Le conquiste sannite nelle valli irpine

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STORIA DEL TERRITORIO
Domenica 20 novembre 2011
S u l l e t ra c c e d e l l a t o p o g r a f i a ro m a n a / 7
Le conquiste sannite
nelle valli irpine
Gli scavi nelle zone dell’Ofanto e del Sele hanno portato alla luce numerosi reperti testimonianza inequivocabile della cultura non solo bellica del popolo romano in un territorio all’epoca dominato dai Sanniti
GERARDO TRONCONE
ipren
diamola
narrazione delle
vicende legate
alla terza guerra sannitica, il cui teatro principale, secondo alcuni studiosi
(in primis Nicola Fierro),è stata
la valle dell’Ofanto e le contigue valli irpine del Calore e del
Sele.
Seguendo il racconto liviano,
abbiamo visto che il console
Fulvio, dopo aver conquistato
Bovianum, era passato a conquistare “Aufidena”.
Salmon ritiene che l’Aufidena
citata da Livio sia localizzabile
ad Alfedena, mentre il prof. La
Regina osserva che non vi è alcuna ragione né archeologica,
né topografica e tanto meno toponomastica che autorizzi l'identificazione di Aufidena con
Alfedena.
Secondo Fierro, è probabile che
Aufidena sia il territorio irpino
bagnato dal fiume Aufidus, l’Ofanto: non va dimenticato che
Roma stava portando soccorso
proprio alla Lucania, in precedenza invasa dai Sanniti irpini,
e la Lucania confinava proprio
con l’Irpinia, lungo l’Ofanto,
allora come ancor oggi.
Una prova indiretta di ciò la
fornisce lo stesso racconto liviano che ci informa che, dopo
la conquista di Aufidena, Fulvio era passato a reprimere la
rivolta popolare nel frattempo
scoppiata in Lucania, il che lascia intendere che Aufidena
confinasse proprio con la Lucania, e che non poteva che essere nel territorio irpino a sinistra
dell’Ofanto, se non essere un
coronimo identificativo addirittura di quest’intero territorio.
R
Anno 298
La caduta di Taurasia
e Cisauna
Nello stesso anno in cui Fulvio
muoveva alla conquista di Bovianum e Aufidena, l’altro console, Scipione Barbato, essendosi mosso presumibilmente dall'Etruria
meridionale, dopo
aver marciato attraverso l'Italia centrale
su una delle vie militari Roma-Adriatico,
occupava prima Taurasia e Cisauna, poi
muovendo verso sud
invadeva il Sannio e
infine la Lucania. È
questa la storia che si
legge nell'elogium del
sarcofago dello stesso
console: “Taurasia Cisauna Samnio cepit,
subigit omne Loucanam opsidesque abdoucit.”
Livio dà una descrizione dei Taurasini
Campi, luoghi montani e boscosi che, a
partire da Maleventum, declinavano prima in colli meno erti e infine in una pianura. Taurasia, toponimo che coincide
presumibilmente con i Taurasini Campi, ragionevolmente
identica i Monti Dauni fra Maleventum e Luceria, ovvero il
territorio ove ricadono gli
odierni centri di San Bartolomeo in Galdo, Baselice e Foiano in provincia di Benevento.
Un toponimo evoca le operazioni militari condotte in quella zona dal console Barbato: si
tratta del monte Barbato, posto
tra Baselice e Foiano.
La Cisauna occupata dal console Barbato è costituita, secondo
quest’ipotesi, da tutta la zona
del Tavoliere sita sulla riva sinistra del basso Ofanto, dove la
Tavola di Peuntiger avrebbe poi
segnato Aufinum: Cisauna è
palesemente la forma sincopa-
di Roma: Quintus Fabius Maximus Rullianus e Publius Decius
Mus. Fabio Rulliano era stato
eletto per la quarta volta e Decio Mure per la terza.
Nessun condottiero è menzionato nei Fasti Triumphales per
l’anno 297, il che attesta indirettamente che in tale periodo
non ebbe luogo nessuna impresa veramente degna di nota. È
possibile che i Romani abbiano
impiegato il grosso delle loro
forze per tenere a bada i popoli dell’Italia centrale e per presidiare soprattutto le vie militari Roma-Adriatico, inviando nel
Sannio contingenti militari relativamente piccoli, per le incursioni.
