni e
conclusioni che ho tratto dal feedback della persona, coinvolta in un
intervento musicale nella situazione di prelievo di sangue.
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5.9 Partecipanti agli incontri
“Usignolo che in contrade selvose
abiti le dimore delle Muse,
te invocherò. Il più canoro degli uccelli,
melodioso, lacrimoso.
Deh, vieni vibrando con la gola sonora;
collabora nei lamenti con me
che canto i lamenti di Elena sventurata
e il destino lacrimoso delle donne d’Ilio
sotto le lance degli Achei:...”
[(1107) “ il primo stasimo di Elena”, tragedia di Euripide]
Non era passata nemmeno una settimana prima che qualcuno dei
ricoverati mi dicesse: “Canti, allora sei contenta!”, “Tu hai un bel carattere,
perché sei sempre qui a cantare”, “Stamattina è di buon umore” e così via. In
alcuni giorni passando da una camera ad altra, succedeva che me lo dicessero
diversi pazienti nella stessa giornata e io non mi sono mai provata a smentire
questo riecheggiare del senso comune. Sostanzialmente, ho trovato come un
ottimo compagno del mio operato la loro immediata associazione del canto
come qualcosa di positivo, allietante, la visione ottimistica di un nuovo giorno
che per loro sembrava iniziasse con la promessa di qualcosa di buono.
Personalmente, studiando il canto con finalità professionali non potrei dire che
non si canta anche quando si è immersi con i pensieri nelle difficoltà della vita.
Tuttavia posso ammettere che, in tali condizioni, il canto sgorghi più
difficilmente. In particolare è difficile cominciare a cantare, ma una volta quando
il canto trova una sua via d’uscita, o sa rendere l’espressione più intensa o sa
stravolgere i pensieri non costruttivi regalando una nuova luce alla giornata.
In conferma di quando appena scritto, tra diversi racconti emersi nelle
condizioni del mio intervento cantato, riferitimi dalle persone, uno di loro mi
disse: - Un giorno ero arrivato al lavoro cantando e il mio capo sentendomi
disse, Giuseppe, stai cantando vuol dire che la situazione problematica la
supererai di sicuro.
In aprile dell’anno scorso, in cardiologia, mentre stavo cantando il
prelievo di sangue ad uomo, quest’ultimo mi disse: “Una volta cantavo molto,
ma da quando mi sono ammalato non canto più.””E come mai?!”, gli chiesi: “Ma
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non so, semplicemente non mi viene più di cantare.” “E cosa cantava una
volta.?”, mi rivolsi a lui concludendo con la mia pratica e andando avanti con il
discorso. “Mi piacevano le arie d’opera.””Ah, sì, allora prossima volta le canterò
qualcosa dal repertorio tenorile, Una furtiva lacrima, per esempio?! In questi
giorni vorrei che lei cercasse di ritrovare il canto nel suo cuore”, mettendo il
carrello con gli aghi e le provette in ordine, ma poi, volgendo lo sguardo verso i
suoi occhi, per vedere la risposta alla mia proposta, rimasi colpita dall’evidente
commozione che non ha cercato di nascondermi.
Prima di questa esperienza succedeva raramente che qualcuno
cercasse di condividere con me qualcosa della sua vita. Con il canto, la
comunicazione è diventata fluida e scorre senza fine. Essa scaturisce dal nulla,
dall’assenza di domanda e d’interesse. Non avendo un inizio, né un traguardo
preciso, spesso la storia rimane lì, a vivere nell’aria di per sé, di una vita di
liberazione e senza sgomento. Non mi sono mai sentita di aver estrapolato
qualcosa da qualcuno e nemmeno, questi, mi facevano percepire che si
sentissero in imbarazzo. Le canzoni di una volta, riportavano al presente le
situazioni in quel frangente di una volta che nessuno cercava di trattenere o
controllare. Così, succedeva spesso, che dopo aver aperto gli occhi chiedessi
alla persona di raccontarmi il motivo del bel sorriso che io ho potuto constatare
sul viso oppure iniziava da sola a raccontare. Le risposte, a dir poco, mi
sorprendevano. Erano veri e propri coaguli di vita, un estratto del contenuto
emotivo intensamente vissuto, a volte, nemmeno condiviso con i loro familiari.
Il naso di Giuseppe Verdi
L’altro giorno era la terza volta in una settimana che mi sono trovata da
Luigi. Nei primi incontri sembrava più incuriosito dalla mia risposta di essere
ancora cittadina di uno stato che non esiste più sulla carta geografica che dal
mio canto, ma stavolta improvvisamente pronunciò la seguente frase: “Di tutto
ciò che io avrei potuto ereditare, ho ereditato proprio il suo naso! Non l’orecchio,
ma il naso!” Non sembrava che si rivolgesse a me perchè non mi guardava.
