24 CORRI R STORIA DEL TERRITORIO Domenica 20 novembre 2011 S u l l e t ra c c e d e l l a t o p o g r a f i a ro m a n a / 7 Le conquiste sannite nelle valli irpine Gli scavi nelle zone dell’Ofanto e del Sele hanno portato alla luce numerosi reperti testimonianza inequivocabile della cultura non solo bellica del popolo romano in un territorio all’epoca dominato dai Sanniti GERARDO TRONCONE ipren diamola narrazione delle vicende legate alla terza guerra sannitica, il cui teatro principale, secondo alcuni studiosi (in primis Nicola Fierro),è stata la valle dell’Ofanto e le contigue valli irpine del Calore e del Sele. Seguendo il racconto liviano, abbiamo visto che il console Fulvio, dopo aver conquistato Bovianum, era passato a conquistare “Aufidena”. Salmon ritiene che l’Aufidena citata da Livio sia localizzabile ad Alfedena, mentre il prof. La Regina osserva che non vi è alcuna ragione né archeologica, né topografica e tanto meno toponomastica che autorizzi l'identificazione di Aufidena con Alfedena. Secondo Fierro, è probabile che Aufidena sia il territorio irpino bagnato dal fiume Aufidus, l’Ofanto: non va dimenticato che Roma stava portando soccorso proprio alla Lucania, in precedenza invasa dai Sanniti irpini, e la Lucania confinava proprio con l’Irpinia, lungo l’Ofanto, allora come ancor oggi. Una prova indiretta di ciò la fornisce lo stesso racconto liviano che ci informa che, dopo la conquista di Aufidena, Fulvio era passato a reprimere la rivolta popolare nel frattempo scoppiata in Lucania, il che lascia intendere che Aufidena confinasse proprio con la Lucania, e che non poteva che essere nel territorio irpino a sinistra dell’Ofanto, se non essere un coronimo identificativo addirittura di quest’intero territorio. R Anno 298 La caduta di Taurasia e Cisauna Nello stesso anno in cui Fulvio muoveva alla conquista di Bovianum e Aufidena, l’altro console, Scipione Barbato, essendosi mosso presumibilmente dall'Etruria meridionale, dopo aver marciato attraverso l'Italia centrale su una delle vie militari Roma-Adriatico, occupava prima Taurasia e Cisauna, poi muovendo verso sud invadeva il Sannio e infine la Lucania. È questa la storia che si legge nell'elogium del sarcofago dello stesso console: “Taurasia Cisauna Samnio cepit, subigit omne Loucanam opsidesque abdoucit.” Livio dà una descrizione dei Taurasini Campi, luoghi montani e boscosi che, a partire da Maleventum, declinavano prima in colli meno erti e infine in una pianura. Taurasia, toponimo che coincide presumibilmente con i Taurasini Campi, ragionevolmente identica i Monti Dauni fra Maleventum e Luceria, ovvero il territorio ove ricadono gli odierni centri di San Bartolomeo in Galdo, Baselice e Foiano in provincia di Benevento. Un toponimo evoca le operazioni militari condotte in quella zona dal console Barbato: si tratta del monte Barbato, posto tra Baselice e Foiano. La Cisauna occupata dal console Barbato è costituita, secondo quest’ipotesi, da tutta la zona del Tavoliere sita sulla riva sinistra del basso Ofanto, dove la Tavola di Peuntiger avrebbe poi segnato Aufinum: Cisauna è palesemente la forma sincopa- di Roma: Quintus Fabius Maximus Rullianus e Publius Decius Mus. Fabio Rulliano era stato eletto per la quarta volta e Decio Mure per la terza. Nessun condottiero è menzionato nei Fasti Triumphales per l’anno 297, il che attesta indirettamente che in tale periodo non ebbe luogo nessuna impresa veramente degna di nota. È possibile che i Romani abbiano impiegato il grosso delle loro forze per tenere a bada i popoli dell’Italia centrale e per presidiare soprattutto le vie militari Roma-Adriatico, inviando nel Sannio contingenti militari relativamente piccoli, per le incursioni. Tornando al racconto di Livio, i due consoli, approfittando del fatto che gli Etruschi di Sutri, Nepi e Faleri avevano avanzato proposte di pace, decisero di campo aperto fra Romani e Sanniti, nel corso del quale Fabio ha la meglio solo ricorrendo a un abile stratagemma, è