UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET
ASSOCIATION INTERNATIONALE SANS BUT LUCRATIF BRUXELLES – BELGIQUE
THÈSE FINALE EN «MUSICOTHÉRAPIE»
GLI ANZIANI HANNO LE MANI CALDE
INTERVENTO DI MUSICOTERAPIA IN CONTESTO RIABILITATIVO
MARCO CATELLI
Matricule 1874
Bruxelles, Juillet 2008
ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES
MARCO CATELLI – SST IN MUSICOTERAPIA - TERZO ANNO A.A. 2007 - 2008
INDICE
p. 1
INTRODUZIONE
PARTE PRIMA
1. L’ANZIANITÀ E L’ASSISTENZA
1.1
1.2
1.3
1.4
1.5
1.6
1.7
L’anzianità
La demenza
Il pensionamento e l’istituzionalizzazione
Una nuova idea di anzianità
L’assistenza per l’anziano
Descrizione di un Centro diurno
Il Centro diurno “Cittadella” di Parma
p. 4
p. 6
p. 10
p. 12
p. 13
p. 14
p. 16
2. IL PROGETTO
2.1
2.2
2.3
2.4
2.5
2.6
Riferimenti teorici
2.1.1 La vocalità
2.1.2 La narrazione
Il progetto e la formazione dei gruppi
L’intervento
Il setting
Il ruolo del coterapista
L’osservazione
p. 18
p. 21
p. 21
p. 23
p. 24
p. 25
p. 26
p. 30
3. SVOLGIMENTO DELL’ATTIVITÀ
3.1
3.2
3.3
3.4
3.5
3.6
3.7
L’accoglienza
La scelta delle canzoni
3.2.1 La musica popolare
3.2.2 Canti legati ai periodi dell’anno
3.2.3 Struttura della canzone italiana
Dinamica della seduta
Materiali utilizzati
Il ritmo involontario
Dalla canzone alla parola: il percorso per arrivare alla verbalizzazione
3.6.1 La lettura cantata
3.6.2 La lettura verbale
Un esempio pratico
4. RISULTATI
p. 36
p. 38
p. 39
p. 42
p. 43
p. 43
p. 45
p. 46
p. 47
p. 47
p. 48
p. 48
p. 51
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PARTE SECONDA
5. IL DIARIO DEI RICORDI
5.1 Quattro grandi temi
5.1.1 Il lavoro
5.1.2 La mamma
5.1.3 L’amore
5.1.4 La guerra
5.2 Il diario dei ricordi
p. 54
p. 54
p. 55
p. 56
p. 57
p. 58
6. REPERTORIO DEI BRANI MUSICALI
p. 81
CONCLUSIONI: ANIMAZIONE MUSICALE O MUSICOTERAPIA?
p. 85
BIBLIOGRAFIA
p. 89
SITOGRAFIA
p. 90
RINGRAZIAMENTI
p. 91
Mio dio come sono vecchie le mie
mani. Non l’ho mai detto prima, ma lo
sono.
Ne ero così fiera, prima. Erano
dolci come il velluto di una pesca
soda. Ora la loro morbidezza somiglia
piuttosto a quella delle stoffe usate, o
delle foglie appassite. Quando queste
mani graziose e sottili, sono diventate
degli artigli nodosi e contratti? […]
Sono appoggiate alle mie ginocchia,
come staccate da questo corpo usato,
che mi ha così bene servito.
[D. SWANSON]
La musica è l’esempio unico di ciò
che si sarebbe potuto dire se non ci
fosse
stata
l’invenzione
del
linguaggio, la formazione delle
parole, l’analisi delle idee, la
comunicazione delle anime.
[M. PROUST, La prigioniera]
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INTRODUZIONE
Il presente lavoro nasce da una richiesta specifica, quella di portare la musica
all’interno di un centro diurno per anziani situato nella città di Parma e, in
particolare, di portare la musica non semplicemente per fare un’attività ricreativa
o di animazione, ma in modo che essa abbia, in termini terapeutici, una valenza
più definita.
La società che ha in gestione il centro diurno ha dunque richiesto
espressamente un intervento di musicoterapia atto a stimolare, attivare, mettere in
relazione le persone e favorire una maggior verbalizzazione e una maggiore
socializzazione attraverso l’uso della musica.
Si è trattato di una esperienza di musicoterapia riabilitativa nella quale il canto
ha costituito la tecnica adottata per il raggiungimento degli obbiettivi richiesti e
condivisi.
L’intervento svolto è stato di carattere non prettamente clinico ma riabilitativo,
in quanto l’impiego del canto è stato utilizzato per aiutare gli anziani non solo a
ritrovare piacere e benessere, ma prevalentemente a recuperare, nel ricordo, parte
della loro vita, a ritrovare piacere nel raccontare episodi personali, nell’ascoltare
le storie di vita delle altre persone, nell’emozionarsi ascoltando o cantando un
brano in grado di far riaffiorare un periodo dell’infanzia o della giovinezza, far
rivivere un ricordo d’amore, di gioia o di dolore.
Nel progetto si sono tenuti in considerazione tutti gli aspetti che riguardano le
persone anziane: dal tipo di repertorio da poter impiegare alle differenti patologie
e ai mutamenti comportamentali che ne derivano.
Questo lavoro è dunque un resoconto dell’intervento svolto presso il centro
diurno “Cittadella” di Parma, delle modalità impiegate nel porsi rispetto
all’anziano (il tono della voce, la postura, il contatto fisico e visivo, la simpatia, lo
scherzo e i toni fermi e decisi), dei canali adoperati per mettere le persone in
contatto, per farle arrivare a relazionarsi, cantando, parlando, conoscendosi; e
anche dei cambiamenti e degli adattamenti che il progetto ha subìto in itinere, in
modo da essere sempre efficace e da assecondare lati delle persone quali il
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carattere o i gusti musicali che solo strada facendo si possono riuscire a capire. Il
centro diurno è situato in una provincia, quella di Parma, dove la musica è
sicuramente molto sentita dalle persone, specialmente dalle persone anziane. La
città di Parma ha avuto notevoli influenze musicali di grande spessore (tanto per
citare alcuni nomi, Giuseppe Verdi e Arturo Toscanini), ma per le persone anziane
la musica popolare ha avuto un significato ancora più importante, in quanto è
soprattutto con essa che le persone ospitate nel centro diurno sono cresciute.
Questo lavoro è anche un racconto di quanto gli stessi anziani presenti nel
centro diurno hanno svolto durante quest’anno di attività, delle storie di vita che ci
hanno donato e del grande rispetto per il nostro lavoro che ci hanno regalato.
Infine, un accenno al titolo da me scelto per il presente lavoro: le mani sono il
segno degli anni che avanzano, il metro di misura della propria vecchiaia, lo
specchio della crescita e del progredire dell’età.
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PARTE PRIMA
3
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1. L’ANZIANITÀ E L’ASSISTENZA
L’anziano è ancora una persona
attiva, capace di provare piacere e di
risvegliare il proprio interesse verso
l’esterno e verso gli altri.
[F. DELICATI]
1.1 L’anzianità
La maggior parte delle ricerche svolte sull’invecchiamento si sono orientate
verso uno studio globale di che cosa possono essere la vecchiaia e l’anzianità,
interessandosi non solo al decadimento fisico dovuto all’avanzare dell’età, ma a
tutti gli aspetti biologici-fisiopatologici, socio-culturali, psichici, e anche agli
aspetti che vengono racchiusi nella sfera emotiva-affettiva:
L’invecchiamento, studiato dalla medicina, dalla psicologia, dalla sociologia attraverso
una vastissima gamma di esperimenti, di prove di test, di questionari, interviste è
emerso via via [...] come un processo di inarrestabile declino, a cui sembravano
concorrere – senza possibilità di modificazioni – tutte le variabili esistenziali: da quelle
biologiche a quelle psicologiche, a quelle relazionali e sociali in senso lato.1
L’invecchiamento porta nelle persone vari disturbi fisici a livello
cardiovascolare e respiratorio nonché nel sistema muscolo-scheletrico, ed
eventuali perdite graduali di tutti gli apparati sensoriali, in particolare l’udito e la
vista: soprattutto le alterazioni a carico di queste ultime possono porre l’anziano di
fronte a difficoltà di relazione.
Altri disturbi, non meno dannosi dal punto di vista relazionale e ben più gravi
sotto il profilo clinico, sono i danni al sistema nervoso che controlla la
funzionalità del corpo intero, e di conseguenza tutti i cambiamenti cognitivi
(l’attenzione, la percezione, il pensiero e soprattutto la memoria):
Il sistema nervoso è il sistema di controllo dell’intero corpo e le sue alterazioni non solo
si manifestano sulla motricità, sull’efficienza corporea, ma soprattutto hanno dei risvolti
importanti sul piano del comportamento, della capacità di elaborazione del pensiero.2
1
Federica Dell’Orto Garzonio, Patrizia Taccani, Conoscere la vecchiaia, Manuale per
operatori sociali, educativi e sanitari, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1990, p. 12.
2
Anna Condolf, Maria Bernardi, Psicologia per il tecnico dei servizi sociali, Roma, Clitt,
1998, p. 315.
4
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Le persone, con il progredire dell’età, perdono progressivamente la capacità
dell’uso delle facoltà sensoriali, e ciò comporta difficoltà di attenzione nello
svolgere e affrontare compiti sia manuali che intellettivi, e difficoltà nel recepire
tutti gli stimoli provenienti dall’esterno.
L’avanzare
dell’età
non
comporta
necessariamente
un
progressivo
impoverimento psico-fisico, ma avviene in modo individuale a seconda delle
condizioni di vita di ciascuna persona.
L’invecchiamento e il decadimento psico-fisico di una persona non sono
solamente collegati con l’avanzare dell’età: tutti noi conosciamo persone
novantenni con una impressionante vitalità e lucidità mentale, e persone
sessantenni che a volte dimostrano di essere meno presenti e che hanno in
generale gravi problemi fisici e psichici. Il decadimento psico-fisico di un anziano
è infatti quasi sempre legato anche alla sua situazione complessiva, che riguarda
tutto ciò che lo circonda, dalle condizioni di salute a quelle economiche,
dall’attività lavorativa a quella culturale:
Di una cosa si può essere certi: che l’invecchiamento varia “storicamente” secondo le
generazioni; varia “sociologicamente” secondo le condizioni di vita; varia da un
individuo all’altro a seconda della sua “costituzione”.3
Quando si pensa a che cos’è l’anzianità o come si presenta un anziano
facciamo riferimento alla nostra conoscenza, a quello che vediamo e abbiamo
imparato, a tutto ciò che ha costituito le nostre idee su com’è un anziano. Una
risposta vera è che sono anzitutto delle persone. Non solo “anziani” ma “persone”,
essere viventi con indubbiamente un’età avanzata.
Molto spesso si etichetta l’anziano come malato solo in quanto anziano.
L’anziano deve quindi confrontarsi con una serie di stereotipi negativi e di
pregiudizi sociali collegati alla vecchiaia, che incidono sul concetto di sé e sulla
propria autostima. Tali stereotipi influiscono infatti sulle possibilità dell’anziano
di ricercare una nuova identità. Se le persone che gli sono intorno gli rimandano
un’immagine di “malato”, “incapace”, “brutto”, egli tenderà ad adeguarsi ad essa:
3
Evelyne Sullerot, Età e identità sociale, Roma, Lavoro, 1987, p. 94, citato in Federica
Dell’Orto Garzonio, Patrizia Taccani, Conoscere la vecchiaia, Manuale per operatori sociali,
educativi e sanitari, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1990, p. 17.
5
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«Descrivere le caratteristiche dell’età anziana significa confrontarsi con stereotipi
e con una varietà di modi di essere e di agire degli anziani».4
1.2 La demenza
La malattia che ruba la mente al
paziente e spezza il cuore ai familiari
[J. STONE]
Come abbiamo visto, questi decadimenti interessano tutte le persone senza
particolari patologie, ed è prevalentemente, ma non solo, il progredire dell’età la
causa di questi deficit psico-fisici:
Se è vero che non si può condividere l’idea che il funzionamento cognitivo degli anziani
sia necessariamente inferiore a quello delle persone più giovani, dobbiamo anche
riconoscere che ci sono condizioni fisiche legate al deterioramento cerebrale, alle quali
alcuni anziani sono più predisposti, e che possono causare loro grande confusione.
Queste condizioni vengono definite demenze e la forma più temuta è il morbo di
Alzheimer, che è causa di grande sofferenza sia per i pazienti che per le loro famiglie.5
Quando sopraggiunge una patologia come la demenza gli effetti sono ancora
più gravi e maggiormente tangibili: «Il dato più caratteristico della demenza è la
perdita delle facoltà intellettive per cui si assiste ad un progressivo deterioramento
delle funzioni mentali e della personalità, per questo la demenza è catalogata
anche tra i disturbi psichici».6
Le demenze possono colpire tutti, anche persone che prima non avevano dato
alcun segnale di sofferenza a livello psichico; esse comportano una
compromissione delle facoltà mentali tali da pregiudicare la possibilità di una vita
autonoma.
Questi
sintomi
sono
spesso accompagnati da disturbi del
comportamento e della personalità.
I primi segnali provengono proprio dalla memoria, e in particolare si hanno
quando una persona non riesce più a far un uso della memoria a breve termine e
convoglia tutte le informazioni nella memoria a lungo termine, trovandosi in un
non riconoscimento del momento, del qui e ora, e percependo anche difficoltà
4
Anna Condolf, Maria Bernardi, Psicologia per il tecnico dei servizi sociali, cit., p. 315.
Linda L. Viney, L’uso delle storie di vita nel lavoro con l’anziano, Trento, Ed. Centro Studi
Erickson, 1994, p. 30.
6
Anna Condolf, Maria Bernardi, Psicologia per il tecnico dei servizi sociali, cit., p. 343.
5
6
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nell’orientamento spazio-temporale: «Le demenze insorgono in età adulta o
senile, in soggetti che precedentemente non manifestavano disturbi cognitivi o
comportamentali» e «hanno come dato comune un danno organico cerebrale che
determina deficit cognitivi, disturbi della personalità, difficoltà a gestire la vita
quotidiana».7
Il progredire della malattia determina dimenticanza di nomi comuni, incapacità
a riconoscere persone non legate affettivamente, confusione mentale, depressioni,
isolamento e conseguente solitudine, continue narrazioni di episodi non inerenti al
momento, cambiamenti di umore. L’anziano tende a chiudersi in se stesso, a
nutrire poco interesse per ciò che lo circonda, e cresce a volte in lui una
sensazione di vuoto, la sensazione di sentirsi di nessuna utilità. Inoltre, «Spesso
l’anziano ha più attenzione per le parti del corpo malate che per quelle sane, e usa
la malattia come elemento attorno al quale far ruotare le relazioni e le attività
quotidiane».8
Esistono varie tipologie di demenza: demenza di Pick, demenza a corpi di
Lewy, demenza vascolare multi-infartuale e demenza di Alzheimer.
La demenza di Pick si ritrova in modo sporadico ed è facilmente confusa con la
demenza di Alzheimer. Il lobo frontale è la parte interessata da questo tipo di
demenza, e la percentuale di riscontro tra le varie demenze varia dal 2 al 9%. Si
tratta di «una forma di demenza che colpisce prevalentemente il tessuto cerebrale
della corteccia dei lobi frontali del cervello dove si deposita la proteina “difettosa”
(proteina Tau)».9 Questa demenza comporta in una fase iniziale modificazioni che
interessano la personalità, una compromissione delle funzioni esecutive e
alterazioni del comportamento, mentre in una fase più avanzata causa anche
difficoltà di memoria e aprassia.
I pazienti affetti dalla demenza a corpi di Lewy presentano invece allucinazioni
visive e alterazioni del movimento. In questa malattia vi sono delle alterazioni del
tessuto nervoso dovute alla presenza di cellule all’interno della corteccia
7
Ivi, p. 342.
Ivi, p. 341.
9
Gabriele Carbone, Invecchiamento cerebrale, demenze e malattia di Alzheimer, Milano,
Franco Angeli, 2007, p. 38.
8
7
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cerebrale, che Lewy descrisse per primo nel 1912. La percentuale di riscontro di
questo tipo di demenza è tra il 6 e il 25% dei casi.
Quanto alle demenze di tipo vascolare o multi-infartuale, esse sono causate da
ictus subiti dalle persone, hanno un esordio improvviso e un decorso graduale.
Secondo le statistiche, l’8% delle persone sopra i 60 anni colpite da ictus presenta
una demenza entro l’anno successivo, rispetto all’1% delle persone che non sono
state colpite da ictus.10 L’andamento della malattia è irregolare e varia a seconda
delle regioni che sono state interessate dell’ictus.
La demenza di Alzheimer, infine, è la più comune, e rappresenta il 55-60% dei
casi. Prende il nome da Alois Alzheimer, neurologo tedesco, primario di una
clinica per dementi, che nel 1901 descrisse il primo caso.
La demenza di Alzheimer è una malattia organica, causata da una
degenerazione delle cellule del cervello: «Accanto alle forme trasmesse
geneticamente, sono numerosi e solo parzialmente noti i fattori di rischio che
concorrono all’insorgenza di questa forma di demenza [...]. Le alterazioni
genetiche sono responsabili della produzione di proteine anomale, così come i
fattori di rischio causano (interagendo tra loro) le caratteristiche alterazioni a
carico del tessuto nervoso (placche senili e grovigli neurofibrillari) responsabili di
manifestazioni cliniche molto eterogenee».11
La diagnosi della malattia non è semplice: vengono fatti numerosi test di
laboratorio, esami fisici e neurologici, anche se la diagnosi definitiva viene
formulata solo dopo un esame al microscopio del cervello, in genere eseguito
durante l’autopsia.
I primi sintomi di questa malattia sono vari disturbi della memoria (amnesia),
che a volte vengono interpretati come cali dovuti all’avanzare dell’età; in seguito i
sintomi sono difficoltà nel parlare e difficoltà nell’orientarsi (afasia, aprassia,
agnosia).
Anche la memoria a lungo termine è colpita dalle demenze, sia la memoria
dichiarativa, sia la memoria procedurale. La memoria dichiarativa riguarda i fatti e
10
Cfr. American Psychiatric Association, Linee guida per il trattamento della malattia di
Alzheimer e delle altre demenze senili, a cura di Carlo Lorenzo Cazzullo e Massimo Clerici,
Milano, Masson, 1999, p. 13.
11
Ivi, pp. 43-44.
8
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gli episodi avvenuti, e si suddivide in memoria semantica (che riguarda le
conoscenze enciclopediche) e in memoria episodica (che interessa il ricordo di
eventi specifici). La memoria procedurale concerne invece quelle abilità pratiche
quali andare in bicicletta, fare il caffè ecc.
Le demenze fanno venire meno queste capacità mnemoniche provocando alle
persone difficoltà a collocarsi in un periodo storico, a riconoscere persone
appartenenti alla propria famiglia (se si è sposati o se si hanno dei figli), a
svolgere delle piccole azioni manuali e pratiche.
L’amnesia è spesso il primo sintomo: viene colpita la memoria a breve termine,
viene meno la capacità di trattenere informazioni ricevute e di acquisirne di
nuove. L’afasia è un disturbo del linguaggio che compromette la comprensione e
la produzione di parole, il riconoscimento dei nomi degli oggetti e in alcuni casi
può implicare anche forme ecolaliche. Infine, l’aprassia si manifesta con
l’incapacità nel compiere o ripetere movimenti e gesti che caratterizzano la vita
quotidiana, ad esempio mangiare, lavarsi, vestirsi, mentre l’agnosia consiste in
una difficoltà nel riconoscimento di volti conosciuti o nella descrizione di oggetti.
Le persone colpite da sindrome di demenza si trovano in uno stato confusionale
a causa del quale non riescono a distinguere la realtà dalla loro immaginazione, da
quella “realtà” che la patologia fa credere di star vivendo. I danni delle demenze
colpiscono per lo più il sistema sensoriale e cognitivo, la percezione, la
sensazione, e soprattutto la memoria. La modificazione più tangibile si riscontra
nella capacità dell’uso della memoria a breve termine (MBT) o memoria di lavoro,
che subisce i danni più rilevanti: la persona anziana trova più difficoltà nel
ricordare tutti i vari episodi ed in particolare avvenimenti recenti, anche i più
banali (come ricordare il posto dove si sono messi gli occhiali o cosa si è
mangiato il giorno precedente). A volte capita che le persone inizino a parlare e
nel mezzo del discorso, o se interrotte, non riescano a ricordare cosa stessero
dicendo e a proseguire la frase.
Non riuscendo più ad usare la memoria a breve termine, la persona anziana
rischia di non poter eseguire tutte quelle mansioni che la vita quotidiana richiede
per il mantenimento di quella che viene chiamata autosufficienza.
