1 Propriet`a universale degli spazi Tr (V )

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Appunti per gli studenti del corso di
Istituzioni di Geometria Superiore 2
A.A. 2005/06
A. Lotta
1
Proprietà universale degli spazi Tsr (V )
Siano V spazio vettoriale reale, n = dim(V ) ≥ 1 e siano r, s due interi naturali non
entrambi nulli.
∗
· · × V }∗ → Tsr (V ) l’applicazione tale
Denoteremo con ⊗ : |V × ·{z
· · × V} × V
| × ·{z
r
s
che
(u1 , . . . , ur , ϕ1 , . . . , ϕs ) 7→ u1 ⊗ · · · ⊗ ur ⊗ ϕ1 ⊗ · · · ⊗ ϕs .
Per le proprietà del prodotto tensoriale, ⊗ è un’applicazione multilineare.
Teorema Se W è uno spazio vettoriale reale, e
∗
ᾱ : |V × ·{z
· · × V} × V
· · × V }∗ → W
| × ·{z
r
s
è un’applicazione multilineare, allora esiste una ed una sola applicazione lineare
α : Tsr (V ) → W tale che
α ◦ ⊗ = ᾱ.
∗
Dimostrazione. Posto Vsr := V
· · × V} × V
· · × V }∗ , abbiamo che ⊗(Vsr )
| × ·{z
| × ·{z
r
s
è un sistema di generatori di Tsr (V ). Segue subito l’unicità di α. Per provare
l’esistenza, fissiamo una base {ei } di V , la cui duale denotiamo al solito con {ei }.
Resta cosı̀ determinata la base {eI } di Tsr (V ), dove I = (i1 , . . . , ir , j1 , . . . , js ) è un
multiindice e eI = ei1 ⊗ · · · ⊗ eir ⊗ ej1 ⊗ · · · ⊗ ejs .
Consideriamo quindi l’unica applicazione lineare α : Tsr (V ) → W tale che
α(eI ) = ᾱ(ei1 , · · · , eir , ej1 , · · · , ejs )
per ogni multiindice I. Tale applicazione verifica la condizione richiesta α ◦ ⊗ = ᾱ,
in quanto ᾱ e α ◦ ⊗ sono entrambe multilineari, e coincidono su tutte le (r + s) − ple
del tipo (ei1 , · · · eir , ej1 , · · · , ejs )..
Vsr
Esercizio: Si consideri una coppia (U, Φ) dove U è uno spazio vettoriale e Φ :
→ U è un’applicazione multilineare, verificanti le proprietà seguenti:
1
a) Φ(Vsr ) genera U ;
b) per ogni spazio vettoriale reale W , e per ogni applicazione multilineare ᾱ :
r
Vs → W , esiste un’applicazione lineare α : U → W tale che
α ◦ Φ = ᾱ.
In tale ipotesi, mostrare che esiste un unico isomorfismo Ψ : Tsr (V ) → U tale che
Ψ ◦ ⊗ = Φ.
2
Alcuni isomorfismi canonici
Teorema Sia s ∈ N, s ≥ 1. Esiste uno ed un solo isomorfismo
Ψ : Ts1 (V ) → L(V, . . . , V ; V )
| {z }
s
tale che
Ψ(u ⊗ ϕ1 ⊗ · · · ⊗ ϕs )(v1 , . . . , vs ) = ϕ1 (v1 ) · · · ϕs (vs ) · u
per ogni u, v1 , . . . , vs ∈ V e ϕ1 , . . . , ϕs ∈ V ∗ .
Dimostrazione. Per costruire Ψ è sufficiente applicare la proprietà universale di
Ts1 (V ) all’applicazione multilineare
α : (u, ϕ1 , · · · , ϕs ) =: ξ ∈ Vs1 7→ Lξ ∈ L(V, . . . , V ; V )
| {z }
s
dove Lξ è definita da Lξ (v1 , . . . , vs ) := ϕ1 (v1 ) · · · ϕs (vs ) · u. I dettagli (verifica della
multilinearità di Lξ e di α) sono lasciati alla cura del lettore. Resta da provare che
Ψ è un isomorfismo.
A questo scopo, consideriamo l’applicazione Θ : L(V, . . . , V ; V ) → Ts1 (V ) che
| {z }
s
associa ad ogni L ∈ L(V, . . . , V ; V ) il tensore Θ(L) definito da:
| {z }
s
Θ(L)(ϕ, u1 , . . . , us ) = ϕ(L(u1 , . . . , us )).
Il lettore verifichi che si tratta di un’applicazione lineare e che Ψ e Θ sono isomorfismi, uno inverso dell’altro.
Il caso s = 1 è particolarmente interessante e ricorrente nelle applicazioni: si
ottiene l’isomorfismo canonico
Ψ : Ts1 (V ) → End(V )
2
tale che
Ψ(u ⊗ ϕ)(v) = ϕ(v)u.
L’endomorfismo associato ad un tensore decomponibile u ⊗ ϕ è pertanto di rango 1
(ha per immagine il sottospazio L(u) generato da u ∈ V ).
Si osservi che se t = tij ei ⊗ei è un tensore qualsiasi di tipo (1, 1), espanso mediante
una base {ei } di V , allora l’endomorfismo Ψ(t) è quello associato, nella stessa base,
alla matrice (tij ).
Più in generale, se t ∈ Ts1 (V ) è dato da t = tij1 ···js ei ⊗ ej1 ⊗ · · · ⊗ ejs allora Ψ(t)
è determinata come segue:
X
Ψ(t)(ej1 , . . . , ejs ) =
tij1 ···js ei .
i
Esempio: L’immagine Ψ(c) del tensore di Kronecker definito da c(ϕ, u) = ϕ(u)
è l’endomorfismo identico Id di V .
Esempio: Si consideri uno spazio vettoriale Euclideo (V, <>). L’applicazione
R : V × V × V → V data da
R(x, y, z) := k(< y, z > x− < x, z > y)
dove k è un numero reale fissato, è trilineare, e pertanto definisce un unico tensore
di tipo (1, 3). Rispetto ad una base ortonormale {ei } tale tensore ha le seguenti
componenti:
i
Rjkl
= k (δji δlk − δki δlj ).
Teorema: Per ogni (r, s) ∈ N2 − {(0, 0)} vi è un unico isomorfismo
Γ : Tsr (V ) → (Trs )∗
tale che
Γ(u1 ⊗ · · · ⊗ ur ⊗ ϕ1 ⊗ · · · ⊗ ϕs )(t) = t(ϕ1 , · · · , ϕs , u1 , · · · , ur )
per ogni u1 , . . . , ur ∈ V, ϕ1 , . . . , ϕs ∈ V ∗ e per ogni t ∈ Trs (V ).
Dimostrazione: Anche in questo caso l’esistenza (e unicità) di un’applicazione Γ
verificante la condizione di cui sopra segue della proprietà universale di Tsr (V ). Per
provare che Γ è un isomorfismo, si può verificare che esso ammette l’isomorfismo
inverso Ξ : (Trs )∗ → Tsr (V ) definito come segue:
Ξ(ψ)(ϕ1 , . . . , ϕr , u1 , . . . , us ) = ψ(u1 ⊗ · · · ⊗ us ⊗ ϕ1 ⊗ · · · ⊗ ϕr ).
3
Si osservi che Γ : T01 → (T10 )∗ coincide con l’isomorfismo canonico V → V ∗∗ ;
mentre Γ : T10 → (T01 )∗ è l’isomorfismo canonico tra V ∗ ed il proprio biduale V ∗∗∗ .
Nel caso r = s = 1, si ottiene che T11 è canonicamente isomorfo al proprio duale
Dunque la stessa proprietà è valida per End(V ).
(T11 )∗ .
Definizione: Il funzionale Γ(c) : T11 (V ) → R è detto traccia o contrazione su
).
Qui c ∈ T11 (V ) è il tensore di Kronecker. La traccia su T11 si denoterà con C.
T11 (V
Proposizione: C : T11 (V ) → R è l’unica applicazione lineare tale che
C(u ⊗ ϕ) = ϕ(u).
Inoltre, data una base {ei } di V , se t = tij ei ⊗ ej , si ha:
C(t) =
X
tii .
i
P
Dimostrazione. Fissiamo una base qualsiasi {ei } di V . Risulta c = k ek ⊗ ek ,
per cui
X
X
ek (u)ϕ(ek ) = ϕ(u).
Γ(ek ⊗ ek )(u ⊗ ϕ) =
C(u ⊗ ϕ) = Γ(c)(u ⊗ ϕ) =
k
k
Per quanto riguarda l’ultima affermazione
X
X
X
C(t) =
tij C(ei ⊗ ej ) =
tij ej (ei ) =
tii .
P
In particolare, la somma i tii è indipendente dalla scelta della base in cui si
determinano le componenti di un tensore t ∈ T11 (V ).
Questa proprietà si può rileggere con riferimento allo spazio End(V ), mediante
l’isomorfismo canonico Ψ:
P i
per ogni endomorfismo f : V → V , la traccia
ai della matrice (aij ) ad esso
associata in una base di V è uno scalare indipendente dalla base. Esso si chiama
quindi traccia di f .
Come ulteriore conseguenza: Data una matrice A ∈ Mn (R) risulta
tr(A) = tr(G−1 AG)
per ogni G ∈ GL(n, R).
L’operatore tr : End(V ) → R è caratterizzato dal seguente risultato:
4
(∗)
Teorema: L’operatore tr : End(V ) → R è invariante per coniugio; cioè per ogni
f ∈ End(V ) e per ogni g ∈ Aut(V ) risulta
tr(f ) = tr(g ◦ f ◦ g −1 ).
Ogni altro operatore lineare φ : End(V ) → R avente la stessa proprietà è un multiplo
scalare di tr.
Dimostrazione. La prima affermazione segue dalla proprietà (*).
Sia φ : End(V ) → R un operatore invariante per coniugio. Fissata una base {ei }
di V , mostreremo che per ogni f ∈ End(V ) si ha
φ(f ) = k · tr(f )
(∗∗)
dove k := φ(e1 ⊗ e1 ) (qui e nel seguito useremo lo stesso simbolo per denotare un
tensore t ∈ T11 (V ) ed il corrispondente endomorfismo Ψ(t) ∈ End(V )).
Si osservi intanto che per verificare (**) è sufficiente considerare il caso in cui f
è del tipo f = u ⊗ ϕ dato che l’insieme di tali endomorfismi costituisce un sistema
di generatori di End(V ). Sappiamo che
tr(u ⊗ ϕ) = ϕ(u).
Distinguiamo quindi due casi:
1o caso) ϕ(u) = 0
2o caso) ϕ(u) 6= 0.
Nel primo caso l’identità (**) risulta banalmente verificata se u = 0 oppure
ϕ = 0; possiamo quindi supporre che u 6= 0 e ϕ 6= 0. Pertanto u ∈ Ker(ϕ) e Ker(ϕ)
ha dimensione n − 1. Si consideri quindi una base {u1 , . . . , un } di V con u1 = u e
tale che Ker(φ) = L(u1 , . . . , un−1 ), e ϕ(un ) = 1.
Detto g : V → V l’isomorfismo tale che
g(ui ) = ui per 1 ≤ i ≤ n − 1, g(un ) = −un
risulta
g ◦ f ◦ g −1 = −f
da cui per l’ipotesi fatta su φ segue φ(f ) = 0. Quindi la (**) è vera per il nostro f
avendosi tr(f ) = 0.
Consideriamo ora il secondo caso. Abbiamo u 6∈ Ker(ϕ), per cui questa volta
si può considerare una base {u1 , . . . , un } di V con u1 = u e tale che Ker(ϕ) =
L(u2 , . . . , un ). Detto ora g : V → V l’isomorfismo tale che
g(ui ) = ei per ogni 1 ≤ i ≤ n,
5
risulta
g ◦ f ◦ g −1 = ϕ(u) e1 ⊗ e1 .