Tornando al racconto di Livio,
i due consoli, approfittando del
fatto che gli Etruschi di Sutri,
Nepi e Faleri avevano avanzato
proposte di pace, decisero di
campo aperto fra Romani e
Sanniti, nel corso del quale Fabio ha la meglio solo ricorrendo a un abile stratagemma, è
tutta nel vivido racconto di Tito Livio:
«… i nemici si erano concentrati in una valle nascosta presso
il Tiferno, con il proposito di
aggredire i Romani da un punto sopraelevato quando fossero
entrati nella valle. Lasciati i
carriaggi in un luogo sicuro,
con un modesto presidio, Fabio
avvertì gli uomini dell'imminenza del combattimento, e si
avvicinò in formazione a colonne affiancate al nascondiglio dei nemici. I Sanniti, persa
la speranza della sorpresa, poiché prima o poi si doveva pure
arrivare allo scontro aperto,
preferirono uscire allo scoperto
schierandosi anch'essi in ordine di battaglia. Così scesero a
In tal caso, il centro fortificato conquistato da
Decio Mure nel racconto liviano potrebbe essere stato proprio Frigento, collegato ancora oggi a Carife mediante un antico tratturo che
proviene dalla valle d’Ansanto.Sia il centro urbano di Frigento, che il suo territorio, sono in
effetti ricchi di testimonianze archeologiche riferibili ad epoca sannitica e romana
ta di Cisaufina, al di qua dell’Ofanto.
Va anche detto che invece, secondo Salmon, Taurasia non
corrisponde né all'odierna Taurasi né a Taurania, la città campana scomparsa prima dei tempi di Plinio (Naturalis historia
III 70), mentre Cisauna sarebbe
stata situata più o meno nella
stessa zona in cui si trovava
Cluviae.
Anno 297
Le battaglie
del mons Tifernus
e di Maleventum
Nel 297 vennero eletti consoli
due fra i più valorosi generali
concentrare i loro sforzi bellici
sui Sanniti, e si mossero, attuando la strategia dell’attacco
a tenaglia, seguendo due itinerari diversi, Fabio attraverso il
territorio di Sora e Decio attraverso quello dei Sidicini. Entrati nel Sannio, intraprendevano
vaste operazioni di esplorazione e saccheggio.
Fabio, giunto presso una valle
del Tifernus, l’attuale massiccio del Matese, venne affrontato in campo aperto da un agguerrito esercito sannita, che si
era deciso a scendere a valle
«affidandosi alla sorte più con
la forza del coraggio che con
quella della speranza».
La cronaca di questo scontro in
Scodellone con protomi di canidi
valle, affidandosi alla sorte più
con la forza del coraggio che
con quella della speranza. Nell'urto con la fanteria, i nemici
erano rimasti sulle proprie posizioni, e ormai ogni speranza
era affidata alla carica dei cavalieri. … Qualora però anche
quel tentativo di sfondamento
non avesse avuto successo,
convinto di dover ricorrere all'astuzia ove la forza non fosse
stata sufficiente, Fabio ordinò
al luogotenente Scipione di ritirare dallo scontro gli astati
della prima legione e di portarli verso i monti vicini, agendo
nella maniera meno evidente
possibile, e poi, attraverso un
percorso non in vista, di far salire il suo manipolo fin sulla
cima, sbucando
all'improvviso
alle spalle del
nemico. Il fronte sannita tenne
duro contro la
carica della cavalleria, senza
indietreggiare o
aprirsi in alcun
punto. I cavalieri, poiché il
loro assalto non
aveva
avuto
successo, si ritirarono
alle
spalle della fanteria abbandonando il combattimento.
Quell'episodio
fece crescere
l'ardore dei nemici, e la prima
linea non avrebbe potuto reggere un urto protratto tanto a
lungo, se il console non avesse
ordinato alla seconda di prenderne il posto. Fu allora che le
forze fresche fermarono i Sanniti già in procinto di avanzare,
mentre la vista degli uomini armati comparsi all'improvviso
sulle cime delle alture, e le urla da essi levate spaventarono i
nemici al punto da far loro temere un pericolo superiore alle sue reali proporzioni. Fabio
infatti gridò che il collega Decio si stava avvicinando, e allora ogni soldato romano esultò,
urlando al colmo dell'eccitazione che stava arrivando l'altro
console con le sue legioni.
Quest'errata interpretazione,
un vero vantaggio per i Romani, diventò per i Sanniti motivo
di sgomento e incentivo
alla fuga: già stremati,
avevano il terrore di essere sopraffatti da quell'altro esercito in forze e ancora intatto. Erano fuggiti disordinatamente in varie direzioni, e il massacro che seguì non eguagliò per proporzioni la
vittoria. Le vittime tra i
nemici furono 3.400, i
prigionieri 830, ventitré
le insegne conquistate»
(TITO LIVIO, X, 15).