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Il ricordare brevi episodi di vita quotidiana sarebbe un aiuto per gli anziani,
darebbe loro dei punti fissi sui quali poter trovare un appoggio, e servirebbe per
fornir loro un ancoraggio alla realtà.
Anche la memoria a lungo termine è colpita dall’invecchiamento e dalle
demenze, ma subisce dei danni minori: infatti le persone ricordano con più
lucidità avvenimenti accaduti diversi anni prima, vicende che riguardano la loro
infanzia o gioventù, anche perché generalmente sono ricordi legati a persone care
o a episodi significativi, dove la componente emotiva favorisce il ricordo. Si ha
infatti «una maggior difficoltà nel consolidamento e quindi recupero di
informazioni recenti, mentre le informazioni che riguardano il passato vengono
facilmente riportate alla mente».12
1.3 Il pensionamento e l’istituzionalizzazione
Il progredire dell’età porta come abbiamo visto dei deficit a livello organico e a
livello cognitivo. Questi “peggioramenti” psico-fisici non sono totalmente da
attribuire al processo dell’invecchiamento, ma anche a cambiamenti importanti
che influiscono in modo negativo sulle condizioni della persona. Tra i fattori che
possono segnare maggiormente una persona anziana troviamo il pensionamento e
l’istituzionalizzazione.
Vi sono poi alcune differenze su come vive l’anzianità un uomo rispetto a una
donna. Il sentimento che appare nell’uomo è di inutilità, causato spesso dal
pensionamento, e conferisce alla vecchiaia un significato di malattia:
Il pensionamento è una delle più importanti pietre miliari della vita nelle società
industriali occidentali. Il suo significato è opprimente per tutti coloro che sono stati
educati a concepire il proprio valore in termini di occupazione. […] Il lavoro fornisce
molto di più che il solo denaro. Fornisce reti sociali, delle abitudini, un motivo per
alzarsi al mattino e per sentirsi stanchi la sera. Fornisce una “impalcatura” per la vita
delle persone e assegna loro un “posto” nella società.13
Le donne riescono a staccarsi da questa idea di inutilità svolgendo ruoli più
femminili come quelli tipicamente domestici, attaccandosi al ruolo di nonna o alla
12
Anna Condolf, Maria Bernardi, Psicologia per il tecnico dei servizi sociali, Roma, Clitt,
1998, p. 326.
13
Federica Dell’Orto Garzonio, Patrizia Taccani, Conoscere la vecchiaia, cit., p. 25.
10
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fede, anche se pure le donne sentono molto il distacco dai luoghi domestici causati
da una istituzionalizzazione. «L’invecchiamento» è infatti «un processo di
adattamento e di adeguamento a nuove condizioni, che varia da individuo a
individuo ed è fortemente influenzato da fattori esterni all’individuo stesso».14
Quando un anziano viene ricoverato in un istituto va incontro a tutta una serie
di fattori che possono influenzare in modo negativo la sua condizione.
L’istituzionalizzazione crea alla persona notevole disagio, è un cambiamento di
vita molto forte e brusco: gli ambienti non sono più quelli domestici e familiari, si
perde il senso dell’identità personale, cresce il senso di inutilità poiché non si
possono più compiere quei piccoli gesti quotidiani che caratterizzavano un’intera
vita, si ha un senso di insicurezza, di abbandono e di lontananza dagli affetti cari.
La nostra vita passata non è altro che un insieme di immagini che ci aiutano a
ricordare, a ricostruire, a dare un senso di identità alla nostra esistenza; tutte le
cose, gli oggetti che ci circondano hanno per noi un significato non solo
metaforico ma reale, diamo a ciò che vediamo un valore che spesso associamo ad
un avvenimento, ad una persona, leghiamo un’emozione a qualsiasi cosa che
riguarda noi stessi, la nostra persona. Noi.
Privata della vista di queste immagini la nostra mente si trova in un qualche
modo disorientata, non ritroviamo più quegli appoggi che ci danno sicurezza, che
ci ancorano e che ci tengono agganciati a tutti i nostri affetti vitali:
Queste “mutilazioni esistenziali” minano profondamente il senso d’identità della
persona anziana: l’esperienza della separazione, la perdita di affetti, il danno
dell’immagine di sé, il senso di catastrofe e di impotenza, le fantasie di morte, la
mancanza di sicurezze derivanti dal non vivere negli ambienti familiari, il cambiamento
di ritmi nutrizionali e del sonno, il timore e l’incertezza del futuro.15
La maggior parte delle persone ospitate in strutture possono avere un
peggioramento dello stato emotivo, forti depressioni, disturbi dell’umore,
tristezza, pessimismo e chiusura in se stessi. La componente emotiva risente
maggiormente di una istituzionalizzazione: viene meno quella che può essere la
capacità o la volontà dell’espressione emotiva, la creatività viene smorzata da
tutto il senso di incapacità che le persone ricoverate tendono a riversarsi addosso.
14
Francesco Delicati, Il canto fa venire fuori il paese più in fretta, Assisi, Pro Civitate
Christiana, 1997, p. 11.
15
Ivi, p. 12.
11
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Le persone, sentendosi “inutili”, perdono la voglia di fare: tutti gli stimoli
vengono recepiti in tono minore, aumentano tutti i sentimenti di astio verso il
mondo esterno, la rabbia contro gli operatori, il senso di stanchezza, il sentimento
di inadeguatezza, la coscienza di non poter stare più insieme alle altre persone, di
non poter più far parte di un gruppo e di svolgerne all’interno un ruolo attivo.
Tutti questi fattori provocano una tendenza all’isolamento:
L’anziano depresso ha poco interesse per ciò che lo circonda: appare chiuso e annoiato,
è scontento per ciò che gli viene offerto e mostra poca capacità di trarre piacere da una
qualsiasi attività. Cresce in lui la sensazione di sentirsi inutile, vuoto e inaridito, la vita
perde attrattiva e sembra che il futuro non offra niente per cui valga la pena di
continuare a vivere. Vive con rimpianto e nostalgia il passato, sopporta con fatica il
presente e, se non viene stimolato, tende a regredire ad una condizione di passività e di
riduzione di autonomia, a rinchiudersi in se stesso e a rinunciare a vivere le proprie
emozioni.16
Le persone anziane si chiudono dentro le mura di inattività e depressione che si
“sono costruite”, tendendo a non voler fare alcuna attività che le possa far uscire
allo scoperto e andare incontro a quelle che possono essere le loro emozioni, o più
semplicemente che le coinvolga in qualcosa di attivo.
La musica, specialmente per gli anziani, è una forza che riesce a contrastare
queste barriere così forti e che tendono a radicarsi dentro le persone; la musica ha
questo potere, volendo o non volendo porta le persone a esprimersi: si può
“tentare di resistere” ma alla fine bisogna cedere, e anche in minima parte si viene
coinvolti dalla grande energia che la musica trasmette restituendo alle persone
quelle immagini così piene di significato appartenenti alla loro vita.
1.4 Una nuova idea di anzianità
Mai perdere di vista il fatto che i
vecchi hanno bisogno di poco ma di
quel poco hanno tanto bisogno.
[M. WILLAUR]
Negli ultimi anni sta emergendo, sia dagli studi teorici, sia dalle esperienze
effettuate sul campo, l’idea che l’anziano è un soggetto ancora ricco di
potenzialità, di speranze e desideri, di creatività e bisogni vivi.
16
Ivi, pp. 13-14.
12
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Tutte qualità che però, come abbiamo visto, la persona anziana tende a tener
represse e a non esprimere; ed è appunto per questo che «si sta capendo sempre
più l’importanza di tenere l’anziano impegnato in attività animative ed attivanti,
per contrastare il decadimento e il deterioramento sia fisico che psicologico».17
L’anziano è ancora una persona in grado di poter dare molto a se stesso e anche
alle altre persone. Gli anziani sono dei libri aperti pieni di esperienze dove poter
trovare informazioni e consigli, e le loro vite ricche di concretezza, realtà e
saggezza si possono quasi “sfogliare”: «oggi i vecchi sono considerati un peso
morto per la nostra società, al contrario dei primitivi che stimavano gli anziani in
quanto saggi e quindi in grado di scambiare con il gruppo il proprio valore».18
Apprezzando meglio le caratteristiche di ogni persona si potrà riuscire a vedere
al di là della sua malattia, a riconoscere e valorizzare ogni tipo di risorsa,
mantenere una ragionevole considerazione dell’identità e soprattutto farla sentire
accettata rispetto al fatto che non è responsabile dei propri deficit.
1.5. L’assistenza per l’anziano
La salute è la capacità di vivere
pienamente il proprio potenziale di
vita a qualsiasi età.
[M. GALLUCCI]
Se è vero che l’anziano è ancora in grado di esprimersi, è altrettanto vero che è
una persona che necessita di aiuto e di sostegno per poter riuscire a proseguire nel
miglior modo la propria vita. Come giustamente osserva Maurizio Gallucci,
le vite dei nostri malati sono silenziose, ma non mute: esse chiedono a noi la capacità di
varcarne la superficie, di andare oltre la loro materialità; chiedono a noi di cogliere,
fuori dal chiasso delle ideologie e dal frastuono quotidiano, la loro voce segreta eco
dell’anima e di ciò che è “Altro”, del mistero dell’Essere che è in noi e che ci avvolge; il
loro silenzio è in verità una voce sottile che può essere ascoltata solo dalla nostra
coscienza morale.19
Molto dobbiamo ai nostri anziani. Quelli di ieri sono le nostre radici, tradizioni
e storia. Quelli di domani erediteranno ciò che saremo in grado di tramandare
loro: «Opportuni sono, perciò, tutti quegli interventi volti a migliorarne la qualità
17
Francesco Delicati, Il canto fa venire fuori il paese più in fretta, cit., p. 14.
Berenice D’Este, Terapia della danza e del suono, Torino, Clerico Editore, 1998, p. 15.
19
Maurizio Gallucci, La motivazione nell’assistere e curare l’anziano, Treviso, Antilia, 2004,
p. 68.
18
13
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di vita, nella consapevolezza che, per dare, non occorre andare tanto lontano».20
Inoltre,
Attuare per l’Anziano un’assistenza adeguata costituisce da sempre un compito che
manifesta la qualità sia dello sviluppo delle varie civiltà, sia della singola persona e
gruppo umano. Infatti la storia delle varie culture rivela come ogni gruppo umano abbia
vissuto l’anzianità come il periodo più ricco di valori della persona. Questo, in alcune
epoche, è giunto a fare coincidere l’anzianità con l’acquisizione della saggezza della
vita. Pur con i vari disagi e malesseri propri dell’età, la persona anziana può essere
depositaria di una sapienza di vita che è venuta formandosi attraverso la varie prove
dell’esistenza… Ne consegue, per le generazioni più giovani, il compito indifferibile di
assicurare un’adeguata assistenza fisica e psichica, materiale e spirituale, personale e
sociale alle persone anziane.21
Per tutti questi motivi occorre riuscire a dare un sostegno, un aiuto alle persone
anziane, fare qualcosa per loro in modo da conservare quello che è il nostro
passato per riconoscere le nostre radici, per aiutare queste persone ad attraversare
un periodo per loro difficile cercando di renderlo meno faticoso, stando loro
vicino, coinvolgendole anche in attività che possano distrarle e aiutarle a
continuare ad esprimersi e quindi a vivere.
1.6 Descrizione di un Centro diurno
Le strutture che si occupano di assistenza nell’ambito sociale hanno diverse
competenze che le caratterizzano e le differenziano, e queste qualità fanno in
modo che ognuna riesca ad offrire un servizio specifico, competente, idoneo e
adatto per le persone bisognose e per ogni tipo di deficit o patologia.
Esistono varie strutture, tra le quali troviamo:
–
CASE DI RIPOSO,
le più tradizionali, dove si accolgono persone non
totalmente autosufficienti;
–
RESIDENZE PROTETTE,
destinate a persone con una situazione di accentuata
non autosufficienza e con gravi deficit soprattutto di tipo psichico;
–
RSA
(residenze sanitarie assistenziali), dove i soggetti non autosufficienti
ospitati richiedono interventi terapeutici e riabilitativi di tipo sanitario, non
erogabili a domicilio e non propri dell’ospedale;
20
21
Ivi, p. 71.
Ivi, p. 215.
14
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–
CASE ALBERGO,
dove si accoglie un’utenza anziana autosufficiente o con
deboli limitazioni;
–
APPARTAMENTI PROTETTI,
un’alternativa alla casa albergo ma con le stesse
caratteristiche, dove le persone organizzano la loro vita autonomamente.
Esistono poi, in Italia, altre forme di assistenza per anziani, come:
–
DAY HOSPITAL GERIATRICO,
che prevede che le persone vengano ricoverate
per un breve periodo di tempo (alcuni giorni) in strutture adatte alla cura e
assistenza degli anziani;
–
ASSISTENZA DOMICILIARE,
gestita prevalentemente dai Comuni, dove si
fornisce assistenza pur mantenendo il domicilio delle persone;
–
ASSISTENZA DOMICILIARE INTEGRATA,
che prevede che oltre ai bisogni
assistenziali vengano erogate cure sanitarie per le diverse patologie;
–
OSPEDALIZZAZIONE
A
DOMICILIO,
indicata per i casi più gravi,
prevalentemente malati terminali che hanno bisogno di cura ma per i quali
non si ritiene più necessario il ricovero ospedaliero.
Un fattore che accomuna tutte queste forme di assistenza, oltre alla cura
dell’anziano, è che esse intervengono là dove le famiglie non riescono più, per
svariati motivi, a farsi carico della persona, ovvero dove non è più possibile far
conto sull’assistenza familiare; inoltre questi centri sono di grande aiuto a quelle
famiglie nelle quali è presente una persona anziana che richiede un’assistenza
specifica e competente.
Tutte le strutture sopra elencate danno un aiuto fondamentale alle famiglie sia
materialmente, sia psicologicamente, fornendo un sostegno morale anche di fronte
ad una malattia difficile da affrontare come la demenza.
Se è vero che le famiglie possono trovare appoggio in vari istituti che si
dedicano alla cura dell’anziano, è altrettanto vero che la famiglia è il primo aiuto
alle persone anziane: infatti «nelle complesse questioni morali che sorgono
attorno all’anziano ammalato non possiamo ignorare il coinvolgimento della
famiglia, di fatto, nell’attuale contesto politico e culturale, essa rappresenta la
principale risposta assistenziale ai bisogni degli anziani non autosufficienti».22
22
Maurizio Gallucci, La motivazione nell’assistere e curare l’anziano, cit., p. 65.
15
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1.7 Il Centro diurno “Cittadella” di Parma
Nel nostro caso, l’intervento di musicoterapia si è svolto in un centro diurno
per anziani. Si tratta di una struttura che eroga un servizio di assistenza e di
sostegno all’anziano rivolto ad un’utenza sufficientemente autonoma o con
limitate compromissioni. Vi possono affluire anche anziani non completamente
autosufficienti che vivono in famiglia e utilizzano il centro diurno come servizio
di assistenza alternativo al ricovero.23 Inoltre il centro diurno si presenta non solo
come luogo di assistenza e cura, ma anche come luogo di incontro, aggregazione
sociale, svago, intrattenimento.
Il Centro diurno “Cittadella”, gestito dalla società cooperativa “Dolce”, sorge
all’interno di una struttura comunale di recente costruzione, e prende il nome dal
quartiere della città di Parma dove è ubicato.
Il buon funzionamento organizzativo occupa sicuramente un posto di rilievo,
anche se il primo obiettivo resta il benessere delle persone, cui è riservata
un’accoglienza gentile da parte sia dei dirigenti sia delle operatrici: tutto il
personale del centro riesce infatti a essere premuroso mantenendo allo stesso
tempo un discreto rigore, in modo da riuscire ad ascoltare e ad essere ascoltato, e
da istaurare un rapporto cordiale, rispettoso e di fiducia con gli anziani. Del resto,
«La motivazione a ben operare nelle strutture sanitarie e sociali in ambito
geriatrico, qualsiasi sia il ruolo del personale, medico, infermieristico o tecnico,
trae sostentamento e vigore anche dall’organizzazione della struttura stessa».24
Lavorare con gli anziani non è sicuramente facile né cosa di poco conto, la
pazienza è un’arma indispensabile da tener sempre a portata di mano per non
lasciarsi mai prendere da sentimenti di sconforto, rabbia o chiusura nei confronti
dell’anziano.
La politica del centro diurno è quella di essere una struttura molto attenta alle
varie esigenze degli ospiti: infatti, ad attività specificatamente terapeutiche come
musicoterapia e psicomotricità sono abbinati intrattenimenti ricreativi musicali e
teatrali, oppure semplicemente momenti di relax grazie ad esempio alla
23
24
Cfr. Anna Condolf, Maria Bernardi, Psicologia per il tecnico dei servizi sociali, cit., p. 372.
Maurizio Gallucci, La motivazione nell’assistere e curare l’anziano, cit., p. 71.
16
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parrucchiera che sistema le varie acconciature delle persone – la vanità è una cosa
che non passa nel tempo.
17
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2. IL PROGETTO
2.1 Riferimenti teorici
Questa attività di musicoterapia, nata, come abbiamo illustrato all’inizio, da
una richiesta del centro diurno “Cittadella”, costituisce un progetto di carattere
riabilitativo nel quale la musica e il canto vengono utilizzati per il raggiungimento
degli obiettivi prefissi: attivare le persone rinforzando la relazione e stimolando la
comunicazione attraverso l’uso del canto e la rielaborazione del testo musicale in
modo da indurle ad una narrazione delle proprie esperienze; una narrazione che
tuttavia non consista solo in un semplice racconto, ma in un’apertura della propria
personalità che riesca a coinvolgere l’intero gruppo creando una condivisione
collettiva del vissuto, di una determinata tematica, di uno scorcio reale di vita.
Alla base di questo progetto vi sono alcuni riferimenti teorici ed esperienziali
che riguardano l’uso del canto, delle musiche e della canzone popolare come
stimolo e veicolo dei ricordi, e, viceversa, il potere curativo del ricordo e gli
strumenti con i quali esso possa essere rievocato.
In particolare abbiamo preso spunto da altre esperienze effettuate da
musicoterapeuti in strutture residenziali per anziani, nelle quali il legame
inscindibile e indispensabile tra canto, testo e ricordo è stato impiegato come
modello dando risultati che sempre più confermano come questa sia una delle
linee guida da seguire in un intervento riabilitativo-terapeutico svolto con persone
anziane.
Di indubbia utilità sono stati i numerosi articoli presenti nel sito ufficiale del
PAM,
un’associazione parmense che si occupa di attuare interventi riabilitativi e
terapeutici con pazienti anziani tramite l’uso del canto legato alla narrazione dei
ricordi. Tra i vari articoli, merita particolare interesse dal nostro punto di vista un
contributo del musicoterapista Roberto Bellavigna che tratta della canzone usata
in terapia:
con questo tipo di approccio si valorizzano le potenzialità terapeutiche e riabilitative
della forma canzone. Essa è oggetto sonoro-testuale che se opportunamente plasmato
diviene fulcro e mezzo intermediario della comunicazione. La comunicazione non è
18
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semplice riproposizione di una letteratura musicale, è invece condivisione di bisogni
che partendo da una base conoscitiva comune (la forma canzone) ne diviene una
rielaborazione creativa finalizzata al raggiungimento di obiettivi utili al miglioramento
della qualità di vita.25
Nel resoconto dell’esperienza svolta in Italia dal musicoterapista Francesco
Delicati in una struttura di accoglienza per anziani si sono trovati vari riferimenti
ad alcuni musicoterapeuti che hanno usato il canto e la canzone come terapia.
Helen Odell, inglese, da circa 25 anni svolge attività di musicoterapia ed è una
delle fondatrici dei corsi di music therapy presso la Anglia Ruskin University.26 Si
è occupata di esperienze di gruppo con pazienti psichiatrici anziani, incentrate
sull’uso di canzoni e musiche. La sua attività è orientata intorno a due principi:
- la stimolazione dei ricordi e delle associazioni attraverso repertori di
vecchie canzoni e di altre musiche generalmente ben accette dal grande
pubblico;
- la terapia del ricordo: dove gli anziani hanno sentito una determinata
canzone, in che occasione, che cosa fa loro venire in mente.27
Anche lo psicoterapeuta Ervin Poster, fondatore del Gestalt Trainig Center in
San Diego,28 afferma, riferendosi al ricordo, che «esso resuscita in noi l’attenzione
per le esperienze passate, ripresentandocele in modo che ci sembri quasi di
riviverle».29
Il musicoterapeuta tedesco Silke Jochims utilizza canzoni e canti conosciuti
con pazienti che presentano problemi di depressione dovuti all’incapacità di
accettare la vecchiaia. Il canto per Jochims può dare, quando c’è uno sfogo
emozionale molto forte, una sensazione di sicurezza: infatti, il sentimento è
placato da una forma esteriore, quella canora, che offre la possibilità di diminuire
la paura incontrollata del perdersi.30
Il canto in questo caso dà sicurezza in quanto forma musicale nota e familiare
alla persona, che si riconosce in una determinata canzone rinforzando la
consapevolezza della propria identità.