Applicando ad ambo i membri φ segue la (**) anche in questo caso.
La nozione di contrazione si estende nel modo seguente agli spazi tensoriali di
grado qualsiasi:
Definizione: Siano r, s interi entrambi positivi e siano h, k interi tali che 1 ≤
h ≤ r e 1 ≤ k ≤ s. Si chiama contrazione su Tsr (V ) relativa all’h-mo indice di
controvarianza e al k-mo indice di controvarianza, l’unica applicazione lineare
r−1
Ckh : Tsr (V ) → Ts−1
(V )
tale che
Ckh (u1 ⊗ · · · ur ⊗ ϕ1 ⊗ · · · ⊗ ϕs ) =
ϕk (uh ) · (u1 ⊗ · · · ⊗ uh−1 ⊗ uh ⊗ · · · ⊗ ur ⊗ ϕ1 ⊗ · · · ⊗ ϕk−1 ⊗ ϕk+1 ⊗ · · · ⊗ ϕs )
per ogni u1 , . . . , ur ∈ V e ϕ1 , . . . , ϕs ∈ V ∗ .
Si noti che la definizione è ben posta in forza della proprietà universale di Tsr (V ).
ir
j1
js
Se t = tij11 ···
··· js ei1 ⊗ · · · eir ⊗ e ⊗ · · · ⊗ e , allora risulta
Ckh (t) =
X
0i ··· i
r−1
tj11··· js−1
ei1 ⊗ · · · ⊗ eir−1 ⊗ ej1 ⊗ · · · ⊗ ejs−1
i
dove
0i ··· i
r−1
tj11··· js−1
=
X
i ··· ,i
ii i
h−1
h r−1
tj11 ··· jk−1
i jk ··· js−1 .
i
La verifica di ciò si fa semplicemente sfruttando la linearità di Ckh , tenendo conto
del fatto che ejk (eih ) = δjihk .
Esercizi:
1. Dato uno spazio Euclideo (V, <, >) di dimensione n ≥ 1, stabilire che esiste
un’unica applicazione lineare F : T03 (V ) → V tale che
F (v1 ⊗ v2 ⊗ v3 ) =< v1 , v2 > v3
per ogni v1 , v2 , v3 ∈ V . Determinare una base di Ker(F ) e stabilire se F è
surgettiva.
6
2. Data un’applicazione lineare A : V → W tra due spazi vettoriali reali, si
consideri l’applicazione lineare A0 : T r (V ) → T r (W ), dove r ∈ N∗ , tale che
A0 (v1 ⊗ · · · ⊗ vr ) = A(v1 ) ⊗ · · · ⊗ A(vr ).
Stabilire che A è un monomorfismo (risp. epimorfismo) se e solo se A0 è un
monomorfismo (risp. epimorfismo).
3. Dato un isomorfismo A : V → W tra due spazi vettoriali reali, si consideri, per
ogni coppia di interi positivi (r, s) 6= (0, 0) l’applicazione lineare A0 : Tsr (V ) →
Tsr (W ) tale che
A0 (v1 ⊗· · ·⊗vr ⊗ϕ1 ⊗· · ·⊗ϕs )) = A(v1 )⊗· · ·⊗A(vr )⊗t A−1 (ϕ1 )⊗· · ·⊗t A−1 (ϕs )
dove t A : W ∗ → V ∗ è l’applicazione trasposta di A. Mostrare che le applicazioni A0 sono isomorfismi che commutano con tutte le contrazioni.
Verificare quindi che A si estende in modo unico ad un isomorfismo di algebre
unitarie A : T (V ) → T (W ) in modo che A|Tsr (V ) = A0 : Tsr (V ) → Tsr (W ).
Viceversa, provare che ogni isomorfismo F : T (V ) → T (W ) di algebre unitarie
che conservi i gradi (cioè F (Tsr (V ) = Tsr (W )) e commuti con le contrazioni è
l’estensione di un opportuno isomorfismo A : U → W .
L
4. Determinare un isomorfismo di algebre unitarie tra k≥0 T k (R) e l’algebra dei
polinomi R[x].
7
3
Alcune Proprietà del prodotto esterno ∧
Dati due tensori alternanti α ∈ Λr (V ), β ∈ Λs (V ), ricordiamo che il loro prodotto
esterno α ∧ β ∈ Λr+s (V ) è definito come
α ∧ β = A(α ⊗ β)
dove A : Tr+s (V ) → Tr+s (V ) è l’operatore di antisimmetrizzazione. È noto che
α ∧ β = (−1)r+s β ∧ α.
(1)
Inoltre il prodotto ∧ è associativo, e risulta
α1 ∧ · · · ∧ αk = A(α1 ⊗ · · · ⊗ αs ).
Lemma: Siano ϕ1 , . . . , ϕs ∈ V ∗ con s ≥ 2; allora
1 X
(σ) ϕσ(1) ⊗ · · · ⊗ ϕσ(s) .
ϕ1 ∧ · · · ∧ ϕs =
s! σ∈S
s
Dimostrazione: Segue dalla definizione di A e dal fatto che per ogni permutazione
σ ∈ Ss risulta
−1
−1
Eσ (ϕ1 ⊗ · · · ⊗ ϕs ) = ϕσ (1) ⊗ · · · ⊗ ϕσ (s) . Teorema: Siano ϕ1 , . . . , ϕs ∈ V ∗ con s ≥ 2.
a) ϕ1 , . . . , ϕs sono linearmente indipendenti se e solo se ϕ1 ∧ · · · ∧ ϕs 6= 0.
b) Per ogni v1 , . . . , vs ∈ V risulta
s! ϕ1 ∧ · · · ∧ ϕs (v1 , . . . , vs ) = det(ϕi (vj )).
Dimostrazione.
a) Se ϕ1 , . . . , ϕs sono linearmente indipendenti, allora è possibile considerare una
base {ei } di V ∗ con ϕi = ei per i = 1, . . . , s. In corrispondenza di tale base abbiamo
la base B = {ei1 ⊗ · · · ⊗ eis } di Ts (V ); essa comprende i vettori ϕσ(1) ⊗ · · · ⊗ ϕσ(s)
con σ ∈ Ss . Dal Lemma segue quindi che le componenti del vettore ϕ1 ∧ · · · ∧ ϕs
rispetto a B sono tutte pari a ± s!1 , per cui tale vettore è senz’altro non nullo.
Viceversa, si assuma che ϕ1 , . . . , ϕs siano dipendenti;
uno di tali
P esprimendo
i
i
i j
vettori ϕ come combinazione lineare degli altri, ϕ = j6=i aj ϕ e sostituendo tale
espressione nel prodotto ϕ1 ∧ · · · ∧ ϕs si ottiene
X j
ai ϕ 1 ∧ · · · ∧ ϕ j ∧ · · · ∧ ϕ s = 0
ϕ1 ∧ · · · ∧ ϕs =
|{z}
j6=i
posto io
in quanto ciascun addendo è nullo in forza della (1). La dimostrazione di b) è
un’immediata applicazione della formula nel Lemma, tenendo conto della definizione
classica del determinante di una matrice.
8
4
Dimensione degli spazi Λk (V )
Denotiamo con Λk (V ) (k ∈ N) lo spazio vettoriale delle k-forme su V . Al solito
poniamo n := dim(V ).
Allo scopo di determinare la dimensione di V , introduciamo la seguente terminologia: un multiindice di lunghezza k o k-multiindice è una k-pla I = (i1 , . . . , ik )
di interi con 1 ≤ ia ≤ n per ogni a = 1 . . . , k. Diremo che I è crescente se
i1 < i 2 < · · · < i k .
Data una base {ei } di V , per ogni k-multitiindice I = (i1 , . . . , ik ) porremo
eI := ei1 ∧ · · · ∧ eik .
Teorema: Sia k ≥ 1. Data una base {ei } di V , l’insieme {eI } dove I varia
nell’insieme dei k-multiindici crescenti,
costituisce una base di Λk (V ). Quindi la
n
k
dimensione di Λ (V ) è pari a k .
Inoltre, per ogni ω ∈ Λk (V ), risulta
X
ω = k!
ω(ei1 , · · · , eik )eI .
(2)
I cresc
Dimostrazione. Siano I = (i1 , . . . , ik ) e J = (j1 , . . . , jk ) due multiindici crescenti;
allora
1
(∗)
eI (ej1 , . . . , ejk ) = δJI
k!
dove δJI ha il consueto significato. Infatti
eI (ej1 , . . . , ejk ) = ei1 ∧ · · · ∧ eik (ej1 , . . . , ejk ) =
1 X
(σ)eσ(i1 ) ⊗ · · · ⊗ eσ(ik ) (ej1 , . . . , ejk )
k! σ
1 X
(σ)eσ(i1 ) (ej1 ) · · · eσ(ik ) (ejk )
k! σ
ora, l’ultima somma concide con δJI ; infatti è senz’altro nulla se J non è una permutazione di I; ma quest’ultima condizione è equivalente a J 6= I essendo entrambi
multiindici crescenti. Se J = I la somma si riduce ad un solo addendo, pari ad 1.
Dalla (*) segue facilmente che le forme eI sono linearmente indipendenti. Per
concludere, è sufficiente verificare la (2); si osservi che due k-forme ω e ω 0 concidono
se ω(ej1 , . . . , ejk ) = ω 0 (ej1 , . . . , ejk ) per ogni multiindice crescente J. Ciò in forza
della antisimmetria.
Denotato quindi con ω 0 il secondo membro della (2) abbiamo ω 0 (ej1 , . . . , ejk ) =
k! k!1 ω(j1 , . . . , jk ) = ω(j1 , . . . , jk ). Ciò conclude la dimostrazione.
9
5
Pull-back di forme esterne
Siano V e W due spazi vettoriali su K (dove K = R oppure K = C) e sia A : V → W
un’applicazione lineare. Per ogni k ≥ 1 A determina un’applicazione lineare
Λk (A) : Λk (W ) → Λk (V )
definita nel modo seguente
Λk (A)(ω)(v1 , . . . , vk ) = ω(A(v1 ), . . . , A(vk )).
per ogni ω ∈ Λk (W ).
Si osservi che per k = 1 tale applicazione è la trasposta t A si A.
Spesso l’operatore Λk (A) si denota con il simbolo A∗ senza far riferimento esplicito all’intero k.
Si osservi che se f : V → W e g : W → Z sono applicazioni lineari, allora per
ogni k ≥ 1:
Λk (g ◦ f ) = Λk (f ) ◦ Λk (g).
Teorema: Sia A : V → V un endomorfismo. Allora se n = dim(V ) risulta
Λn (A) = (det A) · Id.
Dimostrazione. Lo spazio Λn (V ) è 1-dimensionale, per cui ogni endomorfismo di
esso è del tipo k · Id. Nel caso di Λn (A), fissata la base {e1 } di V , abbiamo
Λn (A)(e1 ∧· · ·∧en )(e1 , . . . , en ) = e1 ∧· · ·∧en (Ae1 , . . . , Aen ) =
1
1
det(ei (Aej )) =
det(A)
n!
n!
in quanto (ei (Aej )) è la matrice associata ad A nella base {ei }.
Pertanto, ricordando la (2) otteniamo che
Λn (e1 ∧ · · · ∧ en ) = det(A)(e1 ∧ · · · ∧ en ).
Si ottiene da questo Teorema che tr(Λn (A)) = det(A). La tracce degli altri
endomorfismi Λk (A) per 0 ≤ k < n svolgono un ruolo importante nella struttura di
A, in quanto coincidono con i coefficienti del polinomio caratteristico di A:
Teorema: Sia A : V → V un endomorfismo. Allora per ogni λ ∈ R:
det(A − λI) =
n
X
(−1)n−k tr(Λk (A)) λn−k .
k=0
10
(3)
In questa uguaglianza, si conviene che Λ0 (A) = IdR e quindi tr(Λ0 (A)) = 1.