Poi, improvvisamente mi guardò in volto dicendomi: “Ma lei, il canto lo ha
studiato, quando canta in quel modo?” “Si, lo studio da parecchi anni! E lei da
chi non ha ereditato l’orecchio?”, gli chiesi. “Da Giuseppe Verdi”, mi rispose
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proseguendo, “La bisnonna di mio papà era una Uttini ossia sorella di sua
madre.” La mia reazione fu:”Allora prossima volta le potrò cantare, Va pensiero,
se le andrà.”
Va pensiero che va come il gelato
E il giorno che come un legittimo diritto spettava al pronipote di un
grande compositore era arrivato. Essendo ricoverato nella stanza 101, letto B,
toccava prima proprio a lui, come un improvviso risveglio mattiniero delle mie
corde vocali. Ancora tutti in cardiologia stavano dormendo e la prima tapparella
che si alzò era proprio di quella stanza. Io avevo già in mente di proporgli le
parole melodizzate del suo antenato, ma le cose non andarono completamente
lisce perché il pensiero del prelievo lo turbava e quando gli proposi un canto,
non svelando ancora quale, lui mi rispose che il pensiero dell’ago gli dava
fastidio e che sarebbe stato meglio non cantarci sopra. Per come lo capii io, egli
intese che i due momenti avrebbero dovuto stare separati uno dall’altro. Ma io
non intendevo ancora “deporre le mie armi pacifiche” prima di aver provato a
trovare il canale comunicativo con cui egli avrebbe potuto rivalutare la
possibilità che il fastidio potesse essere debellato proprio attraverso la
“imposizione” di qualcosa di piacevole. Gli dissi allora gentilmente che la
musica, secondo me, ha proprio questo potere di facile approccio in diversi stati
d’animo e gli dicevo che io già in testa sento una melodia che potremmo
provare ad associare assieme. E a bassa voce attaccai le parole di Va
pensiero.
Non ho dovuto aspettare a lungo la risposta o qualche parere perché
Luigi già dall’istante successivo mi rispondeva cantando le parti orchestrali del
basso. Non potevo neppure – è questo l’imperdonabile vizio di quasi tutti
cantanti, omettere le parti strumentali e ritmiche perché nella sua testa, meglio
che nella mia, scorreva l’incisione vera e propria, chi sa quante volte udita,
diretta da Riccardo Muti, nella quale questa aria corale non è un inno, per
quanto comunemente accettato, ma una preghiera. Mi raccontò pure un
episodio della sua vita di una crociera sui fiumi russi, dove da turisti, un gruppo
di italiani, rispondendo ai canti degli altri gruppi e delle altre nazioni, cantarono
proprio questo pezzo.
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Entrai nella stanza tre e le signore mi aspettavano con i sorrisi e
canticchiando la melodia che, come un buon e fresco profumo di una
pasticceria di vecchi tempi, era entrata prima di me. Non potevo non
assecondare le due donne continuando con la stessa musica.
Proseguendo lungo il corridoio il mio canto come un’epidemia si stava
spandendo, invadendo tutti gli spazi fino ad un punto dove anche io,
probabilmente stavo perdendo il controllo sul suo uso dinamico più appropriato;
la collega che nei miei paraggi stava somministrando la terapia per bocca, mi
chiese di abbassare il volume perché cominciava a sentirsi troppo distratta (se
si riprendessero gli specifici obiettivi individuati da me, come effetto distrattore
non è affatto sottointeso di deconcentrare pure gli operatori sanitari). Ho cercato
immediatamente di esaudire questa richiesta cercando di riprendere il controllo
di una melodia che energizzava e distraeva anche troppo, abbassando il tono. I
pazienti comunque richiedevano quasi tutti proprio il gusto di “gelato al
pistacchio”, o meglio, nella terra verdiana cosa poteva toccarli più da vicino che
la melodia del Nabucco che gentilmente li invitava di sospendere ogni pensiero
e posarlo sulle bellissime colline, gli inizi degli Appenini che potevano scorgere
con uno solo sguardo volgendo lo sguardo verso la finestra. Quando ero nella
ultima stanza domandai al sig. Donato cosa avrei potuto cantargli quest’oggi, al
posto del solito Claudio Villa, egli mi sorprese con Verdi. Era troppo forte questa
richiesta e io subito mi misi a sorridergli cantando la canzone della giornata.
Il giorno seguente quando chiesi a Donato se si ricordava cosa avessimo
cantato il giorno prima, lui mi rispose: - Non mi ricordo, ma andava bene!
Sinceramente avrei sperato che mi dicesse anche il nome della canzone o
l’autore che lui stesso aveva richiesto, ma ho dovuto accontentarmi che la
musica almeno, di certo, ogni volta risveglia in lui la serenità e la voglia di
sentirla e qualche volta, quando viene a lui, pure cantarla.