25
Roberto Bellavigna, Canzoni in terapia, nel sito <http:\\www.pamonline.it >.
Cfr. <http:\\www.anglia.ac.uk>.
27
Francesco Delicati, Il canto fa venire fuori il paese più in fretta, Assisi, Pro Civitate
Christiana, 1997, p. 40.
28
Cfr. <http:\\www.sigroma.com>.
29
Francesco Delicati, Il canto fa venire fuori il paese più in fretta, cit., p. 42.
30
Cfr. ivi, p. 41.
26
19
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La musica legata alla rievocazione del ricordo è una vera strategia terapeutica
da poter attuare con persone affette da demenze: secondo Gordon Wilcock «la
terapia del ricordo, la terapia musicale e altri approcci del genere sono [...] dei
metodi efficaci per migliorare in breve tempo la qualità della vita di queste
persone. La rievocazione di ricordi può suscitare pensieri e associazioni in grado
di rilassare il sofferente. La musica, soprattutto se legata al passato, può avere lo
stesso effetto. Quando queste attività vengono eseguite all’interno di un gruppo, è
possibile stimolare una certa interazione tra i membri del gruppo stesso, persino se
queste persone sono affette da una grave forma di demenza».31
Un percorso inverso è descritto in un altro saggio, nel quale il punto di partenza
è il ricordo usato come cura e in cui la musica figura tra i vari strumenti da poter
impiegare per la rievocazione: «Per la maggior parte delle persone la musica
rappresenta uno stimolo potente alla reminescenza [...]. Ascoltare musica può
evocare luoghi, epoche [...]. È un’esperienza che può suscitare sentimenti o
emozioni forti, associati a dei ricordi».32
Tutti questi riferimenti teorici partono dallo stesso punto di partenza e arrivano
tutti alla stessa conclusione: la musica e il canto sollecitano la memoria, stimolano
le emozioni, fanno emergere i ricordi stimolando una narrazione. Si tratta di un
legame stretto e inscindibile fra musica, canto, ricordo, narrazione e
comunicazione.
Anche in una guida informativa per familiari e operatori citata da Gabriele
Carbone è presente un capitolo dedicato ai trattamenti non farmacologici o
alternativi nel quale, per quanto riguarda i trattamenti effettuati utilizzando lo
strumento musicoterapico, si legge: «È rivolta a pazienti affetti da demenza di
grado moderato-severo, con associati problemi di linguaggio o disturbi del
comportamento. Può essere individuale o di gruppo. Gli interventi si svolgono
secondo una metodologia di tipo ricettivo basata sull’ascolto della musica che
favorisce l’evocazione di ricordi, facilita le associazioni e permette un aumento
della comunicazione verbale e non verbale».33
31
Gordon Wilcock, Quando il nonno torna bambino, Milano, Franco Angeli, 1992, pp. 142-
143.
32
AA.VV., I ricordi che curano, Milano, Raffaello Cortina, 2003, pp. 48-49.
Gabriele Carbone, Invecchiamento cerebrale, demenze e malattia di Alzheimer, Milano,
Franco Angeli, 2007, p. 72.
33
20
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2.1.1 La vocalità
Ogni persona ha delle caratteristiche fisiche diverse, e di conseguenza la voce
di ciascuno ha delle caratteristiche uniche.
In musicoterapia l’impiego della voce è importante in quanto riconoscimento
della propria personalità: si tratta di comunicare attraverso il suono prodotto da
ognuno di noi, di formare una voce unica usando la voce insieme ad altre persone
e dando vita a una coralità che identifica ciascuna persona come parte di un
gruppo:
Alla base dello sviluppo della personalità di ciascuno e ragione stessa della
sopravvivenza è il bisogno primario della comunicazione; da sempre si manifesta come
bisogno di lasciare traccia di sé, di lanciare segnali-richiamo della propria esistenza, di
esprimere-esternare i propri desideri e aspirazioni, di stabilire un contatto con l’altro-il
mondo-l’universo; da qui deriva nel contempo il bisogno che i propri messaggi vengano
raccolti e compresi e ricevano risposte. Crescita e comunicazione sono processi
inscindibili in funzione del rapporto con la realtà.34
L’uso della voce è importante nella relazione, nella comunicazione, ma
aumenta il suo valore se è usata come manifestazione della propria persona,
poiché «La voce è espressione della propria personalità».35
Aver padronanza della propria voce è sicuramente di grande aiuto nelle
relazioni con gli altri, perché comporta un rafforzamento della personalità, del
carattere e dell’autostima: «La voce, oggetto sonoro del corpo in movimento, si
esprime anche con sonorità più semplici della parola. Racchiude in sé
quell’energia vitale che proviene dal corpo e insieme ad esso lascia traccia di sé
nell’ambiente esterno».36
2.1.2 La narrazione
Il percorso utilizzato in questo progetto è stato quello di far relazionare le
persone attraverso la verbalizzazione, portandole a raccontare avvenimenti
34
Stefania Guerra Lisi, Il racconto del corpo, citato in Natalina Loria, Dal corpo allo
strumento musicale, Roma, Magi, 2001.
35
Bernardino Streito, Coralità, citato in Marina Mungai, Laboratorio vocale. Dispensa,
Modena, Istituto Meme, 2005, p. 3.
36
Natalina Loria, Dal corpo allo strumento musicale, cit., p. 36.
21
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personali mediante lo stimolo di uno strumento potentissimo quale la musica: «Un
intervento musicoterapico indirizzato soprattutto sul versante del recupero della
memoria sonora musicale nel quale i canti sono stati stimolo per veicolare i
ricordi e mezzo in grado di creare la motivazione al narrare, secondo un gioco di
richiami tra il sonoro e le esperienze e i vissuti personali e collettivi».37 Inoltre si è
cercato di dare spazio a tutte le persone valorizzando l’identità personale e
l’identità di ciascuno all’interno del gruppo, e mettendo in luce i racconti di ogni
anziano facendo in modo che tutto il gruppo ne fosse partecipe.
La verbalizzazione degli episodi riguardanti le persone non è stata infatti una
semplice narrazione da seguire in maniera passiva, ma è stata trasformata dagli
operatori in un racconto in grado di coinvolgere tutto l’intero gruppo. Tentando di
non distorcere il contenuto del racconto, si cercava di rievocarlo usando altri
vocaboli, in modo non solo da far arrivare a tutte le persone la successione dei
fatti avvenuti, ma da sfiorare anche il lato emotivo della narrazione con l’intento
di riuscire a condividere parte di quell’emozione, di entrare in contatto con quel
dato avvenimento e quindi di entrare in relazione con la persona protagonista del
racconto.
Per tutte le persone, specialmente quelle anziane, il raccontare, il poter parlare,
il comunicare con gli altri è molto importante, è un vero bisogno. La vita “vera”
degli anziani non è legata alla situazione della loro vecchiaia, ma è rappresentata
soprattutto dal passato, e il fatto di poterlo raccontare diventa per loro anche un
motivo per proseguire il loro cammino:
Per il vecchio la memoria rappresenta la possibilità di ripercorrere, di ricapitolare il
passato personale e anche collettivo dandovi insieme significato. Nella seconda metà
della vita emerge il bisogno di un bilancio complessivo che ricomponga e sintetizzi i
percorsi particolari, i momenti, i legami, le esperienze di una vita.38
Gli anziani si aggrappano alla loro memoria, ai loro ricordi tenendoli stretti e
donandoli a chi vuol mettersi in ascolto, per farli partecipi di vissuti di altri tempi,
molto lontani da noi, dalla nostra cultura e dalla nostra società moderna.
37
Francesco Delicati, Il canto fa venire fuori il paese più in fretta, cit., p. 9.
Marina Piazza, Visti di transito. Il passaggio alla seconda metà della vita delle donne, relazione
al convegno corsi di vita e traiettorie sociali Trento 2-3 dic. 1988, citato in Federica Dell’Orto
Garzonio, Patrizia Taccani, Conoscere la vecchiaia, cit., p. 24
38
22
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2.2 Il progetto e la formazione dei gruppi
Gli ospiti del centro diurno generalmente passano la maggior parte del tempo
in un salone comune dove parlano poco, borbottano tanto, magari si lamentano
della loro situazione e a volte discutono per piccoli screzi. Anche questo fattore ha
influito sulla scelta da parte del centro diurno “Cittadella” di richiedere alla
musicoterapista Elena Gallazzi di stilare un progetto di musicoterapia finalizzato
allo sviluppo della socializzazione e della relazione e all’ottenimento di una
maggior verbalizzazione degli ospiti fra loro e nei confronti del personale del
centro stesso.
Indubbiamente il canale scelto per questi obiettivi interattivi è sicuramente il
più indicato, poiché le proprietà comunicative sono una grande caratteristica della
musica: per usare le parole di Luciano, un ospite del centro, “la musica è un
miracolo divino”.
Il progetto di musicoterapia è stato programmato in un arco biennale,
prevedendo una seduta di un’ora per ognuno dei due gruppi di anziani, con
cadenza settimanale. Il giorno concordato era il lunedì, dalle ore 14.00 alle 16.00.
Per la formazione dei due gruppi, ognuno dei quali composto da circa dieci
persone, sono state effettuate delle scelte basate su vari criteri:
–
sono state valutate le condizioni di salute delle persone e le loro diverse
patologie;
–
sono state messe insieme persone che avevano già legato maggiormente
rispetto ad altre;
–
in ogni gruppo sono state previste presenze sia maschili che femminili;
–
si è cercato di assecondare le esigenze fisiologiche e le abitudini delle
persone (ad esempio, chi preferiva dormire dopo pranzo partecipava al
secondo gruppo, e viceversa);
–
è stato considerato il carattere delle singole persone, e si è cercato di
formare i gruppi nel modo più eterogeneo possibile, mettendo persone più
esuberanti insieme con persone di carattere più riservato, in modo da
stimolarne alcune e placarne altre (a tal fine, dopo un’attenta valutazione e
23
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sempre nel limite delle possibilità, anche in corso d’opera alcune persone
sono state spostate da un gruppo all’altro sulla base del loro carattere).
Durante questo periodo di tempo si è anche cercato di formare due gruppi con
caratteristiche e gusti musicali simili. Abbiamo infatti potuto notare le varie
differenze di avvicinamento alla musica da parte delle persone: alcune persone
sono più propense a un tipo di musica popolare, come i ballabili delle nostre terre
o canzoni da intrattenimento, altre invece prediligono la musica più romantica, la
musica classica, le romanze d’amore, tutta quella parte di musica che tocca più in
profondità l’anima. Col passare del tempo e con il susseguirsi delle sedute i due
gruppi formati si sono distinti qualitativamente l’uno dall’altro, facendo emergere
il gusto musicale che accomunava le persone appartenenti a un determinato
gruppo.
2.3 L’intervento
Il progetto di musicoterapia richiestoci aveva, come abbiamo visto, alcuni
obiettivi
specifici:
relazione,
socializzazione,
interazione
delle
persone.
L’intervento di conseguenza è stato indirizzato a cogliere gli elementi in grado di
attivare nelle persone anziane una serie di meccanismi che potessero portarle a
esprimere tutta la loro identità, sia come persone singole che come gruppo, dando
vita a un’espressività collettiva capace di far aumentare il grado di relazione, di
stabilire e di rinnovare i legami tra le persone.
Si è trattato dunque di «Un intervento di carattere riabilitativo nel quale i canti
(in quanto forma di comunicazione non-verbale) sono stati utilizzati con lo scopo
di aiutare gli anziani a superare la depressione, a recuperare un ruolo attivo e
propositivo nella loro vita quotidiana, a ritrovare piacere e interesse per la vita, a
ricostruire e valorizzare dentro il gruppo il senso della propria identità
personale».39 L’obiettivo era quello di attivare le persone sotto un punto di vista
cognitivo, di impegnarne l’attenzione nell’eseguire le canzoni (nel cantare tutti
insieme, prima le donne e poi gli uomini), di risvegliare l’udito attraverso i suoni
39
Francesco Delicati, Il canto fa venire fuori il paese più in fretta, cit., pp. 8-9.
24
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della propria voce e della voce delle altre persone, di rinnovare la verbalizzazione
attraverso un canto che aiutasse la parola facendole manifestare tutti suoi benefici,
di stimolare il corpo suonando gli strumenti, battendo le mani o giocando a
improvvisare ritmi con gambe e piedi, di tentare di ricostruire agli anziani
un’identità sonora-musicale, in modo che la musica fosse motivo e spunto di
narrazione, valorizzasse i racconti e custodisse il loro grande patrimonio
personale, nonché di dar vita a un’attività diversa di ricreazione, riscoprendo il
piacere di quella musica che ha accompagnato tutta la vita dei partecipanti ai
gruppi.
La musica è stata dunque utilizzata come rilassamento per il corpo, come aiuto
alla memoria, facendo rivivere momenti piacevoli e non del passato alternati a
momenti di contatto con la realtà: occorreva infatti mantenere l’attenzione sempre
concentrata sul momento dell’incontro, riconducendo le persone al presente
quando la malattia li portava a divagare, dando loro un appuntamento fisso
settimanale in grado di scandire le loro giornate e di favorire un ricordo a breve
termine, e ripercorrendo sempre il percorso svolto nella seduta della settimana
precedente.
La musica è divenuta così una «chiave per accedere al passato»,40 la quale,
attraverso la «funzione di simbolo» della melodia, «si ripresentava sotto forma di
immagine»:41 «un viaggio nelle terre dei ricordi e della memoria, seguendo “le vie
dei canti”, una sorta di viaggio rituale nel quale il canto, stimolo per la
rievocazione di altri canti e di ricordi ad essi collegati, non ha mai rappresentato
un fine in sé, ma un mezzo per entrare in contatto con il proprio mondo interno,
valorizzando l’elemento comunicativo e simbolico, e l’interscambio del
gruppo».42
2.4 Il setting
Le sedute di musicoterapia si sono svolte nella piccola palestra del centro
diurno, una parte della quale impegnata con attrezzi che servono per la
40
Ivi, p. 34.
Ivi, p. 35.
42
Ivi, p. 7.
41
25
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riabilitazione. Si tratta di un luogo dove le persone vanno solo per seguire le
sedute di musicoterapia e quelle di psicomotricità, un luogo, quindi, riservato ad
attività particolari e speciali.
Le persone seguivano e partecipavano all’incontro stando sedute, con le sedie
disposte a semicerchio in modo che tutti riuscissero facilmente a vedersi e a
vedere il musicoterapista. Il coterapista occupava una delle sedie del semicerchio,
ponendosi dunque come parte integrante del gruppo.
Il cerchio era chiuso da un tavolo di legno sul quale era appoggiata una tastiera,
con a fianco uno stereo e davanti una panca, anch’essa in legno, su cui erano
disposti tutti i vari strumenti a percussione, sistemati in modo da essere visibili a
tutti.
2.5 Il ruolo del coterapista
Il ruolo da me sostenuto è stato quello di coterapista, un aiuto e sostegno al
musicoterapista, un osservatore partecipante che potesse cogliere tutti i movimenti
e i comportamenti delle persone, gli episodi e le piccole sfumature che
accadevano durante la seduta.
Il coterapista, stando seduto in una sedia che forma il semicerchio, fa diventare
la sua presenza una parte integrante del gruppo, un rafforzo sonoro in quanto voce
aggiunta e anche in quanto elemento ritmico in grado di carpire, imitare,
assecondare, suggerire, guidare le iniziative volontarie e soprattutto quelle
involontarie delle persone.
Avviene a volte, infatti, che le persone, tenendo in mano uno strumento, inizino
involontariamente a suonare creando piccoli frammenti ritmici e che
immediatamente parta una risposta, la quale crea un dialogo ritmico che in certi
casi riesce a coinvolgere l’intero gruppo. Questa risposta all’inizio è solo
strumentale e utilizza gli strumenti a percussione, poi diventa più consistente nel
momento in cui si aggiunge il sostegno armonico della tastiera, fino a creare una
vera improvvisazione musicale.
Il coterapista, avvicinandosi alle persone, mostrava in quale modo potevano
suonare un determinato strumento, ponendosi loro di fronte e facendo vedere una
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possibilità di utilizzo. Si utilizzava la tecnica del rispecchiamento: dopo aver
mostrato alle persone, senza essere troppo invadenti, un modo per poter suonare lo
strumento, si rispecchiava il ritmo da loro proposto cercando di instaurare una
sintonia musicale. Secondo la definizione di Tony Wingram, «Rispecchiare»
significa infatti «fare esattamente ciò che il paziente sta facendo musicalmente,
espressivamente e attraverso il linguaggio del corpo nello stesso momento in cui
ciò accade. Il paziente vedrà, pertanto, il proprio comportamento nel
comportamento del terapista».43
È importante per le persone anziane essere semplicemente vicini e far sentire
che si sta cantando, facendolo capire non solo attraverso i suoni e le vibrazioni
prodotte dalla voce ma anche attraverso una comunicazione analogica (lo sguardo,
la mimica facciale, specialmente con i movimenti della bocca). Inoltre è
necessario scandire e declamare le parole del testo in modo che gli anziani
possano riuscire a capire che si sta effettivamente cantando, consentendo loro di
partecipare all’attività.
Questi “piccoli” gesti rappresentano un sostegno alle persone, e riescono a
coinvolgerle maggiormente nell’attività.
Il contatto è importante per l’anziano, sia quello fisico, inteso come contatto
delle mani, sia quello visivo, che unisce le persone rendendole più vicine. Lo
sguardo fa capire alle persone che si sta condividendo, insieme, un momento
particolare, un momento musicale, proprio come facevano alcuni anziani quando,
dopo aver lavorato faticosamente tutto il giorno nei campi, si ritrovavano
condividendo un attimo di relax fatto di musica, sguardi, complicità. Ne troviamo
conferma anche nelle parole di Giuseppe, uno dei partecipanti agli incontri:
“Finito l’orario di lavoro nei campi, ci si trovava nell’aia della corte o del podere
per fare una cantatina seduti sulle sedie o sopra a delle cassette”.
Il ruolo del coterapista prevedeva anche il compito di placare alcuni animi più
accesi, di fermare vari discorsi che andavano troppo al di fuori del contesto o della
situazione che si era creata, e di cercare di convincere a trattenersi ancora un
momento quelle persone che per vari motivi volevano uscire dalla stanza dove si
stava svolgendo l’incontro di musicoterapia; inoltre, come detto, il coterapista
43
Tony Wingram, Improvvisazione. Metodi e tecniche per clinici, educatori e studenti di
musicoterapia, Roma, Ismez, 2005, p. 58.
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poteva incentivare la produzione sonora e vocale delle persone, alzandosi,
ponendosi di fronte ad esse, facendo sentire e vedere che si stava effettivamente
cantando o suonando.
Le persone colpite da demenza tendono ad attraversare momenti di non
lucidità, parlano di argomenti non inerenti al momento e alla situazione: in questo
caso il terapista o il coterapista intervenivano cercando di riportare le persone al
momento che stavano vivendo, ricordando loro o facendo domande dirette su ciò
che si stava facendo: «Sappiamo che gli anziani raccontano molte storie. In effetti
queste storie quando vengono raccontate con lentezza e ripetute nel tempo,
possono apparire un ostacolo, una perdita di tempo per chi ha un compito da
svolgere».44
Le storie raccontate dagli anziani e le reazioni che producono hanno grande
importanza: bisogna dare ascolto a queste storie, cercare di capire da dove
provengono, poiché molte volte sono uno specchio della vita degli anziani su cui
leggere i punti fondamentali della loro esistenza, i loro affetti più cari, le cose a
cui sono più legati, gli eventi fondamentali che hanno segnato e accompagnato la
loro vita. È dunque «importante che le loro storie siano ascoltate con orecchio
aperto e critico. L’operatore deve essere in grado di capire quali storie possono
aiutare i suoi utenti e quali no».45
Il terapista e il coterapista si ponevano generalmente di fronte alle persone,
guardandole e chiedendo loro espressamente se conoscevano una certa canzone,
oppure se riconoscevano il cantante, o se avevano qualche brano da proporre, o
facendo loro altre domande di questo tipo in modo da poter far ritornare la
persona nell’esatto momento in cui si trovava.
In questo caso la musica era un sostegno essenziale. Ad esempio, si richiamava
l’attenzione di un ospite del centro attraverso una domanda formulata in questi
termini: “Giuseppe, la conosce questa canzone?”, facendo subito seguire alla
domanda il canto della parte principale della canzone, solitamente il ritornello.