tutta nel vivido racconto di Tito Livio: «… i nemici si erano concentrati in una valle nascosta presso il Tiferno, con il proposito di aggredire i Romani da un punto sopraelevato quando fossero entrati nella valle. Lasciati i carriaggi in un luogo sicuro, con un modesto presidio, Fabio avvertì gli uomini dell'imminenza del combattimento, e si avvicinò in formazione a colonne affiancate al nascondiglio dei nemici. I Sanniti, persa la speranza della sorpresa, poiché prima o poi si doveva pure arrivare allo scontro aperto, preferirono uscire allo scoperto schierandosi anch'essi in ordine di battaglia. Così scesero a In tal caso, il centro fortificato conquistato da Decio Mure nel racconto liviano potrebbe essere stato proprio Frigento, collegato ancora oggi a Carife mediante un antico tratturo che proviene dalla valle d’Ansanto.Sia il centro urbano di Frigento, che il suo territorio, sono in effetti ricchi di testimonianze archeologiche riferibili ad epoca sannitica e romana ta di Cisaufina, al di qua dell’Ofanto. Va anche detto che invece, secondo Salmon, Taurasia non corrisponde né all'odierna Taurasi né a Taurania, la città campana scomparsa prima dei tempi di Plinio (Naturalis historia III 70), mentre Cisauna sarebbe stata situata più o meno nella stessa zona in cui si trovava Cluviae. Anno 297 Le battaglie del mons Tifernus e di Maleventum Nel 297 vennero eletti consoli due fra i più valorosi generali concentrare i loro sforzi bellici sui Sanniti, e si mossero, attuando la strategia dell’attacco a tenaglia, seguendo due itinerari diversi, Fabio attraverso il territorio di Sora e Decio attraverso quello dei Sidicini. Entrati nel Sannio, intraprendevano vaste operazioni di esplorazione e saccheggio. Fabio, giunto presso una valle del Tifernus, l’attuale massiccio del Matese, venne affrontato in campo aperto da un agguerrito esercito sannita, che si era deciso a scendere a valle «affidandosi alla sorte più con la forza del coraggio che con quella della speranza». La cronaca di questo scontro in Scodellone con protomi di canidi valle, affidandosi alla sorte più con la forza del coraggio che con quella della speranza. Nell'urto con la fanteria, i nemici erano rimasti sulle proprie posizioni, e ormai ogni speranza era affidata alla carica dei cavalieri. … Qualora però anche quel tentativo di sfondamento non avesse avuto successo, convinto di dover ricorrere all'astuzia ove la forza non fosse stata sufficiente, Fabio ordinò al luogotenente Scipione di ritirare dallo scontro gli astati della prima legione e di portarli verso i monti vicini, agendo nella maniera meno evidente possibile, e poi, attraverso un percorso non in vista, di far salire il suo manipolo fin sulla cima, sbucando all'improvviso alle spalle del nemico. Il fronte sannita tenne duro contro la carica della cavalleria, senza indietreggiare o aprirsi in alcun punto. I cavalieri, poiché il loro assalto non aveva avuto successo, si ritirarono alle spalle della fanteria abbandonando il combattimento. Quell'episodio fece crescere l'ardore dei nemici, e la prima linea non avrebbe potuto reggere un urto protratto tanto a lungo, se il console non avesse ordinato alla seconda di prenderne il posto. Fu allora che le forze fresche fermarono i Sanniti già in procinto di avanzare, mentre la vista degli uomini armati comparsi all'improvviso sulle cime delle alture, e le urla da essi levate spaventarono i nemici al punto da far loro temere un pericolo superiore alle sue reali proporzioni. Fabio infatti gridò che il collega Decio si stava avvicinando, e allora ogni soldato romano esultò, urlando al colmo dell'eccitazione che stava arrivando l'altro console con le sue legioni. Quest'errata interpretazione, un vero vantaggio per i Romani, diventò per i Sanniti motivo di sgomento e incentivo alla fuga: già stremati, avevano il terrore di essere sopraffatti da quell'altro esercito in forze e ancora intatto. Erano fuggiti disordinatamente in varie direzioni, e