Quando ero giovane cantavo come un merlo

Istituto MEME
associato a
Université Européenne
Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles
Quando ero giovane cantavo come un merlo
Esperienza di musicoterapia con persone anziane
Scuola di Specializzazione: Musicoterapia
Relatore: Elena Gallazzi
Corelatore: Dott.ssa Roberta Frison
Contesto di Project Work: Centro diurno anziani
Tesista specializzando: Marco Catelli
Anno di corso: Secondo
Modena, 13-05-2007
Anno accademico 2006-2007
ISTITUTO MEME S.R.L. MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONET A.I.S.B.L. BRUXELLES
MARCO CATELLI – SST IN MUSICOTERAPIA – SECONDO ANNO –A.A. 2006/07
INDICE
Premessa
p. 3
PARTE PRIMA
1. L’anzianità
p. 6
1.1 La demenza
p. 8
1.2 Descrizione di un centro diurno
p. 9
1.3 Il Centro diurno “Cittadella”
p. 11
2. Il progetto
p. 12
2.1 La formazione dei gruppi
p. 12
2.2 Il setting
p. 14
2.3 L’intervento
p. 14
2.4 Il ruolo del coterapista
p. 15
2.5 L’osservazione
p. 17
3. Svolgimento dell’attività
p. 20
3.1 L’accoglienza
p. 20
3.2 La scelta delle canzoni
p. 21
3.3 La dinamica della seduta
p. 23
4. Dalla canzone alla parola: il percorso per arrivare
alla verbalizzazione
p. 25
4.1 La lettura-cantata
p. 25
4.2 La lettura verbale
p. 26
4.3 Strumenti
p. 26
4.4 Il ritmo involontario
p. 27
4.5 Un esempio pratico
p. 27
5. Risultati
p. 30
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PARTE SECONDA
6. Quattro grandi temi
p. 33
6.1 Il lavoro
p. 33
6.2 La mamma
p. 34
6.3 L’amore
p. 34
6.4 La guerra
p. 35
7. Il diario dei ricordi
p. 37
Conclusioni: animazione musicale o musicoterapia?
p. 52
Conclusioni personali
p. 54
Bibliografia
p. 55
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PREMESSA
In questi ultimi due anni ho avuto la possibilità e la fortuna di fare alcune
esperienze di musicoterapia in campo riabilitativo e preventivo, con sedute
individuali e di gruppo rivolte a varie fasce d’età, dai bambini di 18 mesi a quelli
dai 6 ai 10 anni, dagli adolescenti fino ad arrivare agli anziani.
In tutte queste fasce d’età e con tutte queste persone, ho riscontrato un
elemento predominante, sul quale mi vorrei soffermare: il carattere. Il carattere
delle persone assume un valore importante, nel rapporto con il terapista e in tutte
le relazioni che si vanno ad instaurare, un fattore da tenere in considerazione che
risalta e va al di là di ogni difficoltà, problematica e patologia.
Come in tutte la discipline artistiche, il carattere influenza la creatività e la
creatività rispecchia il carattere, e anche in questo intervento la musicalità è
andata di pari passo con il carattere delle persone: il carattere viene “smussato” da
una forza superiore, la musica, capace di calmare animi più accesi e di attivare
persone più introverse e tranquille, di tirare fuori tutta l’espressività degli anziani,
persone che molto hanno da esprimere e molti racconti da narrare, ritrovando una
spontaneità che si può solo vedere in bambini di tenera età.
Il presente lavoro nasce come resoconto dell’intervento svolto presso il Centro
diurno “Cittadella” di Parma, delle modalità usate, dei canali adoperati per mettere
le persone in contatto, per farle arrivare a relazionarsi, cantando, parlando,
conoscendosi; e come racconto, anche, di quanto gli anziani stessi presenti nel
Centro hanno fatto durante questo anno, delle storie di vita che ci hanno donato e
del grande rispetto per la nostra attività che ci hanno regalato.
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La musica ha un potere unico, come l’acqua
arriva dove altre fonti non riescono, e goccia
dopo goccia abbatte tutte le barriere...
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PARTE PRIMA
5
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1. L’ANZIANITÀ
L’anziano è ancora una
persona attiva, capace di
provare piacere e di risvegliare
il proprio interesse verso
l’esterno e verso gli altri.1
Quando si pensa a che cos’è l’anzianità o come si presenta un anziano
facciamo riferimento alla nostra conoscenza, a quello che vediamo e abbiamo
imparato, a tutto ciò che ha costituito le nostre idee di com’è un anziano. La vera
risposta è che sono anzitutto delle persone. Non solo anziani ma persone, essere
viventi con indubbiamente un’età avanzata.
Molto spesso l’anziano deve confrontarsi con una serie di stereotipi negativi e
pregiudizi sociali collegati alla vecchiaia, che incidono sul concetto di sé e sulla
propria autostima. Tali stereotipi influiscono infatti sulle possibilità dell’anziano
di ricercare una nuova identità: se le persone che gli sono intorno gli rimandano
un’immagine di “malato”, “incapace”, “brutto”, egli tenderà ad adeguarsi ad essa.
Inoltre, «Descrivere le caratteristiche dell’età anziana significa confrontarsi con
stereotipi e con una varietà di modi di essere e di agire degli anziani».2
L’invecchiamento e il decadimento psico-fisico di una persona non sono
strettamente collegati con l’avanzare dell’età, tutti noi conosciamo persone
novantenni con una impressionante vitalità e lucidità mentale, e persone
sessantenni che a volte lo sono meno, e che hanno gravi problemi fisici e psichici.
L’invecchiamento porta nelle persone vari disturbi fisici a livello
cardiovascolare, respiratorio e del sistema muscolo scheletrico, eventuali perdite
graduali di tutti gli apparati sensoriali, in particolare l’udito e la vista: soprattutto
1
FRANCESCO DELICATI, Il canto fa venire fuori il paese più in fretta, Assisi, Pro Civitate
Christiana, 1997, p. 14.
2
ANNA CONDOLF, MARIA BERNARDI, Psicologia per il tecnico dei servizi sociali, Roma, Clitt,
1998, p. 315.
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le alterazioni a carico di queste ultime possono porre l’anziano di fronte a
difficoltà di relazione.
Altri disturbi, non meno dannosi dal punto di vista relazionale e ben più gravi
sotto il profilo clinico sono i danni al sistema nervoso che controlla la funzionalità
del corpo intero, e di conseguenza tutti i cambiamenti cognitivi, l’attenzione, la
percezione, il pensiero e soprattutto la memoria: «Il sistema nervoso è il sistema
di controllo dell’intero corpo e le sue alterazioni non solo si manifestano sulla
motricità, sull’efficienza corporea, ma soprattutto hanno dei risvolti importanti sul
piano del comportamento, della capacità di elaborazione del pensiero».3
Le persone con il progredire dell’età perdono progressivamente la capacità
dell’uso delle facoltà sensoriali, e ciò comporta difficoltà di attenzione nello
svolgere e affrontare compiti sia manuali che intellettivi, e difficoltà nel recepire
tutti gli stimoli provenienti dall’esterno.
La modificazione più tangibile si riscontra nella capacità dell’uso della
memoria: la persona anziana trova più difficoltà nel ricordare tutti i vari episodi ed
in particolare avvenimenti recenti, anche i più banali come ricordare il posto dove
hanno messo gli occhiali o cosa hanno mangiato il giorno precedente. Invece
ricordano con più lucidità avvenimenti accaduti diversi anni prima, vicende che
riguardano la loro infanzia o gioventù, anche perché generalmente sono ricordi
legati a persone care o a episodi significativi, dove la componente emotiva
favorisce il ricordo. Si ha quindi «una maggior difficoltà nel consolidamento e
quindi recupero di informazioni recenti, mentre le informazioni che riguardano il
passato vengono facilmente riportate alla mente».4
3
4
Ivi, p. 323.
Ivi, p. 326.
7
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1.1 La demenza
La malattia che ruba la mente
al paziente e spezza il cuore ai
familiari
J. Stone5
Come abbiamo visto, questi decadimenti interessano tutte le persone senza
particolari patologie, è il solo progredire dell’età la causa di questi deficit psicofisici. Quando sopraggiunge una patologia come la demenza gli effetti sono
ancora più gravi e maggiormente tangibili: «Il dato più caratteristico della
demenza è la perdita delle facoltà intellettive per cui si assiste ad un progressivo
deterioramento delle funzioni mentali, della personalità, per questo la demenza è
catalogata anche tra i disturbi psichici».6
Le persone colpite da questa sindrome si trovano in uno stato confusionale a
causa del quale non riescono a distinguere la realtà dalla loro immaginazione da
quella “realtà” che la patologia fa credere di stare vivendo. I danni alla memoria
influiscono notevolmente sulla loro condizione.
Il ricordare brevi episodi di vita quotidiana sarebbe un aiuto per gli anziani,
darebbe loro dei punti fissi da dove poter trovare un appoggio e servirebbe per
fornir loro un ancoraggio alla realtà.
Le demenze possono colpire tutti, anche persone che prima non avevano dato
alcun segnale di sofferenza a livello psichico. I primi segnali provengono proprio
dalla memoria, quando una persona non riesce più a far un uso della memoria a
breve termine, convogliando tutte le informazioni nella memoria a lungo termine
trovandosi in un non riconoscimento del momento, del qui e ora, e trovando anche
difficoltà nell’orientamento spazio temporale: «Le demenze insorgono in età
adulta o senile, in soggetti che precedentemente non manifestavano disturbi
cognitivi o comportamentali [...] hanno come dato comune un danno organico
cerebrale che determina deficit cognitivi, disturbi della personalità, difficoltà a
gestire la vita quotidiana».7
5
Citato ivi, p. 345.
Ivi, p. 343.
7
Ivi, p. 342.
6
8
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Il progredire della malattia determina dimenticanza di nomi comuni, il non
riconoscimento di persone non legate affettivamente, confusione mentale,
depressioni, isolamento e conseguente solitudine, continue narrazioni di episodi
non inerenti al momento, cambiamenti di umore.