Allo scopo di provare questo risultato, cominciamo con il caratterizzare gli scalari
Λk (A) mediante la matrice associata ad A in una base.
Definizione: Sia M ∈ Mn (K) una matrice quadrata di ordine n. Si chiama
minore principale di ordine k ogni minore di ordine k dato dal determinante di
una sottomatrice di M individuata da k righe e k colonne relative agli stessi indici
i1 < · · · < i k .
Se I = (i1 , . . . , ik ) è un multiindice crescente, denotiamo con MI il corrispondente
minore principale di M .
Proposizione: Sia A : V → V un endomorfismo e sia B una base di V . Detta
M la matrice associata ad A rispetto a B, fissato un intero 0 < k ≤ n, risulta:
X
tr(Λk (A)) =
MI
|I|=k
la somma essendo estesa a tutti i k-multiindici crescenti.
Dimostrazione. Tenendo conto della (2), per ogni k-multiindice crescente I =
(i1 , . . . , ik ) la componente I-ma di Λk (eI ) rispetto alla base {eI } di Λk (V ) è data da
k!Λk (A)(ei1 ∧ · · · ∧ eik )(ei1 , . . . , eik ) = k! (ei1 ∧ · · · ∧ eik )(A(ei1 ), . . . , A(eik )) =
= det(eis (A(eit ))) = MI .
Come conseguenza abbiamo che:
P
per ogni matrice quadrata M ∈ Mn (R), la somma
I MI di tutti i minori
principali di ordine k è invariante per similitudine, cioè, se M 0 = U −1 M U con
U ∈ GL(n, K) è simile ad M , allora
X
X
MI =
MI0 .
|I|=k
|I|=k
Infatti, M ed M 0 sono due matrici associate (in basi diverse) allo stesso endomorfismo
A : Rn → R n .
Inoltre, questo risultato permette di rileggere l’enunciato del Teorema precedente
come un enunciato riguardante matrici quadrate. Si osservi inoltre che ci si può
limitare al caso in cui K = C, in quanto per una matrice A a coefficienti in R, sia
il primo ed il secondo membro della (3) sono gli stessi se A viene riguardata come
elemento di Mn (C).
Alla dimostrazione di (3) premettiamo ancora alcuni risultati preliminari.
11
Lemma: Ogni matrice quadrata A ∈ Mn (C) è simile ad una matrice triangolare
superiore.
Dimostrazione: Il lettore provi a fornire una dimostrazione per induzione su n,
tenendo conto del fatto che ogni A ammette un autovolore λ ∈ C.
Teorema: L’insieme D delle matrici di ordine n diagonalizzabili è denso in
2
Mn (C) ∼
= Cn rispetto alla topologia naturale.
Dimostrazione. Sia T il sottoinsieme di Mn (C) costituito dalle matrici triangolari
superiori. In forza del Lemma precedente, è sufficiente provare che T ⊂ D. Infatti,
data A ∈ Mn (C) ed un intorno aperto V di A, allora esiste una matrice U ∈ GL(n, C)
tale che U −1 AU = T con T ∈ T. L’applicazione
φ : A 7→ U −1 AU
è un omeomorfismo di Mn (C), e trasforma matrici diagonalizzabili in matrici diagonalizzabili, anzi φ(D) = D. La stessa proprietà ha l’inverso φ−1 . Abbiamo quindi
che φ(V ) è un intorno aperto di T ; assunto che T ⊂ D, risulta
φ(V ) ∩ D 6= ∅
e quindi applicando φ−1 , V ∩ D 6= ∅. Per provare infine che D è denso in T, siano
A = (aij ) in T ed > 0. Si consideri una matrice B = (bij ) i cui elementi fuori dalla
diagonale principale coincidono con i corrispondenti elementi di A, ed i cui elementi
diagonali sono
bii = aii + i dove i > 0.
Ora, è possibile scegliere gli i , in modo che gli elementi diagonali bii siano tutti
diversi tra loro, il che garantisce che B ∈ D, ed inoltre
qX
||A − B|| =
2i < .
Di qui l’asserto.
Lemma: Siano λ, λ1 , . . . , λn ∈ C, con n ≥ 1. Allora
(λ1 − λ) · · · (λn − λ) =
n
X
(−1)n−k (
X
λi1 · · · λik )λn−k .
|I|=k
k=0
dove al solito le somme che figurano al secondo membro sono estese ai k-multiindici
crescenti.
12
Dimostrazione. Si procede per induzione, il caso n = 1 essendo di banale verifica.
Assunta vera la tesi per n ≥ 1, proviamola per n + 1. Notiamo che
(λ1 − λ) · · · (λn − λ) =
n−1
X
X
( (−1)n−k−1 (
λi1 · · · λik )λn−k−1 ) · (λn − λ) =
|I|=k
k=0
n−1
X
n−k−1
(−1)
h=1
n−1
X
h=1
n
X
h=0
λi1 · · · λik λn )λ
n−k−1
+
|I|=k
k=0
n
X
(
X
(−1)n−h (
X
λi1 · · · λih λn )λn−h +
X
(−1)n−k (
n−1
X
(−1)n−k (
k=0
X
λi1 · · · λik )λn−k =
|I|=k
k=0
|I|=h
(−1)n−h (
n−1
X
X
λi1 · · · λik )λn−k =
|I|=k
λi1 · · · λih )λn−h + (−1)n λn + (λ1 · · · λn ) =
|I 0 |=h
(−1)n−h (
X
λi1 · · · λih )λn−h
|I 0 |=h
dove i multiindici I = (i1 , . . . , ik ) hanno indici che variano tra 1 e n − 1, mentre i
multiindici I 0 sono costituiti da indici in {1, . . . , n}.
Dimostrazione di (3) per le matrici A ∈ Mn (C). Consideriamo le funzioni
Φ : Mn (C) → C e Ψ : Mn (C) → C date da
Φ(A) = det(A − λIn ), Ψ(A) =
n
X
(−1)n−k tr(Λk (A))λn−k .
k=0
Si deve provare che Φ = Ψ. Notiamo che per una matrice diagonale A = diag(λ1 . . . , λn )
si ha
X
Λk (A) =
λi1 · · · λik
|I|=k
per cui in forza del Lemma precedente si ottiene subito che Φ(A) = Ψ(A). Poichè
sia Φ che Ψ sono invarianti per similitudine, otteniamo quindi che allora Φ e Ψ coincidono sull’insieme D matrici diagonalizzabili. Poichè si tratta di funzioni continue,
la densità di D implica che Φ = Ψ.
13
6
Sottovarietà regolari di Rn
Ricordiamo che, se N è una varietà differenziabile ed M ⊂ N è un sottoinsieme,
si dice che M è una sottovarietà di N se M ha una struttura di varietà tale che
l’inclusione i : M → N è un’immersione. Necessariamente la dimensione di M non
supera quella di N .
In questo contesto non è richiesto che la topologia τM di M , soggiacente la
N
struttura differenziabile, coincida con la topologia τM
indotta da N . Si noti che,
stante la continuità di i, certamente la topologia di M è più fine di quella indotta.
τM
Definizione: Una sottovarietà M ⊂ N di una varietà N si dice regolare se
N
= τM
.
Nota: Il termine più usato nella letteratura anglosassone per riferisi alle sottovarietà regolari è quello di embedded submanifold; meno diffusa ma comunque in uso
è la terminologia regular submanifold. Invece una sottovarietà non regolare è spesso
denominata immersed submanifold.
In questo paragrafo diamo una caratterizzazione delle sottovarietà regolari di
Rn evidenziandone la struttura locale. Questo risultato può anche essere utilizzato
per costruire abbastanza agevolmente esempi di varietà differenziabili evitando la
costruzione esplicita di atlanti.
Nel seguito per ogni p ∈ Rn , lo spazio tangente Tp Rn verrà identificato con Rn
mediante l’isomorfismo canonico
X ∂
(p)
(4)
(v 1 , . . . , v n ) ∈ Rn 7→
vi
∂xi
detto “parrallelismo assoluto”.
Più generalmente, se V è uno spazio vettoriale reale di dimensione k, dotato
della struttura differenziabile canonica, vi è un isomorfismo canonico
φ : Tv V → V
per ogni v ∈ V . Tale isomorfismo può costruirsi come segue. Sia B = {ei } una base
di V . Allora l’isomorfismo lineare corrispondente
V → Rk
canonicamente associato a B è una carta ammissibile globale. Le funzioni coordinate
xi corrispondenti coincidono con i funzionali ei : V → R che costituiscono la base
duale di B. Possiamo allora definire un isomorfismo
φB : Tp V → V
14
tale che
X
∂
(v))
=
αi ei ∈ V.
∂xi
Tale isomorfismo non dipende dalla base B:
φB (αi
Proposizione: Se B = {ei } e B0 = {e0i } sono due basi di V , allora φB = φB0 .
Dimostrazione: È sufficiente verificare che
φB (
∂
∂
(v)) = φB0 ( i (v)).
i
∂x
∂x
Il primo membro per definizione di φB coincide con ei . Per calcolare il secondo
membro è sufficiente utilizzare la formula
∂
∂x0j
∂
(v)
=
(v)
(v)
∂xi
∂xi
∂x0j
e le formule di cambiamento di base
ei = bji e0j
e0j = bji ei .
Da queste ultime si ricava che
∂x0j
(v) = bji
∂xi
e quindi
φB0 (
∂
(v)) = bji e0j = ei .
∂xi
Notiamo anche che:
Proposizione: Se f : V → W è un’applicazione lineare tra spazi vettoriali,
allora essa è un’applicazione C ∞ e per ogni v ∈ V , tenendo conto delle identificazioni
Tv V ∼
= V e Tf (v) W ∼
= W , risulta dp f = f.
Questo fatto discende subito dall’analoga proprietà per applicazioni lineari tra
spazi Euclidei, nota dal corso di Analisi Matematica.
Come conseguenza abbiamo che ogni sottospazio vettoriale W ⊂ Rn è una sottovarietà regolare di dimensione pari alla dimensione di W .
Infatti, la topologia indotta da Rn su W è quella soggiacente la struttura differenziabile canonica di W ; inoltre l’inclusione i : W → Rn essendo lineare concide
col proprio differenziale ed è quindi un’immersione.
Per formulare in modo preciso la caratterizzazione delle sottovarietà regolari
di Rn , stabiliamo la seguente terminologia. Sia I = (i1 , . . . , ik ) un k-multiindice
15
crescente con 1 ≤ ip ≤ n e sia I 0 = (j1 , . . . , jn−k ) il suo complementare, ovvero gli
indici di I 0 sono gli interi di {1, . . . , n} diversi dagli is ed ordinati in modo crescente.
Denoteremo con RkI il sottospazio coordinato di Rn generato da ei1 , . . . , eik ; esso
ha equazioni
xj1 = · · · = xjp = 0.
Abbiamo
Rn = RkI ⊕ RIn−k
0
(5)
dove Rn−k
ha equazioni
I0
xi1 = · · · = xik = 0.
Denoteremo con
pI : Rn → RkI
pI 0 : Rn → Rn−k
I0
le proiezioni relative alla decomposizione (5).
Nel seguito denoteremo anche con I : RkI → Rk l’isomorfismo associato alla
base {ei1 , . . . , eik }. Ricordando che (RkI , I) è una carta ammissibile della struttura
differenziabile standard di RkI , notiamo che le coordinate corrispondenti sono le
restrizioni delle coordinate cartesiane xi1 , . . . , xik .
Analogamente abbiamo l’isomorfismo
I 0 : Rn−k
→ Rn−k
I0
associato alla base {ej1 , . . . , ejs }.