Un giorno oltrepassando la camera 114
Sulla provetta stava scritto 115A e di conseguenza stavo per arrivare in
quella stanza, ma oltrepassando la stanza accanto sentii una voce dire:
“Eccola, sta arrivando da noi.”
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Sono entrata nella camera che avevo segnata sulla prima provetta che
avevo in mano iniziando già a canticchiare a bassa voce e il sig. Ettore, un
uomo di un’ottantina d’anni, mi si rivolse con un tono semi-serio e non
offensivo: “Ma come possono tenere una persona matta qui.””E chi
sarebbe?””Come chi, è lei che canta sempre.” “Ma sig. Ettore per le persone
matte si dice che non facciano delle cose ragionevoli, ed io come ho fatto i
prelievi a lei?””Bene, me li aveva fatti già da un paio di volte.””E non mi pare di
averla torturata; prendevo la vena subito, non rimanevo a lungo qui! È vero?”
“Sì, è vero, ma lei continua a cantare!”, ripeteva lui come se fosse ovvio che
qualcosa non quadrasse in quella situazione. “E allora, io davvero non capisco
cosa cerca di comunicarmi, guarderò di non cantare durante il prelievo nelle
prossime volte!”, gli dissi uscendo dalla stanza.
Già dal primo incontro con lui mi ero accorta che apparteneva a quella
minoranza di persone che vivono il mio cantare come l’eventualità che io mi
possa distrarre dal prelievo, e in effetti, durante il prelievo, nelle volte
successive non cantavo, ma solo immediatamente prima e subito dopo
l’intervento, cercando di abituarlo alla situazione capendo che era il contesto in
cui era inserito che era insolito, e non il canto, che gli procurò quel pensiero.
Negli ultimi giorni del suo ricovero in clinica, la situazione si era capovolta,
cantavo esclusivamente durante il prelievo e lui stesso mi faceva notare che
non avevo proprio iniziato a cantare prima della puntura, ricordandomi di
cercare di applicarlo meglio durante il prossimo.
Nella stanza in cui arrivavo dopo, la 114, invece, ho ricevuto una specie
di conferma, che ho vissuto come giusta sollecitazione per ritrovare e cercare di
rinnovare le energie per poter proseguire serenamente la strada oramai
intrapresa. Uno di due pazienti mi aveva accolto con un fischietto dicendomi:
“L’aspettavo, per fischiettare assieme al suo canto.” Ero sorpresa perché non
conoscevo ancora né l’uno né l’altro. Di solito era il mio canto a sorprenderli,
ma mi resi conto che il canto che viaggia sull’onda sonora ha una propria vita,
e che inaspettatamente e liberamente mi fa conoscere dalle persone prima di
averle ancora incontrate. E così, Antonio si mise ad accennare la mia canzone
con il suo pulito ed intonato fischiettio. Confesso che io non sarei in grado di
fischiare così bene. Mi aveva raccomandato delle canzoni efficaci da studiare e
come ricompensa per questa specie di ricarica morale (che lui e il suo
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compagno di stanza mi avevano donato senza saperlo), ho fatto loro un
concertino di refrain e strofe di diverse canzoni a loro ben note.
Quando Antonio fu dimesso, entrando nella stanza dove in quel
momento vi era solo Giuseppe, quest’ultimo sorridendo mi si rivolse con le
seguenti parole: “Eccola, finalmente è arrivata l’allegria.”
A proposito dei nomi che cambiano
Nei primi mesi del mio lavoro nel ruolo di un’infermiere prelievista,
mentre ancora non osavo cantare molto e risultavo cantare “abusivamente”,
spesso e volentieri capitava che qualcuno mi si rivolgesse con: “Ah, eccola che
è arrivata, la vampira”, oppure “Vampirella oggi quante provette deve riempire.”
Man mano l’introduzione del canto prendeva piede, o invece si stava
consolidando in forma di tecniche e procedure oramai consolidate; così anche i
nomignoli a me riferiti cominciarono ad assumere altri connotati espressivi.
Sostanzialmente questi possono rappresentare o testimoniare l’impatto e
l’influenza musicale delle peculiarità fortemente affettive (o altrimenti di spiccata
fantasia) che si stavano realizzando nelle relazioni e i collegamenti
interpersonali canori sul posto.