Nel frattempo l’altro console, Decio Mure, prima
che giungessero a dar
man forte i Sanniti, aveva
sbaragliato presso Maleventum (Benevento) gli
Apuli, gran parte dei quali si era salvata con la fuga, mentre in 2000 erano
restati sul campo.
sto territorio. Cimetra può essere messo in relazione con l’osco Ker meter (Cerere madre):
Cimetra in tal caso avrebbe designato una zona fertile, sacra
a Cerere.
Cimetra è collocata da Salmon,
che ne ritiene il nome di origine volscia, nella valle del Liri.
Di fronte alla collina Casalene,
nell’agro di Bovino, sopravvive
ancora oggi un idronimo significativo (il torrente Biletra), che
evoca fortemente il toponimo
Cimetra. Presumibilmente Cimetra identifica un’ampia area
della Daunia, costituita dagli
attuali centri di Bovino, Panni,
Accadia, Sant’Agata di Puglia,
Deliceto, Castelluccio dei Sauri
(Nicola Fierro). Bovino corrisponde alla romana Vibinum.
Numerose sono le testimonianze archeologiche (risalenti al V,
Anno 297
La conquista
di Cimetra
e di Vibinum
Decio Mure, dopo aver
vinto gli Apuli a Maleventum, raggiunse il collega nel Sannio, dove insieme i due intrapresero
operazioni di saccheggio
a vasto raggio, durate
cinque mesi; quarantacinque furono le località
toccate da Decio, ottantasei quelle investite da Fabio, e ovunque i consoli lasciarono desolazione e morte.
Era una razzia sistematica di
bestiame e di uomini, che venivano venduti schiavi ai mercanti di Roma che seguivano
gli eserciti. I campi erano devastati, gli alberi da frutta e i vigneti erano tagliati.
È presumibile che ancora una
volta sia stato investito il Sannio irpino, ai confini con la Puglia. In questa circostanza Fabio conquistò i centri fortificati di Cimetra, catturandovi
2.000 armati, e uccidendone in
combattimento circa 930, e di
Vibinium.
Come gli altri toponimi oschi,
Cimetra, impropriamente definita da Livio urbs, in realtà è
un coronimo, relativo a un va-
IV e III secolo) che attestano la
presenza sannitica nell’area,
distribuita su vari insediamenti sparsi nel territorio di Bovino: Casale, Casalene, Fontanelle, Lamia, Lavella, Radogna,
Tamariceto. Nella collezione
del Museo di Bovino sono oggi
esposti vari cinturoni sannitici,
provenienti dalla località Casale.
In età sannitica Vibinum sicuramente era un centro densamente popolato, ricco di patrimonio zootecnico.
Anno 296
La conquista di Murgantia
Nel 296 erano nominati consoli Appius Claudius Caecus e
Lucius Volumnius Flamma,
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STORIA DEL TERRITORIO
Domenica 20 novembre 2011
La moneta sannita con la scritta Italia
mentre Decio Mure e Fabio
Rulliano restavano nella zona
delle operazioni come proconsoli.
Il proconsole Decio Mure, dopo
aver constatato che non c’era
nessun esercito nemico a presidiare quella zona del Sannio,
convocò il consiglio di guerra e
si mosse quindi ad espugnarne
e saccheggiarne non solo le
campagne, ma anche i centri
mo probabilmente identificava
non una vera e propria città,
bensì una vasta area territoriale.
Salmon osserva che il nome di
Murgantia sembra sopravvivere nella pianura immediatamente ad est di Venosa, chiamata Le Murge, in cui esistono
varie località di nome Murgia.
Secondo l’ipotesi di Nicola
Fierro, basata sulla circostanza
Tomba sannita a Carife
fortificati.
Decio Mure si era mosso presumibilmente da una delle basi
romane in Apulia (Venusia,
Teanum Apulum o Luceria):
Venosa era in possesso di Roma già dal 318 ed era una base
militare costruita in vista di un
attacco contro il Sannio meridionale; a Lucera, città in posizione strategica di vitale importanza, i Romani avevano dedotto una propria colonia nel
314.
Il proconsole guidò quindi l'esercito all'assalto di Murgantia,
piazzaforte ben fortificata, che
venne espugnata in un solo
giorno e dove vennero catturati 2100 uomini.