Mediante I ed I 0 resta determinato un diffeomorfismo canonico
Rn ∼
= RnI × RIn−k
0
dove RnI × Rn−k
ha la topologia (e struttura differenziabile) prodotto.
I0
Nel seguito verrano spesso utilizzate le identificazioni Rk ∼
= Rn−k
= RkI e Rn−k ∼
I0
senza ulteriori commenti, allo scopo di non appesantire le notazioni nelle argomentazioni.
Sia V ⊂ Rk un aperto e h : V → Rn−k un’applicazione. Se I = (i1 , . . . , ik ) è un kmultiindice crescente, denoteremo con ΓIh il grafico di h definito come il sottoinsieme
di Rn :
ΓIh = {ξ + h(ξ) | ξ ∈ V }
dove ξ (risp. h(ξ)) è identificato col corrispondente vettore in RkI (risp. RIn−k
).
0
Si osservi che ogni applicazione h : V ⊂ Rk → Rn−k può interpretarsi in nk modi
come una funzione di k variabili tra le x1 , . . . , xn determinando altrettanti grafici in
Rn . Facendo ciò, h è pensata come un’applicazione definita su un aperto di RkI ed a
valori nel sottospazio Rn−k
di Rn .
I0
16
Ad esempio, se n = 3, denotando con x, y, z le coordinate x1 , x2 , x3 , allora una
funzione h : R2 → R dà luogo a tre grafici in R3 :
yz
xz
Γxy
h , Γh , Γh .
Esplicitamente, ad es.
Γxz
h = {(x, h(x, z), z)}
e la decomposizione (5) in questo caso è
R3 = R2xz ⊕ Ry
con
R2xz = {(x, 0, z)}, Ry = {(0, y, 0)}.
Proposizione: Conservando le notazioni precedenti, se h : V ⊂ Rk → Rn−k
è una funzione continua, allora la ridotta della restrizione di pI a ΓIh determina un
omeomorfismo ϕh : ΓIh → V . Tale omeomorfismo è detto carta canonica del grafico
ΓIh .
Dimostrazione. Infatti, ϕh è continua perchè restrizione della funzione continua
pI a ΓIh ; tale restrizione è a valori in V e come applicazione da ΓIh → V è ancora
continua. Si tratta di una bigezione la cui inversa è data dall’applicazione
ξ ∈ V 7→ ξ + h(ξ) ∈ ΓIh .
Si noti che tale mappa è continua in forza della continuità di h.
Lemma: Siano V e W aperti di Rk e h : V → Rh−k e k : W → Rh−k due
applicazioni di classe C ∞ . Fissati due multiindici crescenti I e J, si assuma che
A := ΓIh ∩ ΓJk 6= ∅ e che A sia aperto sia in ΓIh che in ΓJk . Allora la funzione
ϕk ◦ ϕ−1
h : ϕh (A) → ϕk (A)
è di classe C ∞ .
Dimostrazione: Infatti l’applicazione in questione è data da
ξ 7→ pJ (ξ + h(ξ))
e sia h che pJ sono di classe C ∞ .
Definizione:
Diremo che un sottospazio topologico M di Rn è localmente
grafico di una funzione di k variabili se per ogni p ∈ M esiste un aperto A ⊂ Rn
17
tale che A ∩ M = ΓIh dove h è una funzione h : V ⊂ Rk → Rn−k definita su un
aperto V di Rk ed I è un opportuno k-multiindice crescente.
Ad esempio la sfera (n − 1)-dimensionale Sn−1 = {x ∈ Rn | x21 + · · · + x2n =
||x||2 = 1} è localmente il grafico di una funzione C ∞ di n − 1 variabili. Infatti, se
1 ≤ i ≤ n, posto U+i := {x | xi > 0} e U−i := {x | xi < 0} allora denotando con Ii il
multiindice crescente di lunghezza n − 1 il cui complementare è (i), risulta:
U−i ∩ Sn−1 = Γhi
U+i ∩ Sn−1 = Γgi ,
dove
gi : B n−1 (0, 1) → R, hi : B n−1 (0, 1) → R
sono definite da
gi (x) =
q
1−
X
q
X
hi (x) = − 1 −
x2i .
x2i ,
Qui B n−1 (0, 1) denota la sfera aperta di centro l’origine e raggio 1 nell’iperpiano
Rn−1
di equazione xi = 0; ovvero
Ii
B n−1 (0, 1) = {x ∈ Rn−1
| ||x|| < 1} = B(0, 1) ∩ Rn−1
Ii
Ii .
Teorema: Sia M ⊂ Rn . Le seguenti proprietà sono equivalenti:
a) M è una sottovarietá regolare di dimensione k;
b) M è localmente il grafico di una funzione di k variabili di classe C ∞ ;
c) Per ogni punto p ∈ M esistono un aperto A ⊂ Rn ed una funzione di classe
C g : A → Rn−k tale che
∞
A ∩ M = {x ∈ A| g(x) = 0}
e dgq ha rango massimo per ogni q ∈ M .
Inoltre, vera una di queste proprietà M ammette un’unica struttura differenziabile la cui topologia è quella relativa e tale che i : M → Rn è un’immersione.
Dimostrazione:
a) ⇒ b)
Per ipotesi, M ammette una struttura F di varietà k-dimensionale la cui topologia
è quella relativa, e i : M → Rn è un’immersione.
Dimostreremo che esiste un atlante A appartenente ad F, ciascuna carta (U, ϕ)
del quale soddisfa i seguenti requisiti:
18
i) U è un grafico Γh ;
ii) ϕ è la carta canonica di Γh .
Da ciò segue senz’altro che è valida b), nonchè l’unicità della struttura F. Infatti,
se F0 è un’altra struttura per cui i è un’immersione, costruito un atlante A0 verificante
ancora i) e ii), risulta che A e A0 sono compatibili in forza del Lemma precedente.
Quindi F = F0 .
Fissiamo quindi F ed un punto p ∈ M e fissiamo una carta locale (U 0 , ψ) di F
con p ∈ U 0 e coordinate locali (u1 , . . . , uk ). La matrice associata al differenziale
dip : Tp M → Tp Rn nelle basi { ∂u∂ i (p)} e { ∂x∂ i (p)} è
∂is
(p)
∂ut
dove is = xs ◦ i è la restrizione di xs ad U 0 .
Per ipotesi questa matrice ha rango k; siano i1 < · · · < ik gli indici corrispondenti
a k righe linearmente indipendenti e si consideri la corrispondente sottomatrice
B ∈ GL(k, R). Consideriamo allora l’applicazione f : U 0 → RkI dove I = (i1 , . . . , ik )
data dalla composizione
p
i
U 0 → Rn →I RkI .
Naturalmente f è differenziabile e la matrice associata al differenziale dfp nelle carte
(U 0 , ϕ) e (RkI , I) coincide con B. Pertanto dfp è un isomorfismo e per il teorema di
invertibilità locale, esiste una aperto U ⊂ U 0 tale che V := f (U ) è aperto e
ϕ = f|U : U → V
è un diffeomorfismo.
Dunque (U, ϕ) (dove ϕ è pensato come omeomorfismo tra U ed un aperto di Rk
mediante I) è una carta locale su M compatibile con la struttura differenziabile F
di M . Si noti che, poichè la topologia di M è quella relativa, U = A ∩ M per un
opportuno aperto A ⊂ Rn .
Mostriamo infine che U è un grafico ΓIh . Si consideri infatti la funzione h : V →
n−k
RI 0 data dalla composizione:
ϕ−1
p
i
0
I
V → U → Rn →
Rn−k
I0 .
Essa è differenziabile perchè composta di applicazioni differenziabili (si ricordi l’ipotesi
che i è un’immersione). In riferimento alla decomposizione (5), notiamo che per ogni
ξ ∈ V è
pI (ϕ−1 (ξ)) = ξ
per cui
ϕ−1 (ξ) = ξ + pI 0 (ϕ−1 (ξ)) = ξ + h(ξ).
19
Da ciò segue subito che U = ΓIh . Inoltre per costruzione ϕ coincide con la carta
canonica di ΓIh .
Stante l’arbitrarietà del punto p, resta provato l’asserto relativo alla costruzione
di un atlante A verificante le i) e ii) di cui sopra.
b) ⇒ a) Stante l’ipotesi possiamo costruire un atlante A le cui carte sono carte
canoniche relative a grafici di funzioni C ∞ ; il fatto che si tratti di un atlante differenziabile è garantito dal Lemma. Muniamo quindi M della corrispondente struttura
differenziabile di dimensione k. Resta da provare che i : M → Rn è un’immersione;
sia p ∈ M e (U, ϕ) ∈ A con p ∈ U e U = ΓIh con h : V → Rn−k e ϕ = ϕh . Allora
risulta
i|U = λ ◦ ϕ
dove λ : V → Rn è data da
ξ 7→ ξ + h(ξ).
Ora, ϕ è un diffeomorfismo, per cui è sufficiente verificare che λ è un’immersione.
Quest’ultimo fatto segue osservando che in ogni punto ξ ∈ V il differenziale dξ λ :
RkI → Rn è dato da
dξ λ = j + dξ h
essendo j : RkI → Rn l’inclusione.
n
k
Poichè h è a valori nel sottospazio Rn−k
I 0 , anche il differenziale dξ h : RI → R è
a valori nello stesso sottospazio.
Quindi, se dξ (v) = 0, segue in virtù della (5) che j(v) = 0 e dξ h(v) = 0, onde
v = 0. Resta cosı̀verificato che dξ λ è ingettivo.
b) ⇒ c) Fissato un punto p ∈ M , sia U ⊂ M un intorno aperto di p tale che
U = ΓIh , dove h : V → Rn−k ∼
è di classe C ∞ . Posto A0 = p−1
= Rn−k
I (V ), risulta che
I0
A è un aperto di Rn contenente U ed inoltre
U = {x ∈ A0 | g(x) = 0}
dove g : A0 → Rn−k
è definita da
I0
g(x) = pI 0 (x) − h(pI (x)).
Tale applicazione è di classe C ∞ e per ogni xo ∈ A0 il differenziale dxo g : Rn → Rn−k
I0
è dato da
dxo g = pI 0 − dξ h ◦ pI , dove ξ = pI (xo ).
Pertanto dxo g è surgettivo avendosi per ogni w ∈ Rn−k
I 0 , w = dxo g(w). Ora, per
00
definizione di topologia indotta, si ha U = A ∩ M dove A00 è un aperto di Rn .
Posto A = A0 ∩ A00 e denotando ancora con g : A → Rn−k la restrizione di g ad A,
considerata a valori in Rn−k , otteniamo che
A ∩ M = {x ∈ A| g(x) = 0}
20
e ciò prova la c).
Osserviamo infine che c) ⇒ b) è una diretta applicazione del Teorema delle
Funzioni Implicite. La dimostrazione è completa .
Osservazioni: Conseguenza immediata di questo Teorema è il fatto che, se
M ⊂ Rn è un sottoinsieme, la proprietà “M è una sottovarietà regolare” ha carattere locale. Ciò significa che condizione necessaria e sufficiente affinchè M sia una
sottovarietà regolare k-dimensionale è che ogni punto p ∈ M ammetta un intorno
aperto U ⊂ M nella topologia di sottospazio, che sia una sottovarietà regolare kdimensionale.
Un’altra conseguenza del Teorema è data dal seguente:
Corollario:
Sia M ⊂ Rn una sottovarietà regolare. Siano N una varietà
differenziabile e f : N → Rn un’applicazione differenziabile tale che f (N ) ⊂ M .
Allora l’applicazione indotta f : N → M è differenziabile.
Dimostrazione: Denotiamo con f˜ l’applicazione indotta f : N → M ; si osservi
che tale applicazione è continua, essendo M dotata della topologia indotta da Rn .