L’anziano tende a chiudersi in se stesso, a nutrire poco interesse per ciò che lo
circonda, cresce a volte in lui una sensazione di vuoto, la sensazione di sentirsi di
nessuna utilità. Inoltre, «Spesso l’anziano ha più attenzione per le parti del corpo
malate, che per quelle sane e usa la malattia come elemento attorno al quale far
ruotare le relazioni e le attività quotidiane».8
1.2 Descrizione di un centro diurno
Le strutture che si occupano di assistenza nell’ambito sociale hanno diverse
competenze che le caratterizzano e le differenziano, e queste qualità fanno in
modo che ognuna riesca ad offrire un servizio specifico, competente, idoneo e
adatto per le persone bisognose e per ogni tipo di deficit o patologia.
Esistono varie strutture, tra le quali troviamo:
– case di riposo, le più tradizionali dove si accolgono persone non totalmente
autosufficienti;
– residenze protette, destinate a persone con una situazione di accentuata non
autosufficienza e con gravi deficit soprattutto di tipo psichico;
– R.S.A. (residenze sanitarie assistenziali), dove i soggetti non autosufficienti
ospitati richiedono interventi terapeutici e riabilitativi di tipo sanitario, non
erogabili a domicilio e non propri dell’ospedale;
– case albergo, dove si accoglie un’utenza anziana autosufficiente o con
deboli limitazioni;
– appartamenti protetti, un’alternativa alla casa albergo ma con le stesse
caratteristiche, dove le persone si organizzano la loro vita autonomamente.
8
Ivi, p. 341.
9
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Esistono poi altre forme di assistenza per anziani, come:
– day hospital geriatrico, che prevede che le persone vengano ricoverate per
un breve periodo di tempo (alcuni giorni) in strutture adatte alla cura e
assistenza degli anziani;
– assistenza domiciliare, gestita prevalentemente dai comuni, dove si
fornisce assistenza pur mantenendo il domicilio delle persone;
– assistenza domiciliare integrata, che prevede che oltre ai bisogni
assistenziali vengano erogate cure sanitarie per le diverse patologie;
– ospedalizzazione a domicilio, indicata per i casi più gravi, prevalentemente
malati terminali che hanno bisogno di cura ma per i quali non si ritiene più
necessario il ricovero ospedaliero.
Un fattore che accomuna tutte queste forme di assistenza, oltre che alla cura
dell’anziano, è che intervengo là dove le famiglie non riescono più, per svariati
motivi, a farsi carico della persona, dove non è più possibile far conto
sull’assistenza familiare; inoltre questi centri sono di grande aiuto a quelle
famiglie dove è presente una persona anziana che richiede assistenza specifica e
competente.
Nel nostro caso, l’intervento di musicoterapia si è svolto in un centro diurno
per anziani. Si tratta di una struttura che eroga un servizio di assistenza e di
sostegno all’anziano rivolto ad un’utenza sufficientemente autonoma o con
limitate compromissioni. Vi possono affluire anche anziani non completamente
autosufficienti che vivono in famiglia e utilizzano il centro diurno come servizio
di assistenza alternativo al ricovero.9
Inoltre il centro diurno si presenta non solo come luogo di assistenza e cura, ma
anche come luogo di incontro, aggregazione sociale, svago, intrattenimento.
9
Cfr. ivi, p. 372.
10
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1.3 Il Centro diurno “Cittadella”
Il Centro diurno “Cittadella”, gestito dalla società cooperativa “Dolce”, sorge
all’interno di una struttura comunale di recente costruzione, prendendo il nome
dall’omonimo quartiere della città di Parma dove è ubicato.
Il buon funzionamento organizzativo occupa sicuramente un posto di rilievo,
anche se il primo obiettivo resta il benessere delle persone, cui è riservata
un’accoglienza gentile sia da parte dei dirigenti sia dalle operatrici, le quali
riescono a essere premurose mantenendo allo stesso tempo un discreto rigore in
modo da riuscire ad ascoltare e ad essere ascoltate, e da istaurare un rapporto
cordiale, rispettoso e di fiducia con gli anziani.
La politica del centro diurno è quella di essere molto attento alle varie esigenze
degli ospiti: infatti, ad attività specificatamente terapeutiche come musicoterapia e
psicomotricità sono abbinati intrattenimenti ricreativi musicali e teatrali, oppure
semplicemente momenti di relax grazie alla parrucchiera che sistema le varie
acconciature delle persone – la vanità è una cosa che non passa nel tempo.
11
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2. IL PROGETTO
2.1 La formazione dei gruppi
Gli ospiti del centro diurno generalmente passano la maggior parte del tempo
in un salone comune dove parlano poco, borbottano tanto, magari si lamentano
della loro situazione e a volte discutono per piccoli screzi. Anche questo fattore ha
influito sulla scelta da parte del centro diurno Cittadella di richiedere alla
musicoterapista Elena Gallazzi di stilare un progetto di musicoterapia finalizzato
allo sviluppo della socializzazione, della relazione, e all’ottenimento di una
maggior verbalizzazione degli ospiti fra loro e nei confronti del personale del
centro stesso.
Indubbiamente il canale scelto per questi obiettivi interattivi è sicuramente il
più indicato, poiché le proprietà comunicative sono una grande caratteristica
appartenente alla musica: per usare le parole di Luciano, un ospite del centro, “la
musica è un miracolo divino”.
Il progetto di musicoterapia è stato programmato in un arco biennale,
prevedendo una seduta di un’ora per ciascun gruppo con cadenza settimanale. Il
giorno concordato era il lunedì, dalle ore 14.00 alle 16.00.
Per la formazione dei due gruppi, ognuno dei quali composto da circa dieci
persone, sono state effettuate delle scelte basate su vari criteri e su semplici
caratteristiche:
– sono state valutate le condizioni di salute delle persone, e le loro diverse
patologie;
– sono state messe insieme persone che hanno legato maggiormente rispetto
ad altre;
– in ogni gruppo sono state previste presenze sia maschili che femminili;
– si è cercato di assecondare la esigenze e le abitudini fisiologiche delle
persone (ad esempio, chi preferisce dormire dopo pranzo partecipava al
secondo gruppo, e viceversa);
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– è stato considerato il carattere delle singole persone, e si è cercato di
formare due gruppi nel modo più eterogeneo possibile, mettendo persone
più esuberanti insieme con persone con carattere più riservato, in modo da
stimolare alcune e placarne altre.
Un altro elemento che ha portato alcuni cambiamenti all’interno dei gruppi è
stata la scelta da parte del musicoterapista, condivisa come tutte le scelte con il
coterapista, di spostare dopo un’attenta valutazione e sempre nel limite delle
possibilità alcune persone in base al loro carattere, in modo che potessero
beneficiare altre persone e che potessero trarne anche loro beneficio.
Durante questo periodo di tempo si è anche cercato di formare due gruppi con
caratteristiche e gusti musicali simili. Abbiamo infatti potuto notare le varie
differenze di avvicinamento alla musica da parte delle persone: alcune persone
sono più propense a un tipo di musica popolare, come i ballabili delle nostre terre
o canzoni da intrattenimento, altre invece prediligono la musica più romantica, la
musica classica, le romanze d’amore, tutta quella parte di musica che tocca più in
profondità l’anima.
Per controllare e assistere meglio gli anziani ad ogni seduta partecipava, a
turno, un’operatrice, una ulteriore sicurezza da parte del musicoterapista. A volte
tuttavia la presenza era causa di disturbo in quanto, anche se segnalato e spiegato,
le operatrici non hanno compreso fino in fondo lo scopo del lavoro che si
proponeva, e soprattutto non hanno utilizzato certi canali di comunicazione che
solo chi ha ricevuto una formazione in tal senso conosce e utilizza. Per le
operatrici le sedute sono spesso un momento ricreativo che come obiettivo ha
soltanto il cantare, e conseguentemente spingono e forzano le persone a cantare
dicendo loro frasi del tipo “canta più forte che non si sente”, oppure a suonare gli
strumenti con più vigore, causando disagio per le persone, togliendo spontaneità,
naturalezza e motivazioni. Il compito del musicoterapista e del coterapista, in
questo caso, era quello di arginare questi episodi, cercando di portare l’attenzione
delle operatrici ad una modalità di relazione per noi più consona, illustrandola con
il nostro esempio.
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2.2 Il setting
Le sedute di musicoterapia si sono svolte nella piccola palestra del centro
diurno, una parte della quale impegnata con attrezzi che servono per la
riabilitazione. Si tratta di un luogo dove le persone vanno solo per seguire le
sedute di musicoterapia e quelle di psicomotricità.
Le persone seguivano e partecipavano all’incontro stando sedute, con le sedie
disposte a semicerchio in modo che tutti riuscissero facilmente a vedersi e a
vedere il musicoterapista. Il coterapista occupava una delle sedie del semicerchio,
ponendosi dunque parte integrante del gruppo.
Il cerchio era chiuso da un tavolo in legno, sul quale era appoggiata una tastiera
con a fianco uno stereo e davanti una panca, anch’essa in legno, su cui erano
disposti tutti i vari strumenti a percussione, sistemati in modo da essere visibili a
tutti.
2.3 L’intervento
Il progetto di musicoterapia richiestoci aveva, come abbiamo visto, alcuni
obiettivi
specifici:
relazione,
socializzazione,
interazione
delle
persone.
L’intervento di conseguenza è andato a cogliere quegli elementi in grado di
attivare nelle persone una serie di meccanismi che potessero portare a tirare fuori
tutta la loro espressività, sia come persone singole che come gruppo, dando vita a
un’espressività collettiva capace di far aumentare il grado di relazione tra le
persone, di stabilire e di rinnovare i legami tra le persone.
Si è trattato dunque di «Un intervento di carattere riabilitativo nel quale i canti
(in quanto forma di comunicazione non-verbale) sono stati utilizzati con lo scopo
di aiutare gli anziani a superare la depressione, a recuperare un ruolo attivo e
propositivo nella loro vita quotidiana, a ritrovare piacere e interesse per la vita, a
ricostruire e valorizzare dentro il gruppo il senso della propria identità
personale».10 L’obiettivo era quello di attivare le persone sotto un punto di vista
cognitivo, di impegnarne l’attenzione nell’eseguire le canzoni (nel cantare tutti
10
FRANCESCO DELICATI, Il canto fa venire fuori il paese più in fretta, cit., pp. 8-9.