Le persone a volte non riuscivano a rimanere sedute per tutta la durata della
riunione, e cercavano di uscire dalla stanza: l’intervento in questo caso andava a
44
Linda L. Viney, L’uso delle storie di vita nel lavoro con l’anziano, Trento, Centro studi
Erickson, 1994, p. 10.
45
Ivi, p. 27.
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colpire una parte più emotiva, poiché si chiedeva alle persone di potersi fermare
ancora un po’ di tempo, anche breve, dicendo loro che per noi sarebbe stato di
grande aiuto.
Il tono della voce usato era sempre molto musicale, in modo che le persone si
potessero sentire accolte e rassicurate, cercando di convincere, senza mai essere
invadenti.
Il fatto di insistere sull’aiuto che avremmo ricevuto dalle persone non era solo
una forma di convincimento a partecipare, ma era proprio una grande verità. Il
progetto era infatti basato prevalentemente sull’ascolto e la riproduzione vocale di
brani degli anni ’50-’60: chi meglio di loro poteva ricordare le varie canzoni?
La memoria di alcune persone è davvero forte: alcune riuscivano a ricordare
per filo e per segno testi di canzoni ormai passate nel dimenticatoio. Non solo,
altri indovinavano il nome del cantante ascoltando poche battute di musica,
narrando successivamente varie vicissitudini della vita di quel cantante, con chi
era sposato, quali erano le sue passioni, e tanti pettegolezzi che riguardavano a
quell’epoca il mondo musicale. Abbiamo così grazie a loro potuto ricostruire
vecchie canzoni, e cantare nuove strofe che hanno incrementato la nostra valigia
di viaggio.
Durante il tirocinio, si è inoltre valutata l’ipotesi e in seguito deciso di
cambiare in alcune sedute il mio ruolo da coterapista a terapista. Il cambio di
ruolo si è fatto subito sentire, la piena conduzione del gruppo è stata diversa sotto
vari punti di vista, specialmente quello emotivo: ci si sentiva molto più coinvolti
nella seduta, più attivi, attenti e concentrati. Subito sono partito con la proposta di
eseguire un determinato brano, e successivamente la mia attenzione è stata rivolta
a raccogliere i feedback delle persone cercando di rispondere a tutti e facendo in
modo che l’intero gruppo riuscisse a comprendere ciò che stava accadendo.
Personalmente questa breve esperienza di cambio di ruolo è servita molto per
mettere in opera ciò che avevo osservato e assorbito durante la durata del
tirocinio.
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2.6 L’osservazione
Come detto precedentemente una parte del ruolo del coterapista consiste
nell’osservare – s’intende un’osservazione partecipante.
L’osservazione è stata rivolta a tutto ciò che accadeva durante la seduta, da
quando doveva ancora propriamente iniziare (in una fase di preseduta nella quale
si andavano a chiamare le persone) fino a quando ci si salutava e si usciva
fisicamente dal centro, in un tempo, quindi, che andava al di là della durata della
seduta in senso stretto.
È importante osservare le reazioni delle persone quando si arriva nel centro
diurno, per vedere se c’è un ricordo che possa collegare la nostra presenza
all’attività musicale che settimanalmente esse svolgono.
Si osservavano dove erano sedute, se da sole, isolate o insieme alle altre
persone, si cercava di carpire la loro espressione quando ci vedevano entrare, se ci
riconoscevano o se ci guardavano con aria interrogativa. Le persone, utilizzando
la palestra solo per scopi riabilitativi, tendevano a collegare le persone ad una
attività o a un luogo ben preciso, quindi vedendoci “sotto altre vesti” alcune
facevano fatica a riconoscere la nostra identità. Questo capitava all’inizio della
giornata, soprattutto con quelle persone nelle quali i tratti di non lucidità erano più
frequenti, ma finito l’incontro tutte le persone, quando si passava vicino al salone
per avviarsi all’uscita, ci salutavano in modo consapevole.
L’osservazione, come già illustrato, era rivolta a tutto ciò che accadeva,
valutando in modo obiettivo, sospendendo ogni forma di giudizio e senza dare
alcuna interpretazione.
Col passare delle sedute alcuni atteggiamenti delle persone diventavano
ricorrenti, presentandosi sempre nello stesso modo ed emergendo da un motivo
sempre uguale. L’osservazione in questo caso si spostava su altri elementi, non
tanto sull’evento nello specifico ma sulle motivazioni che spingevano le persone a
quelle continue ripetizioni, che molto spesso erano legate al vissuto o a legami
personali molto forti.
Alla fine di ogni seduta si redigeva una scheda di osservazione nella quale
veniva annotato tutto ciò che era accaduto durante la seduta in modo da avere vari
punti di riferimento ed elementi sui quali lavorare, per poter avere chiarezza sui
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comportamenti e sulle reazioni delle persone e al fine di riuscire a plasmare le
sedute successive in base ai loro bisogni. Inoltre le schede aiutavano ad avere idee
più specifiche su eventuali progetti e proposte atte a migliorare più in generale le
sedute.
Il modello di scheda di osservazione che si utilizzava è composto da più voci,
ognuna con una propria specificità, che racchiudono vari aspetti comportamentali
delle persone. La scheda deve essere compilata usando i criteri di valutazione
consoni a un musicoterapista, dando importanza a ciò che realmente si svolge e
alla modalità impiegata.
La scheda di osservazione veniva compilata seguendo criteri soggettivi e non
in modo oggettivo, vista la varietà di persone appartenenti al gruppo, la loro
eterogeneità, le differenti patologie, i vari vissuti, i caratteri, i cambiamenti di
umore e il loro stato di salute così precario da non permettere loro di avere una
frequenza regolare.
Nella scheda sono elencate alcune voci impiegate per cercare di dare delle
indicazioni sulle persone, focalizzando l’osservazione sulle modalità e sulle
dinamiche usate dai partecipanti.
Nell’intestazione del foglio si indicano la data, il numero del gruppo e il
numero dell’incontro, mentre nella prima riga sono presenti le voci seguenti:
−
PARTECIPAZIONE IN
MINUTI:
si segnano i minuti di partecipazione
all’incontro per un totale di 45 minuti, oppure i minuti reali di partecipazione.
Si indicava se una persona era entrata in ritardo oppure se era uscita prima, e se
questi episodi erano ricorrenti, per cercare di scoprire le eventuali motivazioni;
−
STATO DELL’UMORE:
come appare l’umore della persona, se tranquilla o
agitata, lucida o assente. In questo caso col passare delle sedute si sono potute
scorgere tutte le differenze di umore delle persone, le varie dinamiche
influenzate dal carattere;
−
RELAZIONE CON GLI ALTRI:
si segnalava se gli anziani avevano avuto dei
contatti di qualsiasi genere con altre persone, se avevano fatto domande o
avuto degli atteggiamenti che li avevano messi in relazione con altre persone, il
modo, la circostanza, l’eventuale legame con una determinata situazione;
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−
INIZIATIVA PERSONALE:
vi si indicava se gli anziani avevano compiuto gesti
propositivi nei confronti di una persona o dell’intero gruppo (una parola, una
canzone, un movimento);
−
USO STRUMENTI:
quale strumento un anziano ha usato, in quale modo, se lo
ha suonato o esplorato, se lo ha richiesto, se si è rifiutato, il tipo di ritmo, il
volume ecc.; molte persone si legano ad uno strumento in particolare,
richiedendone sempre l’uso;
−
USO VOCE:
tutto ciò che riguarda la produzione vocale, segnalato utilizzando
canoni metrici musicali (il volume, l’intensità, la frequenza, l’intonazione) e
indicando se un anziano canta insieme alle altre persone o se canta non
ascoltando, anticipando o ritardando, in modo corale o da solista, con un
volume più forte rispetto agli altri. In questo caso le differenze delle dinamiche
utilizzate sono un vero e proprio specchio della persona e del suo carattere;
−
USO CORPO:
come gli anziani stanno seduti, dove è orientato lo sguardo, se è
fisso o se è intento a esplorare, se il loro movimento è legato alla musica, in
quale modo o situazione o con quale musica si attivano maggiormente;
−
CANZONI:
un elenco di brani svolti durante la seduta, indicando quali di
questi si sono cantati e quali invece ascoltati, insieme a tutte le proposte
musicali delle persone;
−
NOTE GENERALI:
uno spazio per segnalare eventuali episodi rilevanti.
Siccome lo spazio nel foglio è un po’ ridotto, si dovrebbe riassumere il tutto
utilizzando poche parole, cercando di scrivere in modo chiaro, sintetico ed
essenziale.
Per facilitarmi la compilazione della scheda di osservazione, che avveniva
dopo ogni incontro, e per avere un’accurata compilazione, tenevo vicino a me un
quaderno sul quale annotavo gli episodi salienti insieme a tutti i vari racconti delle
persone: è nato in questo modo il “diario dei ricordi” che si presenta nella seconda
parte di questo lavoro. Inoltre ho personalizzato una scheda di osservazione
organizzandola in modo circolare, con i nomi disposti in cerchio a rispecchiare la
disposizione del setting: all’interno segnavo le canzoni svolte e, tramite delle
freccette corrispondenti a ogni nome, indicavo i dati riguardanti le persone. Per i
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nomi degli strumenti musicali ho utilizzato delle sigle, ponendole sotto il nome
delle persone che li avevano utilizzati:
TB
(triangolo), LE (legnetti), MA (maracas), …, ecc.
33
(tamburo),
CE
(cembalo),
TRI
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La scheda di osservazione.
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Scheda di osservazione circolare.
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3. SVOLGIMENTO DELL’ATTIVITÀ
3.1 L’accoglienza
Prima dell’inizio delle sedute veniva consegnato ad una operatrice un foglio
recante i nomi dei partecipanti e il rispettivo gruppo; l’operatrice, aiutata da altre
colleghe, accompagnava le persone nel luogo dove si svolgevano gli incontri di
musicoterapia, una piccola palestra, come si è detto, usata anche per le sedute di
psicomotricità.
Circa la metà delle persone aveva bisogno di essere accompagnata, mentre le
altre raggiungevano autonomamente la stanza, naturalmente pian pianino, ognuno
con il proprio ritmo: c’era chi preferiva arrivare subito o insieme agli altri, e chi
voleva entrare per ultimo, magari anche un poco in ritardo. Questi particolari sono
elementi da osservare attentamente poiché suggeriscono un certo atteggiamento
dell’anziano nei confronti dell’incontro di musicoterapia: chi entra per primo
potrebbe avere una maggior motivazione nel partecipare, chi arriva per ultimo o
sempre in ritardo potrebbe voler attirare l’attenzione, ecc. Le persone, una volta
accompagnate nella stanza, venivano fatte accomodare, lasciando ad alcune libertà
di scelta, indirizzando altre verso un determinato posto: una persona con problemi
di udito verrà naturalmente indirizzata verso una sedia più vicina alla fonte sonora
in modo che possa sentire meglio, una persona in carrozzina sarà posizionata in
modo da avere la più ampia visuale, ecc. È facile che le persone con problemi
d’udito non seguano bene l’andamento della seduta, non riuscendo a sentire bene
cosa si sta dicendo o cantando: la loro attenzione va a sfumare portandole a non
essere più partecipi all’attività e a non integrarsi pienamente nel gruppo, e
rischiando di emarginarsi. Il terapista o il coterapista, si posizionavano allora in
modo da poter ripetere all’anziano le parole che si stavano dicendo, così da
riuscire a coinvolgerlo maggiormente superando l’ostacolo della sua sordità.
In alcuni casi le persone venivano disposte in base al loro carattere: ad esempio
si evitava di mettere vicine delle persone tra le quali avrebbe potuto nascere un
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diverbio o più semplicemente persone che avrebbero potuto distrarsi a vicenda
chiacchierando.
Avveniva a volte – mediamente almeno un caso per ogni seduta – che alcuni
anziani non volessero partecipare all’incontro: il musicoterapista o il coterapista,
di conseguenza, dovevano andare a invitare personalmente tali persone. Le
persone che si rifiutavano erano generalmente sempre le stesse, e ognuna aveva un
proprio motivo ricorrente che usava come giustificazione: chi non stava bene e
avvertiva i soliti dolori, chi non se la sentiva, o chi aveva sonno e voleva riposare.
In questi casi bisogna valutare attentamente lo stato d’animo delle persone, e
verificare se si tratta solo di lamentele dovute alla patologia o se esiste davvero un
malessere fisico o psichico: non bisogna dare mai nulla per scontato, e occorre
tenere sempre presente che ci sono persone che non solo fanno dei “capricci” ma
che hanno un vero malessere personale.
La modalità per invitare la persone è molto importante, bisogna prestare
attenzione all’uso del verbale e utilizzare una postura consona. Bisognerebbe
scegliere e usare parole che non mettano a disagio o che inneschino un sentimento
di costrizione nelle persone, anzi parole che destino curiosità e che diano un senso
di accoglienza, per far sentire che la presenza dell’anziano cui ci si rivolge è
importante e che c’è il desiderio di vederlo partecipare, collaborare e essere
d’aiuto all’interno del gruppo.
Le frasi che colpivano maggiormente sono:
–
“Mi farebbe molto piacere se lei venisse con noi a fare un po’ di musica (o
ad ascoltare musica)”
–
“Mi farebbe piacere vederla nelle palestra ad ascoltare della musica”
–
“Se viene con noi ci fa molto piacere...”
–
“La aspettiamo volentieri...”
–
“Viene con noi così ci aiuta a ricordare le canzoni… lei è così brava...”.
Un altro aspetto importante è la postura usata mentre si parla con un anziano.
Gli anziani, generalmente, stanno seduti, quindi si dovrà assumere una posizione
tale da mettersi al loro stesso livello, se non ad un’altezza inferiore alla loro. Ci si
siede di fianco tenendo una posizione di apertura nei loro confronti, con il corpo
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girato verso il loro, oppure accosciati davanti a loro o chinati in modo da avere
l’altezza dello sguardo sullo stesso livello. A tutto questo aggiungiamo un contatto
fisico, ponendo una mano su un loro braccio, e un contatto visivo guardandoli
dritto negli occhi.
Tali posture, parole e atteggiamenti fanno sì che gli ospiti non si sentano
oppressi dalla presenza di una persona, e che la richiesta di partecipare, messa su
un piano emotivo-personale, riesca a stimolare le persone facendole sentire volute,
aiutandole ad abbattere le loro difese celate dietro a dolori immaginari o ad altre
idee che la loro condizione porta a concepire.
3.2 La scelta delle canzoni
Le canzoni scelte e usate nelle sedute provenivano da vari tipi di repertori. Si è
privilegiato principalmente un repertorio assai conosciuto dagli anziani, che ha
riempito la loro vita, cioè canzoni della loro gioventù, dagli anni ’40-’50 fino ad
arrivare ai ’60 con alcune incursioni negli anni ’70, prevalentemente brani di
provenienza popolare che hanno accompagnato le fasi della loro vita: le canzoni
di guerra, brani legati al lavoro o ai momenti di divertimento, al ballo, senza
dimenticare le canzoni di quei personaggi a cui ci si affezionava come Modugno,
Nilla Pizzi, Del Monaco, Claudio Villa.
La scelta del repertorio da impiegare è caduta volontariamente su brani molto
conosciuti, in quanto la memoria che si va a sollecitare è quella a lungo termine,
che lavora riportando alla luce ricordi appartenenti ad un passato lontano: di qui il
bisogno di proporre una serie di brani appartenenti al periodo relativo alla
gioventù degli anziani, là dove il ricordo è più vivo. Sollecitando la memoria a
lungo termine tramite brani molto conosciuti si riesce a ottenere la visualizzazione
dei ricordi e di conseguenza una rievocazione verbale dei fatti accaduti, dei vissuti
personali.
Il repertorio usato non si è limitato alla musica popolare, ma ha incluso anche
la musica più colta, come la musica classica, le arie d’opera tratte da Puccini,
Mascagni o Verdi. Alcune persone all’interno del centro apprezzavano questo tipo
di musica, che suscitava in loro più emozione e commozione e che li metteva in
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grado di mostrare la loro ampia competenza. Mario, un altro ospite del centro, ci
ha ad esempio rivelato, commosso: “Ho portato una scorta di fazzoletti perché so
che la musica mi fa questo scherzo”.
Nel proporre un brano musicale, specialmente relazionandosi con una fascia
d’età come quella degli anziani, occorre tener conto di un fattore: tutti noi siamo
legati a una canzone, e un brano musicale ascoltato in un determinato momento
suscita in noi ricordi e sensazioni che ci trasportano temporalmente in un
momento appartenente al nostro passato. Il ricordo, la memoria stimolata dalla
musica conduce gli anziani sempre distanti dal momento presente, non al giorno
precedente ma a tanti anni prima, e per questo, lo si ribadisce, la scelta del brano
da proporre è molto importante. Infatti, posto che ogni brano può assumere
significati diversi a seconda di chi lo ascolta, vi sono brani di carattere più
tranquillo che si lasciano semplicemente ascoltare e brani che arrivano dentro al
nostro corpo scontrandosi con le nostre emozioni, ed è dunque molto importante
valutare attentamente l’emotività appartenente alle persone che si hanno di fronte.
Le struggenti melodie arrivano più in profondità andando a toccare corde che
l’età ha in qualche modo nascosto, e le intense armonie smuovono tasti
dimenticati legati ad episodi forti della vita passata. Una volta smosse queste
corde emotive, le persone mostrano tutta la loro parte più sensibile, dando sfogo
alla commozione e ad emozioni forti che fanno emergere tutta la loro tenerezza, la
loro sofferenza e la loro umanità. Per lo più queste persone sono incluse
semplicemente nella definizione di “anziano”, e a volte si dimentica che prima e
principalmente sono uomini e donne.
3.2.1 La musica popolare
La musica era una risorsa, forse l’unico svago che ci si poteva permettere nel
dopoguerra; vi erano pochi strumenti e ancora meno capacità e competenze per
suonarli, ma soprattutto non c’era tempo da dedicare alla pratica di uno strumento.
Forse è proprio per questi motivi che il modo di suonare delle persone era così
naturale, un modo semplice che arrivava immediatamente a chi ascoltava: non si
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partiva da presupposti di estetica musicale, non si suonava per il puro piacere di
esibirsi ma per comunicare, per condividere con gli altri il prodigio della musica.
Da questo punto di vista, la voce è come uno strumento musicale che tutti
posseggono, una forma di espressione che tutti posso utilizzare: ed è appunto
quello che succedeva anni fa, si cantava e cantavano tutti, bravi, meno bravi,
intonati e stonati, tutti insieme, per stare insieme e per comunicare.
Con musica popolare o musica folk (letteralmente musica del/dal popolo) e
canto popolare si indicano quei generi musicali che affondano le proprie radici
nelle tradizioni di una determinata etnia, popolazione, ambito geografico o
culturale.
In generale, sebbene talvolta se ne sia persa memoria, ogni popolazione ha una
propria tradizione di musica popolare, anche se non tutte queste tradizioni sono
comunemente denominate “folk”. La musica popolare dei paesi del Terzo mondo
(in particolare dell’Africa), ad esempio, viene più spesso indicata come “etnica”,
mentre l’appellativo “folk” (o anche popolare) viene in genere associato alla
musica popolare degli Stati Uniti o delle nazioni europee (soprattutto Regno
Unito, Eire, Germania).
La musica popolare è una musica del popolo, della terra, una musica con cui ci
si identifica, che è cresciuta dalle nostre terre come crescono i frutti che si
coltivano, perché scandisce il ritmo del lavoro, le varie fasi dell’anno, le stagioni;
una musica vicina alle persone, una musica per tutti. Eseguita da membri della
comunità privi di una formazione musicale specialistica, la musica popolare è
spesso legata ai cicli delle stagioni, a eventi chiave dell’esistenza umana, ad
attività come la pratica religiosa o il lavoro, ed è pertanto l’espressione musicale
in cui la comunità etnica più si riconosce.
I canti popolari tendono a rimanere entro il loro territorio di origine, sebbene
talvolta accade che migrino da un paese all’altro, mutando stile. Alcuni canti
legati ad una determinata cultura assumono i caratteri di quella popolazione, in
primo luogo la lingua in cui vengono espressi. Portando una canzone in un altro
paese, essa può subire delle modificazioni che non sono soltanto un portato della
traduzione linguistica, bensì una più profonda modificazione dettata da ragioni
sociali e culturali diverse.
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Trasmessa oralmente, vale a dire diffusa prevalentemente tramite l’esecuzione,
la musica popolare è caratterizzata dall’immediatezza del messaggio sonoro e da
una struttura formale e compositiva poco elaborata. Nel passaggio da un esecutore
all’altro, una musica popolare tende a modificarsi in seguito a interventi creativi,
imperfezioni della memoria, valori estetici diversi e contaminazioni con altre
composizioni o tradizioni musicali.
