SESSIONE REGIONALE DEI GIOVANI

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SESSIONE REGIONALE DEI GIOVANI
Bellinzona, 26 settembre 2003
Saluto della Consigliere di Stato Patrizia Pesenti
Signore e signori,
sono particolarmente lieta di aprire con voi questa sessione regionale dei
giovani. E’ la seconda volta che ho la possibilità di parteciparvi. Mi fa
molto piacere constatare una forte motivazione da parte vostra a dare
continuità a questa particolare forma di partecipazione democratica.
La Sessione dei giovani non è solo un’ottima palestra per le giovani e i
giovani cittadini. La vostra presenza è partecipazione, disponibilità a
costruire un progetto di società. La partecipazione alla vita del Paese
attraverso il diritto di voto è ottima cosa. Naturalmente resta solo
l’espressione isolata di una propria scelta; ben diverso, invece, l’impatto
di altre forme di coinvolgimento. Per partecipare davvero, sentirsi
cittadini, occorre fare di più.
La Sessione dei giovani è certamente un modo per avvicinarsi alla
gestione della “cosa pubblica”.
Quest’anno dibatterete il tema dell’integrazione. Un tema cruciale, che
svilupperete in tre ottiche: razzismo, povertà, generazioni.
Avete compreso che i profondi mutamenti della nostra epoca rendono
l’integrazione una sfida sempre più grande.
Di fronte a una società più complessa, multiculturale, alle ricadute
conseguenti ai processi di globalizzazione, a un mercato del lavoro che
chiede flessibilità e competitività, l’individuo, il cittadino, è sottoposto a
forti pressioni. A sfide che toccano la sua identità, nella quotidianità, nelle
risorse per vivere. Pressioni e sfide che rendono più insicuri riguardo al
proprio futuro e quella della propria famiglia. In un contesto che cambia
così velocemente, dove i modi di lavorare si fanno più flessibili e anche
più precari, il rischio di povertà è reale e, a differenza del passato,
attraversa tutte le biografie professionali.
La povertà non si riassume soltanto in una mancanza di risorse
finanziarie e materiali. La povertà è in agguato dietro a problemi come un
reddito basso, la perdita del lavoro, una salute precaria, ma anche la
solitudine e l’isolamento sociale. Tutti aspetti che finiscono per sommarsi
fra loro e aggravare la precarietà della persona. Un cumulo di problemi
rende poveri di risorse e di potenzialità. Anche una formazione
insufficiente è causa di povertà e di difficoltà di inserimento nel mercato
del lavoro.
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E’ una nuova povertà quella della nostra epoca.
Nel nostro Paese la povertà non è sinonimo di indigenza, di fame – come
purtroppo lo è ancora in molte parti del mondo - ma è una povertà relativa
al livello medio della società. Una povertà che purtroppo aumenta.
Dal dopoguerra in poi, bastava avere un lavoro per non essere poveri.
Oggi non è più così. Si può lavorare e ciononostante essere poveri.
L’inchiesta svizzera sulla popolazione attiva effettuata nel 2002 stima a
220 mila i working poor, i lavoratori poveri. Il 6,5% della popolazione
attiva fra i 20 e i 59 anni.
Chi sono? Sono prevalentemente donne, in particolare con figli
minorenni, sono famiglie numerose, sono stranieri residenti.
Addirittura in Ticino il tasso di working poor raggiunge il 13.5%, anche
perché i salari sono più bassi rispetto alla media svizzera.
Negli ultimi dieci anni questo fenomeno sembra essere stabile, non si
vede un miglioramento. Una persona su 10 nella popolazione fra i 20 e i
59 anni e una su 15 fra gli attivi vive, o sopravvive, sotto la soglia di
povertà.
Eppure viviamo in un paese fra i ricchi al mondo.
Essere povero non significa solo avere meno soldi da spendere, ma
anche non poter partecipare alla vita sociale, ammalarsi più facilmente,
vivere meno a lungo.
Forti disparità sociali sussistono ancora di fronte alla salute, alla malattia,
alla mortalità.
Negli ultimi anni sono stati realizzati molti studi, estremamente
interessanti che dimostrano come le condizioni socio-economiche, il tipo
di lavoro, la povertà, accorciano la vita. Più la formazione è corta, più la
qualificazione professionale è modesta, più il reddito è basso, più grande
è il rischio di ammalarsi, di diventare invalido o di morire prima. Le
persone appartenenti a classi sociali meno abbienti vivono in media 4-6
anni in meno degli altri.
Eppure nel nostro paese abbiamo un sistema di sicurezza sociale che
dovrebbe permettere di coprire i principali rischi della vita, di venire in
soccorso a chi è in difficoltà.
Abbiamo una rete di servizi socio-sanitari che dovrebbe prendere a carico
le situazioni di povertà per ricondurle all’autonomia.
In effetti, appare sempre più chiaro che combattere la povertà non può
limitarsi a mettere un cerotto. Questo serve, certo, per permettere ai
poveri di sopravvivere. Ma quello che dobbiamo fare è aiutare le persone
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e le loro famiglie a non diventare povere, ad uscire dalla trappola della
povertà. Dobbiamo puntare di più sull’autonomia delle persone.
Come?
- promuovendo la formazione scolastica e professionale;
- integrando gli stranieri che risiedono nel nostro paese;
- dando le stesse opportunità a tutti i cittadini, per esempio la linea di
partenza deve essere uguale per tutti i bambini;
- facendo in modo che il lavoro non sia precario e non danneggi la
salute;
- dando la possibilità di conciliare famiglia e lavoro.
La povertà va estirpata ma soprattutto va promossa una società dove le
persone hanno davvero le stesse opportunità.
Occorre fare in modo che le condizioni di lavoro siano dignitose e
soprattutto che i redditi siano sufficienti.
Di fatto è paradossale che le persone siano pagate così poco da non
poter sopravvivere con il reddito del loro lavoro e lo stato debba
intervenire ad integrare questo reddito insufficiente. E’ come se lo Stato
pagasse una parte del salario!!
Dobbiamo fare in modo che tutti i cittadini, in tutte le fasi della vita,
possano essere autonomi e integrati socialmente, possano fruire dei loro
diritti, in particolare di quelli sociali.
Vi auguro di non mai perdere questa vostra voglia di partecipare alla vita
politica del nostro Paese. Il nostro Paese ne ha talmente bisogno!
Patrizia Pesenti
Consigliere di Stato
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