il massacro che seguì non eguagliò per proporzioni la vittoria. Le vittime tra i nemici furono 3.400, i prigionieri 830, ventitré le insegne conquistate» (TITO LIVIO, X, 15). Nel frattempo l’altro console, Decio Mure, prima che giungessero a dar man forte i Sanniti, aveva sbaragliato presso Maleventum (Benevento) gli Apuli, gran parte dei quali si era salvata con la fuga, mentre in 2000 erano restati sul campo. sto territorio. Cimetra può essere messo in relazione con l’osco Ker meter (Cerere madre): Cimetra in tal caso avrebbe designato una zona fertile, sacra a Cerere. Cimetra è collocata da Salmon, che ne ritiene il nome di origine volscia, nella valle del Liri. Di fronte alla collina Casalene, nell’agro di Bovino, sopravvive ancora oggi un idronimo significativo (il torrente Biletra), che evoca fortemente il toponimo Cimetra. Presumibilmente Cimetra identifica un’ampia area della Daunia, costituita dagli attuali centri di Bovino, Panni, Accadia, Sant’Agata di Puglia, Deliceto, Castelluccio dei Sauri (Nicola Fierro). Bovino corrisponde alla romana Vibinum. Numerose sono le testimonianze archeologiche (risalenti al V, Anno 297 La conquista di Cimetra e di Vibinum Decio Mure, dopo aver vinto gli Apuli a Maleventum, raggiunse il collega nel Sannio, dove insieme i due intrapresero operazioni di saccheggio a vasto raggio, durate cinque mesi; quarantacinque furono le località toccate da Decio, ottantasei quelle investite da Fabio, e ovunque i consoli lasciarono desolazione e morte. Era una razzia sistematica di bestiame e di uomini, che venivano venduti schiavi ai mercanti di Roma che seguivano gli eserciti. I campi erano devastati, gli alberi da frutta e i vigneti erano tagliati. È presumibile che ancora una volta sia stato investito il Sannio irpino, ai confini con la Puglia. In questa circostanza Fabio conquistò i centri fortificati di Cimetra, catturandovi 2.000 armati, e uccidendone in combattimento circa 930, e di Vibinium. Come gli altri toponimi oschi, Cimetra, impropriamente definita da Livio urbs, in realtà è un coronimo, relativo a un va- IV e III secolo) che attestano la presenza sannitica nell’area, distribuita su vari insediamenti sparsi nel territorio di Bovino: Casale, Casalene, Fontanelle, Lamia, Lavella, Radogna, Tamariceto. Nella collezione del Museo di Bovino sono oggi esposti vari cinturoni sannitici, provenienti dalla località Casale. In età sannitica Vibinum sicuramente era un centro densamente popolato, ricco di patrimonio zootecnico. Anno 296 La conquista di Murgantia Nel 296 erano nominati consoli Appius Claudius Caecus e Lucius Volumnius Flamma, 25 CORRI R STORIA DEL TERRITORIO Domenica 20 novembre 2011 La moneta sannita con la scritta Italia mentre Decio Mure e Fabio Rulliano restavano nella zona delle operazioni come proconsoli. Il proconsole Decio Mure, dopo aver constatato che non c’era nessun esercito nemico a presidiare quella zona del Sannio, convocò il consiglio di guerra e si mosse quindi ad espugnarne e saccheggiarne non solo le campagne, ma anche i centri mo probabilmente identificava non una vera e propria città, bensì una vasta area territoriale. Salmon osserva che il nome di Murgantia sembra sopravvivere nella pianura immediatamente ad est di Venosa, chiamata Le Murge, in cui esistono varie località di nome Murgia. Secondo l’ipotesi di Nicola Fierro, basata sulla circostanza Tomba sannita a Carife fortificati. Decio Mure si era mosso presumibilmente da una delle basi romane in Apulia (Venusia, Teanum Apulum o Luceria): Venosa era in possesso di Roma già dal 318 ed era una base militare costruita in vista di un attacco contro il Sannio meridionale; a Lucera, città in posizione strategica di vitale importanza, i Romani avevano dedotto una propria colonia nel 314. Il proconsole guidò quindi l'esercito all'assalto di Murgantia, piazzaforte ben fortificata, che venne espugnata in un solo giorno e dove vennero catturati 2100 uomini. Di Murgantia non esistono altre menzioni