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insieme, prima le donne e poi gli uomini), di risvegliare l’udito attraverso i suoni
della propria voce e delle altre persone, di rinnovare la verbalizzazione attraverso
un canto che aiutasse la parola facendole ritrovare tutti suoi benefici, di stimolare
il corpo suonando gli strumenti, battendo le mani, giocando a improvvisare ritmi
con gambe e piedi, di tentare di ricostruire agli anziani una propria identità
sonora-musicale, in modo che la musica fosse motivo e spunto di narrazione,
valorizzasse i racconti e custodisse il loro grande patrimonio personale, nonché di
dar vita a un’attività diversa di ricreazione, riscoprendo il piacere di quella musica
che ha accompagnato tutta la loro vita.
La musica è stata dunque utilizzata come rilassamento per il proprio corpo,
come aiuto alla memoria, facendo rivivere momenti piacevoli e non del passato
alternati a momenti di contatto con la realtà: occorreva infatti mantenere
l’attenzione sempre sul momento dell’incontro, riconducendo le persone al
presente quando la malattia li portava a divagare, dando loro un appuntamento
fisso settimanale in grado di scandire le loro giornate e di favorire un ricordo a
breve termine, ripercorrendo sempre il percorso svolto nella seduta della settimana
precedente.
La musica è divenuta così una «chiave per accedere al passato»,11 il quale,
attraverso la «funzione di simbolo» della melodia, «si ripresenta sotto forma di
immagine».12
2.4 Il ruolo del coterapista
Il ruolo da me sostenuto è stato quello di coterapista, un aiuto e sostegno al
musicoterapista, un osservatore partecipante che potesse cogliere tutti i movimenti
delle persone, gli episodi e le piccole sfumature che accadevano durante la seduta.
Il coterapista, stando seduto in una sedia che forma il semicerchio, fa diventare
la sua presenza una parte integrante del gruppo, un rafforzo sonoro, in quanto
voce aggiunta e anche come elemento ritmico in grado di carpire, imitare,
assecondare, suggerire, guidare le iniziative volontarie e soprattutto quelle
involontarie delle persone.
11
12
Ivi, p. 34.
Ivi, p. 35.
15
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Infatti a volte capita che le persone, tenendo in mano uno strumento, inizino
involontariamente a suonare creando piccoli frammenti ritmici, e che
immediatamente parta una risposta che va a creare un dialogo ritmico che riesce in
certi casi a coinvolgere l’intero gruppo. Questa risposta all’inizio è solo
strumentale e utilizza gli strumenti a percussione, poi diventa più consistente
aggiungendo il sostegno armonico della tastiera, creando una improvvisazione
musicale.
Essere semplicemente vicini è importante per le persone anziane, far sentire
che si sta cantando, facendolo capire non solo attraverso i suoni e le vibrazioni
prodotte dalla voce ma anche attraverso una comunicazione analogica quale lo
sguardo, la mimica facciale e specialmente con i movimenti della bocca,
scandendo e declamando le parole del testo in modo che riescano a capire che si
sta cantando e quindi a imitare partecipando all’attività.
Il contatto è importante per l’anziano, sia quello fisico, inteso come contatto di
mani, sia quello visivo, il quale unisce le persone rendendole più vicine. Lo
sguardo fa capire alle persone che si sta condividendo un momento particolare
insieme, un momento musicale, proprio come facevano loro quando, dopo aver
lavorato faticosamente tutto il giorno nei campi, si ritrovavano condividendo un
attimo di relax fatto di musica, sguardi, complicità.
Giuseppe: “Finito l’orario di lavoro nei campi, ci si trovava nell’aia della corte
o del podere per fare una cantatina seduti sulle sedie o sopra a delle cassette”.
Questi “piccoli” gesti sono di sostegno alle persone, riuscendo a coinvolgerle
maggiormente.
Il ruolo del coterapista prevedeva anche il compito di placare alcuni animi più
accesi, di fermare vari discorsi che andavano troppo al di fuori del contesto o della
situazione che si era creata, e di cercare di convincere a trattenersi ancora un
momento quelle persone che per vari motivi volessero uscire dalla stanza dove si
stava svolgendo l’incontro di musicoterapia; inoltre il coterapista poteva
incentivare la produzione sonora e vocale delle persone, alzandosi, ponendosi di
fronte ad esse, facendo sentire e vedere che si stava cantando o suonando.
16
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Le persone colpite da demenza tendono ad attraversare momenti di non
lucidità, parlando di argomenti non inerenti al momento e alla situazione: in
questo caso il terapista o il coterapista intervenivano cercando di riportare le
persone al momento che stavano vivendo, ricordando loro o facendo domande
dirette su ciò che si stava facendo. Le persone a volte non riuscivano a rimanere
sedute per tutta la durata della riunione, e cercavano di uscire dalla stanza:
l’intervento in questo caso andava a colpire una parte più emotiva, poiché si
chiedeva alle persone di potersi fermare ancora un po’ di tempo, anche breve,
dicendo loro che per noi sarebbe stato di grande aiuto.
Questo aiuto ricevuto dalle persone non è solo una forma di convincimento ma
è proprio una grande verità. Il progetto era infatti basato sull’ascolto e la
produzione vocale di brani degli anni ’50-’60: chi meglio di loro poteva ricordare
le varie canzoni?
La memoria di alcune persone è davvero forte; alcuni riuscivano a ricordare per
filo e per segno testi di canzoni ormai passate nel dimenticatoio; ma non solo, altri
indovinavano il nome del cantante ascoltando poche battute di musica, narrando
successivamente varie vicissitudini di vita di quel cantante, con chi era sposato, le
sue passioni, e tanti pettegolezzi che giravano attorno al mondo musicale di quegli
anni.
2.5 L’osservazione
Come detto precedentemente una parte del ruolo del coterapista consiste
nell’osservare; naturalmente si sta parlando di un’osservazione partecipante.
L’osservazione era rivolta a tutto ciò che accadeva durante la seduta, da
quando doveva ancora propriamente iniziare (in una fase di preseduta nella quale
dove si andavano a chiamare le persone) fino a quando ci si salutava e si usciva
fisicamente dal centro, in un tempo, quindi, che andava al di là della durata della
seduta in senso stretto.
È importante osservare le reazioni delle persone quando si arriva nel centro
diurno, per vedere se c’è un ricordo che possa collegare la nostra presenza
all’attività musicale che settimanalmente fanno.
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Alla fine di ogni seduta è stata redatta una scheda di osservazione dove veniva
annotato tutto ciò che era accaduto durante la seduta, in modo da avere vari punti
di riferimento ed elementi sui quali lavorare per poter avere chiarezza sui
comportamenti e sulle reazioni delle persone, e al fine di riuscire a plasmare le
sedute successive in base ai loro bisogni. Inoltre le schede aiutano ad avere idee
più specifiche su eventuali progetti e proposte atte a migliorare le sedute.
Questo modello di scheda di osservazione è composta da più voci, ognuna con
una propria specificità, che racchiudono vari aspetti comportamentali delle
persone. La scheda deve essere compilata usando i criteri di valutazione consoni a
un musicoterapista, dando importanza a ciò che realmente si svolge e alla
modalità impiegata.
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La scheda di osservazione.
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3. SVOLGIMENTO DELL’ATTIVITÀ
3.1 L’accoglienza
Prima dell’inizio delle sedute veniva consegnato ad una operatrice un foglio
recante i nomi dei partecipanti e il rispettivo gruppo; l’operatrice, insieme ad altre
colleghe, accompagnava le persone nel luogo dove si svolgevano gli incontri di
musicoterapia, una piccola palestra, come si è visto, usata anche per le sedute di
psicomotricità.
Circa la metà delle persone aveva bisogno di essere accompagnata, mentre le
altre raggiungevano autonomamente la stanza, naturalmente pian pianino, ognuno
con il proprio ritmo: c’era chi preferiva arrivare subito o insieme agli altri, e chi
voleva entrare per ultimo, magari anche un poco in ritardo. Questi ultimi casi sono
elementi da osservare, poiché chi entra per primo potrebbe avere una maggior
motivazione nel partecipare, chi arriva per ultimo o sempre in ritardo potrebbe
voler attirare l’attenzione.
Capitava a volte, almeno una persona ogni seduta, che alcune persone non
volessero partecipare all’incontro, quindi il musicoterapista o il coterapista
invitavano personalmente queste persone.
Le persone che si rifiutavano erano generalmente sempre le stesse, e ognuna
aveva un proprio motivo ricorrente che usava come giustificazione: chi non stava
bene e avvertiva i soliti dolori, chi non se la sentiva, o chi aveva sonno e voleva
riposare. In questi casi bisogna valutare attentamente lo stato d’animo delle
persone, e verificare se si tratta solo di lamentele dovute alla patologia o se esiste
davvero un malessere fisico o psichico: non bisogna dare mai nulla per scontato, e
occorre tenere sempre presente che ci sono persone che non solo fanno dei
“capricci” ma che hanno un vero malessere personale.
La modalità per invitare la persone è molto importante, bisogna portare
attenzione sull’uso del verbale e utilizzare una postura consona. Bisognerebbe
scegliere e usare parole che non creino disagio o qualunque tipo di costrizione
nelle persone, anzi parole che destino curiosità e che diano un senso di
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accoglienza, per far sentire che la loro presenza è importante e che c’è il desiderio
di vederle partecipare, collaborare e essere d’aiuto all’interno del gruppo.
Le frasi che colpiscono maggiormente sono:
– “Mi farebbe molto piacere se lei venisse con noi a fare un po’ di musica (o
ad ascoltare musica)”
– “Mi farebbe piacere vederla nelle palestra ad ascoltare della musica”
– “Se viene con noi ci fa molto piacere”
– “La aspettiamo volentieri...”
– “Viene con noi così ci aiuta a ricordare le canzoni… lei è così brava...”.
