L’uso povero delle cose
Il diritto della proprietà in comune ha acceso gli animi dei francescani ed ha suscitato
molte discussioni. Ma il criterio per stabilire l’effettiva povertà dei frati è l’uso povero
delle cose. Durante quella che fu definita la Magna Disceptatio tra gli Spirituali e la
parte più avanzata della Comunità (1309), l’ex ministro generale Raimondo Geoffroy,
vicino agli Spirituali, e Ubertino da Casale, portavoce degli stessi, sostenevano che l’uso
povero faceva parte del modo francescano di osservare il voto di povertà. Su questo
punto, nonostante le incoerenze e le contraddizioni che dobbiamo riconoscere, i
francescani continuano ad interpellarsi. Oggi, esiste la tendenza a rivalutare la povertà
nella sua dimensione sociale. Considerando superati alcuni aspetti della tradizione, ci si
vuole impegnare ad esprimere, in seno alla realtà socio-economica del nostro tempo,
l’esperienza evangelica e francescana. Il francescanesimo sente di doversi presentare
come forza di reazione di fronte ad una società d’abbondanza e di consumo, soprattutto
dare esempio di condivisione con i poveri del nostro tempo, e non solo di beni materiali,
oggi la nostra società si dibatte in una povertà interiore che lacera l’esistenza di molti
esseri umani: la mancanza di capacità di dialogo, che spegne lentamente nella
rassegnazione i cuori. Ecco cosa e demandato ai francescani, vivere accanto ai poveri,
con loro, adottare qualche cosa della vita, del loro lavoro, anche se ciò non è mai
completamente realizzabile. La dimensione sociale della povertà non è però l’unica né la
principale. La "Evangelica testificatio" afferma: " Se vi è necessario, evidentemente,
tener conto dell’ambiente umano in cui vivete, per adattare ad esso il vostro stile di vita,
la vostra povertà non potrà essere puramente e semplicemente in conformità ai costumi
di tali ambienti. Il suo valore di testimonianza le deriverà da una generosa risposta
all’esigenza evangelica, nella fedeltà totale alla vostra vocazione". Non si tratta di
smorzare l’entusiasmo per le iniziative di condivisione con i più poveri, ma soltanto di
tenere presente la necessità di incominciare la pratica della povertà di fatto e di trovare
nuove forme per viverla, nella vita quotidiana dei singoli frati e delle comunità. La
povertà individuale, lealmente vissuta, è quella che sfugge meglio al pericolo della
retorica. Perché essa è corrispondere coerentemente alla chiamata di vocazione e amore
a DIO. Essa è sempre e ovunque praticabile ed è la premessa necessaria della povertà
collettiva e della condivisione con i poveri.