La musica popolare è spesso concepita in modo da poter essere suonata da
suonatori non troppo esperti e certamente non virtuosi; nella maggior parte dei
casi, essa nasce o ha la sua principale espressione in momenti di aggregazione
sociale come feste, sagre o celebrazioni. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del
secolo scorso la musica popolare, specialmente la musica da ballo, pur
mantenendo le proprie caratteristiche di immediato impatto e di facile ascolto, ha
però subìto una trasformazione, diventando una musica eseguita da suonatori con
grandi capacità esecutive e virtuosistiche.
Un grande musicista che si è occupato di effettuare varie ricerche sulla canzone
popolare è l’ungherese Béla Bartòk. Lo stile delle sue composizioni è stato molto
influenzato dalla musica popolare: dopo aver scoperto le musiche contadine dei
magiari, Bartòk cominciò infatti ad includere canzoni popolari nelle proprie
composizioni e a scrivere temi originali con caratteristiche simili, oltre ad usare
frequentemente figure ritmiche di matrice folklorica.
Questo perché la musica popolare creava un’atmosfera particolare, era
spontanea e riusciva a coinvolgere maggiormente le persone. Si può dire della
musica popolare quanto Daniele Benati afferma del liscio: «una musica allegra
che a volte muove una corda di tristezza».46
Per quanto riguarda le terre parmensi, tra la fine dell’800 e l’inizio del secolo
successivo si è formato un gruppo strumentale che ha dato origine ad una
tradizione e cultura di musica popolare, l’“Antico Concerto a fiato Cantoni”,
formato da tredici elementi, nove dei quali fratelli. Il padre della famiglia, nonché
ideatore del concerto a fiato, finito l’orario di lavoro nei campi, faceva studiare
musica ai propri figli e faceva provare loro i brani da lui scritti. Ad ogni persona
del gruppo fu assegnato uno strumento sulla base del carattere: a chi aveva un
46
La citazione è tratta da uno dei testi che fanno parte del cd Di buon mattino del concerto a
fiato L’Usignolo (ARCI-I Teatri di Reggio Emilia, 2007).
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carattere più forte e deciso è stato dato uno strumento di maggior rilievo, con parti
quasi da solista, mentre a chi aveva un carattere più riservato veniva assegnata una
parte di accompagnamento, di sostegno. Le varie parti erano poi strutturate in
modo che tutte fossero legate e che tutti si sentissero importanti, integrando e
fondendo i vari strumenti – e dunque i vari caratteri – in un solo gruppo.
3.2.2 Canti legati ai periodi dell’anno
Un’altra linea che abbiamo seguito nel nostro intervento è stata quella di legare
i canti alla temporalità. Le persone anziane, e specialmente gli anziani con
demenze, sono spesso confuse, spaesate, e perdono molto spesso il senso del
tempo: tutte le attività che essi svolgono all’interno del centro vengono infatti
sottolineate per dare una scansione del tempo, sia durante l’arco della giornata che
durante l’arco della settimana.
Tutte le canzoni sono in generale ispirate ad un tema, hanno un loro significato
intrinseco che può essere inerente all’amore, alla guerra o al lavoro; non solo, le
canzoni hanno anche la proprietà di essere spesso legate a momenti dell’anno, a
periodi che sono serviti ai compositori per trarre ispirazione. Ed è proprio questa
caratteristica di certi brani musicali legati ad un determinato momento che fa in
modo che l’intervento porti a scandire i vari periodi dell’anno.
Durante l’intervento si è passati perciò da canzoni di primavera come Ciliegi
rosa o Mattinata fiorentina, a brani dedicati alla Pasqua, al mese mariano, alla
mietitura e quindi al lavoro nei campi, in seguito alla vendemmia (Uva fogarina),
infine al Natale.
Come scrive del resto Francesco Delicati, «L’ascolto di un canto legato a una
fase precisa dell’anno, poi, avrebbe di fatto potuto favorire negli anziani ancora di
più la motivazione al cantare e creare l’atmosfera giusta per esprimersi».47
47
Francesco Delicati, Il canto fa venire fuori il paese più in fretta, Assisi, Pro Civitate
Christiana, 1997, p. 33.
42
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3.2.3 Struttura della canzone italiana
La scelta di impiegare la canzone italiana e specialmente la canzone popolare
non era dovuta solo al fatto che questo repertorio è molto conosciuto e ha
accompagnato la vita degli anziani, ma anche alle sue caratteristiche intrinseche.
La canzone italiana è prevalentemente una canzone vocale, legata fortemente ad
un testo specifico. Le sue caratteristiche più evidenti sono la semplicità di ascolto,
con un impatto immediato, senza filtri, come la vocalità che esce liberamente dal
nostro corpo, e la genuinità, come genuino era il lavoro nei campi.
La struttura armonica della canzone italiana anni ’50-’60 è abbastanza
coerente, e la possiamo ritrovare in numerosi brani: si tratta di una struttura basata
sui gradi principali di una scala armonica, il primo, il quinto grado, con brevi
passaggi che toccano il quarto e a volte il secondo grado.
Nei capisaldi della canzone italiana, come Romagna mia, Mamma, Nel blu
dipinto di blu, si riscontra una struttura in cui la strofa viene proposta in una
tonalità minore, le parole del testo sono malinconiche, struggenti, mentre nel
ritornello spesso si ritrova la tonalità iniziale riproposta in maggiore a sottolineare
l’esplosione di un insieme armonico di significato e contenuto, con il testo che
evolve esprimendo a pieno il suo significato e mettendo più chiaramente in risalto
il messaggio che la canzone vuole trasmettere.
3.3 La dinamica della seduta
La dinamica di ogni seduta era strutturata prevedendo un inizio soft, costituito
a volte dall’ascolto di un brano con un ritmo lento o dal canto di una canzone dai
toni pacati, in modo da attivare gradatamente le persone all’ascolto e da condurre
la loro attenzione sul momento dell’incontro per consentire anche un ricordo,
basato sugli incontri precedenti, dell’attività che si sarebbero apprestati a fare:
accade infatti che alcune volte, quando si arriva nel centro e si salutano le persone
invitandole a partecipare alla seduta, alcune di esse non ricordino cosa si sta per
fare, però non appena esse ascoltano qualche suono il ricordo diventa più chiaro e
vicino. Inoltre, all’inizio della seduta è preferibile scegliere un brano neutro,
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d’apertura, che non possa suggerire immediatamente ricordi vivi, carichi
d’emozione, e che serva come saluto, come incontro.
La seduta proseguiva crescendo in intensità, attivando le persone in misura
maggiore, incalzandole con brani molto ritmati, a volte accompagnati dagli
strumenti o da alcuni piccoli movimenti fisici come battere le mani, i piedi o
percuotersi le gambe.
In questa fase centrale, quando si entra nel pieno svolgimento della seduta, si
possono effettuare delle scelte che potrebbero scuotere le persone, proponendo ad
esempio un brano intenso, emotivamente carico, che possa portare in superficie
ricordi intensi e che induca gli anziani ad esternarli verbalmente accompagnati da
tutta la loro espressività.
L’ultima fase della seduta mirava invece a riportare le persone ad una
sensazione di tranquillità, senza tensione, simile a quella iniziale: la proposta
musicale era di conseguenza un brano con una ritmica non troppo veloce e con un
testo che non richiamasse alcun argomento forte. La seduta nel suo finire placava i
toni e calmava il ritmo, riportando le persone in uno stato di serenità, cercando di
lasciar loro una sensazione e un ricordo gradevole.
Prima dei saluti, che da parte degli ospiti del centro sono stati sempre molto
calorosi e di assoluto ringraziamento, il terapista ricordava al gruppo le attività e
le canzoni svolte durante la giornata, rinnovando l’appuntamento per la settimana
successiva.
Le sedute iniziavano dunque lentamente, gradatamente aumentavano
d’intensità per poi terminare placando gli animi: il tutto legato da un filo
conduttore tematico-musicale in grado di lasciare una sensazione piacevole e di
curiosità che doveva indurre le persone a voler ritornare a questo appuntamento
settimanale ricco di musica e di vita.
In questo progetto di musicoterapia è stato impiegato tale tipo di dinamica
come “regola” generale delle sedute, dalla quale ci si è talvolta discostati sulla
base di obiettivi terapicamente mirati. Si tratta di un modello di “seduta tipo”, una
struttura base su cui poter anche “improvvisare”. Tenendo infatti in
considerazione che alcune persone hanno partecipato per circa un anno e mezzo
alle sedute, il loro contributo propositivo è aumentato in modo considerevole nel
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corso del tempo: molte volte erano quindi proprio i partecipanti a proporre brani
da cantare, portando la dinamica della seduta su certi livelli emotivi, facendo sì
che fosse necessario modificare la scaletta dell’incontro, naturalmente sempre
sotto la sorveglianza e la guida del musicoterapista e del coterapista, che
dovevano sempre mantenere il controllo della seduta.
In qualche seduta, ad esempio, si iniziava da una canzone che una persona
aveva suggerito anche soltanto iniziando a canticchiarla lungo il corridoio che
portava alla sala, e si prendeva spunto da quel prezioso input.
3.4 Materiali utilizzati
Oltre alla tastiera, che sostiene armonicamente il canto, sono stati usati vari
strumenti a percussione provenienti principalmente dallo strumentario Orff.
Gli strumenti utilizzati erano: maracas, tamburello, cembalo, triangolo,
legnetti, ovetti, ecc.
Gli strumenti venivano portati alle persone dal coterapista, il quale
verbalizzava il nome dello strumento mentre lo consegnava.
La prima reazione delle persone di fronte agli strumenti era generalmente di
rifiuto, dicevano che non volevano suonare o che non erano capaci. Non erano
affascinati e incuriositi ma piuttosto riluttanti, e tuttavia, trovato un po’ di
coraggio, dopo aver provato lo strumento trovavano piacere nell’accompagnare le
canzoni con il ritmo da loro creato.
Lo strumento è un mezzo che facilita l’espressività, un aiuto per quegli anziani
con qualche difficoltà comunicativa: persone con sordità profonde o con afasie
riescono tramite lo strumento a integrarsi maggiormente nel gruppo e a
coinvolgersi suonando insieme agli altri.
Data la mia formazione musicale e la mia attività di musicista professionista, si
è pensato di sperimentare anche l’utilizzo, tra i vari strumenti musicali, della
tromba, strumento nel quale ho conseguito il diploma al conservatorio. In un
primo momento l’abbiamo utilizzata per stimolare e verificare la memoria, per
vedere in quanti ricordavano di avere ascoltato il suono della tromba la settimana
precedente; in seguito la si è utilizzata per riproporre canzoni sotto un’altra
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chiave. Molti anziani la prima volta che hanno ascoltato la tromba si sono
commossi trasmettendomi la loro sensazione: per loro la tromba ha un suono
molto emozionante, avvolgente, ricco di espressione; il loro ascolto era attento,
seguivano l’esecuzione interessate a tutte le varie sfumature del suono. Anche per
questi aspetti, l’utilizzo della tromba è stato graduale, per non scuotere troppo
velocemente l’emotività delle persone.
La tromba si è rivelata il mio principale strumento musicale di comunicazione,
l’oggetto intermediario, aumentando la relazione e l’interazione, dandomi
un’identità più marcata, un ruolo all’interno del gruppo più definito,
avvicinandomi ancor di più a tutte le persone.
3.5 Il ritmo involontario
Dopo aver eseguito il brano cantato e accompagnato con gli strumenti, come
abbiamo visto in precedenza, succedeva in alcuni casi che le persone, tenendo in
mano il proprio strumento, iniziassero involontariamente a suonare, producendo
piccoli frammenti ritmici i quali, colti rapidamente e rispecchiati dal
musicoterapista, venivano sostenuti ed arricchiti armonicamente fino a
trasformare il tutto in un brano musicale che coinvolgeva tutto il gruppo. Come
scrive Tony Wingram, «Rispecchiare e imitare sono in genere usate come
tecniche empatiche quando il musicoterapista intende mandare il messaggio al
paziente di volerlo incontrare al suo livello e di cercare di entrare in sintonia con
lui/lei».48 Alla fine si verbalizzava sull’accaduto, indicando ed elogiando chi
aveva dato origine al brano musicale eseguito.
Questo vale non solo per le produzioni musicali ma anche per alcuni
movimenti che le persone fanno accompagnando le canzoni, ad esempio battere le
mani o i piedi. Anche in questo caso, raccolto l’input, poteva partire una risposta
che riusciva a coinvolgere l’intero gruppo.
L’osservazione in questo frangente non deve valutare l’esecuzione musicale in
quanto accompagnamento della canzone che segua perfettamente un ritmo, bensì
48
Tony Wingram, Improvvisazione. Metodi e tecniche per clinici, educatori e studenti di
musicoterapia, Roma, Ismez, 2005, p. 57.
46
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esaminare le capacità ritmiche delle persone, la motivazione, la volontà di
esplorazione, l’intensità, i movimenti usati per suonare i vari strumenti.
3.6 Dalla canzone alla parola: il percorso per arrivare alla verbalizzazione
Le canzoni proposte durante le sedute portavano il ricordo delle persone alla
loro infanzia e alla loro gioventù: questo faceva sì che da una canzone si potesse
arrivare alla verbalizzazione di un vissuto.
Si iniziava tutti insieme cantando, accompagnati da una tastiera, una canzone
appartenente al repertorio che richiama la gioventù, là dove il ricordo si fa più
vivido e intenso. Successivamente, terminato il canto, si procedeva con una lettura
del testo del brano, una lettura eseguita chiaramente e ben scandita in modo che le
persone potessero sentire e capire le parole. La fase successiva poteva dar luogo a
due risposte, influenzate naturalmente sia dalla predisposizione delle persone e dal
loro vissuto, sia dalla guida del musicoterapista: la lettura-cantata o la letturaverbale.
3.6.1 La lettura cantata
Nella lettura cantata, da una prima proposta verbale da parte del
musicoterapista si ottiene una risposta da parte del gruppo non più solo attraverso
le parole ma tramite la musica, con le persone che semplicemente rispondono
cantando.
Per le persone diventava più facile e più naturale non riproporre il testo
attraverso lettura, ma mantenere le parole legate alla melodia, e dunque eseguirlo
col canto. La musica, il sostegno del suono e del canto, anche in questo caso
stimolava la memoria a ricordare le parole e le varie strofe che componevano la
canzone.
In questa fase ci si trova immersi in uno stato emotivo molto intenso, perché la
musica non è più indotta e prodotta da uno strumento ma creata dalla sola voce
delle persone, che spontaneamente esce dal corpo creando tensione emotiva e
dando la sensazione di una grande unione da parte di tutti i partecipanti. Dal punto
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di vista emotivo, questa è una delle fasi più toccanti della seduta, nella quale si
viene a contatto con l’energia generata dalla musica e in cui si può sfiorare una
piccola parte della sua potenza.
3.6.2 La lettura verbale
La lettura verbale è una risposta ben diversa dalla precedente: l’attenzione delle
persone veniva colpita da alcune parole del testo che le portavano a ricordare
episodi, luoghi e persone. Da una sola parola si poteva accendere una piccola
frase, proseguita da un breve racconto da parte della stessa o di un’altra persona,
fino a sfociare in una verbalizzazione a cui partecipava quasi tutto il gruppo e che
creava relazione, interazione e socializzazione. Si trattava di un’analisi del
significato delle parole che componevano il testo: a chi erano riferite, se a una
persona oppure ad un luogo, un episodio ecc. In questo caso la memoria a breve
termine era molto sollecitata, e le persone, specialmente nelle ultime sedute, si
dilettavano a scoprire o riscoprire il significato del testo, mettendo in campo tutte
le loro risorse. La musica e il testo ancoravano maggiormente le persone al
presente e impedivano loro, anche se per breve tempo, di perdersi nella loro non
lucidità.
Capitava che alcune persone restassero un po’ emarginate da questi discorsi. I
motivi potevano essere svariati: un assopimento, una distrazione momentanea, un
momento di non lucidità o presenza. In questo caso il musicoterapista o il
coterapista intervenivano ponendo domande dirette per cercare di riportare le
persone al momento in cui si trovavano, tentando di farle eventualmente
partecipare e di metterle in una condizione favorevole ad esprimere le loro idee o
un loro racconto sull’argomento trattato.
3.7 Un esempio pratico
Prendiamo come esempio un brano molto conosciuto, Romagna mia, usato e
abusato in varie situazioni, per lo più in luoghi di divertimento come sale da ballo
o feste paesane.
48
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Nelle sedute svolte, l’ascolto di un brano come questo non portava sempre le
persone ad uno stato d’animo di allegria, e questo dipendeva non solo dalle
condizioni psico-fisiche delle persone, ma anche dalle domande poste alla fine
dell’ascolto o dell’esecuzione.
Ad esempio, se la domanda posta fosse del tipo “Dove si ascoltava questo
brano? Dove l’avete sentito?”, la risposta sarà presumibilmente che lo si ascoltava
quando si andava a ballare, e la conversazione sarà allora condotta su un tono
tranquillo, persino allegro, e si narreranno le piacevoli giornate di festa trascorse
in compagnia o ballando nelle “balere”. Se invece la domanda fosse più mirata,
basata sul testo, magari tramite un’analisi delle parole «sento la nostalgia di un
passato, / dove la mamma mia ho lasciato. / Non ti potrò scordar casetta mia...» –
tre brevi frasi veramente significative, specialmente per chi ha come obiettivo
quello di portare le persone ad una verbalizzazione che conduca ad una relazione
–, in questo caso la conversazione potrebbe assumere toni più seri, malinconici, il
livello emotivo sarebbe sicuramente più alto, e si tratterebbero due argomenti
molto cari agli anziani, che li legano al loro passato, ovvero la mamma e la terra
(e il lavoro).
L’esempio illustrato nasce da un’esperienza reale, nella quale di grande
interesse sono state le diverse risposte date dalle persone differenziando in modo
sensibile i due gruppi. Si riportano per tale motivo, a conclusione di questo
capitolo, alcune frasi verbalizzate dopo l’ascolto di Romagna mia in una seduta
svoltasi il 15 gennaio 2007.
GRUPPO 1
Si canta tutti insieme Romagna mia.
LUCIA commenta: “Mi fa venire la nostalgia dei figli e della famiglia, della
terra, ho delle coltivazioni di olive e faccio l’olio”.
COLOMBA ha una reazione forte dicendo che Lucia parla solo della terra e non
dei figli, poi dice che anche lei “tiene” la terra, campi e coltivazioni in provincia
di Avellino, ma che per lei l’importante sono i figli e non la terra. Poi conclude:
“La terra la tengo in core, ma non la nomino come fa Lucia”.
49
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LUCIANO: “La mia laguna di Venezia, la piazza San Marco, è un posto
impareggiabile, ho un sentimento profondo di nostalgia, ed ogni tanto ritorno a
Venezia a fare il giro di tutte le isole. [...] Mare per mare c’è la costiera
amalfitana, altro miracolo della natura”.
COLOMBA fa una riflessione: “Lucia sfoga, io invece lo tengo in core e
patisco”.
GRUPPO 2
Anche in questo gruppo si canta la canzone Romagna mia.
BICE: “Andavo a ballare al pomeriggio, perché alla sera non potevo andare
perché avevo un padre così gramo49 e non voleva che andassi fuori alla sera. [...]
Andavamo in bicicletta io e le mie due sorelle, in tre in bicicletta”.
ARVES: “Ci si andava al pomeriggio e si restava lì anche la sera”.
ANNAMARIA: “Io andavo da Parma a Collecchio50 a piedi per ballare, si ballava
tanto a Collecchio, a Sala Baganza, Fornovo e ai boschi di Carrega,51 si ballava
sempre all’aperto nei festival”.
ARVES: “Quando suonavano i Cantoni52 si muoveva la città. [...] Mio zio
suonava il quartino53 nel Concerto Cantoni”.
BIANCA: “Mio padre non voleva che andassi a ballare perché il giorno dopo ero
stanca per andare a lavorare nei campi, quindi preparavamo delle scale dietro la
casa e di nascosto andavamo a ballare”.
ROSETTA: “Gli uomini invitavano le donne a ballare dicendo: ‘Signorina
permette questo ballo?’”.
49
Gramo: nel senso dialettale di “persona di cattivo carattere”.
La distanza tra Parma e Collecchio è di circa 15 chilometri.
51
Si tratta di Comuni e località in provincia di Parma.
52
Il “Concerto Cantoni”, gruppo virtuosistico di fiati composto per gran parte dai nove fratelli
maschi della famiglia omonima, sopra citato.
53
Quartino: clarinetto piccolo in MIb.
50
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4. RISULTATI
In questi due anni di incontri le persone del centro diurno, salute permettendo,
sono cambiate notevolmente, sono molto più attive da un punto da vista fisico,
psichico e cognitivo.