Un altro aspetto importante è la postura usata mentre si parla con un anziano,
sia in questo specifico caso ma anche come aspetto generale. Gli anziani,
generalmente, stanno seduti, quindi si dovrà assumere una posizione in modo da
mettersi allo stesso livello, se non in una posizione con un’altezza inferiore alla
loro. Ci si siede di fianco tenendo una posizione di apertura nei loro confronti, con
il corpo girato verso il loro, oppure accosciati davanti a loro o chinati in modo da
avere l’altezza dello sguardo sullo stesso livello. A tutto questo aggiungiamo un
contatto fisico, ponendo una mano su un loro braccio, e un contatto visivo
guardandoli dritto negli occhi.
Queste posture, parole, atteggiamenti, fanno sì che gli ospiti non si sentano
oppressi dalla presenza di una persona, e che la richiesta di partecipare, messa su
un piano emotivo-personale, riesca a stimolare le persone facendole sentire volute,
aiutandole ad abbattere le loro difese celate dietro a dolori immaginari o altre idee
che la loro condizione porta a generare.
3.2 La scelta delle canzoni
Le canzoni scelte e usate nelle sedute provenivano da vari tipi di repertori.
Principalmente si è privilegiato un repertorio assai conosciuto dagli anziani, che
ha riempito la loro vita, cioè canzoni della loro gioventù, dagli anni ’40-’50 fino
ad arrivare ai ’60 con alcune escursioni negli anni ’70, brani di provenienza
popolare che hanno accompagnato le fasi della loro vita: le canzoni di guerra,
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brani legati al lavoro o ai momenti di divertimento, il ballo, la musica da ballare,
senza dimenticare quei personaggi a cui ci si affezionava come Modugno, Nilla
Pizzi, Del Monaco, Claudio Villa.
Il repertorio usato non si è limitato alla musica popolare, ma ha incluso anche
la musica più colta, come la musica classica, le arie d’opera tratte da Puccini,
Mascagni, Verdi.
Alcune persone all’interno del centro apprezzavano questo tipo di musica,
dando ampia visione di competenza, e amando un genere musicale che suscitava
in loro più emozione e commozione.
Mario, commosso: “Ho portato una scorta di fazzoletti perché so che la musica
mi fa questo scherzo”.
Nel proporre un brano musicale, specialmente relazionandosi con una fascia
d’età come quella degli anziani, occorre tener conto di un fattore: tutti noi siamo
legati a una canzone, e un brano musicale ascoltato in un determinato momento
suscita in noi ricordi e sensazioni che ci trasportano temporalmente in un
momento appartenente al nostro passato. Il loro ricordo, la loro memoria conduce
gli anziani sempre distanti dal momento presente, non al giorno precedente ma a
tanti anni prima, e per questo, lo si ribadisce, la scelta del brano da proporre è
molto importante. Ogni brano può avere e assumere significati diversi, da un
brano tranquillo che fila vi liscio lasciandosi ascoltare a quei brani che arrivano
dentro al nostro corpo scontrandosi con le nostre emozioni.
Le struggenti melodie arrivano più in profondità andando a toccare corde che
l’età ha in qualche modo nascosto, e le intense armonie smuovono tasti
dimenticati legati ad episodi forti della vita passata. Una volta smosse queste
corde emotive, le persone mostrano tutta la loro parte più sensibile, dando sfogo
alla commozione e ad emozioni forti che fanno trasparire tutta la tenerezza, la
sofferenza e l’umanità di queste persone, definite per lo più semplicemente
anziani e che a volte si dimentica che prima e principalmente sono uomini e
donne.
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3.3 La dinamica della seduta
La dinamica di ogni seduta era strutturata prevedendo un inizio soft, costituito
a volte dall’ascolto di un brano con un ritmo lento, o dal canto di una canzone dai
toni pacati, in modo da attivare gradatamente le persone all’ascolto, portando
l’attenzione al momento per consentire un ricordo di quello che si appresteranno a
fare: infatti alcune volte capita che quando si arriva nel centro e si salutano le
persone invitandole a partecipare alla seduta, alcune di esse non ricordino cosa si
va a fare, però non appena ascoltano qualche suono il ricordo diventa più chiaro e
vicino.
Inoltre all’inizio dell’incontro è preferibile scegliere un brano neutro,
d’apertura, che non possa portare immediatamente a ricordi vivi, carichi
d’emozione, e che serva come saluto, come incontro.
La seduta proseguiva crescendo di intensità, attivando le persone in misura
maggiore, incalzando con brani molto ritmati, a volte accompagnati dagli
strumenti o da alcuni piccoli movimenti fisici come battere le mani, i piedi o
percuotersi le gambe.
In questa fase centrale, quando si entra nel pieno svolgimento della seduta, si
possono effettuare delle scelte che potrebbero scuotere le persone, proponendo un
brano intenso, emotivamente carico, che possa portare in superficie ricordi intensi
degli anziani e li induca ad esternarli verbalmente e accompagnati da tutta la loro
espressività.
L’ultima fase della seduta mirava invece a riportare le persone ad una
sensazione di tranquillità, senza tensione, simile a quella iniziale: la proposta
musicale era di conseguenza un brano con una ritmica non troppo veloce e con un
testo che non richiamasse nessun argomento forte. La seduta nel suo finire placa i
toni e calma il ritmo, riportando le persone in uno stato di calma, cercando di
lasciar loro una sensazione e un ricordo gradevole.
Prima dei saluti, che da parte degli ospiti del centro sono stati sempre molto
calorosi e di assoluto ringraziamento, il terapista ricordava al gruppo le attività e
le canzoni svolte durante la giornata, rinnovando l’appuntamento per la settimana
successiva.
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Le sedute come abbiamo visto iniziavano lentamente, gradatamente
aumentavano l’intensità, per poi terminare placando gli animi, il tutto legato da un
filo conduttore, in grado di lasciare una sensazione piacevole e di curiosità in
modo da portare le persone a voler ritornare a questo appuntamento settimanale
ricco di musica e di vita.
In questo progetto di musicoterapia è stato impiegato questo tipo di dinamica
come “regola” generale delle sedute, dalla quale ci si è talvolta discostati sulla
base di obiettivi terapicamente mirati.
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4. DALLA CANZONE ALLA PAROLA: IL PERCORSO
PER ARRIVARE ALLA VERBALIZZAZIONE
Le canzoni proposte durante le sedute portavano il ricordo delle persone alla
loro infanzia e alla loro gioventù, questo faceva sì che da una canzone si potesse
arrivare ad alla verbalizzazione di un vissuto.
Si iniziava tutti insieme cantando, accompagnati da una tastiera, una canzone
appartenente al repertorio che richiama la loro gioventù, là dove il ricordo si fa più
forte.
Successivamente, finito in canto, si procedeva con una lettura del testo
appartenente al brano, una lettura eseguita chiaramente e ben scandita in modo
che le persone potessero sentire e capire le parole.
La fase successiva poteva dar luogo a due risposte, influenzate naturalmente sia
dalla predisposizione delle persone e dal loro vissuto, sia dalla guida del
musicoterapista: la lettura-cantata e la lettura-verbale.
4.1 La lettura-cantata
In questa fase la lettura del testo diventava una lettura-cantata, dove da una
prima proposta verbale da parte del musicoterapista si otteneva una risposta da
parte del gruppo non più solo con le parole, ma musicale, con le persone che
semplicemente rispondevano cantando.
In questa fase ci si trova immersi in uno stato emotivo molto profondo, perché
la musica non è più indotta e prodotta da uno strumento ma creata dalla sola voce
delle persone, che spontaneamente esce dal corpo creando tensione emotiva e una
grande unione da parte di tutto il gruppo. Emotivamente parlando questa è una
delle fasi più toccanti, nella quale si viene a contatto con l’energia generata dalla
musica e in cui si può sfiorare una piccola parte della sua potenza.
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4.2 La lettura verbale
Si tratta di una risposta ben diversa dalla precedente: l’attenzione delle persone
veniva colpita da alcune parole del testo che le portavano a ricordare episodi,
luoghi e persone. Da una sola parola si poteva accendere una piccola frase,
proseguita da un breve racconto, da parte della stessa o di un’altra persona, fino a
sfociare in una verbalizzazione a cui partecipava quasi tutto il gruppo creando
relazione, interazione e socializzazione.
Capitava che alcune persone restassero un po’ fuori da questi discorsi. I motivi
potevano essere svariati: un assopimento, una distrazione momentanea, un
momento di non lucidità o presenza. In questo caso il musicoterapista o il
coterapista intervenivano ponendo domande dirette per cercare di riportare le
persone al momento in cui si trovavano, di farle eventualmente partecipare, di
metterle in una condizione agiata in modo che potessero esprimere le proprie idee
o un proprio racconto sull’argomento trattato.
4.3 Strumenti
Oltre alla tastiera che sostiene armonicamente il canto sono stati usati vari
strumenti a percussione provenienti principalmente dallo strumentario Orff.
Gli strumenti usati sono: maracas, tamburello, cembalo, triangolo, legnetti,
ovetti, ecc.
Gli strumenti venivano portati alle persone dal coterapista, il quale
verbalizzava il nome dello strumento mentre lo consegnava.
La prima reazione delle persone di fronte agli strumenti era generalmente di
rifiuto, dicevano che non volevano suonare o che non erano capaci. Non erano
affascinati e incuriositi ma piuttosto riluttanti, e tuttavia, trovato un po’ di
coraggio e dopo aver provato, trovavano piacere nell’accompagnare con gli
strumenti le canzoni con il ritmo da loro creato.
Lo strumento è un mezzo che facilita l’espressività, un aiuto per quegli anziani
con qualche difficoltà comunicativa: persone con sordità profonde o con afasie
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riescono tramite lo strumento a integrarsi maggiormente nel gruppo e a
coinvolgersi suonando insieme agli altri.
4.4 Il ritmo involontario
Dopo aver eseguito il brano cantato e accompagnato con gli strumenti,
succedeva in alcuni casi che le persone tenendo in mano il proprio strumento
iniziassero involontariamente a suonare facendo piccoli frammenti ritmici, i quali,
colti rapidamente e riprodotti dal musicoterapista, venivano imitati in un primo
momento da altre persone, poi sostenuti ed esaltati fino a trasformare il tutto in un
brano musicale che coinvolgeva tutto il gruppo.
Alla fine si verbalizzava sull’accaduto, indicando e elogiando chi aveva dato
origine al brano musicale eseguito.