Per dimostrare che f˜ è differenziabile, si fissi un punto p ∈ N e si consideri un
intorno aperto U di f (p) in N che sia un grafico U = ΓIh . Dalla dimostrazione del
Teorema, sappiamo che la carta canonica ϕ del grafico determina una carta locale
ϕ : U → V dove V = pI (U ). Sia W ⊂ N una carta locale in p, tale che f˜(W ) ⊂ U .
Per concludere, è sufficiente mostrare che f˜ : W → U è differenziabile. Per l’ipotesi
di differenziabilità di f : N → Rn , abbiamo che la composizione
f˜
p
i
I
W → U → p−1
I (V ) → V
è differenziabile. D’altra parte la composizione pI ◦ i = ϕ : U → V è un diffeomorfismo, per cui f˜ risulta differenziabile.
Sottolineamo il fatto che la regolarità della sottovarietà M nel Corollario è essenziale: se M è solo una sottovarietà immersa, può accadere che f˜ non risulti
differenziabile, anzi neanche continua.
A questo proposito, consideriamo
M = {(x, y) ∈ R2 | x2 = 4y 2 (1 − y 2 )}.
M è l’insieme dei punti reali di una quartica, avente un nodo nell’origine. Non è
una sottovarietà regolare in quanto nessun intorno dell’orgine è un grafico (stante
la simmetria della curva rispetto ad entrambi gli assi coordinati). D’altra parte,
21
M può munirsi di una struttura di sottovarietà 1-dimensionale di R2 utilizzando la
parametrizzazione
π 3
ϕ :] − , π[→ R2
2 2
data da
ϕ(t) = (sin(2t), cos(t)).
Il lettore verifichi che ϕ è ingettiva, regolare (cioè ϕ̇(t) 6= 0 per ogni t) e che
ϕ(] −
π 3
, π[) = M.
2 2
Possiamo quindi munire M dell’unica struttura differenziabile F che rende la ridotta
ϕ# :] − π2 , 23 π[→ M un diffeomorfismo. Rispetto a tale struttura, si ottiene subito
che i : M → R2 è un’immersione perchè tale è ϕ. Pertanto (M, F) è una sottovarietà
di R2 . Detta τ la topologia soggiacente F, consideriamo ora l’applicazione
f : R → R2
definita allo stesso modo di ϕ, cioè
f (t) = (sin(2t), cos(t)).
L’applicazione indotta f˜ : R → M in questo caso non è continua. Infatti, se lo fosse,
osservato che
π 3
M = f ([− , π]),
2 2
(M, τ ) risulterebbe uno spazio compatto, il che è assurdo in quanto per costruzione
tale spazio è omoeomorfo all’intervallo ] − π2 , 32 π[.
Se M ⊂ Rn è una sottovarietà regolare, e g : A → Rn−k è un’applicazione
soddisfacente la condizione in c), diremo che g definisce localmente M , ovvero che
g(x) = 0
è un’equazione locale di M .
Proposizione: Sia M ⊂ Rn una sottovarietà regolare k-dimensionale. Se
g : A → Rn−k è una funzione che definisce localmente M , allora per ogni p ∈ A ∩ M
dip (Tp M ) = Ker(dgp ).
Nel caso in cui M è un’ipersuperficie (k = n − 1), si ha anche
dip (Tp M ) = L(gradp (g))⊥ .
22
Dimostrazione: Denotiamo ancora con i l’inclusione U → A. Allora abbiamo
che g ◦ i : U → Rn−k è l’applicazione nulla. Quindi
dgp ◦ dip = 0
da cui segue l’inclusione dip (Tp M ) ⊂ Ker(dgp ). D’altra parte, tenendo conto del
fatto che dgp ha rango n − k, i due spazi hanno la stessa dimensione k e quindi
coincidono.
L’ultima affermazione segue dal fatto ben noto che per una funzione differenziabile g : A ⊂ Rn → R si ha dgp (v) =< v, gradp (g) > per ogni v ∈ Rn .
Mantenendo le notazioni di questa proposizione, si è soliti identificare Tp M con il
sottospazio vettoriale dip (Tp M ) di Rn . Lo spazio affine passante per p con giacitura
dip (Tp M ) è una “rappresentazione” geometrica dello spazio tangente Tp M . Nel caso
di una superficie (n = 3 e k = 2), esso è comunemente chiamato piano tangente
(affine) nel punto p.
La proposizione precedente permette quindi di ricavare un’equazione del piano
tangente in un punto, nota un’equazione locale della superficie in un intorno di quel
punto.
7
Alcuni esempi di sottovarietà di Rn:
• Per ogni c ∈ R e n ≥ 2 sia
M = {x ∈ Rn | x21 − x22 − · · · − x2n = c}.
Risulta che M è una sottovarietà di Rn di dimensione n−1 (ovvero è un’ipersuperficie) se e solo se c 6= 0.
Infatti, se c 6= 0, allora
M = {x ∈ Rn |g(x) = 0}
dove g(x) = x21 − x22 − · · · − x2n − c e (grad g)p 6= 0 per ogni p 6= 0. Pertanto
M è un’ipersuperficie per la c) del Teorema e g definisce globalmente M .
Se c = 0, si verifica facilmente che per ogni sfera aperta B(0, r) in Rn , centrata
nell’origine, e per ogni (n − 1)-multiindice pI , la restrizione di pI a B(0, r) non
è ingettiva. Quindi B(0, r) ∩ M non può essere un grafico. Si conclude quindi
che nessun intorno aperto di 0 ∈ M è un grafico, onde per la b) del Teorema
M non è un’ipersuperficie di Rn se c = 0.
23
• L’elica cilindrica in R3 è il supporto Γ = γ(R) della curva regolare parametrizzata da γ : R → R3 dove
γ(t) = (cos(t), sin(t), t).
Γ è una sottovarietà di dimensione 1. Infatti, abbiamo
Γ = {x ∈ R3 |g(x) = 0}
dove g : R3 → R2 è definita da
g(x, y, z) = (x − cos(z), y − sin(z)).
Il differenziale dgp : R3 → R2 risulta surgettivo per ogni p ∈ R3 .
• Si chiama elicoide il luogo M delle rette di R3 incidenti l’elica cilindrica Γ e
l’asse z, e perpendicolari a quest’ultimo. Risulta M = ϕ(R2 ) dove ϕ : R2 → R3
è definita da
ϕ(t, u) = (u cos(t), u sin(t), t).
M è una superficie differenziabile in R3 ; infatti risulta
M = U ∪ V con U = Γh , V = Γk
dove U e V sono aperti di M ed h e k sono le funzioni C ∞ di due variabili
definite da
h(x, z) = x tg(z), k(y, z) = y cotg(z).
Più precisamente, si noti h è definita e C ∞ sull’aperto A = {(x, 0, z)| cos z 6= 0}
del piano coordinato R2xz mentre k è definita sull’aperto B = {(0, y, z)| sin z 6=
0} del piano coordinato R2yz . Risulta quindi U = (Ry × A) ∩ M = Γh mentre
V = (Rx × B) ∩ M = Γk .
• Sia Γ una sottovarietà 1-dimensionale nel piano R2 , contenuta nel semipiano
R+
xy := {(x, y)| x > 0}.
Identifichiamo R2 col piano coordinato R2xy di R3 e consideriamo la “superficie”
S ottenuta per rotazione completa di Γ intorno all’asse y.
Allo scopo di dare una definizione precisa di S, per ogni punto q di R3 non
appartenente all’asse delle y, consideriamo la circonferenza Cq passante per q,
con centro nella proiezione py (q) di q sull’asse delle y, e contenuta nel piano
per q perpendicolare allo stesso asse. Allora per definizione S è l’unione
[
S=
Cq
q∈Γ
24
Mostriamo che S è una sottovarietà di dimensione 2 di R3 .
Si verifica facilmente che S ⊂ W dove W ⊂ R3 denota il complementare
dell’asse y (che è aperto). Anzi, si osservi che per ogni q ∈ W risulta
q ∈ S se e solo se il punto q̄ = Cq ∩ R+
xy appartiene a Γ.
(∗)
L’applicazione
Ψ : q ∈ W 7→ q̄ ∈ R+
xy
è C ∞ : essa è data da
√
Ψ(x, y, z) = ( x2 + z 2 , y, 0).
Sia q ∈ S e sia f (x, y) = 0 un’equazione locale per Γ in un intorno aperto U
di q̄.
Allora
√
f ( x2 + z 2 , y) = 0
è un’equazione locale per S in un intorno di q. Più precisamente, supponiamo
che f : U → R, con U ⊂ R2xy aperto, che possiamo supporre contenuto in R+
xy .
Allora A := Ψ−1 (U ) è un aperto contenente q. Per la (*) risulta
S ∩ A = {x ∈ A|g(x) = 0}.
Il lettore verifichi che dgp ha rango 2 se p ∈ S ∩ A, sfruttando il fatto che il
fatto che (grad f )ξ =
6 0 per ogni ξ ∈ Γ ∩ U .
Un esempio notevole di superficie di rotazione è il toro. Un modello di toro
si ottiene prendendo come curva Γ la circonferenza del piano R3xy di centro il
punto (2, 0, 0) ed avente raggio 1.
• Il gruppo ortogonale O(n) è una sottovarietà regolare dello spazio delle matrici
2
quadrate Mn (R), identificato con lo spazio Euclideo Rn .
Per verificarlo, si consideri il sottospazio lineare Sym(n) ⊂ Mn (R) costituito
dalle matrici simmetriche. La dimensione di Sym(n) è n(n+1)
. L’applicazione
2
F : Mn (R) → Sym(n)
definita da
F (A) =t AA − In
è differenziabile e O(n) = {A ∈ Mn (R)|F (A) = 0}. Verifichiamo che dA F :
Mn (R) → Sym(n) è surgettivo per ogni A ∈ O(n). A questo scopo, fissiamo
25
B ∈ Mn (R) e calcoliamo dA (F )(B). Utilizziamo la curva γ : R → Mn (R)
definita da γ(t) = A + tB. Allora γ(0) = A e γ̇(0) = B. Pertanto
dA F (B) =
d
d
F (γ(t))t=0 = (t(A + tB)(A + tB) − I)t=0 =
dt
dt
d t
( AA + t(tAB +t BA) + t2 tBB)t=0 =
dt
t
AB +t BA.
Quindi
dA (F )(B) =t AB +t BA.
Ora, se C è una matrice simmetrica, risulta
1
dA (F )( AC) = C
2
e pertanto il differenziale dA F : Mn (R) → Sym(n) è surgettivo per ogni
A ∈ O(n). Applicando quindi la c) ⇒ a) del Teorema di caratterizzazione,
segue che O(n) è una sottovarietà regolare di dimensione n2 − n(n+1)
= n(n−1)
.
2
2
• Il gruppo speciale lineare SL(n, R) è il sottogruppo di GL(n, R) costituito dalle
matrici di Mn (R) il cui determinante è 1.
Mostriamo che SL(n, R) è una ipersuperficie regolare di Mn (R) (e quindi anche
di GL(n, R) essendo tale gruppo una sottovarietà aperta di Mn (R)).
A questo scopo, notiamo che
SL(n, R) = {A ∈ Mn (R)|F (A) = 0}
dove F : Mn (R) → R é definita da
F (A) = det(A) − 1.
Se si tiene conto della definizione esplicita del determinante di una matrice,
risulta evidente che F è differenziabile. Verifichiamo che dA F : Mn (R) → R
è surgettivo per ogni A ∈ SL(N, R), ovvero che (gradF )A 6= 0. Osserviamo
infatti che, fissati due interi i, j ∈ {1, . . . , n} risulta, se A ∈ GL(n, R):
∂ det
(A) = det(A)(A−1 )ji
i
∂aj
(∗)
dove (A−1 )ji denota l’elemento di posto (j, i) nella matrice inversa di A. Questa
formula si ottiene utilizzando l’espressione della funzione det ottenuta mediante lo sviluppo di Laplace relativo alla riga i-ma:
X
det(A) =
(−1)i+k aik Aik
k
26
essendo Aik il complemento algebrico dell’elemento aij . Derivando rispetto alla
variabile aij , si ottiene, tenendo conto che le funzioni Aik : Mn (R) → R non
dipendono da aij :
∂ det
(A) = (−1)i+j Aij .
i
∂aj
Ora se A è invertibile, si ottiene la (*) per la ben nota caratterizzazione di
A−1 . Dalla (*) segue subito l’asserto.