Espongo di seguito alcuni tra questi:
“Sei tu la gallina che canta ogni mattina?” (un paziente, dagli altri
operatori già ritenuto di non facile carattere nell’assistenza e cura, che in me, al
primo impatto, provocò un improvviso senso di imbarazzo quanto passeggero
che ho dovuto combattere e
superare al momento per non viverlo come
un’offesa: fino a quando, attraverso le domande ed altre frasi, non avevo capito
che la gallina era legata al senso di risveglio mattutino, corrispettivo femminile
del gallo e non legata allo stereotipo, nell’idioma corrente, di carenza intellettiva
solitamente associata a questa parola);
“E oggi niente serenata?” (mi disse una volta un paziente mentre stavo
per individuare un accesso venoso);
“L’usignolo oggi non canta?” (in una situazione simile) oppure la stessa
persona “Eccolo, è arrivato il nostro usignolo”; similmente, una signora durante
il periodo del ricovero della sua parente continuò a chiamarmi fringuellina;
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“Puntina, oggi hai cambiato la puntina, ma non il disco” (uno dei pazienti
cardiologici che spesso attraversava il corridoio accompagnando ogni mio
passo, osservando e canticchiando a debita distanza);
“Sei veloce e precisa come Guglielmo Tell!” (Mi disse Luigi, pronipote di
Verdi, dopo aver accompagnato il fastidio che solitamente prova nel prelievo
ematico con il canto e le parole di Addio del passato).
“Ecco l’aurora che sta arrivando…” (dietro le mie spalle mentre stavo
svolgendo il canto-prelievo con un altro paziente era arrivata la voce della
cugina di una paziente).
La bella ciao
Giancarlo, un paziente ricoverato in neurologia diversi mesi fa, mi aveva
fatto riflettere e rivalutare il significato dei mezzi contenitivi normalmente usati
nelle situazione di laboriosa applicazione tecnica. Nei momenti in cui il paziente,
per qualche ragione, rifiutava il trattamento stesso che l’operatore al momento
dovrebbe applicare su di lui, davanti ai miei occhi crollava l’immagine di un loro
effettivo bisogno e necessità d’uso. Il conflitto personale che io provai in questa
circostanza come risultato ha prodotto un approccio tecnico infermieristico
diverso dal solito e il risultato, in questo preciso caso era più che suggestivo. Mi
faceva inorgoglire il pensiero che avevo dominato le resistenze di “un omone”
così particolare e, nei momenti del genere, solitamente di non facile approccio,
con una semplice canzone dai tempi dei partigiani e di esser riuscita da sola e
senza sensazione della fatica psicofisica.
Giancarlo, con gli esiti della lesione ischemica, non sempre sembrava
comprendere il senso delle parole e degli ordini che gli si ponevano. Inoltre,
sulla sua cartella clinica c’era scritto che presenta dei momenti di aggressione
fisica nei confronti degli operatori ed io l’avevo vissuta di persona durante il mio
secondo incontro con lui.
Il primo prelievo ematico, per ragioni a me sconosciute, era andato
abbastanza bene, anche se, siccome si era mosso di scatto, ho dovuto
eseguire un’altra incisione cutanea. Nella seconda situazione lo trovai girato
con la schiena verso di me e non rispondeva affatto ai miei saluti e richieste. Ho
provato ad avvicinarmi a lui e liberandogli la mano, tanto quanto era il minimo
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indispensabile per cercare di individuarvi una vena, e nel momento
dell’incisione ho visto venirmi verso la faccia il pugno della sua mano destra.
Ero riuscita evitarlo per poco, ma il prelievo anche ritornando dopo mezz’ora
non si poteva eseguire semplicemente. I due operatori tecnico sanitari che
cercavano di svolgere con lui l’assistenza mi proposero di contenermelo. Il
prelievo è stato eseguito, con molta fatica ed io psicologicamente mi sentivo
quasi esaurita. Ho pensato che se in seguito incontrassi un altro caso simile
avrei rinunciato prema di provare, chiedendo il cambio di qualcuno.
Nei giorni successivi, temevo il prossimo nostro incontro e come potesse
reagire, arrivando al punto di pensare se Dio me la manderà buona o meno.
Ma, canticchiando al suo compagno di camera, che per le lesioni ischemiche
cerebrali rimase afasico e
rispondeva con il canto al mio canto, notai che
Giancarlo, il suo vicino di letto, rispondeva intonando ad alta voce i versi della
canzone che stavo proponendo all’altro. E così, nella volta successiva io arrivai
preparata, munita dalle prime due strofe di Bella ciao ed entrando nella sua
stanza come se fosse un palcoscenico gli dissi:
“Giancarlo è ora di svegliarsi perché sono arrivata per cantarle una
canzone.“ Immediatamente si girò verso di me. “Però, Giancarlo, io dovrei
anche prelevarle il sangue, spero che lei farà il bravo in tutti e due i modi.” E
cominciai a cantargli: “Una mattina, mi son svegliata…” Non ho dovuto
proseguire perché era lui che completava i miei versi, mentre, nel frattempo,
con l’altra mano, cercavo di assicurami di tenergli ben fermo il braccio nel caso
egli si fosse mosso). Indi, io proponevo un verso e lui lo completava, ma poi,
avevo esaurito le parole di due strofe che conoscevo e gli chiesi aiuto per
proseguirle, lui prontamente mi rispose melodizzando i versi.