Questo vale non solo per le produzioni musicali ma anche per alcuni
movimenti che le persone fanno accompagnando le canzoni, ad esempio battere le
mani o i piedi. Anche in questo caso, raccolto l’input, potrebbe partire una
risposta che riesca a coinvolgere l’intero gruppo.
L’osservazione in questo frangente non deve valutare l’esecuzione musicale in
quanto accompagnamento della canzone che segua perfettamente un ritmo, ma
esamina le capacità ritmiche delle persone, la motivazione, la volontà di
esplorazione, l’intensità, i movimenti usati per suonare i vari strumenti.
4.5 Un esempio pratico
Prendiamo un brano molto conosciuto come Romagna mia, usata e abusata in
varie situazioni, per lo più in luoghi di divertimento come sale da ballo o feste
paesane.
Nelle sedute svolte, l’ascolto di un brano come questo non portava sempre le
persone ad uno stato d’animo di allegria, e questo dipendeva non solo dalle
condizioni psico-fisiche delle persone, ma anche dalle domande poste alla fine
dell’ascolto o dell’esecuzione.
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Ad esempio, se la domanda posta fosse: “Dove si ascoltava questo brano?
Dove l’avete sentito?”. La risposta sarà presumibilmente che lo si ascoltava
quando si andava a ballare, e la conversazione sarà allora condotta ad un livello
tranquillo, allegro, dove si narreranno le piacevoli giornate di festa trascorse in
compagnia o ballando nelle “balere”.
Se invece la domanda fosse più mirata, basata sul testo con un’analisi delle
parole «sento la nostalgia di un passato, / dove la mamma mia ho lasciato. / Non ti
potrò scordar casetta mia...» – tre brevi frasi veramente significative, specialmente
per chi ha come obiettivo quello di portare le persone ad una verbalizzazione che
conduca ad una relazione –, in questo caso la conversazione potrebbe assumere
toni più seri, malinconici, il livello emotivo sarebbe sicuramente più alto, e si
tratterebbero due argomenti molto cari agli anziani, che li legano al loro passato,
ovvero la mamma, la terra (il lavoro).
L’esempio illustrato nasce da un’esperienza reale, nella quale di grande
interesse sono state le diverse risposte che le persone hanno dato, differenziando
di conseguenza in modo sensibile i due gruppi. Si riportano per tale motivo alcune
frasi verbalizzate dopo l’ascolto in una seduta svoltasi il 15 gennaio 2007.
Gruppo 1
Si canta tutti insieme Romagna mia.
Lucia commenta: “Mi fa venire la nostalgia dei figli e della famiglia, della
terra, ho delle coltivazioni di olive e faccio l’olio”.
Colomba ha una reazione forte dicendo che Lucia parla solo della terra e non
dei figli, poi dice che anche lei “tiene” la terra, campi e coltivazioni in provincia
di Avellino, ma per lei l’importante sono i figli e non la terra. Poi conclude: “La
terra la tengo in core, ma non la nomino come fa Lucia”.
Luciano: “La mia laguna di Venezia, la piazza San Marco è un posto
impareggiabile, ho un sentimento profondo di nostalgia, ed ogni tanto ritorno a
Venezia a fare il giro di tutte le isole. [...] Mare per mare c’è la costiera
amalfitana, altro miracolo della natura”.
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Colomba fa una riflessione: “Lucia sfoga, io invece lo tengo in core e patisco”.
Gruppo 2
Anche in questo gruppo si canta la canzone Romagna mia.
Bice: “Andavo a ballare al pomeriggio, perché alla sera non potevo andare
perché avevo un padre così gramo13 e non voleva che andassi fuori alla sera. [...]
Andavamo in bicicletta io e le mie due sorelle, in tre in bicicletta”.
Arves: “Ci si andava al pomeriggio e si restava lì anche la sera”.
Annamaria: “Io andavo da Parma a Collecchio14 a piedi per ballare, si ballava
tanto a Collecchio, a Sala Baganza, Fornovo e ai boschi di Carrega,15 si ballava
sempre all’aperto nei festival”.
Arves: “Quando suonavano i ‘Cantoni’16 si muoveva la città. [...] Mio zio
suonava il quartino17 nel ‘Concerto Cantoni’”.
Bianca: “Mio padre non voleva che andassi a ballare perché il giorno dopo ero
stanca per andare a lavorare nei campi, quindi preparavamo delle scale dietro la
casa e di nascosto andavamo a ballare”.
Rosetta: “Gli uomini invitavano le donne a ballare dicendo: ‘Signorina
permette questo ballo?’”.
13
Gramo: nel senso dialettale di “persona di cattivo carattere”.
La distanza tra Parma e Collecchio è di circa 15 chilometri.
15
Si tratta di comuni e località in provincia di Parma.
16
“Il concerto Cantoni” era un gruppo virtuosistico di fiati composto per gran parte dai nove
fratelli maschi della famiglia omonima; suonava brani popolari composti dal padre di questa
famiglia.
17
Quartino: clarinetto piccolo in MIb.
14
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5. RISULTATI
In questo anno di incontri le persone del centro diurno, salute permettendo,
sono cambiate notevolmente, sono molto più attive da un punto da vista fisico,
psichico e cognitivo.
La verbalizzazione è aumentata notevolmente: dalle prime frasi frammentarie,
“strappate fuori” con domande dirette, si è arrivati a lunghi racconti ai quali hanno
partecipato più persone e che hanno ricoperto gran parte del tempo delle sedute.
I discorsi partivano spontanei, finito l’ascolto della canzone iniziava un
racconto inerente al brano ascoltato o eseguito.
La relazione tra le persone è divenuta più forte: gli ospiti si chiamano, si fanno
delle domande e sono sempre disposte a gratificare e sostenere quelle persone che
sono e che vedono con più difficoltà.
Seduta dopo seduta le persone sono state in qualche modo “costrette a cedere”
alla potenza della musica, una calamita che attrae verso l’esterno l’espressività
delle persone, facendo emergere il loro vero carattere, attivandole, rendendole
partecipi di un’attività comune in grado di ridare vitalità, benessere, modificando
nonostante l’età avanzata il comportamento, cambiando quei “musoni” con
persone dai comportamenti cordiali e amichevoli, con espressioni aperte e occhi
sorridenti e luminosi.
Anche la psicomotricista che opera nel centro diurno ha notato evidenti
cambiamenti nelle persone, dando gratificazione al lavoro svolto.
Porto l’esempio, uno su tutti, di Maria, una signora affetta da demenza,
completamente non autosufficiente, seduta su una carrozzina, la quale non appena
sente la musica batte il piede. Normale? Sì, potrebbe essere una cosa normale,
salvo che Maria batte il piede rigorosamente a tempo; e questo accade a lei, ma
potevo parlare di Rosa, Annamaria, Anna, Giuseppe… persone che a volte
attraversano momenti grande appannamento mentale, o si assopiscono perché
imbottite di farmaci, e talvolta se rivolgi loro una domanda rispondono tutt’altro,
ma che continuano ad eseguire un ritmo perfettamente a tempo. Questo è
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l’elemento che più fa pensare che la potenza comunicativa del suono non abbia
uguali, e che il ritmo riesca e resistere all’età, andando al di là di ogni demenza e
patologia.
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PARTE SECONDA
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6. QUATTRO GRANDI TEMI
6.1 Il lavoro
Come già abbiamo illustrato la memoria degli anziani li porta a ricordare
episodi che appartengono al loro passato, alle loro origini, alla loro terra natia, la
terra d’origine, da dove tutto è partito e dove sentono di riavvicinarsi.
La terra è intesa come letto in cui sono nati, quella terra che li ha aiutati a
crescere ad andare avanti, che duramente hanno coltivato, uomini volenterosi e
donne che faticano tanto quanto gli uomini. Il lavoro era un dovere
imprescindibile, poter lavorare significava riuscire a mangiare; il lavoro era anche
passione, ed era sempre accompagnato dalla musica.
Si cantava nei campi, nelle risaie – dove sono nati i canti delle mondine – si
cantava forse per alleviare la fatica, il canto dava una spinta per continuare, per
sognare un po’ o per sentirsi un po’ meno soli.
La musica era presente non solo in tutte le ore di lavoro, ma anche alla fine
della giornata ci si ritrovava per cantare.
Giuseppe: “Alla sera ci si trovava per cantare e anche se si era tra pochi amici
si faceva sempre tardi, a volte si veniva sgridati perché al mattino ci si doveva
alzare presto per andare a lavorare”.
Rosetta, riferendosi ai momenti di lavoro nei campi chiede: “Ma ti ricordi,
Cleonice?”.
Cleonice risponde: “Sì, anca trop”.18
18
Sì, anca trop: “Sì, anche troppo”.
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6.2 La mamma
Collegato strettamente con il tema dell’ amore, la figura materna è considerata
dagli anziani come un rifugio, dove tutto si calma, tutto si placa, una presenza che
raffigura la pace.
Molte immagini compaiono sulla mamma: mentre prepara la tavola, riordina la
casa, lava il bucato alla fonte – e naturalmente mentre si faceva il bucato si
cantava.
Quando le persone anziane parlano della propria madre si avverte un
cambiamento nella voce, assumono un tono più caldo, il volume si abbassa, gli
occhi brillano, ne parlano con tanto calore come se l’avessero a fianco, traspare
tutto l’amore che hanno ricevuto, esaltando tutte le qualità e gli innumerevoli ruoli
che assumeva.
Per loro, la mamma resta un punto fermo della loro vita, la persona più
importante che abbiano mai conosciuto.
Cleonice: “La parola mamma è la prima parola che dice il bambino, che
quando ha bisogno di qualche cosa si chiama la mamma”.
Lucia: “Mamma è la parola più bella al mondo”.
6.3 L’amore
L’amore è senz’altro un argomento che permette di vedere le persone contente
di ricordare.
L’amore ha riempito e accompagnato tutta la vita degli anziani, legati da
matrimoni lunghissimi, da amori che erano veramente eterni – finché morte non ci
separi –; e anche se molte di queste persone non sono più in compagnia del loro
amore, i loro racconti restano intensi e pieni di passione.