8
Parametrizzazioni di ipersuperfici
Nel seguito per ipersuperficie di Rn intenderemo sempre una sottovarietà regolare di
dimensione n − 1.
Definizione: Dicesi parametrizzazione regolare di una ipersuperficie M ⊂ Rn
ogni immersione f : A → Rn con A aperto di Rn−1 , tale che f (A) = M .
Ad esempio, l’elicoide E ⊂ R3 ammette la parametrizzazione regolare
f (t, u) = (u cos(t), u sin(t), t).
Una parametrizzazione del toro ottenuto per rotazione della circonferenza Γ :
(x − 2)2 + y 2 = 1 intorno all’asse y, è data da
f (u, θ) = ((2 + cos θ) cos u, sin θ, (2 + cos θ) sin u).
L’utilità delle parametrizzazioni è che esse permettono di determinare facilmente
basi per gli spazi tangenti Tp M ⊂ Rn , nonchè sistemi di coordinate locali.
Proposizione: Sia f : A → Rn una parametrizzazione regolare di un’ipersuperficie
M ⊂ Rn .
∂f
(ξ), . . . , ∂u∂f
(ξ)}.
a) Per ogni ξ ∈ U una base di Tp M , p = f (ξ), è data da { ∂u
1
n−1
b) M ammette un atlante C ∞ ammissibile ciascuna carta (U, ϕ) del quale soddisfa i requisiti seguenti:
i) ϕ(U ) è un aperto di A;
ii) Dette u1 , . . . , un−1 le coordinate locali della carta (U, ϕ), si ha
∂
∂f
(p) =
(ξ).
∂ui
∂ui
per ogni p ∈ U con ϕ(p) = ξ.
27
(6)
In altri termini, in presenza di una parametrizzazione regolare f : A → Rn di
M , ogni punto di M ammette un sistema di coordinate locali che corrispondono alle
coordinate cartesiane di un aperto contenuto in A.
Dimostrazione. Osserviamo innanziautto che l’applicazione f¯ : A → M indotta
da f è differenziabile per il Corollario al Teorema di caratterizzazione delle sottovarietà regolari. Inoltre
f = i ◦ f¯
da cui segue che anche f¯ è un’immersione, in quanto sia f che i lo sono. Poichè A
ed M hanno la stessa dimensione, segue che dξ f¯ : Tξ A → Tf (ξ) M è un isomorfismo
per ogni ξ ∈ A.
Premesso ciò, ricordando che Tp M è identificato con dp i(Tp M ), la a) segue dal
fatto che
∂
∂
∂f
(ξ) = dξ f (
(ξ)) = dp i(dξ f¯(
(ξ))).
∂ui
∂ui
∂ui
Quanto a b), per costruire un atlante con le proprietà richieste è sufficiente applicare
ad f¯ il Teorema di Invertibilità locale: per ogni ξ ∈ A, sia V ⊂ A un aperto tale che
U := f (A) è aperto in M e tale che f¯ : V → U è un diffeomorfismo. Allora detto ϕ
l’inverso di tale diffeomorfismo, (U, ϕ) è una carta ammissibile per M . Dette ui le
coordinate corrispondenti, allora
dp ϕ(
ovvero
∂
∂
(p)) =
(ξ)
∂ui
∂ui
∂
∂
(p) = dξ f¯(
(ξ))
∂ui
∂ui
da cui applicando dp i ad ambo i membri e tenendo conto della (*):
dp i(
∂f
∂
(p)) =
(ξ).
∂ui
∂ui
Poichè f¯ è surgettiva, si viene in questo modo a determinare un atlante ammissibile
per M con le proprietà richieste.
9
Esempi di campi tensoriali
• Si chiama metrica naturale o standard su Rn il campo tensoriale go di tipo (0, 2)
definito nel modo seguente. Se p ∈ Rn , allora (go )p è per definizione il prodotto
scalare su Tp Rn ottenuto dal prodotto scalare standard <, > di Rn , richiedendo
che il parallelismo assoluto Tp Rn → Rn (cf. (8)) risulti un’isometria. Dunque
28
(go )p è l’unico prodotto scalare su Tp Rn rispetto al quale la base naturale
{ ∂x∂ i (p)} è ortonormale.
Nella carta globale con coordinate cartesiane xi , le componenti di go sono
costanti e date da
(go )ij = δij .
Pertanto go è differenziabile. Dunque
go = dx1 ⊗ dx1 + · · · + dxn ⊗ dxn .
• Sia f : M → N un’applicazione differenziabile tra varietà e t ∈ Tos (N ) un
campo tensoriale differenziabile di specie (0, s) su N .
Allora f induce su M un campo della stessa specie denotato con f ∗ t, definito
ponendo, per ogni p ∈ M e per ogni X1 , . . . , Xs ∈ Tp M :
(f ∗ t)p (X1 , . . . , Xs ) := tf (p) (dp f (X1 ), . . . , dp f (Xs )).
Verifichiamo che f ∗ t è differenziabile. Siano p ∈ M e (U, ϕ) e (V, ψ) carte
locali definite risp. in un intorno aperto di p e di f (p), tali che f (U ) ⊂ V .
Denotiamo con x1 , . . . , xm e y1 , . . . , yn le corrispondenti coordinate locali, e
con f i , i = 1, . . . , n le funzioni coordinate di f . Allora per ogni q ∈ U :
(f ∗ t)q (
∂
∂f k1
∂
∂f ks
∂
∂
(q), . . . ,
(q)) = tf (q) (
(q)
(f (q)), . . . ,
(q)
(f (q)))
∂xi1
∂xis
∂xi1
∂yk1
∂xis
∂yks
da cui ricaviamo che le componenti di f ∗ t in (U, ϕ) sono
(f ∗ t)i1 ...is =
∂f ks 0
∂f k1 ∂f k2
·t
···
∂xi1 ∂xi2
∂xis k1 ...ks
(7)
dove t0k1 ,...,ks denota la funzione composta
f
U →V
tk1 ,...,ks
→
R.
• Come importante caso particolare di questa costruzione, consideriamo una sottovarietà M (non necessariamente regolare) di Rn . Allora il campo tensoriale
g M = i∗ (go ) prende il nome di metrica indotta o prima forma fondamentale
della sottovarietà M . Il lettore verifichi che per ogni p ∈ M , gpM è un prodotto
scalare sullo spazio tangente Tp M .
Se (U, ϕ) è una carta locale di M , con coordinate x1 , . . . , xm , allora dalla (7)
ricaviamo che le corrispondenti componenti gij di g M sono date da
29
gij =
X ∂ik ∂ik
∂i ∂i
=<
,
>
∂xi ∂xj
∂xi ∂xj
k
(8)
essendo al solito i : M → Rn l’ingezione canonica, i = (i1 , . . . , in ).
Come esempio concreto, consideriamo il cilindro M di R3 di equazione x2 +y 2 =
1.
Determiniamo le componenti di gM nella carta (U, ϕ) dove U = M ∩ A, A =
{(x, y, z) ∈ R3 | − 1 < x < 1, y > 0}. Tale carta è quella canonica del grafico
Γxz
h dove
√
h(x, z) = 1 − x2 .
Le coordinate sono quindi le restrizioni
ad U delle coordinate cartesiane x e
√
−1
z. Ricordando che ϕ (x, z) = (x, 1 − x2 , z) abbiamo
∂i
∂i ◦ ϕ−1
x
=
◦ ϕ = (1, − √
, 0)
∂x
∂x
1 − x2
e
∂i
∂i ◦ ϕ−1
=
◦ ϕ = (0, 0, 1).
∂z
∂z
Quindi in questo caso la (8) dà:
g11 =
1
, g12 = g21 = 0, g22 = 1
1 − x2
ovvero
g M|U =
1
dx ⊗ dx + dz ⊗ dz.
1 − x2
Consideriamo invece la parametrizzazione f : R2 → R3 definita da
f (u, v) = (cos(u), sin(u), v).
Il lettore controlli che f è una parametrizzazione regolare di M secondo la
definizione nel par.8. Consideriamo quindi una carta locale (V, ψ) dedotta da
tale parametrizzazione, con coordinate u, v. Ricordando la (6), abbiamo, per
ogni p ∈ V
∂i
∂
∂f
(p) = dp i( (p)) =
(u(p), v(p))
∂u
∂u
∂u
quindi
∂i
= (− sin(u), cos(u), 0)
∂u
30
ed analogamente
∂i
= (0, 0, 1).
∂v
Concludiamo che in ogni carta dedotta dalla parametrizzazione f le componenti gij0 di g M sono costanti e date da
gij0 = δij .
10
Una caratterizzazione dei campi tensoriali
Sia M una varietà differenziabile. Denotiamo con Tsr (M ) lo spazio di tutti i campi
tensoriali di tipo (r, s) e con Trs (M ) il sottospazio costituito dai campi tensoriali
differenziabili.
Sia t ∈ Tsr (M ). Dunque t = (tp )p∈M dove ogni tp è un tensore di tipo (r, s) sullo
spazio tangente tp M .
Siano X1 , . . . , Xs ∈ X(M ) e ω 1 , . . . , ω r ∈ T01 (M ). Allora resta definita una
funzione
t(ω 1 , . . . , ω r , X1 , . . . , Xs ) : M → R
tale che
t(ω 1 , . . . , ω r , X1 , . . . , Xs )(p) := tp ((ω 1 )p , . . . , (ω r )p , (X1 )p , . . . , (Xs )p ).
Lemma: Una campo t ∈ Tsr (M ) è differenziabile se e solo se per ogni X1 , . . . , Xs ∈
X(M ) e ω 1 , . . . , ω r ∈ T01 (M ), la funzione t(ω 1 , . . . , ω r , X1 , . . . , Xs ) è differenziabile.
Dimostrazione. La condizione è necessaria: sia (U, ϕ) una carta locale e siano
Xi = Xik ∂x∂ k e ω i = ωki dxk le espressioni in tale carta dei campi Xi e delle forme ω i .
Allora
...kr
t(ω 1 , . . . , ω r , X1 , . . . , Xs )|U = ωk11 · · · ωkrr · X1p1 · · · Xrps · tkp11...p
s
...kr
dove tkp11...p
sono le componenti di t in (U, ϕ) che per ipotesi sono differenziabili. Per
s
l’arbitrarietà di tale carta, resta verificato che t(ω 1 , . . . , ω r , X1 , . . . , Xs ) è differenziabile.
Proviamo ora che la condizione enunciata è sufficiente a garantire che t ∈ Trs (M ).
Considerata una carta locale, (U, ϕ) si deve provare che le funzioni U → R:
i1
ir
r
tij11...i
...js : p 7→ tp (dp x , . . . , dp x , (∂j1 )p , . . . , (∂js )p )
sono tutte differenziabili. Se q ∈ U , esiste un intorno aperto V ⊂ U di q ed esistono
ω 1 , . . . , ω r ∈ T01 (M ), X1 , . . . , Xs ∈ X(M ) tali che
(Xk )|V = ∂jk |V ,
(ωp )|V = dxip |V .
31
r
Allora la restrizione di tij11...i
...js a V coincide con la restrizione a V della funzione
1
r
t(ω , . . . , ω , X1 , . . . , Xs ) che per ipotesi è differenziabile.