La verbalizzazione è aumentata notevolmente: dalle prime frasi frammentarie,
“strappate fuori” con domande dirette, si è arrivati a lunghi racconti ai quali hanno
partecipato più persone e che hanno ricoperto gran parte del tempo delle sedute.
I discorsi partivano spontaneamente: finito l’ascolto della canzone iniziava un
racconto inerente al brano ascoltato o eseguito, si parlava del significato del testo
e del contesto in cui si cantava quella determinata canzone.
Le proposte sono aumentate in modo considerevole: gli anziani richiedevano
molto più spesso brani particolari o attaccavano in modo spontaneo intonando un
brano che avrebbero voluto cantare o ascoltare.
La relazione tra le persone è divenuta più forte: gli ospiti si chiamavano, si
facevano delle domande ed erano sempre disposte a gratificare e sostenere quelle
persone che erano più in difficoltà; inoltre essi percepivano molto l’identità del
gruppo, si sentivano partecipi di un’attività comune da condividere con altre
persone.
Seduta dopo seduta le persone sono state in qualche modo “costrette a cedere”
alla potenza della musica, una calamita che attrae verso l’esterno l’espressività
delle persone facendo emergere il loro vero carattere, attivandole, rendendole
partecipi di un’attività comune in grado di ridare vitalità, benessere, modificando
nonostante l’età avanzata il comportamento, cambiando quei “musoni” con
persone dai comportamenti cordiali e amichevoli, con espressioni aperte e occhi
sorridenti e luminosi.
Anche la psicomotricista che opera nel centro diurno ha notato evidenti
cambiamenti nelle persone, dando gratificazione al lavoro svolto.
Porto l’esempio, uno su tutti, di Maria, una signora affetta da demenza,
completamente non autosufficiente, seduta su una carrozzina, la quale non appena
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sente la musica batte il piede. Normale? Sì, potrebbe essere una cosa normale,
salvo che Maria batte il piede rigorosamente a tempo; e questo accade a lei, ma
accade qualcosa di analogo a Rosa, Annamaria, Anna, Giuseppe… persone che a
volte attraversano momenti di grande appannamento mentale, o che si
assopiscono per l’effetto dei farmaci e che, se si rivolge loro una domanda,
talvolta non rispondono in modo appropriato, ma che sono in grado di continuare
ad eseguire un ritmo perfettamente a tempo. Oppure a quelle persone colpite da
ictus che non riescono a parlare, ma che attraverso la musica e il canto riescono a
cantare con un filo di voce un breve pezzo di un brano.
Questo è l’elemento che più fa pensare che la potenza comunicativa del suono
non abbia uguali, e che il ritmo riesca e resistere all’età, andando al di là di ogni
demenza e patologia. La musica ha un potere unico, come l’acqua arriva dove
altre fonti non riescono, e goccia dopo goccia abbatte tutte le barriere: e anche in
età avanzata credo che la musica possa arrivare a migliorare il comportamento
delle persone.
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PARTE SECONDA
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5. IL DIARIO DEI RICORDI
Scrivere un romanzo o viverne uno
non è affatto la stessa cosa, checché
se ne possa dire, e tuttavia, non è
possibile separare la nostra vita dalle
nostre anime.
[M. PROUST]
5.1 Quattro grandi temi
Le persone anziane sono legate a ricordi di avvenimenti accaduti durante la
loro gioventù. In particolare ogni persona è legata maggiormente ad un periodo
preciso, a qualcosa che ha segnato positivamente o negativamente la sua vita. C’è
chi è legato al periodo della guerra, chi al lavoro nella risaie o nei campi, chi alla
propria città o ad un grande amore. I racconti suscitati dalle canzoni possono
essere tanti, ma gli anziani tendono a raccontare sempre questi episodi così
personali e per loro così significativi.
Durante questa esperienza si è potuto osservare come le persone si legano a
determinate canzoni che portano alla luce questi episodi a loro cari. La loro
richiesta di conseguenza cade quasi sempre sulle stesse canzoni, una canzone che
raffigura la loro persona, un loro vissuto, una parte indelebile della loro vita.
Quello che si presenta di seguito è un diario dei ricordi che comprende tutto ciò
che è emerso in questi anni di attività con gli anziani: mi piace definirlo come la
loro tesi, un resoconto dell’attività scritto da loro stessi.
5.1.1 Il lavoro
Come già abbiamo illustrato la memoria degli anziani porta a ricordare episodi
che appartengono al loro passato, alle loro origini, alla loro terra natia, la terra
d’origine, da dove tutto è partito e dove sentono di riavvicinarsi.
La terra è intesa come il letto in cui sono nati: la terra che hanno duramente
coltivato (sia gli uomini volenterosi, sia le donne, che hanno faticano tanto quanto
gli uomini) li ha aiutati a crescere e ad andare avanti. Il lavoro era un dovere
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imprescindibile, poiché poter lavorare significava riuscire a mangiare, ma a volte
il lavoro era anche passione, ed era sempre accompagnato dalla musica.
Si cantava nei campi, nelle risaie – dove sono nati i canti delle mondine –, e si
cantava forse per alleviare la fatica, perché il canto dava uno stimolo per
continuare, o forse per sognare un po’ o per sentirsi un po’ meno soli.
La musica era presente non solo in tutte le ore di lavoro, ma anche alla fine
della giornata, quando ci si ritrovava per cantare.
Si vedano ad esempio queste frasi, tratte dal “diario dei ricordi”:
GIUSEPPE: “Alla sera ci si trovava per cantare e anche se si era tra pochi amici
si faceva sempre tardi, a volte si veniva sgridati perché al mattino ci si doveva
alzare presto per andare a lavorare”.
ROSETTA, riferendosi ai momenti di lavoro nei campi chiede: “Ma ti ricordi,
Cleonice?”.
CLEONICE risponde: “Sì, anca trop”.54
5.1.2 La mamma
Collegata strettamente con il tema dell’amore, la figura materna è considerata
dagli anziani come un rifugio, dove tutto si calma, tutto si placa; una presenza che
raffigura la pace. Molte immagini compaiono, nei loro ricordi, sulla mamma:
mentre prepara la tavola, riordina la casa, lava il bucato alla fonte – e
naturalmente mentre si faceva il bucato si cantava.
Quando le persone anziane parlano della propria madre si avverte un
cambiamento nella voce: esse assumono un tono più caldo, il volume si abbassa,
gli occhi brillano; ne parlano con tanto calore come se l’avessero a fianco.
Traspare così tutto l’amore che hanno ricevuto, nell’esaltazione di tutte le qualità
e degli innumerevoli ruoli che la mamma assumeva.
Per loro, la mamma resta un punto fermo della vita, la persona più importante
che abbiano mai conosciuto.
54
Sì, anca trop: “Sì, anche troppo”.
55
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MARCO CATELLI – SST IN MUSICOTERAPIA - TERZO ANNO A.A. 2007 - 2008
Su questo argomento i loro pensieri erano ad esempio:
CLEONICE: “La parola mamma è la prima parola che dice il bambino, che
quando ha bisogno di qualche cosa si chiama la mamma”.
LUCIA: “Mamma è la parola più bella al mondo”.
5.1.3 L’amore
L’amore è senz’altro un argomento che permette di vedere le persone contente
di ricordare.
L’amore ha riempito e accompagnato tutta la vita degli anziani, legati da
matrimoni lunghissimi, da amori che erano veramente eterni (finché morte non ci
separi); e anche se molte di queste persone non sono più in compagnia del loro
amore, i loro racconti restano intensi e pieni di passione.
Parlano dei loro fidanzati di un tempo, delle fughe per andarli a trovare, delle
giornate di festa e di ballo nelle quali favorivano gli incontri amorosi, della
primavera dove c’era più luce e quindi finito il lavoro si aveva ancora un po’ di
tempo da dedicare all’amore.
Come poter dimenticare le serenate sotto le finestra, o le innumerevoli canzoni
che trattano questo tema? Si farebbe forse prima ad elencare quelle in cui non si
parla di amore.
Anche a questo proposito si veda il “diario dei ricordi”:
ANNAMARIA: “Avevo la fortuna di avere una taverna ed invitavo tutti, le
giovani e i giovanotti, nella mia taverna alla sera per ascoltare musica in cerchio e
per cantare, e ci si baciava tanto. [...] Alla sera l’era un basament che an f’niva
pu”.55
LUCIANO: “Il miglior tema della vita, tutta la vita ruota intorno all’amore”.
55
Alla sera l’era un basament che an f’niva pu: “Alla sera era tutto un baciarsi che non finiva
più”.
56
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5.1.4 La guerra
Un avvenimento che accomuna tutte le persone presenti nel centro diurno dove
è stato svolto l’intervento di musicoterapia e che ha indubbiamente segnato
l’intera vita degli ospiti del centro è la seconda Guerra mondiale: tutti i ricordi
portano a quel tempo, a quegli anni di grande sofferenza, di carestia, di povertà,
anni difficili da ricordare e da raccontare. I loro racconti sono spesso vaghi,
procedono a frammenti, quasi il ricordo della povertà li rendesse poveri anche di
parole; il ricordo è chiaro, presente, ma tenuto a bada in modo che non esca, che
non ritorni a galla, in modo che non si ripresenti la sofferenza di un tempo.
Ancora per alcuni anni riusciremo trovare persone, in Italia, che hanno
conosciuto e provato sulla propria pelle i danni di una guerra, persone che al
tempo di guerra attraversavano gli anni d’oro della loro gioventù, e che anche per
questo conservano un ricordo così lucido e vivo.
Molti dei canti conosciuti dagli anziani appartengono alla guerra, al repertorio
degli alpini, canzoni che non tutti amano eseguire anche perché cantando si fa più
forte un ricordo che tutte le persone vorrebbero rimuovere dalla loro memoria e
dalla loro vita:
Il ventesimo è stato un secolo di straordinaria turbolenza e di straordinario cambiamento
sociale; per comprenderlo non possiamo fare affidamento su libri, generalmente
“centrati” sulla vita delle persone colte e importanti. Possiamo però chiedere
direttamente alla gente, per esempio, che cosa ha provato nell’ascoltare per la prima
volta la radio o che cosa si ricorda del suo servizio militare, anche se è difficile indurli a
parlare delle trincee (quelli che sono sopravvissuti sono decisi, generalmente, a
dimenticare quei terribili anni).56
Come potranno essere gli anziani futuri? Come potrà essere o come cambierà
l’anzianità tra qualche anno? Sarà un’anzianità composta da persone che non
hanno vissuto la guerra in prima persona, che racconteranno la loro vita
ricordando episodi appartenenti alla loro gioventù senza che compaiono episodi
bellici. Conseguentemente anche i loro vissuti musicali saranno diversi,
potrebbero essere racconti sulla ricostruzione e su tutto lo sviluppo economico che
c’è stato negli anni seguenti, ma credo che un grosso patrimonio culturale e
musicale tenderà lentamente a sparire, specialmente quando le testimonianze
56
Mary Marshall, Il lavoro sociale con l’anziano, Trento, Centro Studi Erickson,1998, p. 11.
57
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saranno scomparse e con loro un periodo storico che ha caratterizzato il nostro
paese influenzando la vita delle persone, le cultura e la musica.
Come testimonia Arves nel “diario”, “Quando ci si ritrovava in un momento di
‘non pericolo’ si cantava, oppure si cantava quando qualche ufficiale pagava da
bere”. Oppure, per concludere con le parole di Velimir Chlébnikov, «Quando
stanno morendo, i cavalli respirano / Quando stanno morendo, le erbe
intristiscono / Quando stanno morendo, i soli si spengono / Quando stanno
morendo, gli uomini cantano».57
5.2 Il diario dei ricordi
Si trascrivono in questo “diario dei ricordi” le parti più significative delle
verbalizzazioni emerse nel corso delle sedute di musicoterapia, con l’intento di
fornire una testimonianza e un repertorio tematico-narrativo.
SEDUTA DEL 18 SETTEMBRE 2006 – GRUPPO 1
Domanda: dove si ascoltavano le canzoni? Quando si cantava?
LUCIANO: “Le canzoni si ascoltavano alla radio, si ascoltavano anche nelle
baite, [...] dove le sedie venivano disposte in cerchio”.
ROSA: “Oppure si ascoltavano in casa sul giradischi”.
GIUSEPPE: “Finito l’orario di lavoro nei campi, ci si trovava nell’aia della corte
o del podere per fare una cantatina seduti sulle sedie o sopra a delle cassette. Alla
sera ci si trovava per cantare e anche se si era tra pochi amici si faceva sempre
tardi, a volte si veniva sgridati perché al mattino ci si doveva alzare presto per
andare a lavorare. Si distinguevano le voci da prima o da seconda, chi aveva una
voce più forte o più bella faceva la parte principale”.
ANNAMARIA: “Avevo la fortuna di avere una taverna ed invitavo tutti, le
giovani e i giovanotti nella mia taverna alla sera per ascoltare musica in cerchio e
57
Velimir Chlebnikov, Quando stanno morendo (1913), in IDEM, Poesie, a cura di Angelo
Maria Repellino, Torino, Einaudi, 1968, p. 22.
58
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per cantare, e ci si baciava tanto. [...] Alla sera l’era un basament che an f’niva
pu”.58
SEDUTA DEL 25 SETTEMBRE 2006 – GRUPPO 1
ARVES: “Si cantavano le canzoni di guerra. [...] Quando ci si ritrovava in un
momento di ‘non pericolo’ si cantava, oppure si cantava quando qualche ufficiale
pagava da bere. Si cantava davanti al monumento ai caduti”.
GIUSEPPE: “C’era una musica dei giovani e una musica dei vecchi, adesso c’è
molta confusione”.
ANNAMARIA: “Modugno aveva un unico amore, una moglie che lo amava tanto
e lui ne andava matto”.
GIUSEPPE: “Modugno aveva grande energia, una voce piena e possente”.
SEDUTA DEL 25 SETTEMBRE 2006 – GRUPPO 2
MADDALENA: “La gente cantava per la strada”.
SEDUTA DEL 2 OTTOBRE 2006 – GRUPPO 1
Ascolto della canzone O sole mio:
LUCIANO: “A Napoli, nei ristoranti si sentono le canzoni suonate da
un’orchestrina, tra le quali la canzone Santa Lucia”.
GIUSEPPE: “O sole mio era cantata da un tenore o un baritono, ma più di mezzo
secolo fa. A Napoli erano più focosi di noi”.
LUCIANO racconta che è stato a lavorare a Napoli per tre anni, in una piazza
vicino a via Roma, e che inoltre a Napoli c’è l’hotel Bahia da dove si vede la costa
e la parte del Salento.
58
Alla sera l’era un basament che an f’niva pu: “Alla sera era tutto un baciarsi che non finiva
più”.
59
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SEDUTA DEL 2 OTTOBRE 2006 – GRUPPO 2
BICE: “Si andava a cantare in chiesa, il prete ci faceva cantare e passavamo il
pomeriggio in compagnia, la sorella del prete insegnava ai bambini, così cantavo
anch’io”.
ARVES: “Mio padre aveva dei colombi viaggiatori, che venivano dati a dei
soldati che andavano a Roma poi li mollavano e tornavano a casa”.
LUIGI: “I più vecchi, di piccioni viaggiatori, la mia vicina me li dava da
mangiare, perché non andavano più bene”.
ARVES: “Hanno una carne fine”.
ELENA:59 “Ma perché si mangiano i piccioni?”.
ARVES: “Mah, c’è chi mangia la gallina, dunque…”.
LUIGI: “Mia figlia ci fa anche il brodo di piccione”.
BICE: “Da quando è morto mio marito non ho più cantato, e sì che prima a
canteva c’me ’n merol,60 e poi ho cantato oggi, sono andata dietro alla melodia,
sono brava… canto bene… me lo dico da sola”.
SEDUTA DEL 9 OTTOBRE 2006 – GRUPPO 1
LUCIANO: “La più bella del mondo è una canzone riposante”.
Si parla di amore:
LUCIANO: “Il miglior tema della vita, tutta la vita ruota intorno all’amore. [...]
Nella pratica quando finiscono i soldi finisce l’amore, non facciamo illusioni,
siamo materialisti”.
GIUSEPPE: “Mia sorella aveva un carattere brillante, una persona molto spiccia
e aveva una voce molta bella, ma il giorno del matrimonio, mentre andava verso
la chiesa, le chiedevano di cantare ma lei non riusciva”.61
59
Si tratta della musicoterapista.
e sì che prima a canteva c’me ’n merol: “e dire che prima, quanto ero giovane, cantavo come
un merlo”.
60
60
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MARCO CATELLI – SST IN MUSICOTERAPIA - TERZO ANNO A.A. 2007 - 2008
LUCIANO propone: “Cantiamo Romagna mia”.
UMBERTO: “Ma è antica”.
LUCIANO: “Antica come noi”.
A Parma c’è un circolo ricreativo chiamato “gli Orti” perché ci sono tanti orti
di proprietà comunale dati in gestione ai cittadini. UMBERTO e FORTUNATA
raccontano che in questo circolo si cantava, si ballava e si mangiavano “i
agnolen”.62 Una volta, in questo circolo, Fortunata sentì cantare Umberto, il quale
faceva parte di un coro.
SEDUTA DEL 23 OTTOBRE 2006 – GRUPPO 1
MADDALENA racconta che quando era bambina cantava in cortile, dove viveva,
a Gaiano; aveva cinque anni e cantava canzoni come Ciliegi rosa, che allora era
appena uscita.
Ascolto della canzone Piove:
VINCENZA: “Ah! Una voce così… squillante, è Modugno”.
ANNA: “Mio fratello suona la fisa, suonava nei parchi quando c’erano delle
feste, aveva tanta passione a suonare, ma c’era da lavorare in campagna, andava a
lavorare, poi quando tornava andava in camera a suonare. [...] Quando andava a
suonare la prendeva con lui, mi portava sulla canna della bicicletta”.
COLOMBA: “Anche mio fratello suonava la fisarmonica, la sera andavamo nelle
case vicine per suonare”.
ELENA chiede: “Ma a che età si andava a ballare?”.
ANNA: “Quindici-sedici anni, perché prima non lasciavano entrare e i genitori
non lo permettevano”.
61
62
ma lei non riusciva: perché troppo emozionata dall’evento.
i agnolen: gli anolini o cappelletti, si tratta di un primo piatto tipico dell’Emilia.
61
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MADDALENA racconta che ha vissuto dieci anni in Belgio, e che anche lì
c’erano le feste dove c’era tanta musica. In Belgio veniva chiamata Maideline.
SEDUTA DEL 23 OTTOBRE 2006 – GRUPPO 2
Si canta la canzone Mamma:
CLEONICE: “La parola mamma è la prima parola che dice il bambino, che
quando ha bisogno di qualche cosa si chiama la mamma”.
Ascolto di un brano di musica classica (Chopin). Domanda: “Vi piace?”.
ARVES: “Bisogna conoscerla per poterla capire, mi piace così così, la sento un
po’ lontana”.
ANNAMARIA: “A me piace più la Vedova allegra”.
LUCIA: “Non mi piace tanto, troppo malinconica”.
ROSETTA: “A me piace tutto”.
CLEONICE: “Mi piace ma è un po’ calma”.
SEDUTA DEL 6 NOVEMBRE 2006 – GRUPPO 2
Nasce una domanda: “Ma chi comanda in una famiglia?”.
FORTUNATA: “Gli uomini adesso portano la sottana e le donne i pantaloni”.
ROSETTA: “Comandano uguali, lo dico per non offendere i signori uomini”.
ARVES: “Adesso l’uomo porta fuori il bambino in carrozzina”.
SEDUTA DEL 13 NOVEMBRE 2006 – GRUPPO 2
Si parla di vari balli, e Lucia menziona “il ballo del qua qua”.
FORTUNATA: “Il ballo del qua qua si balla in cinquanta persone tutti insieme”.
ANNA: “Si ballava il tango, ma il valzer era il ballo che era in testa, quello più
ballato”.
62
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GIUSEPPE: “Il valzer e la mazurca sono parenti, cioè si assomigliano, hanno una
cadenza diversa”.
ANNA: “La mazurca è quasi come un valzer”.
SEDUTA DEL 13 NOVEMBRE 2006 – GRUPPO 2
BICE guarda ELENA e commenta: “Anche io da giovane avevo un vitino come
il suo. [...] Da giovane facevo le gare di ballo, ero svelta… un folletto… ero
dinamica”.
Viene proposta una canzone da accompagnare con l’uso degli strumenti a
percussione, ELENA decide di accelerare il ritmo, le persone seguono molto bene,
il ritmo si fa veramente veloce… Alla fine BICE commenta: “La ga d’andär pu
pian se no an ghe stemma mia adré”.63
SEDUTA DEL 20 NOVEMBRE 2006 – GRUPPO 1
LUCIA: “Mamma è la parola più bella al mondo”.
ADA: “I bambini iniziano a parlare dicendo mamma, mamma è la prima e
l’ultima parola”.