Parlano dei loro fidanzati di un tempo, delle fughe per andarli a trovare, delle
giornate di festa e di ballo, le quali favorivano gli incontri amorosi, della
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primavera dove c’era più luce e quindi finito il lavoro si aveva ancora un po’ di
tempo da dedicare all’amore.
Come poter dimenticare le serenate sotto le finestra, o le innumerevoli canzoni
che trattano questo tema: si farebbe forse prima ad elencare quelle in cui non si
parla di amore.
Annamaria: “Avevo la fortuna di avere una taverna ed invitavo tutti, le
giovani e i giovanotti nella mia taverna alla sera per ascoltare musica in cerchio e
per cantare, e ci si baciava tanto. [...] Alla sera l’era un basament che an fniva
pù”.19
Luciano: “Il miglior tema della vita, tutta la vita ruota intorno all’amore”.
6.4 La guerra
Un avvenimento che ha indubbiamente segnato l’intera vita degli ospiti del
centro: tutti i ricordi portano a quel tempo, a quegli anni di grande sofferenza, di
carestia, di povertà, anni difficili da ricordare e da raccontare. I loro racconti sono
spesso vaghi, procedono a frammenti, quasi il ricordo della povertà li rendesse
poveri anche di parole; il ricordo è chiaro, presente, ma tenuto a bada in modo che
non esca, che non ritorni a galla, in modo che non si ripresenti la sofferenza di un
tempo.
Quello della seconda guerra mondiale è un periodo storico che accomuna tutte
le persone presenti nel centro diurno dove è stato svolto l’intervento di
musicoterapia.
Per ancora alcuni anni riusciremo trovare persone, in Italia, che hanno
conosciuto e provato sulla propria pelle i danni di una guerra, persone che al
tempo di guerra attraversavano gli anni d’oro della loro gioventù, e che anche per
questo conservano un ricordo così lucido e vivo.
Molti dei canti conosciuti dagli anziani appartengono alla guerra, agli alpini,
canzoni che non tutti amano eseguire anche perché cantando si fa più forte un
19
Alla sera l’era un basament che an fniva pù: “Alla sera era tutto un baciarsi che non finiva
più”.
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ricordo che tutte le persone vorrebbero rimuovere dalla loro memoria e dalla loro
vita.
Come potranno essere gli anziani futuri? Come potrà essere o come cambierà
l’anzianità tra qualche anno? Sarà un’anzianità composta da persone che non
hanno vissuto la guerra in prima persona, che racconteranno la loro vita,
ricordando episodi appartenenti alla loro gioventù senza che compaiono episodi
bellici.
Conseguentemente anche i loro vissuti musicali saranno diversi, potrebbero
essere racconti sulla ricostruzione e su tutto lo sviluppo economico che c’è stato
negli anni seguenti, ma credo che un grosso patrimonio culturale e musicale
tenderà lentamente a sparire, specialmente quando le testimonianze saranno
scomparse e con loro un periodo storico che ha caratterizzato il nostro paese
influenzando la vita delle persone, le cultura e la musica.
Arves: “Quando ci si ritrovava in un momento di ‘non pericolo’ si cantava,
oppure si cantava quando qualche ufficiale pagava da bere”.
36
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7. IL DIARIO DEI RICORDI
Seduta del 18 settembre 2006 – Gruppo 1
Luciano: “Le canzoni si ascoltavano alla radio, si ascoltavano anche nelle
baite, [...] dove le sedie venivano disposte in cerchio”.
Rosa: “Oppure si ascoltavano in casa sul giradischi”.
Giuseppe: “Finito l’orario di lavoro nei campi, ci si trovava nell’aia della corte
o del podere per fare una cantatina seduti sulle sedie o sopra a delle cassette. Alla
sera ci si trovava per cantare e anche se si era tra pochi amici si faceva sempre
tardi, a volte si veniva sgridati perché al mattino ci si doveva alzare presto per
andare a lavorare. Si distinguevano le voci da prima o da seconda, chi aveva una
voce più forte o più bella faceva la parte principale”.
Annamaria: “Avevo la fortuna di avere una taverna ed invitavo tutti, le
giovani e i giovanotti nella mia taverna alla sera per ascoltare musica in cerchio e
per cantare, e ci si baciava tanto. [...] Alla sera l’era un basament che an fniva pù”.
Seduta del 25 settembre 2006 – Gruppo 1
Arves: “Si cantavano le canzoni di guerra. [...] Quando ci si ritrovava in un
momento di ‘non pericolo’ si cantava, oppure si cantava quando qualche ufficiale
pagava da bere. Si cantava davanti al monumento ai caduti”.
Giuseppe: “C’era una musica dei giovani e una musica dei vecchi, adesso c’è
molta confusione”.
37
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Annamaria: “Modugno aveva un unico amore, una moglie che lo amava tanto
e lui ne andava matto”.
Giuseppe: “Modugno aveva grande energia, una voce piena e possente”.
Seduta del 25 settembre 2006 – Gruppo 2
Maddalena: “La gente cantava per la strada”.
Seduta del 2 ottobre 2006 – Gruppo 1
Luciano: “A Napoli, nei ristoranti si sentono le canzoni suonate da
un’orchestrina, tra le quali la canzone Santa Lucia”.
Giuseppe: “O sole mio era cantata da un tenore o un baritono, ma più di mezzo
secolo fa. A Napoli erano più focosi di noi”.
Luciano racconta che è stato a lavorare a Napoli per tre anni, in una piazza
vicino a via Roma; inoltre a Napoli c’è l’hotel Bahia da dove si vede la costa e la
parte del Salento.
Seduta del 2 ottobre 2006 – Gruppo 2
Bice: “Si andava a cantare in chiesa, il prete ci faceva cantare e passavamo il
pomeriggio in compagnia, la sorella del prete insegnava ai bambini, così cantavo
anch’io”.
Arves: “Mio padre aveva dei colombi viaggiatori, che venivano dati a dei
soldati che andavano a Roma poi li mollavano e tornavano a casa”.
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Luigi: “I più vecchi, di piccioni viaggiatori, la mia vicina me li dava da
mangiare, perché non andavamo più bene”.
Arves: “Hanno una carne fine”.
Elena:20 “Ma perché si mangiano i piccioni?”.
Arves: “Mah, c’è chi mangia la gallina, dunque…”.
Luigi: “Mia figlia ci fa anche il brodo di piccione”.
Bice: “Da quando è morto mio marito non ho più cantato, e sì che prima a
canteva c’me ’n merol,21 e poi ho cantato oggi, sono andata dietro alla melodia,
sono brava… canto bene… me lo dico da sola”.
Seduta del 9 ottobre 2006 – Gruppo 1
Luciano: “La più bella del mondo è una canzone riposante”.
Si parla di amore:
Luciano: “Il miglior tema della vita, tutta la vita ruota intorno all’amore. [...]
Nella pratica quando finiscono i soldi finisce l’amore, non facciamo illusioni,
siamo materialisti”.
Giuseppe: “Mia sorella aveva un carattere brillante, una persona molto spiccia
e aveva una voce molta bella, ma il giorno del matrimonio, mentre andava verso
la chiesa, le chiedevano di cantare ma lei non riusciva”.22
Luciano propone: “Cantiamo Romagna mia”.
Umberto: “Ma è antica”.
Luciano: “Antica come noi”.
20
Si tratta della musicoterapista.
e sì che prima a canteva c’me ’n merol: “ e dire che prima, quanto ero giovane, cantavo
come un merlo”.
22
ma lei non riusciva: perché troppo emozionata dall’evento.
21
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A Parma c’è un circolo ricreativo chiamato “gli Orti” perché ci sono tanti orti
di proprietà comunale dati in gestione ai cittadini. Umberto e Fortunata
raccontano che in questo circolo si cantava, si ballava e si mangiavano “i
agnolen”.23 Una volta, in questo circolo, Fortunata sentì cantare Umberto, il quale
faceva parte di un coro.
Seduta del 23 ottobre 2006 – Gruppo 1
Maddalena racconta che quando era bambina cantava in cortile, dove viveva,
a Gaiano; aveva cinque anni e cantava canzoni come Ciliegi rosa, che allora era
appena uscita.
Ascolto della canzone Piove:
Vincenza: “Ah! Una voce così… squillante, è Modugno”.
Anna: “Mio fratello suona la fisa, suonava nei parchi quando c’erano delle
feste, aveva tanta passione a suonare, ma c’era da lavorare in campagna, andava a
lavorare, poi quando tornava andava in camera a suonare”.
Anna: “Quando andava a suonare la prendeva con lui, mi portava sulla canna
della bicicletta”.
Colomba: “Anche mio fratello suonava la fisarmonica, la sera andavamo nelle
case vicine per suonare”.
Elena chiede: “Ma a che età si andava a ballare?”.
Anna: “Quindici-sedici anni, perché prima non lasciavano entrare e i genitori
non lo permettevano”.
23
i agnolen: gli anolini o cappelletti, si tratta di un primo piatto tipico dell’Emilia.
40
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Maddalena racconta che ha vissuto dieci anni in Belgio, e che anche lì c’erano
le feste dove c’era tanta musica. In Belgio veniva chiamata Maideline.
Seduta del 23 ottobre 2006 – Gruppo 2
Cleonice: “La parola mamma è la prima parola che dice il bambino, che
quando ha bisogno di qualche cosa si chiama la mamma”.
Ascolto di un brano di musica classica (Chopin). Domanda: “Vi piace?”.
Arves: “Bisogna conoscerla per poterla capire, mi piace così così, la sento un
po’ lontana”.
Annamaria: “A me piace più la Vedova allegra”.
Lucia: “Non mi piace tanto, troppo malinconica”.
Rosetta: “A me piace tutto”.
Cleonice: “Mi piace ma è un po’ calma”.
Seduta del 6 novembre 2006 – Gruppo 2
Nasce una domanda: “Ma chi comanda in una famiglia?”.
Fortunata: “Gli uomini adesso portano la sottana e le donne i pantaloni”.
Rosetta: “Comandano uguali, lo dico per non offendere i signori uomini”.
Arves: “Adesso l’uomo porta fuori il bambino in carrozzina”.
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Seduta del 13 novembre 2006 – Gruppo 2
Si parla di vari balli, e Lucia menziona “il ballo del qua-qua”.