In forza di questo Lemma, abbiamo che ogni campo tensoriale differenziabile
t ∈ Trs (M ) determina canonicamente un’applicazione
t̄ : T01 (M ) × · · · × T01 (M ) × X(M ) × · · · × X(M ) → F(M )
{z
} |
{z
}
|
r
s
che è manifestamente F(M )-multilineare.
Scopo di questo paragrafo è mostrare che, viceversa, una tale applicazione proviene
nel modo descritto da uno ed un solo campo tensoriale.
Lemma: Sia α : T01 (M ) × · · · × T01 (M ) × X(M ) × · · · × X(M ) → F(M ) un’ap{z
} |
{z
}
|
r
s
plicazione F(M )-multilineare. Allora date le 1-forme ω i e i campi vettoriali Xj , la
funzione α(ω 1 , . . . , ω r , X1 , . . . , Xs ) si annulla in punto xo ∈ M se almeno uno delle
ω i o degli Xj si annulla nello stesso punto.
Dimostrazione: Supponiamo ad esempio che (ω 1 )p = 0. Proviamo dapprima
l’asserto nell’ipotesi che ω 1 si annulli su un intorno aperto U di p. A questo scopo,
si consideri una funzione differenziabile f : M → R tale che f (p) = 0 e f = 1 sul
complementare di U . Allora risulta ω 1 = f ω 1 e quindi α(ω 1 , . . . , ω r , X1 , . . . , Xs ) =
f α(ω 1 , . . . , ω r , X1 , . . . , Xs ) per cui α(ω 1 , . . . , ω r , X1 , . . . , Xs )(q) = 0. Torniamo ora
a considerare il caso in cui (ω 1 )p = 0 senza ulteriori ipotesi. Sia (U, ϕ) una carta
locale in p e sia
1
ω|U
= ωk1 dxk
l’espressione di ω 1 in tale carta. Per ogni k,scegliamo un’estensione gk ∈ F(M ) della
funzione ωk1 e un’estensione θk ∈ T01 (M ) di dxk , tali che
ω k |V = gk |V ,
θk |V = dxk |V
dove V ⊂ U è un opportuno intorno
aperto di p. Allora per quanto già provato
P
applicato alla 1-forma ζ = ω 1 − gk θk , risulta che
α(ζ, . . . , ω r , X1 , . . . , Xs )(p) = 0
ovvero
α(ω 1 , . . . , ω r , X1 , . . . , Xs )(p) =
X
gk (p)α(θk , . . . , ω r , X1 , . . . , Xs )(p) = 0.
32
Teorema: Sia
α : T01 (M ) × · · · × T01 (M ) × X(M ) × · · · × X(M ) → F(M )
|
{z
} |
{z
}
r
s
un’applicazione F(M )-multilineare. Allora esiste uno ed un solo campo tensoriale
t ∈ Trs (M ) tale che t̄ = α.
Dimostrazione. Data α, definiamo t = (tp )p∈M nel modo seguente: se θ1 , . . . , θr ∈
Tp M ∗ e u1 , . . . , us ∈ Tp M allora poniamo
tp (θ1 , . . . , θr , u1 , . . . , us ) = α(Ω1 , . . . , Ωr , X1 , . . . , Xs )(p)
(∗)
dove per ogni i, Ωi ∈ T01 (M ) è un’arbitraria estensione del covettore θi (ovvero
Ωip = θi ) ed analogamente Xj ∈ X(M ) è un’estensione di uj . In virtù del Lemma,
questa è una buona definizione, ovvero il secondo membro della (*) non dipende
dalla particolare scelta delle estensioni. A questo punto è immediato constatare,
mediante il criterio enunciato all’inizio del paragrafo, che t è differenziabile, mentre
è evidentente che t̄ = α.
Ricordando che, per uno spazio vettoriale V , lo spazio Tr1 (V ) si identifica allo
spazio delle applicazioni multilineari V
· · × V} → V , si ottiene, mediante lo stesso
| × ·{z
r
tipo di tecnica il seguente:
Corollario: Vi è una corrispondenza biunivoca naturale tra campi tensoriali
t ∈ T1s (M ) e applicazioni F(M )-multilineari:
α : X(M ) × · · · × X(M ) → X(M ).
|
{z
}
s
Ad esempio, un campo tensoriale differenziabile di tipo (1, 1) può pensarsi sia
come una famiglia t = (tp )p∈M dove tp è un endomorfismo di Tp M , sia come applicazione F(M )-lineare t : X(M ) → X(M ). Se A = (aij ) è la matrice di tp nella base
{∂i } di Tp M in una carta (U, ϕ), le funzioni aij : U → R sono tutte differenziabili.
Esercizio: Dati A e B in T11 (M ), allora mediante essi si puó costruire un
campo tensoriale S di tipo (1, 2) dato da S : X(M ) × X(M ) → X(M ) tale che
S(X, Y ) = [AX, BY ] + [BX, AY ] + AB[X, Y ] + BA[X, Y ]
−A[X, BY ] − A[BX, Y ] − B[X, AY ] − B[AX, Y ].
Il lettore verifichi che S è F(M )-bilineare.
33
11
Superfici orientabili
Una varietà differenziabile M si dice orientabile se esiste un atlante ammissibile A,
tale che date due carte qualsiasi (U, ϕ) e (V, ψ) con coordinate risp. xi e y i , se
U ∩ V 6= ∅ risulta
∂y i
) > 0 su U ∩ V.
det(
∂xj
In tale ipotesi, è possibile orientare coerentemente tutti gli spazi tangenti Tp M in
modo che le basi naturali associate alle carte locali in A siano tutte positive.
Vogliamo caratterizzare questa proprietà per le superfici regolari di R3 .
Si ricordi che, se M ⊂ R3 è una tale superficie, è possibile identificare in modo
canonico lo spazio Tp M con dp i(Tp M ), che è a sua volta pensato come sottospazio
di R3 mediante il parallelismo assoluto. Denoteremo con Tp M ⊥ il complemento
ortogonale di Tp M rispetto al prodotto scalare standard di R3 .
Premettiamo alla discussione che segue il seguente
Proposizione: Sia M ⊂ Rn una sottovarietà regolare. Esiste una corrispondenza biunivoca naturale tra X(M ) e l’insieme delle applicazioni differenziabili
X : M → Rn
tali che per ogni p ∈ M , X(p) ∈ Tp M .
Dimostrazione: Se X ∈ X(M ), allora consideriamo l’applicazione X̄ : M → Rn
data da
X̄ = X(i) = (X(i1 ), . . . , X(in )).
Naturalmente X̄ è differenziabile, e per ogni p ∈ M si ha
X(i)(p) = (dp i1 (Xp ), . . . , dp in (Xp )) = dp i(Xp )
dove nell’ultima uguaglianza si tiene conto dell’identificazione Rn ∼
= Tp Rn .
n
Viceversa, si assuma che Z : M → R sia differenziabile, Z = (Z 1 , . . . , Z n ) e che
Z(p) appartenga a Tp M per ogni p ∈ M . Vogliamo costruire l’unico campo vettoriale
X ∈ X(M ) tale che X̄ = Z. Per l’ipotesi fatta su Z e l’ingettività di dp i, per ogni
p ∈ M esiste un unico Xp ∈ Tp M tale che Z(p) = dp i(Xp ). Resta cosı̀ determinato
un campo vettoriale X = (Xp )p∈M su M . Per verificare che X è differenziabile, si
consideri una carta (U, ϕ) di M che sia un grafico ΓIh con I = (i1 , . . . , ik ). Allora le
restrizioni di xi1 , . . . , xik ad U sono le coordinate locali corrispondenti. Se p ∈ U ,
risulta allora
Xp (xij ◦ i) = dp i(Xp )(xij ) = Z(p)(xij ) = Z ij (p)
34
dove nell’ultimo passaggio si tiene conto della definizione del parallelismo assoluto.
Dunque l’espressione di X nella carta in questione è
X = Z ij
∂
.
∂xij
Ciò prova che X ∈ X(M ). Per costruzione X̄ = Z.
Teorema:
equivalenti:
Sia M ⊂ R3 una superficie regolare. Le seguenti proprietà sono
a) M è orientabile;
b) Esiste un’applicazione differenziabile n : M → S2 tale che per ogni p ∈ M ,
n(p) ∈ Tp M ⊥ ;
c) Esiste un campo tensoriale J ∈ T11 (M ) tale che Jp2 = −Id per ogni p ∈ M e
Jp : Tp M → Tp M è un’isometria per la prima forma fondamentale gp .
d) Esiste una 2-forma differenziale Ω ∈ Λ2 (M ) mai nulla su M .
Dimostrazione: a) ⇒ b) Consideriamo un atlante orientato A. Se (U, ϕ) è una
carta di A, con coordinate u, v, possiamo definire l’applicazione n0ϕ : U → R3 tale
che
∂i
∂i
(p) ×
(p).
n0ϕ (p) =
∂u
∂v
Abbiamo n(p) 6= 0 per ogni p ∈ M in quanto i : M → R3 è un’immersione, il
∂i
∂
∂i
che garantisce la lineare indipendenza dei vettori ∂u
(p) = dp i( ∂u
(p)) e ∂v
(p). Per le
proprietà del prodotto vettoriale, certamente n0ϕ (p) è ortogonale a Tp M . Tenendo
conto dell’espressione esplicita del prodotto vettoriale, è facile verificare che n0ϕ è
∂i
∂i
differenziabile, essendo tali le funzioni ∂u
e ∂v
. Se (V, ψ) è un’altra carta di A, con
0
0 0
0
coordinate u , v , il legame tra nϕ e nψ è dato da
n0ψ = det(A)n0ϕ
dove
∂u
∂v 0
∂v
∂v 0
∂u
A=
su U ∩ V
∂u0
∂v
∂u0
.
Poichè A è orientato, det(A)(p) > 0 per ogni p ∈ U ∩ V . Segue che, posto per ogni
carta
1
nϕ =
n0
||n0ϕ || ϕ
risulta che
nϕ = nψ
su U ∩ V
35
e quindi esiste un’unica funzione differenziabile n : M → R3 la cui restrizione al
dominio di una carta di A concide con la corrispodente nϕ . Essendo a valori nella
sfera S2 , n determina un’applicazione n : M → S2 differenziabile (S2 è una superficie
regolare) avente le proprietà richieste.
b) ⇒ c) Sia n : M → S2 come in b). Se X ∈ X(M ), pensato come un’applicazione
X : M → R3 in conformità con la Proposizione precedente, allora definiamo un
campo vettoriale J(X) su M nel modo seguente
J(X)(p) = n(p) × X(p).
Poichè n e X sono differenziabili, anche J(X) : M → R3 è evidentemente differenziabile. Inoltre J(X)(p) appartiene a Tp M essendo ortgonale a n(p). Dunque
J(X) ∈ X(M ) e resta cosı̀ definita un’applicazione J : X(M ) → X(M ) che è manifestamente F(M )-lineare, ovvero J ∈ T11 (M ). Il fatto che Jp : Tp M → Tp M è
un’isometria segue dall’identità di Lagrange per il prodotto vettoriale: infatti, usando lo stesso simbolo per un vettore Z ∈ Tp M e la sua immagine dp i(Z), risulta
per ogni X, Y ∈ Tp M :
gp (Jp X, Jp Y ) =< Jp X, Jp Y >=< n(p) × X, n(p) × Y >=
< n(p), n(p) > < n(p), Y >
det
=< X, Y >= gp (X, Y ).
< n(p), X >
< X, Y >
Si osservi poi che, se X ∈ Tp M , X 6= 0 allora {X, Jp (X)} è una base ortogonale di
Tp M rispetto al prodotto scalare gp . D’altra parte Jp2 X = n(p) × Jp (X), essendo
ortogonale sia ad n(p) che a Jp (X), è un multiplo di X e poichè Jp è un’isometria,
Jp2 (X) = ±X. Poichè inoltre sia {n, X, Jp (X)} che {n, Jp (X), Jp2 X} sono basi positive di R3 , segue subito che Jp2 (X) = −X.
c) ⇒ d) Dato J, definiamo Ω : X(M ) × X(M ) → F(M ) come segue
Ω(X, Y ) := g(X, JY ).