Egli si dimostrò rilassato e disponibile, senza muovere il braccio. Di
conseguenza io mi ero trovata a mio agio e nelle condizioni ottimali per
applicare la tecnica del prelievo. E il canto, in questo caso funse da invisibile,
ultra-tradizionale ausilio contenitivo.
Anche nei successivi incontri con lui non ho mai incontrato ostacoli o
situazioni difficoltose. Nel suo caso il canto si dimostrò indispensabile per una
soddisfacente riuscita tecnica.
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Madre e figlia
Vorrei fare un accenno sull’impatto del mio prelievo e l’effetto sul
caregiver riportando in particolare l’esempio della sig. Giuseppina e sua figlia
che alle sette di mattino, quando io mi recavo nella stanza 103, era quasi
sempre presente. Dal primo giorno, come anche normalmente faccio di fronte ai
familiari o alle persone che ritengo i caregiver (e non di fronte alle persone di
passaggio), non ho cercato di allontanarla. La rendevo partecipe in quanto non
sapevo se potesse risultare eventualmente di aiuto. Considero quei momenti
come i momenti di scambio delle informazioni legate all’educazione sanitaria.
Il rapporto che si era instaurato tra di noi era interessante perché tutte e
due avevano una forte convinzione che io facessi bene il mio lavoro solo
mentre canto. Sua madre non aveva un facile accesso venoso ed una volta (era
arrivata in cardiologia dopo l’operazione già con la superficie cutanea coperta
da ecchimosi) proprio quando non cantavo mi è capitato di “bucarla” due volte.
Forse fu la causa della loro opinione in favore del canto e il sempre forte
incoraggiamento che io prima di prendere l’ago in mano devo necessariamente
anche avviarmi al canto. Questa attribuzione, direi quasi magica, al potere che il
suono avrebbe sulla persona, e in questo caso riferita a me, l’ho trovata più
incline alle donne che al genere maschile. Tuttavia, riprendendo i primordi
storici sul dolore non si potrebbe a non trovare una radice che possa giustificare
questa posizione di pensiero, oggidì tanto poco comune.
Per la mancanza della proteina C
Incontrai Silvia, per la prima volta, al mese di ottobre. Quel giorno ha
consegnato le urine chiedendo di posticipare i tempi di pro-trombina, il suo
prelievo ematico per il dosaggio del farmaco anticoagulante che lei, secondo le
odierne conoscenze scientifiche, portando in sé una carenza genetica di
proteina C, sarà vincolata ad eseguire mensilmente per tutta la vita. Nei mesi
successivi, pian piano, ho avuto possibilità di conoscere sua madre, sorella, zii
ecc., ma solo lei aveva un rilevato disagio nei confronti del prelievo ematico.
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Da subito la collega cercò di informarmi che la ragazza, allora
trentatreenne, è un caso particolare, che deve stare sempre coricata e che non
sempre si sente di eseguirlo.
Il primo canto non era partito da me come proposta, ma fu lei stessa ad
entrare nell’ambulatorio nel mese di dicembre, poiché precedentemente,
aspettando nella sala d’attesa, sentendomi cantare ad un altro, è entrata
dicendo che lei era venuta per “un intervento musicale”. In pratica, mi aveva
preceduto nella proposta, ma aveva anche anticipato la mia successiva
domanda che le avrei posto sulle preferenze musicali dicendomi che preferiva
“la musica etnica.”
“Anche di altri spazi e nelle altre lingue?”, le chiesi e lei mi rispose:
“Soprattutto in altre lingue!” Immediatamente avevo pensato di offrirle Ederlezi,
la canzone in lingua rom, abbastanza conosciuta nell’occidente attraverso un
film di Emir Kusturica, con gli arrangiamenti musicali di Goran Bregović.
In breve riporto cosa mi riferì quella volta:
Ho chiuso gli occhi e ho visto Brad Pitt, nella scena del film The Snatch, dove
lui interpreta la parte dello zingaro che in ginocchio piange per la morte di sua
madre, davanti alla roulotte che sta bruciando. In questa scena si era inserita
un’altra dove una“zingara” vestita in una gonna di color viola, e cucita d’oro,
danzava ruotando intorno a se stessa.
In quel modo cominciò la nostra corrispondenza con il mio ruolo di musicoprelievista che si svolgeva, al massimo, in 5 minuti complessivi di tempo. Lei
invece di concentrarsi sull’ago volgeva lo sguardo a me continuando a
sorridermi. Non è mai svenuta come riferito nel suo passato clinico, non
rimaneva mai sdraiata oltre la durata del prelievo stesso e si alzava
velocemente, cercando di condividere con me una parte della sua esperienza.