Fortunata: “Il ballo del qua-qua si balla in cinquanta persone tutti insieme”.
Anna: “Si ballava il tango, ma il valzer era il ballo che era in testa, quello più
ballato”.
Giuseppe: “Il valzer e la mazurca sono parenti, cioè si assomigliano, hanno
una cadenza diversa”.
Anna: “La mazurca è quasi come un valzer”.
Seduta del 13 novembre 2006 – Gruppo 2
Bice guarda Elena e commenta: “Anche io da giovane avevo un vitino come il
suo. [...] Da giovane facevo le gare di ballo, ero svelta… un folletto… ero
dinamica”.
Viene proposta una canzone da accompagnare con l’uso degli strumenti a
percussione, Elena decide di accelerare il ritmo le persone seguono molto bene, il
ritmo si fa veramente veloce… Alla fine Bice commenta: “La ga d’andär pù pian
se no an ghe stemma mia adré”.24
Seduta del 20 novembre 2006 – Gruppo 1
Lucia: “Mamma è la parola più bella al mondo”.
Ada: “I bambini iniziano a parlare dicendo mamma, mamma è la prima e
l’ultima parola”.
24
La ga d’andär pù pian se no an ghe stemma mia adré: “Deve andare più piano altrimenti non
riusciamo a seguirla”.
42
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Bice: “‘Bice, il cuor mi dice che il cuor sarà felice’ [...] I musicisti sono tutti
allegri. [...] Io avevo una loggia grande, ci abbiamo fatto tante di quelle ballate, il
mio vicino suonava la fisarmonica e veniva ad allenarsi nella mia loggia, abbiamo
fatto tante di quelle risate e tanti balli”.
Seduta del 4 dicembre 2006 – Gruppo 1
Si ascolta una canzone la quale è la traccia numero quattordici:
Lucia: “Il 14 è il numero dei cornuti”.
Luciano: “Ma i vedovi sono cornuti?”.
Lucia: “I vedovi sono alla pace di Dio”.
Seduta del 4 dicembre 2006 – Gruppo 2
Umberto: “Beati gli ultimi se i primi saranno onesti”.
Mario: “Le canzoni ci riportano al nostro passato”.
Seduta dell’11 dicembre 2006 – Gruppo 1
Si dice al gruppo che ci si sta avvicinando al Natale, e si domanda com’era per
loro questa festa.
Lucia: “Il Natale è la festa più importante che ci sia”:
Il gruppo dice che è importante perché il Natale è la nascita di Gesù.
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Fortunata: “La notte di Natale si andava a cantare dietro alla porta della chiesa
e quando sentivano cantare aprivano la porta. [...] Si andava a bussare alle porte
con dei bastoni e si diceva ‘Esce il diavolo, arriva Gesù’”.
Un’altra domanda viene posta: “Ma cosa si mangiava il giorno di Natale?”.
Lucia: “Tutte cose fritte”.
Elena: “Si facevano dei regali?”.
Giuseppe: “I vestiti costavano tanto, allora si regalava un pezzo di formaggio,
burro, un cappone”.
Luciano:
“Si
regalavano
cose
di
valore:
giacconi,
orologi,
capi
d’abbigliamento firmati”.
Seduta dell’11 dicembre 2006 – Gruppo 2
Stesse proposte e domande rivolte al primo gruppo in questa data.
Rosetta: “Si mangiavano i cappelletti, poi la carne e il cappone, si faceva il
brodo con il manzo più magro e il cappone”.
Cleonice: “La sera della vigilia si diceva il rosario prima di cena”.
Mario: “Aiutavo il prete ad addobbare la chiesa, l’organista suonava una
musica adatta, si mangiava il panettone fatto in casa”.
Rosetta: “I cappelletti si mangiavano a Natale ma non alla vigilia”.
Mario: “Alla vigilia si mangiava la pasta larga e le pappardelle”.
Rosetta: “Poi si mangiavano le lumache la vigilia, ma non piacevano a tutti”.
Cleonice: “La vigilia si mangiava di magro, non si mangiava la carne, si
mangiava la pastasciutta e il merluzzo, immancabilmente il merluzzo”.
Rosetta: “La vigilia ci si riuniva tutti insieme con i familiari. [...] Ho fatto la
cameriera e mi intendo molto di cucina, se non trovavo le lumache perché mica
sempre si trovavano le lumache, allora facevo la sogliola o il merluzzo trifolato”.
Cleonice: “Ognuno aveva la sua moda, facevo due qualità di pastasciutta,
maccheroni e tagliatelle”.
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Annamaria e Mario: “Si faceva anche il torrone, era una gran lavorata fare il
torrone, per far indurire il torrone lo si rovesciava su di un pezzo di marmo”.
Seduta del 15 gennaio 2007 – Gruppo 1
Si canta tutti insieme Romagna mia.
Lucia commenta: “Mi fa venire la nostalgia dei figli e della famiglia, della
terra, ho delle coltivazioni di olive e faccio l’olio”.
Colomba ha una reazione forte dicendo che Lucia parla solo della terra e non
dei figli, poi dice che anche lei “tiene” la terra, campi e coltivazioni in provincia
di Avellino, ma per lei l’importante sono i figli e non la terra. Poi conclude: “La
terra la tengo in core, ma non la nomino come fa Lucia”.
Luciano: “La mia laguna di Venezia, la piazza San Marco è un posto
impareggiabile, ho un sentimento profondo di nostalgia, ed ogni tanto ritorno a
Venezia a fare il giro di tutte le isole. [...] Mare per mare c’è la costiera
amalfitana, altro miracolo della natura”.
Colomba fa una riflessione: “Lucia sfoga, io invece lo tengo in core e patisco”.
Seduta del 15 gennaio 2007 – Gruppo 2
Anche in questo gruppo si canta la canzone Romagna mia.
Bice: “Andavo a ballare al pomeriggio, perché alla sera non potevo andare
perché avevo un padre così gramo25 e non voleva che andassi fuori alla sera. [...]
Andavamo in bicicletta io e le mie due sorelle, in tre in bicicletta”.
Arves: “Ci si andava al pomeriggio e si restava lì anche la sera”.
25
Gramo: nel senso dialettale di “persona di cattivo carattere”.
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Annamaria: “Io andavo da Parma a Collecchio26 a piedi per ballare, si ballava
tanto a Collecchio, a Sala Baganza, Fornovo e ai boschi di Carrega,27 si ballava
sempre all’aperto nei festival”.
Arves: “Quando suonavano i ‘Cantoni’28 si muoveva la città. [...] Mio zio
suonava il quartino29 nel ‘Concerto Cantoni’”.
Bianca: “Mio padre non voleva che andassi a ballare perché il giorno dopo ero
stanca per andare a lavorare nei campi, quindi preparavamo delle scale dietro la
casa e di nascosto andavamo a ballare”.
Rosetta: “Gli uomini invitavano le donne a ballare dicendo: ‘Signorina
permette questo ballo?’”.
Arves: “La gente anni fa era più buona, non come adesso, ci sono dei
delinquenti che uccidono. [...] La vita è bella per chi la sa godere”.
Rosetta: “La gioventù di adesso è più debole, sono sempre stanchi, non hanno
la forza di combattere, le fatiche che abbiamo fatto noi loro non ce la farebbero a
farle”.
Cleonice: “È stato il progresso a far succedere tutto questo, è aumentato il
benessere della vita, più che la forza di questi periodi si lavora con la testa e con il
cervello, il cervello dai e dai si stanca anche quello e si arriva a sera che si è
stanchi”.
Seduta del 22 gennaio 2007 – Gruppo 1
Lucia entra e dice: “State tutti bene?”.
Il gruppo: “Sì, sì...”.
Lucia: “Io sono felice quando tutte le persone mi dicono che stanno bene”.
26
La distanza tra Parma e Collecchio è di circa 15 chilometri.
Si tratta di comuni e località in provincia di Parma.
28
“Il concerto Cantoni” era un gruppo virtuosistico di fiati composto per gran parte dai nove
fratelli maschi della famiglia omonima; suonava brani popolari composti dal padre di questa
famiglia.
29
Quartino: clarinetto piccolo in MIb.
27
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Luciano riferendosi a Lucia: “Ha un animo grande”.
Si ascolta la canzone O sole mio.
Lucia: “Quando c’è il sole fiorisce tutto, le giornate, i fiori, le persone”.
Poi segue la lettura del testo: dalla parola “la lavannara” (lavandaia) scaturisce
un racconto su come anni fa si faceva il bucato:
Maddalena: “Era una grande soddisfazione lavare a mano”.
Ada: “Si faceva il bucato con la cenere, poi si risciacquavano nel canale e
diventavano bianchi come la neve, lavavano mettendo i panni in una tinozza, poi
venivano lavati più volte e ogni volta l’acqua usata era sempre più calda, la cenere
era messa nell’acqua bollente”.
Seduta del 22 gennaio 2007 – Gruppo 2
Bice parla troppo e viene ripresa dalle altre persone, lei commenta: “A go ’na
lingua che la sta miga ferma”.30
Silvia: “Ho cantato l’Ave Maria da sola quando si è sposato il nipote del
prevosto”.
Si distribuiscono gli strumenti, Marco31 prende gli ovetti,32 Bice commenta:
“Stia attento che non gli vada giù l’ernia con tutto quel peso lì”.
30
A go ’na lingua che la sta miga ferma: “Ho una lingua che non sta ferma”.
Il coterapista.
32
Strumenti di dimensioni ridotte e di peso leggero.
31
47
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Seduta del 5 febbraio 2007 – Gruppo 1
Si ascolta la canzone Domenica è sempre domenica.
Annamaria: “Cantavo questa canzone quando aspettavo il moroso, l’ho
cantata tanto, sa? Io sono vecchia”.
Giuseppe le risponde: “Se la cantava lei, non è poi così vecchia questa
canzone”.
Il gruppo commenta dicendo che questa canzone era cantata da Beniamino
Gigli, che conduceva anche un gioco televisivo intitolato Il musichiere nel quale
si dovevano indovinare delle canzoni.
Giuseppe: “Certe volte la voce fiorisce, altre volte diventa dura come un
chiodo”.