Si verfica subito che Ω è bilineare su F(M ), ovvero che Ω ∈ T02 (M ). Il fatto che
g(X, Y ) = g(JX, JY ),
garantito dall’ipotesi su J, implica facilmente che Ω è un campo antisimmetrico. Si
osservi infine che, se p ∈ M , e 0 6= X ∈ Tp M , allora
Ωp (X, JX) = −gp (X, X) = − < X, X >< 0
per cui Ωp 6= 0.
36
d) ⇒ a). Fissata una Ω ∈ T02 (M ) mai nulla, cominciamo con l’osservare che
esiste un atlante ammissibile A tale che per ogni carta (U, ϕ) di A con coordinate
u, v, allora
Ω|U = f du ∧ dv con f > 0.
Consideriamo infatti un atlante qualsiasi, le cui carte abbiano domini connessi. Se
(U, ϕ) è in A, allora Ω|U = f du ∧ dv e, per l’ipotesi su Ω, risulta f (q) 6= 0 per ogni
q ∈ U . Pertanto deve risultare f > 0 oppure f < 0 identicamente su U . A questo
punto, se f < 0, sostituiamo ad (U, ϕ) la carta (U, ϕ0 ) dove ϕ0 = Ḡ ◦ ϕ essendo
G : R2 → R2 il diffeomorfismo definito da G(x, y) = (x, −y) e Ḡ la ridotta della
restrizione di G all’aperto ϕ(U ). Allora in questa nuova carta abbiamo
Ω|U = −f du0 ∧ dv 0 .
In questo modo si costruisce un atlante A con la proprietà enunciata. Ora, se M
non fosse orientabile, dovrebbero esistere due carte (U, ϕ) e (V, ψ) in A con
det(
∂y i
)(q) < 0
∂xj
per un certo punto q ∈ U ∩ V . Ciò è in contrasto con la costruzione fatta di A, in
quanto su U ∩ V si ha
dy 1 ∧ dy 2 = det(
∂y i
)dx1 ∧ dx2
∂xj
e d’altra parte
Ω |U ∩V = f dx1 ∧ dx2 = gdy 1 ∧ dy 2 = g det(
∂y i
)dx1 ∧ dx2
∂xj
con f, g > 0
i
∂y
per cui f = g det( ∂x
) e si ottiene una contraddizione valutando questa uguaglianza
j
nel punto q.
Un’applicazione n : M → S2 verificanete la condizione di b) si chiama mappa
di Gauss. Si noti che ogni superficie orientabile connessa ammette esattamente
due mappe di Gauss, n1 , n2 tali che n2 = −n1 .
Non tutte le superfici sono orientabili, però lo sono localmente: ogni aperto
coordinato, con coordinate u, v, ammette la 2-forma mai nulla du ∧ dv.
12
La seconda forma fondamentale di una superficie
Sia M ⊂ R3 una superficie regolare orientabile, con mappa di Gauss n : M → S3 .
Denoteremo con lo stesso simbolo la corrispondente applicazione n : M → R3 , con
componenti ni , i = 1, 2, 3.
37
Definiamo un campo tensoriale A di tipo (1, 1) su M nel modo seguente: dato il
campo X ∈ X(M ), si consideri la funzione X(n) : M → R3 ,
X(n) = (X(n1 ), X(n2 ), X(n3 )).
Tale funzione è un campo vettoriale su M : infatti, poichè
< n, n >= 1
segue
X
X( (ni )2 ) = 0
d’altra parte
X
X((ni )2 ) = 2
X
X(ni ) ni
per cui < X(n), n >= 0 su M . Questo significa che X(n)(p) appartiene a Tp M
per ogni p ∈ M . Poichè X(n) è differenziabile, essa corrisponde ad un elemento di
X(M ).
Possiamo quindi definire un’applicazione
A : X(M ) → X(M )
tale che
A(X) = −X(n).
È immediato verificare che A è F(M )–lineare per cui A ∈ T11 (M ).
La presenza del segno - nella definizione di A è conveniente ai fini della determinazione delle componenti di A in una carta locale.
Il campo tensoriale A prende il nome di campo tensoriale di Weingarten
relativo all’applicazione di Gauss n.
Esempio: Per la sfera S 2 ⊂ R3 si può scegliere n = i e quindi A = −Id in
quanto sappiamo che ogni campo X è identificato con la funzione X(i).
Esempio: Consideriamo il cilindro C : x2 + y 2 = 1. Il lettore verifichi che
un’applicazione di Gauss è
n(x, y, z) = (x, y, 0)
per ogni p = (x, y, z) ∈ C.
Si noti che per ogni p ∈ M , il vettore e3 appartiene a Tp M . Risulta
Ap (e3 ) = 0,
Ap (X) = X
se X ∈ Tp M è un vettore ortogonale ad e3 .
38
Infatti, sia v ∈ Tp M , v = (ξ1 , ξ2 , ξ3 ). Sia γ : (−, ) → C una curva differenziabile
tale che γ(0) = p e γ̇(0) = e3 . Denotiamo con a, b, c : (−, ) → R le componenti di
γ pensata come curva in R3 . Allora risulta:
Ap (v) = −v(n) = −
d
(n(γ(t))t=0 = −(ȧ(0), ḃ(0), 0) = −(ξ1 , ξ2 , 0).
dt
Teorema: Per ogni p ∈ M l’endomorfismo Ap : Tp M → Tp M è simmetrico
rispetto al prodotto scalare gpM , dove g M è la prima forma fondamentale di M .
Dimostrazione. Sia (U, ϕ) una carta locale in p con coordinate u1 , u2 . Poichè
{ ∂u∂ 1 (p), ∂u∂ 2 (p)} è una base di Tp M , è sufficiente provare che
gpM (Ap
∂
∂
∂
∂
(p), j (p)) = gpM (Ap j (p), i (p)).
i
∂u
∂u
∂u
∂u
Tenendo conto della definizione della prima forma fondamentale e del fatto che
∂n
3
Ap ∂u∂ i (p) ∈ Tp M corrisponde al vettore − ∂u
i (p) ∈ R , la precedente uguaglianza si
può riscrivere:
∂i
∂n
∂i
∂n
(p), j (p) >=<
(p), (p) > .
<
i
j
∂u
∂u
∂u
∂u
Per provarla, è sufficiente osservare che su U :
< n,
∂i
>= 0
∂ui
da cui derivando rispetto ad uj :
∂n ∂i
∂2i
<
,
>= − < n, j i > .
∂uj ∂ui
∂u ∂u
Analogamente si ottiene:
<
Poichè
∂2i
∂ui ∂uj
=
∂2i
,
∂uj ∂ui
∂2i
∂n ∂i
,
>=
−
<
n,
>.
∂ui ∂uj
∂ui ∂uj
(9)
segue l’asserto.
Definizione:
Si chiama seconda forma fondamentale di una superficie
regolare, relativa ad una mappa da Gauss n : M → S2 , il campo tensoriale di tipo
(0, 2) definito dall’applicazione F(M )-bilineare h : X(M ) × X(M ) → F(M ) tale che
h(X, Y ) = g M (AX, Y ).
È immediata conseguenza del teorema precedente che h è simmetrico, ovvero hp
è un tensore simmetrico per ogni p ∈ M .
39
Teorema: a) Le componenti della seconda forma fondamentale h in una carta
(U, ϕ) con coordinate u1 , u2 , sono date da
hij =< n,
∂2i
>.
∂ui ∂uj
b) La matrice di Ap : Tp M → Tp M nella base naturale associata alla carta è
G−1
p Bp
dove Gp (risp. Bp ) è la matrice di gpM (risp. di hp ) nella stessa base.
Dimostrazione. La a) è conseguenza delle formule (9). Quanto a b), si tratta di
una proprietà generale:
Proposizione: Siano (V, <, >) uno spazio Euclideo ed A : V → V un operatore
simmetrico. Considerata la forma bilineare simmetrica
h(u, v) =< Au, v >
sussiste la seguente relazione
GE = B
dove G è la matrice del prodotto scalare in una fissata base B, E è la matrice di A,
e B è la matric e di h nella stessa base.
Dimostrazione: Infatti, notiamo che se Bo è una base ortonormale, allora denotando con un apice le matrici corrispondenti a <, >, A e h rispetto a Bo , abbiamo
G0 = In , B 0 = E 0 .
Ora, esiste una matrice M ∈ GL(n, R) tale che
G = t M In M, B = t M B 0 M, E = M −1 E 0 M.
Da queste relazioni segue subito che GE = B.
Definizione: Sia M una superficie orientata dalla mappa di Gauss n : M → S2 .
Si chiamano curvature principali di M in p gli autovalori k1 , k2 ∈ R dell’operatore
di Weingarten Ap . Si chiama curvatura di Gauss di M in p il prodotto K(p) =
k1 · k2 = det(Ap ).
La funzione curvatura di Gauss K : M → R è differenziabile, in quanto A è
differenziabile. Per la b) del Teorema precedente, in una carta locale (U, ϕ) K è
data da
det(Bp )
K(p) =
det(Gp )
40
ovvero
2
K|U
i
det(< n, ∂u∂i ∂u
j >)
=
.
∂i
∂i
det(< ∂ui , ∂uj >)
(10)
É importante osservare che K non dipende dalla particolare mappa di Gauss.
Pertanto tale funzione è ben definita anche per una superficie non orientabile: se
p ∈ M , si scelga una mappa di Gauss n : U → S2 definita su un intorno aperto
U di p. Allora K(p) = det(Ap ) non dipende dalla scelta di n e di U .Infatti, se
n0 : U 0 → S2 , è un’altra mappa di Gauss, allora su un intorno aperto connesso
V ⊂ U ∩ U 0 di p è n = ±n0 e quindi Ap = ±A0p . Pertanto det(Ap ) = det(A0p ). Resta
cosı̀ definita un’unica applicazione K : M → R la cui restrizione ad ogni carta (U, ϕ)
è la curvatura di U . Naturalmente K è differenziabile perchè lo è localmente.
Il calcolo esplicito di K può farsi mediante la (10). Disponendo di una parametrizzazione, si può utilizzare il risultato seguente:
Teorema: Sia f : A → R3 una parametrizzazione regolare di una superficie
M ⊂ R3 . Allora denotata con K̄ la funzione composta
f
K
A→M →R
si ha:
2
K̄ =
f
det(< n̄, ∂u∂i ∂u
j >)
det(<
∂f
, ∂f
∂ui ∂uj
>)
(11)
dove n̄ : A → R3 è definita da
n̄ =
∂f
∂u1
∂f
|| ∂u
1
×
×
∂f
∂u2
.
∂f
||
∂u2
La dimostrazione consiste nell’applicare la (10) per le carte di un atlante A di
M dedotto dalla parametrizzazione. Omettiamo i dettagli.
Esempio: Nel caso del toro M ⊂ R3 ottenuto per rotazione della circonferenza
Γ : (x − 2)2 + y 2 = 1 intorno all’asse y, utilizzando la parametrizzazione
f (ψ, θ) = ((2 + cos θ) cos ψ, sin θ, (2 + cos θ) sin ψ)
si ottiene
cos θ
.
2 + cos(θ)
Questo mostra che il segno della curvatura sul toro presenta tutte le possibilità.
Inoltre K è costante lungo ciascun parallelo Cp con p ∈ Γ ed è completamente
determinata dalla posizione di p sul cerchio generatore. Vi sono esattamente due
paralleli su cui K = 0 e sono quelli passanti per i punti (2, 1, 0) e (2, −1, 0).
K(ψ, θ) =
41
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