BICE: “‘Bice, il cuor mi dice che il cuor sarà felice’ [...] I musicisti sono tutti
allegri. [...] Io avevo una loggia grande, ci abbiamo fatto tante di quelle ballate, il
mio vicino suonava la fisarmonica e veniva ad allenarsi nella mia loggia, abbiamo
fatto tante di quelle risate e tanti balli”.
SEDUTA DEL 4 DICEMBRE 2006 – GRUPPO 1
Si ascolta una canzone che nel CD è la traccia numero quattordici:
LUCIA: “Il quattordici è il numero dei cornuti”.
LUCIANO: “Ma i vedovi sono cornuti?”.
63
La ga d’andär pu pian se no an ghe stemma mia adré: “Deve andare più piano altrimenti non
riusciamo a seguirla”.
63
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LUCIA: “I vedovi sono alla pace di Dio”.
SEDUTA DEL 4 DICEMBRE 2006 – GRUPPO 2
UMBERTO: “Beati gli ultimi se i primi saranno onesti”.
MARIO: “Le canzoni ci riportano al nostro passato”.
SEDUTA DELL’11 DICEMBRE 2006 – GRUPPO 1
Si dice al gruppo che ci si sta avvicinando al Natale, e si domanda com’era per
loro questa festa.
LUCIA: “Il Natale è la festa più importante che ci sia”:
Il gruppo dice che è importante perché il Natale è la nascita di Gesù.
FORTUNATA: “La notte di Natale si andava a cantare dietro alla porta della
chiesa e quando sentivano cantare aprivano la porta. [...] Si andava a bussare alle
porte con dei bastoni e si diceva ‘Esce il diavolo, arriva Gesù’”.
Viene posta un’altra domanda: “Ma cosa si mangiava il giorno di Natale?”.
LUCIA: “Tutte cose fritte”.
ELENA: “Si facevano dei regali?”.
GIUSEPPE: “I vestiti costavano tanto, allora si regalava un pezzo di formaggio,
burro, un cappone”.
LUCIANO:
“Si
regalavano
cose
di
valore:
giacconi,
orologi,
capi
d’abbigliamento firmati”.
SEDUTA DELL’11 DICEMBRE 2006 – GRUPPO 2
Stesse proposte e domande rivolte al primo gruppo in questa data.
ROSETTA: “Si mangiavano i cappelletti, poi la carne e il cappone, si faceva il
brodo con il manzo più magro e il cappone”.
64
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CLEONICE: “La sera della vigilia si diceva il rosario prima di cena”.
MARIO: “Aiutavo il prete ad addobbare la chiesa, l’organista suonava una
musica adatta, si mangiava il panettone fatto in casa”.
ROSETTA: “I cappelletti si mangiavano a Natale ma non alla vigilia”.
MARIO: “Alla vigilia si mangiava la pasta larga e le pappardelle”.
ROSETTA: “Poi si mangiavano le lumache, la vigilia, ma non piacevano a tutti”.
CLEONICE: “La vigilia si mangiava di magro, non si mangiava la carne, si
mangiava la pastasciutta e il merluzzo, immancabilmente il merluzzo”.
ROSETTA: “La vigilia ci si riuniva tutti insieme con i familiari. [...] Ho fatto la
cameriera e mi intendo molto di cucina, se non trovavo le lumache perché mica
sempre si trovavano le lumache, allora facevo la sogliola o il merluzzo trifolato”.
CLEONICE: “Ognuno aveva la sua moda, facevo due qualità di pastasciutta,
maccheroni e tagliatelle”.
ANNAMARIA e MARIO: “Si faceva anche il torrone, era una gran lavorata fare il
torrone, per far indurire il torrone lo si rovesciava su di un pezzo di marmo”.
SEDUTA DEL 15 GENNAIO 2007 – GRUPPO 1
Si canta tutti insieme Romagna mia.
LUCIA commenta: “Mi fa venire la nostalgia dei figli e della famiglia, della
terra, ho delle coltivazioni di olive e faccio l’olio”.
COLOMBA ha una reazione forte dicendo che Lucia parla solo della terra e non
dei figli, poi dice che anche lei “tiene” la terra, campi e coltivazioni in provincia
di Avellino, ma per lei l’importante sono i figli e non la terra. Poi conclude: “La
terra la tengo in core, ma non la nomino come fa Lucia”.
LUCIANO: “La mia laguna di Venezia, la piazza San Marco è un posto
impareggiabile, ho un sentimento profondo di nostalgia, ed ogni tanto ritorno a
Venezia a fare il giro di tutte le isole. [...] Mare per mare c’è la costiera
amalfitana, altro miracolo della natura”.
COLOMBA fa una riflessione: “Lucia sfoga, io invece lo tengo in core e
patisco”.
65
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SEDUTA DEL 15 GENNAIO 2007 – GRUPPO 2
Anche in questo gruppo si canta la canzone Romagna mia.
BICE: “Andavo a ballare al pomeriggio, perché alla sera non potevo andare
perché avevo un padre così gramo64 e non voleva che andassi fuori alla sera. [...]
Andavamo in bicicletta io e le mie due sorelle, in tre in bicicletta”.
ARVES: “Ci si andava al pomeriggio e si restava lì anche la sera”.
ANNAMARIA: “Io andavo da Parma a Collecchio65 a piedi per ballare, si ballava
tanto a Collecchio, a Sala Baganza, Fornovo e ai boschi di Carrega,66 si ballava
sempre all’aperto nei festival”.
ARVES: “Quando suonavano i Cantoni67 si muoveva la città. [...] Mio zio
suonava il quartino68 nel Concerto Cantoni”.
BIANCA: “Mio padre non voleva che andassi a ballare perché il giorno dopo ero
stanca per andare a lavorare nei campi, quindi preparavamo delle scale dietro la
casa e di nascosto andavamo a ballare”.
ROSETTA: “Gli uomini invitavano le donne a ballare dicendo: ‘Signorina
permette questo ballo?’”.
ARVES: “La gente anni fa era più buona, non come adesso, ci sono dei
delinquenti che uccidono. [...] La vita è bella per chi la sa godere”.
ROSETTA: “La gioventù di adesso è più debole, sono sempre stanchi, non hanno
la forza di combattere, le fatiche che abbiamo fatto noi loro non ce la farebbero a
farle”.
CLEONICE: “È stato il progresso a far succedere tutto questo, è aumentato il
benessere della vita, più che la forza di questi periodi si lavora con la testa e con il
cervello, il cervello dai e dai si stanca anche quello e si arriva a sera che si è
stanchi”.
64
Gramo: nel senso dialettale di “persona di cattivo carattere”.
La distanza tra Parma e Collecchio è di circa 15 chilometri.
66
Si tratta di comuni e località in provincia di Parma.
67
“Il concerto Cantoni” era un gruppo virtuosistico di fiati composto per gran parte dai nove
fratelli maschi della famiglia omonima; suonava brani popolari composti dal padre di questa
famiglia.
68
Quartino: clarinetto piccolo in MIb.
65
66
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SEDUTA DEL 22 GENNAIO 2007 – GRUPPO 1
LUCIA entra e dice: “State tutti bene?”.
IL GRUPPO: “Sì, sì...”.
LUCIA: “Io sono felice quando tutte le persone mi dicono che stanno bene”.
LUCIANO riferendosi a Lucia: “Ha un animo grande”.
Si ascolta la canzone O sole mio.
LUCIA: “Quando c’è il sole fiorisce tutto, le giornate, i fiori, le persone”.
Poi segue la lettura del testo: dalla parola “la lavannara” (lavandaia) scaturisce
un racconto su come anni fa si faceva il bucato:
MADDALENA: “Era una grande soddisfazione lavare a mano”.
ADA: “Si faceva il bucato con la cenere, poi si risciacquavano nel canale e
diventavano bianchi come la neve, lavavano mettendo i panni in una tinozza, poi
venivano lavati più volte e ogni volta l’acqua usata era sempre più calda, la cenere
era messa nell’acqua bollente”.
SEDUTA DEL 22 GENNAIO 2007 – GRUPPO 2
BICE parla troppo e viene ripresa dalle altre persone, lei commenta: “A go ’na
lingua che la sta miga ferma”.69
SILVIA: “Ho cantato l’Ave Maria da sola quando si è sposato il nipote del
prevosto”.
Si distribuiscono gli strumenti, MARCO70 prende gli ovetti,71 BICE commenta:
“Stia attento che non gli vada giù l’ernia con tutto quel peso lì”.
SEDUTA DEL 5 FEBBRAIO 2007 – GRUPPO 1
69
A go ’na lingua che la sta miga ferma: “Ho una lingua che non sta ferma”.
Il coterapista.
71
Strumenti di dimensioni ridotte e di peso leggero.
70
67
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Si ascolta la canzone Domenica è sempre domenica.
ANNAMARIA: “Cantavo questa canzone quando aspettavo il moroso, l’ho
cantata tanto, sa? Io sono vecchia”.
GIUSEPPE le risponde: “Se la cantava lei, non è poi così vecchia questa
canzone”.
Il gruppo commenta dicendo che questa canzone era cantata da Beniamino
Gigli, che conduceva anche un gioco televisivo intitolato Il musichiere nel quale
si dovevano indovinare delle canzoni.
GIUSEPPE: “Certe volte la voce fiorisce, altre volte diventa dura come un
chiodo”.
Si chiede al gruppo che cosa si faceva alla domenica.
LUCIA: “Ci si alzava tardi, si faceva il bagno e si faceva una colazione
abbondante, gli altri giorni non si poteva perché si andava a lavorare, dieci-dodici
ore al giorno”.
ADA: “Si andava a messa e poi si passeggiava”.
LUCIANO: “Si passeggiava nei bordi del Canal grande”.
MADDALENA: “Anche sulle rive del Taro”.
ANNA: “Io mi alzavo alla mattina presto per andare a mungere la vacche, tutti i
giorni, anche la domenica”.
ADA: “Si lavorava nei campi, si andava a raccogliere i pomodori, le cipolle... i
pomodori si portavano alla fabbrica Mutti o Rodolfi”.
SEDUTA DEL 5 FEBBRAIO 2007 – GRUPPO 2
Stesso ascolto del primo gruppo in questa data.
MARIO: “È una sigla di una trasmissione televisiva o di una pubblicità”.
ARVES: “Si andava a ballare pomeriggio e sera”.
BICE racconta di quando invitava le persone a ballare nella sua loggia.
DEBORAH: “Andavo a ballare con il moroso”.
68
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MARCO CATELLI – SST IN MUSICOTERAPIA - TERZO ANNO A.A. 2007 - 2008
FORTUNATA: “Anch’io andavo a ballare con il moroso all’Escalier o
all’Arena”.
ANNAMARIA: “Si andava a messa, si facevano i lavori di casa”.
CLEONICE: “La domenica bisognava appoggiare gli attrezzi, ci si lavava alla
fonte dove l’acqua era fredda, ci si vestiva bene, a festa, poi si mangiava il pranzo
che la mamma preparava, poi liberi fino a sera, ci si truccava usando la cipria e il
borotalco”.
SEDUTA DEL 12 FEBBRAIO 2007 – GRUPPO 1
ELENA introduce l’ascolto della canzone Un amore così grande parlando di
arie d’opera.
ADA: “Andavo al teatro Regio a vedere le opere quando apriva la stagione”.
ANNAMARIA: “Le canzoni di Puccini la sapevo tutte”.
Successivamente ha inizio l’ascolto:
LUCIANO: “La musica è un miracolo divino”.
GIUSEPPE: “Stringe la gola, ho sentito la voce, la musica, tutto”.
ANNAMARIA: “Io ho pianto, sono andata al teatro Regio con mio marito e ho
sentito questa canzone e allora mi sono commossa, a io cridè72 e ho preso lui
(indicando GIUSEPPE seduto a fianco), e gli ho stretto il braccio per l’emozione.
Poi si parla del carnevale:
LUCIANO: “Ci sono i carri allegorici, si andava a bussare a casa degli amici, si
mangiano la chiacchiere, i tortellini fritti, le frittelle”.
SEDUTA DEL 12 FEBBRAIO 2007 – GRUPPO 2
Stesso ascolto del primo gruppo in data odierna; ELENA chiede di ascoltare la
canzone e di riconoscere il cantante.
72
a io cridè: “ho pianto”.
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Iniziato il brano, dopo due parole ANNAMARIA dice: “È Claudio Villa è
inconfondibile”.
MARIO, commosso: “Ho portato una scorta di fazzoletti perché so che la
musica mi fa questo scherzo”.
SEDUTA DEL 19 FEBBRAIO 2007 – GRUPPO 1
Ascolto dell’aria E lucean le stelle di Puccini.
ADA: “Io cantavo nelle corale “Verdi”.
SEDUTA DEL 19 FEBBRAIO 2007 – GRUPPO 2
ANNAMARIA: “Assia Noris ballava insieme con De Sica intanto che lui cantava
questa canzone”.
Il discorso devia su un altro argomento: il lavoro.
CLEONICE, che ha fatto la mondina, spiega il suo lavoro, sostenuta nel discorso
da ROSETTA: “Sono stata la prima del mio paese ad andare a fare la mondina, si
partiva in primavera a maggio-giugno, in treno con una valigia con i panini e i
vestiti per cambiarsi. Si lavorava dalle cinque della mattina alle due del
pomeriggio, tutto il giorno con i piedi nell’acqua, le zanzare ci mangiavano vive,
per pranzo si mangiava una pagnotta, senza companatico, pane fatto di riso che
era duro, cioè tiragno.73 Dopo ci si cambiava e si andava in paese, c’era la libertà
di andare a spasso, si stava via per quaranta giorni, per la durata della campagna
senza avere notizie di casa. Subito si piantavano le pianticelle nell’acqua andando
all’indietro, crescendo formava dei grappoli, si toglievano le erbacce, tirare via la
zizagna74 e si tagliava come il grano. Il frumento si tagliava con la misora75 e si
facevano i covoni”.76
73
tiragno: espressione dialettale difficilmente traducibile, indica un alimento soffice ma
resistente, in particolare il pane, che non si riesce a mordere facilmente, e per il quale occorre
aiutarsi “tirando”, appunto, con le mani.
74
tirare via la zizagna: “mondare il riso”.
75
misora: termine dialettale che indica una piccola falce.
76
covoni: “fasci di spighe di grano”.
70
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ARVES interviene: “Tanti covoni formavano le crocette, e venivano lasciati nel
campo, con questo sistema il grano si bagnava meno”.
ROSETTA: “Si andava a ‘spigolare’, cioè a raccogliere le spighe rimaste in terra
e si portavano insieme alle altre”. Poi, riferendosi ai momenti di lavoro nei campi:
“Ma ti ricordi, Cleonice?”.
CLEONICE risponde: “Sì, anca trop”.77
SEDUTA DEL 2 APRILE 2007 – GRUPPO 1
Dopo l’ascolto della canzone Mattinata fiorentina viene posta una domanda:
“Cosa si faceva in primavera?”.
FORTUNATA: “Ci si vestiva bene e si andava a raccogliere i fiori”.
LUCIA: “Si andava a lavare più volentieri, i panni si asciugavano meglio”.
MADDALENA: “Quando vivevo in Germania78 non si vedeva la primavera come
serenità, c’era il cielo cupo, non si vedeva l’ora di venire in Italia per vedere il
clima”.
FORTUNATA: “Si andava a raccogliere l’uva…”.
IL GRUPPO insorge: “Ma come l’uva? A settembre si raccoglie l’uva”.
SEDUTA DEL 02 APRILE 2007 – GRUPPO 2
Stessa domanda già rivolta al primo gruppo.
ROSETTA: “Si andava fuori, si apriva la finestra e i balconi, la natura si
svegliava”.
CLEONICE: “Per i giovani… la vedono loro la primavera”.
ARVES: “Andavo a raccogliere le viole”.
ROSETTA gli risponde a tono: “Non credo ci andasse da solo a raccogliere le
viole”.
ARVES replica: “Eh no, non ci andavo da solo, ci andavo con degli altri e
andavamo dove c’erano delle ragazze”.
77
78
Sì, anca trop: “Sì, anche troppo”.
Maddalena ha vissuto in diversi paesi tra cui Germania e Belgio.
71
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MARCO CATELLI – SST IN MUSICOTERAPIA - TERZO ANNO A.A. 2007 - 2008
GIUSEPPE: “Le rondini adesso non ci sono più, bevevano l’acqua con i
detersivi”.
SEDUTA DEL 23 APRILE 2007 – GRUPPO 1
Si canta Vola colomba bianca vola.
FORTUNATA: “Mi piacciono tutte le canzoni della Pizzi”.
GIUSEPPE: “Si vede che le tocca qualcosa di bello”.
VINCENZA: “È vecchia, conosco questa canzone”.
ANNA P.: “È una canzone vecchia, prima degli anni ’50”.
Altra domanda: “Ma cosa si festeggia il 25 aprile?”.
IL GRUPPO: “La liberazione, i partigiani”.
GIUSEPPE: “I partigiani difendevano la nazione e i tedeschi gli andavano
addosso”.
LUCIA: “Le donne facevano le postine tra la montagna e la città, portavano le
notizie dei familiari”.79
GIUSEPPE: “Ci si rifugiava in montagna”.
LUCIANO: “La guerra non ha dato allegria, io ho fatto la guerra in marina
sull’incrociatore Trieste.
FORTUNATA: “Le canzoni di guerra sono tristi, cantiamo Papaveri e papere che
è allegra”.
SEDUTA DEL 23 APRILE 2007 – GRUPPO 2
Anche in questo gruppo si parla della guerra.
ROSETTA chiede ad ARVES il permesso di raccontare le sue vicende di guerra,
Arves è andato nei partigiani quando aveva diciotto anni.
CLEONICE: “Combattevano contro il fascismo e i tedeschi”.
79
Lucia racconta che durante la guerra i partigiani si rifugiavano in montagna, le donne
facevano la spola tra i monti e le loro abitazioni portando notizie sulle condizioni di salute delle
persone.
72
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ARVES racconta una vicenda: un giorno i tedeschi erano andati a casa sua a
cercarlo e lui si era nascosto in cantina sotto a un cumulo di legna, così non lo
hanno trovato.
ROSETTA: “Le donne facevano le spie, portando in montagna le notizie su come
si muovevano i tedeschi”.
SEDUTA DEL 07 MAGGIO 2007 – GRUPPO 1
Si introduce un discorso sul mese di maggio dedicato alla Madonna, e si canta
È l’ora che pia.
FORTUNATA: “Si cantava l’Ave Maria e si portavano le rose alla statue della
Madonna”.
LUCIANO: “Ieri siamo andati a portare le rose ai piedi della Madonna nel parco
Martini-Ferrari80 dove c’è una statua di legno”.
ADA e MARIO commentano insieme così: “Si diceva il rosario e si cantavano le
litanie, e alla fine si cantava il Magnificat”.
SEDUTA DEL 14 MAGGIO 2007 GRUPPO 1
Si parla del mese dedicato alla Madonna e della festa della mamma.
LUCIA: “La Madonna è di tutti, di Gesù e di tutti noi. [...] Qualsiasi cosa
succede si dice ‘mamma mia’”.
FORTUNATA le chiede: “Ma quanti figli eravate?”.
LUCIA: “Dieci, cinque maschi e cinque femmine”.
LUCIANO: “È in corso proprio in questi giorni il problema della famiglia, è un
problema attuale”.81
SEDUTA DEL 14 MAGGIO 2007 – GRUPPO 2
ALICE: “Cleonice quanti anni hai?”.
80
81
Il parco Martini-Ferrari è situato nella città di Parma.
Luciano è sempre molto informato sui fatti che accadono quotidianamente.
73
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CLEONICE: “Ho novantasei anni, sono vecchia, Alice, gli anni e i bicchieri di
vino non si contano, a mi am piäsa al ven e miga l’aqua.82
ALICE: “A me piace il vino con l’acqua”.
CLEONICE: “Se bevo il vino lo bevo schietto”.
ROSETTA: “Se bevo l’acqua sento le raganella nella pancia”.
NERINO: “Col vino parli tutte le lingue”.83
ALICE e CLEONICE ci fanno un racconto, “chi è di buona forma di maggio
ritorna”.84 Il racconto parla delle persone che andavano a lavorare e si
abbronzavano, il colore della pelle diventava più scuro: questo faceva sì che le
ragazze con la carnagione più scura venissero etichettate come ragazze di
campagna e non venissero considerate dalla gente. Per ovviare a tutto ciò si
andava a lavorare con le calze lunghe per non prendere il sole.
SEDUTA DEL 04 GIUGNO 2007 – GRUPPO 1
Viene proposto l’ascolto di un Notturno di Chopin.
COLOMBA: “Mi piace, è bella ma non la capisco”.
LUCIA: “Una musica che accompagna i morti al cimitero”.