Si chiede al gruppo che cosa si faceva alla domenica.
Lucia: “Ci si alzava tardi, si faceva il bagno e si faceva una colazione
abbondante, gli altri giorni non si poteva perché si andava a lavorare, dieci-dodici
ore al giorno”.
Ada: “Si andava a messa e poi si passeggiava”.
Luciano: “Si passeggiava nei bordi del canal grande”.
Maddalena: “Anche sulle rive del Taro”.
Anna: “Io mi alzavo alla mattina presto per andare a mungere la vacche, tutti i
giorni, anche la domenica”.
Ada: “Si lavorava nei campi, si andava a raccogliere i pomodori, le cipolle... i
pomodori si portavano alla fabbrica Mutti o Rodolfi”.
48
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Seduta del 5 febbraio 2007 – Gruppo 2
Stesso ascolto del primo gruppo in questa data.
Mario: “È una sigla di una trasmissione televisiva o di una pubblicità”.
Arves: “Si andava a ballare pomeriggio e sera”.
Bice racconta di quando invitava le persone a ballare nella sua loggia.
Deborah: “Andavo a ballare con il moroso”.
Fortunata: “Anch’io andavo a ballare con il moroso all’Escalier o all’Arena”.
Annamaria: “Si andava a messa, si facevano i lavori di casa”.
Cleonice: “La domenica bisognava appoggiare gli attrezzi, ci si lavava alla
fonte dove l’acqua era fredda, ci si vestiva bene, a festa, poi si mangiava il pranzo
che la mamma preparava, poi liberi fino a sera, ci si truccava usando la cipria e il
borotalco”.
Seduta del 12 febbraio 2007 – Gruppo 1
Elena introduce l’ascolto della canzone Un amore così grande parlando di arie
d’opera.
Ada: “Andavo al teatro Regio a vedere le opere quando apriva la stagione”.
Annamaria: “Le canzoni di Puccini la sapevo tutte”.
Successivamente ha inizio l’ascolto:
Luciano: “La musica è un miracolo divino”.
Giuseppe: “Stringe la gola, ho sentito la voce, la musica, tutto”.
49
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Annamaria: “Io ho pianto, sono andata al teatro Regio con mio marito e ho
sentito questa canzone e allora mi sono commossa, a io cridè33 e ho preso lui
(indicando Giuseppe seduto a fianco), e gli ho stretto il braccio per l’emozione.
Poi si parla del carnevale:
Luciano: “Ci sono i carri allegorici, si andava a bussare a casa degli amici, si
mangiano la chiacchiere, i tortellini fritti, le frittelle”.
Seduta del 12 febbraio 2007 – Gruppo 2
Stesso ascolto del primo gruppo in data odierna; Elena chiede di ascoltare la
canzone e di riconoscere il cantante.
Inizia il brano dopo due parole Annamaria dice: “È Claudio Villa è
inconfondibile”.
Mario, commosso: “Ho portato una scorta di fazzoletti perché so che la musica
mi fa questo scherzo”.
Seduta del 19 febbraio 2007 – Gruppo 1
Ascolto dell’aria E lucean le stelle di Puccini.
Ada: “Io cantavo nelle corale “Verdi”.
33
a io cridè: “ho pianto”.
50
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Seduta del 19 febbraio 2007 – Gruppo 2
Annamaria: “Assia Noris ballava insieme con De Sica intanto che lui cantava
questa canzone”.
Il discorso devia su un altro argomento: il lavoro.
Cleonice, che ha fatto la mondina, spiega il suo lavoro, sostenuta nel discorso
da Rosetta: “Sono stata la prima del mio paese ad andare a fare la mondina, si
partiva in primavera a maggio-giugno, in treno con una valigia con i panini e i
vestiti per cambiarsi. Si lavorava dalle cinque della mattina alle due del
pomeriggio, tutto il giorno con i piedi nell’acqua, le zanzare ci mangiavano vive,
per pranzo si mangiava una pagnotta, senza companatico, pane fatto di riso che
era duro cioè tiragno.34 Dopo ci si cambiava e si andava in paese, c’era la libertà
di andare a spasso, si stava via per quaranta giorni, per la durata della campagna
senza avere notizie di casa.
Subito si piantavano le pianticelle nell’acqua andando all’indietro, crescendo
formava dei grappoli, si toglievano le erbacce, tirare via la ‘zizagna’35 e si tagliava
come il grano.
Il frumento si tagliava con la ‘misora’36 e si facevano i covoni.37
Arves interviene: “Tanti covoni formavano le crocette, e venivano lasciati nel
campo, con questo sistema il grano si bagnava meno”.
Rosetta: “Si andava a ‘spigolare’, cioè a raccogliere le spighe rimaste in terra e
si portavano insieme alle altre”. Poi, riferendosi ai momenti di lavoro nei campi:
“Ma ti ricordi, Cleonice?”.
Cleonice risponde: “Sì, anca trop”.38
34
tiragno: espressione dialettale difficilmente traducibile, indica un alimento soffice ma
resistente, in particolare il pane, che non si riesce a mordere facilmente, e per il quale occorre
aiutarsi “tirando”, appunto, con le mani.
35
tirare via la “zizagna”: “mondare il riso”.
36
misora: termine dialettale che indica piccola falce.
37
covoni: “fasci di spighe di grano”.
38
Sì, anca trop: “Sì, anche troppo”.
51
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MARCO CATELLI – SST IN MUSICOTERAPIA – SECONDO ANNO –A.A. 2006/07
CONCLUSIONI: ANIMAZIONE MUSICALE O MUSICOTERAPIA?
Un quesito che è nato da questa esperienza è quello di definire le differenze tra
animazione musicale e musicoterapia, stabilire i limiti dove inizia una pratica e
finisce l’altra.
Come si può definire un’attività musicale svolta con gli anziani?
Se chiamassimo questa attività animazione musicale svolta a favorire la
relazione e la verbalizzazione, ci si avvicinerebbe un po’ di più al termine di
musicoterapia?
Quali possono essere gli obiettivi di una musicoterapia rivolta a un gruppo di
anziani con varie patologie?
Esiste una sostanziale differenza tra musicoterapia e animazione musicale.
L’animazione si limita a far divertire le persone, i suoi scopi sono puramente
ricreativi e di aggregazione, con qualche episodio di movimento fisico, con
improvvisati accompagnamenti di battiti delle mani o con alcuni strumenti a
percussione. Naturalmente sono tutti scopi positivi per il benessere delle persone.
Come ogni terapia, anche la musicoterapia ha degli obbiettivi mirati, specifici,
a fronte dei quali la musica costituisce un mezzo per arrivare ad un cambiamento
del comportamento delle persone, portando un’attivazione psico-fisica e
cognitiva; è importante in tal senso valutare tutte le risposte, raccogliendo i
feedback e analizzandoli in modo da poter creare sedute adatte alle persone.
Un altro obiettivo potrebbe essere quello di migliorare la condizione di vita
delle persone favorendo il ricordo e la memoria tramite l’esecuzione di canzoni o
brani musicali, di aumentare la verbalizzazione e di conseguenza incoraggiare e
incentivare la relazione.
Infatti gli effetti prodotti sulle persone, facendole cantare e suonare, non sono
solo stati animativi, ma hanno avuto una valenza terapeutica misurabile e visibile,
che ha cambiato e modificato positivamente il comportamento e la condizione
delle persone stesse.
52
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Sicuramente l’intervento poteva essere ancora più specifico, seguendo delle
regole più precise, riuscendo ad osservare un’organizzazione di setting più
rigorosa.
Nell’arco di quest’anno i gruppi hanno subito vari cambiamenti dovuti ad un
avvicendamento delle persone all’interno del centro, dovuti alla salute a volte
precaria delle persone e alle problematiche famigliari (che talvolta hanno
comportato un trasferimento delle persone in strutture a tempo pieno).
Queste problematiche non sono molto produttive in una terapia con obiettivi
specifici e continui come la musicoterapia: succede infatti che il cambiamento di
un elemento all’interno del gruppo possa portare benefici, ma anche mutare
l’atteggiamento delle persone, gli equilibri all’interno del gruppo, inducendo il
musicoterapista ad adeguare le proposte in base ai componenti del gruppo
modificando un percorso già iniziato.
Anche il lavoro di gruppo è difficile da gestire sotto un punto di vista
terapeutico, specialmente un gruppo di dieci-dodici persone con patologie diverse
e bisogni differenti.
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MARCO CATELLI – SST IN MUSICOTERAPIA – SECONDO ANNO –A.A. 2006/07
CONCLUSIONI PERSONALI
Il mio impatto iniziale era di distacco verso gli anziani: alcuni mi erano più
simpatici di altri, ma non sapevo il motivo, anche se continuavo a chiedermelo.
Passato un periodo di ambientamento, ho scoperto quale elemento mi portava
al distacco: non stavo facendo un intervento di musicoterapia con anziani, ma
bensì con delle persone.
Un mio pregiudizio iniziale mi portava a dare un significato diverso alla parola
anziano, la associavo ad una malattia o patologia, invece non vuol dire nulla di più
che: persona di età avanzata.
Chiarito questo concetto, mi sono avvicinato alle persone trovando piacere
nella loro compagnia e nel condividere momenti musicali.
Un intervento che mi ha dato modo di conoscere un mondo per me
sconosciuto, di avvicinarmi ad una fascia d’età la quale mi incuriosiva e allo
stesso tempo mi intimoriva, un tirocinio che ha avuto una vera e reale funzione
formativa, come musicoterapista e come persona.
Desidero ringraziare, in particolare, la musicoterapista Elena Gallazzi per i suoi
insegnamenti durante questa esperienza di musicoterapia, e la cooperativa Dolce
per avermi dato l’opportunità di svolgere il tirocinio formativo all’interno del
Centro diurno “Cittadella”.
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BIBLIOGRAFIA
ANNA CONDOLF, MARIA BERNARDI, Psicologia per il tecnico dei servizi
sociali, Roma, Clitt, 1998
FRANCESCO DELICATI, Il canto fa venire fuori il paese più in fretta, Assisi, Pro
Civitate Christiana, 1997
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... e anche in età avanzata credo che la musica
possa arrivare a migliorare il comportamento
delle persone.
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