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Forse, l’unico aspetto potenzialmente non positivo, rispetto all’intervento
tradizionale, era che S. con la musica tendeva a distrarsi così tanto che spesso
e volentieri si dimenticava di tenere ben premuto il cotone. In persone
sottoposte a trattamento anticoagulante, se si trascura questo passaggio,
facilmente può rimanere per qualche giorno, il segno.
E così, un mese dietro l’altro pensavo in anticipo a quale canzone etnica, di che
paese e in che lingua, applicare su di lei. In questo caso, avendo una collega
accanto io abitualmente preparo, dispongo le provette e somministro il canto,
mentre l’altra esegue la parte infermieristica. Nell’ultimo mese ci siamo messe
d’accordo di farle partecipare a questo intervento, ma stavolta, completamente
eseguito da me sola, come nei ricoverati interni dove non ho altra scelta.
Tuttavia, ritengo che sia molto importante che lei si renda conto che la musica
sta fuori di lei, ma l’effetto musicale, l’immaginazione, la sensibilità e la capacità
di far fronte al disagio storcendolo nel benessere psicofisico, sono risorse insite
e nell’individuo.
Una volta, durante i mesi trascorsi ed era avvenuto con la proposta dell’altra
infermiera, le recitai la poesia di Sarah Brown (in italiano) Antologia di Spoon
River di Edgar Lee Masters111 che lei richiese anche dopo qualche mese di
risentire ancora.
Partendo dal mese di gennaio le chiesi di compilarmi ogni volta il modulo di
valutazione dell’intensità del dolore e dell’ansia.
Ritengo che la sua testimonianza, che io ho cercato di trascrivere dalla
registrazione del nostro dialogo, di cui lei ha consentito anche l’emissione
pubblica, e che riporterò in seguito, sia utile per comprendere quanto, in
persone giovani e con buone capacità cognitive, un prelievo ematico, un
intervento apparentemente così piccolo e banale possa causare delle
problematiche significative.
111
Ogni poesia racconta, in forma di epitaffio la vita di una delle persone sepolte nel cimitero di
un piccolo paesino della provincia americana.
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Giovedì, 19 Aprile 2007: Praticamente, la nostra è una malattia ereditaria, e quindi c’è questa
mancanza di proteina C nel sangue. L’abbiamo scoperto perché mia nonna ha avuto un ictus e
in giovane età mia sorella ha avuto questa tromboflebite, una cosa un po’ insolita. E quindi,
siamo stati sottoposti agli esami. Sono venuti degli americani nell’ospedale di Parma perché
avevano questo sospetto che fosse una carenza a livello genetico, di tutto il ceppo familiare. E
infatti, poi, da questi risultati è scaturito che tutta la famiglia T. ha questa carenza di proteina C,
con il sangue molto denso. La mia nipotina, figlia di mia sorella, pure.
Fatto sta che siamo andati a Parma a fare questi esami e lì diciamo che è stato il mio primo
prelievo.
- A quanti anni?
Ma, ero già sù perchè avrò avuto, 15 anni, ed ero gia con la fobia. Cosa feci? Io, come adesso
dici anche tu, prova con l’immaginazione. Io mi presento con il walkman, mi sdraio sul lettino,
faccio finta di essere distesa su un prato, musica un po’ alta.
- Quindi, tu avevi paura già prima di fare quel prelievo?
Praticamente i cinque giorni prima di questo intervento io li ho vissuti da incubo. Cioè, io volevo
fermare il tempo, non volevo, avevo un rigetto verso questa cosa.
-Ho capito.
Poi, quando sono arrivata là, ho detto con me stessa, mi metto il walkman con la musica che
mi piace, faccio finta di non essere in un ospedale, faccio finta di essere in un campo. Volevo
proprio cancellare, estraniarmi da tutto.
- E dunque, com’è andata?!
Ho fatto il prelievo ed andava bene, ma al momento quando ho aperto gli occhi, mettendo i
piedi per terra vedendo veramente dove mi trovavo, ti ripeto, sudorazioni in una vampata di tre
secondi, cioè tremolio da freddo, sudorazioni, fino a perdere praticamente i sensi.
Poi, ho fatto pochi prelievi nella mia vita, anche… va bè, adesso guarda cosa mi è capitato,
Fatti forza ragazza perché…
E niente, andavo anche a Piacenza in ospedale, qui avrò avuto diciassette anni, ma anche lì lo
svenimento e dovevano chiamare proprio il medico. Mi alzava le gambe, mi provava i battiti,
perché era proprio un collasso, proprio una forma nervosa, che ne so io.
- Cioè, ti sembrava più forte di te?
Ma io non volevo assolutamente che capitasse, ma non riuscivo a fare altrimenti. Facevo
forza, facevo forza, poi, alla fine, magari facevo forza e poi come mi alzavo “boom”, per terra.