Di Murgantia non esistono altre menzioni in Livio. Il coroni-
che fra Vibinum (Bovino) ed
Aecae (Troia) sopravvive un toponimo molto significativo,
qual è Santa Maria a Morgana,
è stato ipotizzato che Murgantia sia il coronimo che identifica la vasta area territoriale
compresa negli attuali comuni
di Orsara di Puglia, Castelfranco in Miscano e Savignano Irpino, avente un centro fortificato in Monteleone.
Anno 296
Romulea
Decio Mure, tornando al racconto liviano, si diresse quindi
a Romulea, prendendola e saccheggiandola senza difficoltà,
dopo averne scalato le mura.
Gli uomini uccisi furono circa
duemilatrecento, i prigionieri
seimila.
Secondo un’interpetrazione che
non si discosta peraltro molto
da un’ipotesi-base di Salmon,
Romulea, quale coronimo, probabilmente identifica l’intero
territorio dell’attuale Bisaccia
nonché l’intera Baronia, che
abbraccia gli attuali comuni di
Flumeri, Carife, Trevico, Vallata, Castelbaronia, San Nicola
Baronia, San Sossio Baronia,
Vallesaccarda. A Carife sono
stati rinvenuti in tombe numerosi cinturoni sannitici (V, IV e
inizi del III secolo), oggetti di
prestigio appartenenti all’aristocrazia sannitica (primores),
associati ad altri materiali. Numerosi cinturoni sannitici (V,
IV e inizi del III secolo), associati ad altri materiali, sono
stati trovati in tombe, oltre che
a Carife, a Castelbaronia.
Anche a San Sossio Baronia, in
località Civita, vi sono i resti di
una cinta muraria sannitica.
Negli scavi fatti a Bisaccia nel
1995-1996, sulla collina di Cimitero Vecchio, nella necropoli dell’Età del Ferro (IX, VIII,
VII secolo), è stato rinvenuto
un antico abitato sannitico, ricco di reperti, ma completamente bruciato.
È forse questa una testimonianza precisa della devastazione
operata dal proconsole romano
Decio Mure nel territorio?
Una stazione dell’Appia, nella
Tavola Peutingeriana, avrà la
denominazione di sub-Romula:
anche se a tutt’oggi il tratto irpino dell’Appia non è stato localizzato, è presumibile che la
stazione sorgesse proprio ai
piedi della Toppa di Bisaccia,
che non a caso nelle antiche
cartografie aveva il nome di
Monte Romolo (Panzetta).
mura vennero difese con estremo accanimento, ma alla fine i
Romani riuscirono a superare
ogni ostacolo, lasciando sul
campo circa tremila nemici.
Salmon ritiene che quella che
Livio chiama Ferentinum, a
giudicare da un passo di Dionigi di Alicarnasso fosse in realtà
Forentum (l'attuale Forenza), a
sud di Venusia.
Secondo l’ipotesi di Nicola
Fierro, Ferentinum è il coronimo del territorio oggi costituito dagli odierni centri di Sturno, Frigento, Gesualdo, Fontanarosa, Paternopoli, Villamaina, Torella dei Lombardi, Rocca San Felice. In tal caso, il
centro fortificato conquistato
da Decio Mure nel racconto liviano potrebbe essere stato
proprio Frigento, collegato ancora oggi a Carife mediante un
antico tratturo che proviene
dalla valle d’Ansanto.
Sia il centro urbano di Frigento, che il suo territorio, sono in
effetti ricchi di testimonianze
archeologiche riferibili ad epoca sannitica e romana.
A Rocca San Felice, nella Valle
d’Ansanto, e a Monteforcuso,
sono stati rinvenuti, associati a
materiali ceramici, metallici e
lignei, doni votivi e numerosi
cinturoni sannitici (IV secolo inizio III secolo).
Certo è comunque che gli eserciti di Roma avevano aggredito
tre grossi centri sannitici indifesi e inermi, situati verisimilmente nell’Irpinia sud-orientale. Nessuna di queste imprese,
erano sollevati in armi contro
Roma: quasi tutti gli Etruschi,
gli Umbri e numerose truppe
mercenarie formate da Galli.
A Roma si decise che Appio
Claudio partisse quanto prima
per l'Etruria, seguito dalla I e
dalla IV legione, con oltre dodicimila alleati.
Secondo Livio proprio Publio
Decio Mure, avendo saccheggiato senza tregua il territorio
del Sannio meridionale, era riuscito a espellerne l'esercito
sannita, che non aveva mai
avuto il coraggio di affidarsi allo scontro aperto, e lo aveva
costretto a rifugiarsi in Etruria,
dove si era unito agli altri popoli insorti contro Roma.