in Livio. Il coroni- che fra Vibinum (Bovino) ed Aecae (Troia) sopravvive un toponimo molto significativo, qual è Santa Maria a Morgana, è stato ipotizzato che Murgantia sia il coronimo che identifica la vasta area territoriale compresa negli attuali comuni di Orsara di Puglia, Castelfranco in Miscano e Savignano Irpino, avente un centro fortificato in Monteleone. Anno 296 Romulea Decio Mure, tornando al racconto liviano, si diresse quindi a Romulea, prendendola e saccheggiandola senza difficoltà, dopo averne scalato le mura. Gli uomini uccisi furono circa duemilatrecento, i prigionieri seimila. Secondo un’interpetrazione che non si discosta peraltro molto da un’ipotesi-base di Salmon, Romulea, quale coronimo, probabilmente identifica l’intero territorio dell’attuale Bisaccia nonché l’intera Baronia, che abbraccia gli attuali comuni di Flumeri, Carife, Trevico, Vallata, Castelbaronia, San Nicola Baronia, San Sossio Baronia, Vallesaccarda. A Carife sono stati rinvenuti in tombe numerosi cinturoni sannitici (V, IV e inizi del III secolo), oggetti di prestigio appartenenti all’aristocrazia sannitica (primores), associati ad altri materiali. Numerosi cinturoni sannitici (V, IV e inizi del III secolo), associati ad altri materiali, sono stati trovati in tombe, oltre che a Carife, a Castelbaronia. Anche a San Sossio Baronia, in località Civita, vi sono i resti di una cinta muraria sannitica. Negli scavi fatti a Bisaccia nel 1995-1996, sulla collina di Cimitero Vecchio, nella necropoli dell’Età del Ferro (IX, VIII, VII secolo), è stato rinvenuto un antico abitato sannitico, ricco di reperti, ma completamente bruciato. È forse questa una testimonianza precisa della devastazione operata dal proconsole romano Decio Mure nel territorio? Una stazione dell’Appia, nella Tavola Peutingeriana, avrà la denominazione di sub-Romula: anche se a tutt’oggi il tratto irpino dell’Appia non è stato localizzato, è presumibile che la stazione sorgesse proprio ai piedi della Toppa di Bisaccia, che non a caso nelle antiche cartografie aveva il nome di Monte Romolo (Panzetta). mura vennero difese con estremo accanimento, ma alla fine i Romani riuscirono a superare ogni ostacolo, lasciando sul campo circa tremila nemici. Salmon ritiene che quella che Livio chiama Ferentinum, a giudicare da un passo di Dionigi di Alicarnasso fosse in realtà Forentum (l'attuale Forenza), a sud di Venusia. Secondo l’ipotesi di Nicola Fierro, Ferentinum è il coronimo del territorio oggi costituito dagli odierni centri di Sturno, Frigento, Gesualdo, Fontanarosa, Paternopoli, Villamaina, Torella dei Lombardi, Rocca San Felice. In tal caso, il centro fortificato conquistato da Decio Mure nel racconto liviano potrebbe essere stato proprio Frigento, collegato ancora oggi a Carife mediante un antico tratturo che proviene dalla valle d’Ansanto. Sia il centro urbano di Frigento, che il suo territorio, sono in effetti ricchi di testimonianze archeologiche riferibili ad epoca sannitica e romana. A Rocca San Felice, nella Valle d’Ansanto, e a Monteforcuso, sono stati rinvenuti, associati a materiali ceramici, metallici e lignei, doni votivi e numerosi cinturoni sannitici (IV secolo inizio III secolo). Certo è comunque che gli eserciti di Roma avevano aggredito tre grossi centri sannitici indifesi e inermi, situati verisimilmente nell’Irpinia sud-orientale. Nessuna di queste imprese, erano sollevati in armi contro Roma: quasi tutti gli Etruschi, gli Umbri e numerose truppe mercenarie formate da Galli. A Roma si decise che Appio Claudio partisse quanto prima per l'Etruria, seguito dalla I e dalla IV legione, con oltre dodicimila alleati. Secondo Livio proprio Publio Decio Mure, avendo saccheggiato senza tregua il territorio del Sannio meridionale, era riuscito a espellerne l'esercito sannita, che non aveva mai avuto il coraggio di affidarsi allo scontro aperto, e lo aveva costretto a rifugiarsi in Etruria, dove si era unito agli altri popoli insorti contro Roma. Nella