Niente, rimanevo lì distesa, loro lasciavano aperte tutte le finestre mentre mia madre fuori
aspettava, vedeva che uscivano tutti gli altri dicendo “e mia figlia”.
Dopo, i prelievi non li ho più fatti fino a quando non devo subire questo intervento alla cisti
ovarica. Quindi, figurati, un intervento chirurgico, quanti prelievi mi faranno, flebo, no!!
- Ma non avevi paura dell’intervento che è più grave delle incisioni con l’ago?
No, perché pensavo, sono completamente anestetizzata. Dicevo, oh, la flebo quando mi
mettono l’ago fisso lì e quando mi giro lo guarderò, averlo conficcato nella vena. Perché,
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quello proprio che mi provoca la fobia è l’ago dentro la vena che tira fuori il mio sangue.
Per dirti le punture sulla natica assolutamente io ne potrei far cento. Faccio il
vaccino sulla spalla, è proprio l’ago in vena e il tirar fuori il sangue. Anche la vista del
sangue.
Infatti nel primo prelievo che ho fatto, questi americani, non mi avevano tolto una siringa,
praticamente mi hanno messo la farfallina e hanno dovuto riempire un bel po’, una boccetta
bella grossa, quindi è stata un soffocare questa emozione che tenevo dentro. Non era
nemmeno tanto la quantità, ma più il tempo che ci mettevano. Più una cosa è veloce e quindi
dici, ma sì, dura talmente poco che resisto, invece sapere già a priori che sarebbe durato un
po’ di più, ha aumentato l’ansia ed è arrivato proprio a…E niente, poi quando sono stata
ricoverata, non ti dico quanti prelievi mi avevano fatto perché con questa carenza della
proteina C, mi hanno dovuto preparare all’intervento. Mi hanno iniettato la proteina C che mi
manca e ogni tre secondi per fare gli esami del laboratorio per vedere se…
-Che destino...
E sì! Sai che, poi mi accorgo che se poi ci sono in mezzo, devo affrontarlo. Per esempio
adesso sono vincolata al prelievo per il resto dei miei giorni, ho questa pastiglia, allora mi
faccio forza.
- Cosa prendi tu?
Il Coumadin.
Faccio forza e mi dico, ma sì, cosa vuoi, un prelievo e poi avendone fatti cosi tanti, mi ha un
attimo aperta la mente. Però, era molto importante che venivo a farlo perché poi mi era
capitato di essere ricoverata per una tromboflebite ed una ragazza nel mettermi la flebo mi
aveva rotto la vena, facendomi diventare il braccio così (grande). Quindi per me è molto
importante chi fa il prelievo. Devo familiarizzare molto, devo sdrammatizzare molto, quindi se
mi capita già una paurosa, con la mano che le trema, che vedi che sbaglia, io degenero, vado
su tutte le furie.
Per me è molto importante, mi deve dare prima di tutto la fiducia, e poi se mi sdrammatizza, o
appunto come hai fatto tu, con questo canto, per me è la pace più totale.
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6 Conclusioni
“Una sola è la forza e non una sola con la quale tutte queste cose
e quelle d’altra specie vengono governate;
l’una serve per la vita del tutto e di parte,
l’altra che non è una sola
per le sensazioni del tutto e di parte.”
[Ippocrate “Scritti scelti”]
6.1 Conclusione della mia osservazione
Durante il periodo della mia esperienza clinica focalizzata alla gestione
dei disagi e delle problematiche, nella mente ferita da avvenimenti
traumatizzanti, pertinenti al dolore e all’ ansia con apporto musicale, ho potuto
constatare che avere il dolore è avere la “certezza” (per chi lo prova), mentre il
sentire parlare del dolore è avere dei “dubbi” (per chi lo ascolta). Il dolore,
essendo un fenomeno altamente soggettivo è misurabile solo da chi lo vive,
deve essere sempre preso in considerazione, mai screditato. In sostanza esso
resiste alle obiezioni verbali e non mi stancherò mai di ripetere che il dolore è
un’intensa esperienza umana che ha l’impatto su tutte le dimensioni della
qualità della vita. Inoltre l’alleviamento del dolore e della sofferenza è uno dei
più antichi doveri del medico e un obiettivo tradizionale della medicina.
Il dolore è emozione, la musica è emozione. La musica vive con le
immagini mentali e si propaga insieme con esse nello spazio aperto
dell’interiorità. L’immagine, come un flash sensoriale, codifica la percezione e
traduce le emozioni. E ancora, facendo il giro della catena dolore – musica –
immagine, è proprio la musica l’agente che può aiutare ad eliminare il dolore
suscitando le immagini e servendosi dell’immaginazione come di un “asilo della
psiche”. Inoltre, inducendo al rilassamento, la musica aiuta a ridurre lo stress e
le tensioni, in quanto l’ansietà incrementa la tensione muscolare che è
usualmente il fattore che aggrava il dolore.