Nella realtà storica dei fatti, è
invece da ritenere che il grosso
dell’esercito sannita, sotto la
guida del grande condottiero
Gellio Egnazio, con una straordinaria mossa a sorpresa, si era
spostato in Etruria per tentare
la strada di una vasta alleanza
militare, ispirando la formazione di una vera e propria Lega
Italica con gli Etruschi, i Galli
Senoni, gli Umbri e i Sabini,
vale a dire con tutti i popoli italici nemici di Roma, al fine di
costituire un unico poderoso
esercito. Era questo quindi il
vero motivo per cui tutto il territorio del Sannio irpino era
stato militarmente sguarnito e
ciò spiega come mai i generali
romani avessero potuto impunemente saccheggiare tutta
quella regione.
Per prima cosa Gellio Egnazio
Murecine tra Bagnoli e Nusco
conclusesi col massacro di popolazioni indifese, era stata
esaltata dagli stessi Romani,
stando al significativo silenzio
dei Fasti Trionfali.
Anno 296
La conquista di tre fortezze
senza nome
Nello stesso anno 296, mentre
uno dei consoli, Appio Claudio
Cieco, veniva inviato con due
legioni (la I e la IV) nell'Etru-
Anno 296
La caduta di
Ferentinum
Dopo Romulea,
Decio
Mure passò a
saccheggiare
una terza zona, quella di
Ferentinum,
descritta come un oppidum protetto
sia da cinta
muraria sia
dalla posizione naturale. A
Ferentinum le
difficoltà e i
rischi incontrati furono
maggiori: le
ria meridionale per effettuare
operazioni di contenimento e
proteggere il passaggio attraverso l'Italia centrale, l’altro,
Lucio Volumnio Flamma, con
altre due legioni (la II e la III),
veniva inviato nella Campania
settentrionale, con disposizione di proseguire la guerra nel
Sannio, dove avevano continuavano a operare, come proconsoli, Fabio Rulliano e Decio
Mure.
Volumnio, giunto nel Sannio,
espugnava tre fortezze, uccidendo circa 3.000 nemici e catturandone 1500. Tito Livio
non indica il nome dei tre luoghi fortificati (tria castella) presi da Volumnio; quasi certamente le tre fortezze erano situate lungo il tracciato viario
che ancor oggi dal Sannio irpino penetra in Lucania, la futura via Appia.Nel contempo Fabio, alla testa del suo vecchio
esercito, reprimeva una sommossa in Lucania, organizzata
dai ceti popolari. In Lucania,
come in precedenza a Neapolis
nel 329, all’epoca vi erano due
fazioni: la fazione aristocratica,
favorevole a Roma, e la fazione
plebea, favorevole ai Sanniti.
Evidentemente erano stati proprio gli aristocratici lucani, trovatisi in difficoltà, a chiedere
l’intervento di Roma.
Volumnio, dopo la repressione
operata in Lucania, lasciò a Fabio il compito di devastare le
terre sannite, mentre con le sue
truppe si dirigeva alla volta dell’Etruria, per raggiungervi il
Guerrieri sanniti (nella tomba di Nola)
collega Appio Claudio.
Anno 295
Il grande condottiero sannita
Egnazio Gellio
Dopo che il console Lucio Volumnio era già partito alla volta del Sannio con la II e la III
legione, oltre che con 15.000
alleati, era arrivata a Roma la
notizia che in Etruria, spinti in
particolare dal capo sannita
Gellio Egnazio, molti popoli si
si portò presso gli Etruschi, ai
quali ricordava per quanti anni
i Sanniti avevano combattuto
contro i Romani in difesa della
libertà e che ancora una volta
avevano ricominciato a combattere, perché «una pace da
servi era per loro ben più pesante di una guerra da liberi».
Lo stesso Livio attribuisce proprio al condottiero sannita il
fiero discorso rivolto ai capi
dell’Etruria, con cui esaltava il
loro valore militare, ricordando
le sconfitte inflitte a Roma dai Galli e da Porsenna.
A completare il disegno
strategico dei Sanniti,
un altro loro condottiero
sannita, Minazio Staio,
attuava un'azione di disturbo, mettendo a ferro
e fuoco, con manipoli di
cavalieri, i territori filoromani falerni e vescini
in Campania.Si preparava quella che sarebbe
passata alla Storia come
la Battaglia delle Nazioni, lo scontro inevitabilmente decisivo per le
sorti dell’Italia, dove i
Sanniti Irpini avrebbero
avuto un ruolo da protagonisti.
(VII parte - segue)