realtà storica dei fatti, è invece da ritenere che il grosso dell’esercito sannita, sotto la guida del grande condottiero Gellio Egnazio, con una straordinaria mossa a sorpresa, si era spostato in Etruria per tentare la strada di una vasta alleanza militare, ispirando la formazione di una vera e propria Lega Italica con gli Etruschi, i Galli Senoni, gli Umbri e i Sabini, vale a dire con tutti i popoli italici nemici di Roma, al fine di costituire un unico poderoso esercito. Era questo quindi il vero motivo per cui tutto il territorio del Sannio irpino era stato militarmente sguarnito e ciò spiega come mai i generali romani avessero potuto impunemente saccheggiare tutta quella regione. Per prima cosa Gellio Egnazio Murecine tra Bagnoli e Nusco conclusesi col massacro di popolazioni indifese, era stata esaltata dagli stessi Romani, stando al significativo silenzio dei Fasti Trionfali. Anno 296 La conquista di tre fortezze senza nome Nello stesso anno 296, mentre uno dei consoli, Appio Claudio Cieco, veniva inviato con due legioni (la I e la IV) nell'Etru- Anno 296 La caduta di Ferentinum Dopo Romulea, Decio Mure passò a saccheggiare una terza zona, quella di Ferentinum, descritta come un oppidum protetto sia da cinta muraria sia dalla posizione naturale. A Ferentinum le difficoltà e i rischi incontrati furono maggiori: le ria meridionale per effettuare operazioni di contenimento e proteggere il passaggio attraverso l'Italia centrale, l’altro, Lucio Volumnio Flamma, con altre due legioni (la II e la III), veniva inviato nella Campania settentrionale, con disposizione di proseguire la guerra nel Sannio, dove avevano continuavano a operare, come proconsoli, Fabio Rulliano e Decio Mure. Volumnio, giunto nel Sannio, espugnava tre fortezze, uccidendo circa 3.000 nemici e catturandone 1500. Tito Livio non indica il nome dei tre luoghi fortificati (tria castella) presi da Volumnio; quasi certamente le tre fortezze erano situate lungo il tracciato viario che ancor oggi dal Sannio irpino penetra in Lucania, la futura via Appia.Nel contempo Fabio, alla testa del suo vecchio esercito, reprimeva una sommossa in Lucania, organizzata dai ceti popolari. In Lucania, come in precedenza a Neapolis nel 329, all’epoca vi erano due fazioni: la fazione aristocratica, favorevole a Roma, e la fazione plebea, favorevole ai Sanniti. Evidentemente erano stati proprio gli aristocratici lucani, trovatisi in difficoltà, a chiedere l’intervento di Roma. Volumnio, dopo la repressione operata in Lucania, lasciò a Fabio il compito di devastare le terre sannite, mentre con le sue truppe si dirigeva alla volta dell’Etruria, per raggiungervi il Guerrieri sanniti (nella tomba di Nola) collega Appio Claudio. Anno 295 Il grande condottiero sannita Egnazio Gellio Dopo che il console Lucio Volumnio era già partito alla volta del Sannio con la II e la III legione, oltre che con 15.000 alleati, era arrivata a Roma la notizia che in Etruria, spinti in particolare dal capo sannita Gellio Egnazio, molti popoli si si portò presso gli Etruschi, ai quali ricordava per quanti anni i Sanniti avevano combattuto contro i Romani in difesa della libertà e che ancora una volta avevano ricominciato a combattere, perché «una pace da servi era per loro ben più pesante di una guerra da liberi». Lo stesso Livio attribuisce proprio al condottiero sannita il fiero discorso rivolto ai capi dell’Etruria, con cui esaltava il loro valore militare, ricordando le sconfitte inflitte a Roma dai Galli e da Porsenna. A completare il disegno strategico dei Sanniti, un altro loro condottiero sannita, Minazio Staio, attuava un'azione di disturbo, mettendo a ferro e fuoco, con manipoli di cavalieri, i territori filoromani falerni e vescini in Campania.Si preparava quella che sarebbe passata alla Storia come la Battaglia delle Nazioni, lo scontro inevitabilmente decisivo per le sorti dell’Italia, dove i Sanniti Irpini avrebbero avuto un ruolo da protagonisti. (VII parte - segue)