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In altre parole, la musica oltre ad attivare la produzione delle endorfine,
aiuta il cervello nella creazione delle immagini, permettendo la temporanea
evasione in un mondo senza dolore, al riparo dell’immaginazione. Le immagini
mentali, in questo senso, sono dovute alla sensazione estetica che l’arte
produce. E la mente è pensata come contestuale, sul piano estetico, alla
bellezza, con un pensiero “poetico” che non descrive “realtà oggettive”, ma
pensa “artisticamente”.112
Che il succo della musicoterapia è proprio nell'influenza psicologica della
musica, dei suoi influssi sul sistema nervoso, i correlati affettivi che si mettono
in atto e sul tutto quanto può essere governato da questo, sto trovando
confermarsi ogni giorno nella mia pratica clinica. Per di più, ho potuto
riconoscere che non tutti i partecipanti hanno la stessa reazione umorale agli
stessi stimoli sonori (pezzi), ma sembra esistere un tipo modale comune della
risposta, che è predicibile in diversi tipi di musica. Si potrebbe parlare altresì di
una loro risponsività innata, assimilata e formata dall’esperienza, sensibilità,
predisposizione individuale, della quale tener conto; anche se il principio base
del criterio di prima scelta nella somministrazione sonora sarebbe l’identità
sonora universale e culturale della persona.
Tra le teorie citate per spiegare i meccanismi dell’effetto musicale nel
mitigare il dolore sono state incluse: la distrazione e/o l’attenzione selettiva,
l’alterazione della focalizzazione percettiva, la teoria del cancello, la liberazione
delle endorfine, il principio di sincronizzazione armonica (entrainment) il
rilassamento e l’abreazione o la catarsi.113 Oltre ciò, in nome di una visione
olistica del cervello l’approccio cognitivistico prevede la non-distinzione fra
l’elaborazione corticale del dolore e quella più prettamente limbica.114
112
Ivi.
113
Da Aristotele chiamata la catarsi. In psicoterapia, la scarica emozionale attraverso la quale
un soggetto si libera di un trauma antico i cui termini essenziali sono rimasti inconsci.
114
Bertirotti A., Cobianchi S., La musica nel trattamento del dolore. Società, medicina e
neuroscienze (vedi biblio.).
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In ultimo, vorrei sottolineare che trovo un dovere personale e
professionale prendermi cura del paziente nella sua totalità, cercando di
occuparmi dell’intero “universo” della persona, perché riconosco e cerco di
valorizzare la dignità e l’integrità umana. Non solo “fare” per loro, ma pure
“esserci” e questo non è affatto facile (al di là dei limiti e la non costanza nelle
risorse umane personali) a causa delle condizioni organizzative cliniche e dei
tempi, che spesso risultano sfavorevoli alla sua realizzazione.
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6.2 Conclusioni generali
Il dolore è una delle esperienze umane più complesse. La valutazione e il
trattamento del dolore devono essere indirizzati verso gli aspetti psicologici,
sensoriali, affettivi, cognitivi, comportamentali e socio culturali. Il più efficace
trattamento per tutti i dolori è un approccio bilanciato e polimodale il quale
combini tutte e due le strategie, farmacologica e non.
Chiaramente, la gestione del dolore è da considerare come un processo
interdisciplinare; tuttavia, in quanto sta a raffigurare un collegamento chiave
nell’assistenza,
l’infermiere
nel
molte
ruolo
organizzazioni
centrale,
professionali
nell’amministrazione
hanno
degli
riconosciuto
interventi
e
nell’evoluzione dell’impatto di questi nell’individuo. La scienza infermieristica
degli ultimi tempi è stata integrata con le discipline complementari non
farmacologiche, compreso lo studio degli effetti potenti della musica sulla salute
umana. Anche la pioniera del nursing, Florence Nightingale, in uno suo scritto
riconobbe il potenziale curativo della musica nel trattamento della malattia.115
Nella modificazione e nel controllo del dolore attraverso le tecniche
psicologiche come lo è la musicoterapia, appunto, per quanto richiesto dalle
nuove prospettive di cura, viene presa in considerazione e valutata, non solo la
salute fisica, ma anche il benessere emotivo, la funzione sociale, più la
comunicazione, le capacità cognitive e le abilità dei pazienti. L’approccio olistico
alla cura e alla gestione del dolore, la sua mancanza degli effetti avversi,
spesso e volentieri contingenti e “compagni” della chirurgia e dei farmaci,
nonché l’apertura della possibilità, finalmente, di personalizzazione del
trattamento sono le ragioni primarie perché la musica in e come terapia cominci
ad attrarre e, a mio parere, possa e debba essere valorizzata sempre di più.
115
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169
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