LUCIANO: “La musica classica è riservata solo a certe persone. L’operetta è di
serie B, l’opera di Verdi è di serie A, le operette si fanno di pomeriggio e le opere
di sera, in frac e le signore con le collane di madreperla”.
SEDUTA DEL 11 GIUGNO 2007 GRUPPO-1
Viene richiesta una canzone interpretata da Claudio Villa; dopo l’ascolto:
FORTUNATA: “Era un cantante ‘di grido’”.
ADA: “Era della zona di Trastevere”.
LUCIANO: “E chi non ha mai buttato una monetina nella fontana di Trevi?”.
GIUSEPPE: “Quando cantava Villa tremavano i muri dalla potenza che aveva”.
82
a mi am piäsa al ven e miga l’aqua: “a me piace il vino e non l’acqua”.
Nerino parla correntemente l’arabo e l’inglese, poi conosce vari vocaboli in francese e
tedesco.
84
Detto popolare.
83
74
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SEDUTA DEL 11 GIUGNO 2007 – GRUPPO 2
Si ascolta la canzone Non ho l’età.
ROSETTA: “È dolce”.
ANNAMARIA: “Alida Valli aveva diciotto anni quando cantava questa
canzone”.
SEDUTA DEL 25 GIUGNO 2007 – GRUPPO 1
Si ascolta la canzone Violino tzigano.
ADA: “Mio fratello suonava il mandolino”.
ARTEMIO: “Mio fratello quando era prigioniero in Africa si era costruito con
due pezzi di legno un mandolino e poi aveva studiato musica”.
SEDUTA DEL 10 SETTEMBRE 2007 – GRUPPO 1
Ascolto di O sole mio cantata da Luciano Pavarotti.
ARTEMIO: “Sembrava di essere direttamente all’opera”.
MARIO: “Le belle musiche sono un’insieme di emozioni che saziano il cuore”.
SEDUTA DEL 10 SETTEMBRE 2007 – GRUPPO 2
Ascolto di O sole mio cantata da Luciano Pavarotti.
ANNAMARIA: “Pensa che voce ci è venuta a mancare, a me piace andare
all’opera, una volta ho sentito cantare Pavarotti in teatro, c’era la Ricciarelli che
debuttava, io ero in loggione, per arrivarci c’erano le scale non l’ascensore come
adesso, poi sono andata nel camerino a salutarla”.
SEDUTA DEL 17 SETTEMBRE 2007 – GRUPPO 1
Ascolto dell’aria Nessun dorma di Giacomo Puccini.
75
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LUCIANO: “Ci vuole un attimo di riflessione”.
MARIO: “È molto emozionante”.
ADA: “Bella e sensibile”.
CLAUDIA: “L’opera piace sempre”.
LUCIANO: “Ci si sente storditi, in contemplazione, ci sentiamo in noi stessi.
Ogni volta che si va a teatro si sentono questi sentimenti, se no a che cosa ci si va
in teatro? Si paga un sacco di soldi”. Poi prosegue: “Sembra sempre la prima volta
di sentire questa aria”.
SEDUTA DEL 17 SETTEMBRE 2007 – GRUPPO 2
Si parla delle rondini.
ROSETTA: “Le rondini facevano il nido nelle stalle, lavoravano tanto tempo,
prima prendevano la terra, poi la paglia, anche quando covavano le uova
lavoravano tanto, si davano il cambio per covare tra maschi e femmine. ‘Le
rondini non si toccano’ era detto un uccello benedetto, non aveva paura
dell’uomo”.
SEDUTA DEL 12 NOVEMBRE 2007 – GRUPPO 2
Si parla della festa nazionale e delle canzoni del periodo fascista.
ROSETTA: “Noi donne eravamo vestite da avanguardista, in divisa con la
camicia bianca e la gonna pieghettata, con la bandierina in mano e si cantava la
canzone dedicata al re, gli uomini erano vestiti in blu”.
NERINO: “C’erano canzoni che non si potevano cantare”.
ANNAMARIA prosegue: “C’era il manganello a quel tempo, mia mamma ha
pianto molto quando sono venuti a prendere mio padre di notte”.
CLORINDA fa un lungo racconto sulla sua famiglia: “Mio padre era un fascista,
era un capitano, ma era una brava persona, non ne posso dire male, ha fatto del
bene non del male”. Poi prosegue raccontando che si trovava in casa con sua
sorella quando hanno chiamato suo fratello, appena ventenne, per arruolarlo per la
guerra: “aveva vent’anni e non è più tornato, le mie sorelle non ci sono più, sono
76
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rimasta sola e sono stanca di vivere. Avevamo tre cavalli, uno per portare mio
nonno al mercato e due che lavoravano nei campi, mia sorella guidava il cavallo,
lo guidava bene, si guida bene perché è un animale intelligente. A quel tempo i
mezzi di trasporto erano i cavalli”.
ROSETTA: “I cavalli e le carrozze ce le avevano i signori, i poveri avevano
queste qui [indicando le gambe]”.
ROSETTA: “Mio marito aveva una bicicletta, ne avevamo una sola e mi portava
sulla canna, una volta si sono rotti i freni ma mio marito era tanto svelto ed è
sceso subito e ha fermato la bicicletta”.
ANNAMARIA: “Noi andavamo con il tandem a Boretto85 a fare il bagno nel Po”.
SEDUTA DEL 03 DICEMBRE 2007 – GRUPPO 1
Si parla del lavoro.
LUCIA: “Mio marito faceva il calzolaio e il barbiere, alla sera quando tornava
mi dava le monete per mandare avanti la famiglia e la casa”.
Parlando dei vari lavori si scopre che LUCIANO e AMATO facevano lo stesso
mestiere, il direttore di banca.
SEDUTA DEL 03 DICEMBRE 2007 – GRUPPO 2
ARVES ci regala un suo racconto di guerra: “Si cantava in montagna quando
c’era un po’ di pace, si andava in una casa per discutere di alcune cose, e si
cantava anche qualcosa, si faceva un po’ di festa, un po’ non tanta perché eravamo
in guerra. C’era la brigata nera che ci cercava, ci si spostava sempre di posto in
posto, perché se no ci trovavano e ci uccidevano. Quando c’era pace, quando le
brigate nere erano ferme, perché avevamo le nostre spie, ci divertivamo: c’era
qualcuno con la fisarmonica, e con le donne si faceva qualche ballo”.
85
Boretto, località sulle rive del fiume Po in provincia di Reggio Emilia.
77
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SEDUTA DEL 10 DICEMBRE 2007 – GRUPPO 2
Ci si sta avvicinando al Natale, si propone l’ascolto dell’Ave Maria di Gounod.
ROSETTA: “L’hanno cantata per lo sposalizio dei miei figli, è molto bella, è
commovente”.
Nasce una domanda: “Ma cosa si fa in preparazione al Natale?”.
ORIELE: “La torta di castagne”.
ROSETTA: “La ciambella, i biscotti, il torroncino fatto con il chiaro delle
uova,86 e il dolce di Natale con la mostarda e i pinoli”.
CLEONICE: “La sera della vigilia si lascia apparecchiata la tavola per gli angeli,
il pane lasciato sulla tavola non fa la muffa,87 e con quel pane lì si faceva la zuppa
e lo si usava per far passare il mal di pancia”. Dopo una breve interruzione
prosegue: “Mio padre diceva il rosario alle sera di Natale”.
ORIELE: “Nel mio paese88 si suonava sul sagrato della chiesa”.
SEDUTA DEL 07 GENNAIO 2008 – GRUPPO 2
Si ascolta e si canta la canzone Il ragazzo della via Gluck.
ROSETTA subito fa una rivisitazione in chiave antica e personale sulle parole e
sul significato della canzone, poi aggiunge: “Ho cambiato in meglio, io ho vissuto
in campagna, si dorme poco e si lavora tanto, so cosa vuol dire stare in campagna,
c’è la comodità in città, ci sono i negozi i servizi”.
ANNAMARIA: “I mie genitori erano custodi di un palazzo, sono nata lì, in via
Repubblica, che prima si chiamava via Vittorio Emanuele”.89
ARVES: “Meglio la campagna, c’è più libertà”.
CLEONICE: “In campagna c’è l’aria più sana”.
86
Chiaro della uova: albume.
La persona ci racconta che il pane fatto in casa nel giorno della vigilia non ammuffisce anche
se passa molto tempo, perché è un pane santo.
88
Il paese di origine di Oriele è Gombio, località appenninica situata in provincia di Reggio
Emilia.
89
Via Repubblica è situata nel centro della città di Parma.
87
78
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ROSETTA replica: “A me se c’è confusione non mi dà fastidio, preferisco avere
i negozi comodi; in città poi c’è più igiene, c’è il bar, il fruttivendolo, la farmacia,
poi se avevo voglia di fare un giro prendevo il 4 o il 590 e andavo in centro città”.
SEDUTA DEL 11 FEBBRAIO 2008 – GRUPPO 1
Si suonano alcune canzoni dei bersaglieri.
LUCIANO: “Quando passavano i bersaglieri le donne gli buttavano le rose”.
ARTEMIO: “Andavano in bicicletta”.
LUCIANO: “Una bicicletta grigia”.
SEDUTA DEL 10 MARZO 2008 – GRUPPO 1
Dopo aver cantato la canzone Reginella campagnola, Oriele ci dona un
racconto sul lavoro nelle risaie: “Il padrone non voleva che si cantasse, perchè
diceva che si perdeva tempo e si raccoglieva male. Si mangiava in casa, c’era un
bar ma voleva tanti soldi, c’era un prete che ci ospitava e ci dava da mangiare,
comunque la risaia è brutta”.
SEDUTA DEL 17 MARZO 2008 – GRUPPO 1
Ci si sta avvicinando al periodo Pasquale, ci facciamo raccontare la loro
Pasqua.
COLOMBA: “Prima si mangiava bene solo a Natale e a Pasqua, adesso si mangia
sempre bene, tutti i giorni sono uguali”.
AMATO: “Le uova...”.
LUCIANO: “C’erano le sorprese dentro”.
ADA: “Si mangiava l’agnello o il capretto”.
FORTUNATA: “Si andava a prendere l’ulivo in chiesa”.
LUCIANO risponde: “Veniva benedetto e lo si teneva in casa fino all’anno
venturo”.
90
Il 4 o il 5: Rosetta si riferisce al numero delle linee degli autobus che portano dalla sua
abitazione verso il centro città.
79
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ADA: “Il venerdì santo si andava alla processione”.
LUCIA conclude: “E si faceva digiuno”.
80
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6. REPERTORIO DEI BRANI MUSICALI
Si presenta di seguito l’elenco completo dei brani musicali utilizzati durante le
sedute di musicoterapia.
BRANI DEDICATI AL LAVORO
Amor dammi quel fazzolettino
La violeta
Sur padrun
Uva fogarina
BRANI DEDICATI ALL’AMORE
Amor mio non piangere
Fatti mandare dalla mamma
Fiorin Fiorello
Grazie dei fior
La più bella del mondo
Ma l’amore no
Non ho l’età
Non ti scordar di me
Parlami d’amore Mariù
Piemontesina
Piove
Quel mazzolin di fiori
BRANI RIFERITI ALLA GUERRA
Bella ciao
Campane di San Giusto
Il silenzio militare
La montanara
81
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Lilì Marlene
Sul cappello
Vecchio scarpone
Vola colomba bianca vola
BRANI DEDICATI ALLA MAMMA
Mamma
Mamma mia dammi cento lire
Son tutte belle le mamme del mondo
BRANI DEDICATI ALLA PRIMAVERA
Ciliegi rosa
Ciuri ciuri
Mattinata fiorentina
Papaveri e papere
Reginella campagnola
Rose rosse
BRANI POPOLARI RIFERITI ALLE SERATE DANZANTI
Carnevale di Venezia
Chitarra vagabonda
Ciao ciao mare
L’usignolo
Romagna mia
Rosamunda
Tango del mare
Tango delle capinere
Violino tzigano
82
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BRANI OPERISTICI
G.Verdi, Traviata brindisi coro d’introduzione
G.Verdi, Nabucco coro
G.Puccini, Turandot Nessun dorma aria tenore
BRANI TRADIZIONALI DELLA CANZONE ITALIANA
Azzurro
Carissimo pinocchio
È arrivato l’ambasciatore
E qui comando io
Fin che la barca và
Granada
Il ballo del qua qua
Il paese del sole
Il ragazzo della via Gluck
La domenica andando alla messa
Maruzzella
Nel blu dipinto di blu
O sole mio
Ohi marì
Tu vuoi far l’americano
Vitti ’na crozza
BRANI DEDICATI AL NATALE
Adeste fideles
Astro del ciel
Bianco Natale
Santa Lucia
Tu scendi dalle stelle
83
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BRANI DEDICATI ALLA MADONNA AL MESE DI MAGGIO
Gounod, Ave Maria
Mira il tuo popolo
Schubert, Ave Maria
84
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CONCLUSIONI: ANIMAZIONE MUSICALE O MUSICOTERAPIA?
Non tutto ciò che fa stare bene è terapia.
[M. SPACCAZZOCCHI]
Un quesito che è nato da questa esperienza riguarda la definizione delle
differenze tra animazione musicale e musicoterapia, i limiti che separano una
pratica dall’altra.
Come si può definire un’attività musicale svolta con gli anziani?
Se chiamassimo questa attività animazione musicale svolta a favorire la
relazione e la verbalizzazione, ci si avvicinerebbe un po’ di più al termine di
musicoterapia?
Quali possono essere gli obiettivi di una musicoterapia rivolta a un gruppo di
anziani con varie patologie?
Ma soprattutto quali differenze si riscontrano nelle premesse della
musicoterapia e dell’animazione musicale?
Sostanzialmente le premesse sono molto diverse: l’animazione musicale si
limita a far divertire le persone, i suoi scopi sono puramente ricreativi e di
aggregazione, e a tali scopi può pervenire attraverso il movimento fisico, con
improvvisati accompagnamenti di battiti delle mani o con alcuni strumenti a
percussione. Naturalmente sono tutti scopi positivi, che guardano al benessere
delle persone.
Le premesse della musicoterapia, invece, non vertono sull’intrattenimento e il
puro piacere derivante dalla musica, bensì mirano a far esprimere le persone o a
far imparare loro ad esprimersi attraverso l’uso controllato della musica.
Come ogni terapia, anche la musicoterapia ha degli obbiettivi mirati, specifici,
a fronte dei quali la musica costituisce un mezzo per arrivare ad un cambiamento
del comportamento delle persone, portando un’attivazione psico-fisica e
cognitiva; è importante in tal senso valutare tutte le risposte, raccogliendo i
feedback, improvvisando su ciò che si è appena sentito rielaborandolo
85
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MARCO CATELLI – SST IN MUSICOTERAPIA - TERZO ANNO A.A. 2007 - 2008
creativamente, attribuendogli un significato preciso e analizzandolo in modo da
poter creare sedute adatte alle persone.
Un altro obiettivo potrebbe essere, a mio avviso, quello di migliorare la
condizione di vita delle persone favorendo il ricordo e la memoria tramite
l’esecuzione di canzoni o brani musicali, di aumentare la verbalizzazione e di
conseguenza incoraggiare e incentivare la relazione.
Infatti gli effetti prodotti sulle persone, facendole cantare e suonare, non sono
stati solo di tipo ricreativo, ma hanno avuto una valenza terapeutica misurabile e
visibile, che ha cambiato e modificato positivamente il comportamento e la
condizione delle persone stesse.
L’intervento è stato a carattere riabilitativo e non clinico, poiché un intervento
clinico avrebbe dovuto essere ancora più specifico, seguire delle regole più
precise, riuscire ad osservare un’organizzazione di setting più rigorosa.
Nell’arco di quest’anno i gruppi hanno subito vari cambiamenti dovuti ad un
avvicendamento delle persone all’interno del centro, motivati dalla salute a volte
precaria delle persone e dalle problematiche familiari (che talvolta hanno
comportato un trasferimento delle persone in strutture a tempo pieno). Queste
problematiche non sono molto produttive in una terapia con obiettivi specifici e
continui come la musicoterapia: avviene infatti che il cambiamento di un
elemento all’interno del gruppo possa portare benefici ma anche mutare
l’atteggiamento delle persone, gli equilibri all’interno del gruppo, inducendo il
musicoterapista ad adeguare le proposte in base ai componenti del gruppo e a
modificare un percorso già iniziato.
Anche il lavoro di gruppo è difficile da gestire sotto un punto di vista
terapeutico, specialmente nel caso di un gruppo di dieci-dodici persone con
patologie diverse e bisogni differenti.
Infine, alcune considerazioni personali. In questi ultimi due anni ho avuto la
possibilità e la fortuna di fare alcune esperienze di musicoterapia in campo
riabilitativo e preventivo e di propedeutica musicale, con sedute individuali e di
gruppo rivolte a varie fasce d’età, dai bambini di 18 mesi a quelli dai 6 ai 10 anni,
dagli adolescenti fino ad arrivare agli anziani.
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In tutte queste fasce d’età e con tutte queste persone, ho riscontrato un
elemento rilevante, sul quale mi vorrei soffermare: il carattere. Il carattere delle
persone assume un valore importante nel rapporto con il terapista e in tutte le
relazioni che si vanno ad instaurare, un fattore da tenere in considerazione che
risalta e va al di là di ogni difficoltà, problematica e patologia.
Come in tutte la discipline artistiche, il carattere influenza la creatività e la
creatività rispecchia il carattere, e anche in questo intervento la musicalità è
andata di pari passo con il carattere delle persone: il carattere viene “smussato” da
una forza superiore, la musica, capace di calmare animi più accesi e di attivare
persone più introverse e tranquille, di tirare fuori tutta l’espressività degli anziani,
persone che molto hanno da esprimere e molti racconti da narrare, facendo
ritrovare loro una spontaneità che si può solo vedere nei bambini di tenera età.
Il mio impatto iniziale era di distacco verso gli anziani: alcuni mi erano più
simpatici di altri, ma non sapevo il motivo, anche se continuavo a chiedermelo.
Passato un periodo di ambientamento, ho scoperto quale elemento mi portava
al distacco: non stavo facendo un intervento di musicoterapia con degli anziani,
bensì con delle persone.
Un mio pregiudizio iniziale mi portava a dare un significato diverso alla parola
“anziano”, la associavo ad una malattia o patologia, invece non vuol dire nulla di
più che: persona di età avanzata.
Chiarito e assimilato questo concetto, mi sono avvicinato alle persone trovando
piacere nella loro compagnia, nel parlare con loro e nel condividere momenti
musicali.
La molla è scattata un giorno quando una persona ospite del centro mi ha
allungato la mano per salutarmi: in quel momento ho sentito come se queste mani
calde volessero invitarmi a far parte della loro vita; ho sentito quanto queste
persone mi erano vicine e quanto io ero vicino a loro; ho sentito ciò che potevo
dare loro e quanto avevo e avrei ricevuto da loro in cambio.
Un intervento che mi ha dato modo di conoscere un mondo per me
sconosciuto, di avvicinarmi ad una fascia d’età che mi incuriosiva e allo stesso
tempo mi intimoriva: un tirocinio che ha avuto una vera e reale funzione
formativa, come musicoterapista e come persona.
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Mi ha dato modo di vedere dove sono i miei limiti musicali, quali strumenti
dover approfondire per acquisire ancor più competenza in ambito musicoterapico,
in modo da riuscire ad allargare la mia conoscenza.
La musicoterapia è stato un percorso di formazione che ha avuto gli effetti da
me desiderati e che mi ha portato ad un’apertura verso tutte le persone, cambiando
e plasmando il mio carattere, facendomi conoscere in modo più ampio ciò che può
fare la musica, quello che può essere la comunicazione e cosa significa e cosa si
prova nel potersi relazionare con altre persone.
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RINGRAZIAMENTI
Desidero ringraziare Chiara per aver condiviso i miei progetti e per aver
ascoltato i miei racconti, Nicola per aver accolto le mie richieste e per il pregevole
lavoro svolto.
Desidero ringraziare la musicoterapista Elena Gallazzi per la gentilezza, per i
suoi continui insegnamenti e per avermi incentivato durante questa esperienza di
musicoterapia. Un grazie alla cooperativa Dolce per avermi dato l’opportunità di
svolgere il tirocinio formativo all’interno del Centro diurno “Cittadella”, alle
operatrici del centro, inoltre e in particolare, a tutte le persone ospiti del centro che
ho avuto la fortuna di conoscere, che con le loro vite e le loro esperienze hanno
rinforzato la mia vita personale e musicale.
Un sentito ringraziamento alla dottoressa Roberta Frison, che ci ha fatto capire
quanto sia importante la formazione della persona, e che ci ha mostrato con il suo
esempio quanto è fondamentale credere in un percorso, nelle proprie idee, nel
volerle sperimentare e perseguire, e come la vita debba essere ogni giorno l’inizio
di un cammino.
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