CAPITOLO II
“Ai margini della grande storia da Cluviae a Casoli”
CLUVIAE, città Sannita
E’ molto probabile che l’origine di Cluviae sia
successiva alle grandi migrazioni dei Sabini nel VII sec.
a.C.; tale popolazione, dal suo sito originario tra Rieti e
Norcia, si spinse verso oriente attraverso l’entroterra
montuoso dell’Appennino. L’incontro della civiltà sabina
con la realtà abruzzese delle valli dell’Aterno e della città
di Amiterno, in particolare, diede vita ad una civiltà
unica, quella italica, il cui simbolo è il Guerriero di
Capestrano, una statua funeraria in pietra che ricorda un
guerriero idolo ed eroe. (Vedi museo naz. Chieti tav. 14)
Spingendosi ancora più a mezzogiorno e nell’alta valle
del Sangro intorno ad Alfedena, i Sabini costituirono,
probabilmente, la prima organizzazione sociale e politica
della civiltà sannita.
Gli insediamenti sanniti dovevano essere molto
probabilmente dei grossi villaggi difesi da palizzate in
legno e in parte da rudimentali mura; nel caso di Cluviae,
dalla testimonianza di Livio che la descrive come “ Città
con mura”, sappiamo che nel 311 a.C. già vi erano delle
mura perimetrali.
Cita inoltre Colapietra: “ Le località che nella tradizione antica sembrano essere considerate
città, dovevano più probabilmente essere grossi villaggi difesi da palizzate in legno ed è ben
possibile che timidi indizi di una qualche urbanizzazione fossero andati sorgendo in queste aree nel
corso del II secolo avanti Cristo ma sembra probabile che gli imponenti centri fortificati che
costellano le cime dei rilievi montagnosi servissero da rifugio in momenti di pericolo per uomini,
con le loro greggi, che normalmente abitavano sparsamente nelle valli e nei piani ”.
Questi primi nuclei si estesero lungo tutto l’Appennino abruzzese, forse in conseguenza della
omogeneità morfologica e ambientale e si diversificarono in varie tribù tra cui i Carecini, fondatori
di Cluviae. L’impianto della città è documentato dalla planimetria mostrata, descritta e commentata
dall’archeologo Professor Adriano La Regina. Cluviae era ubicata su un altopiano delimitato dai
torrenti Avello e Laio che domina il vasto territorio frentano e la felice posizione rese la città simile
alle aree urbane di Corfinio, Sulmona ed Isernia.
Tacito racconta che C. Helvidius Priscus, senatore e filosofo avversario di Nerone, era
originario di Cluviae; questore dell’Acaia, regione greca appartenente a Roma sotto l’impero di
Claudio, Priscus fu esiliato e rientrò dopo la morte di Nerone con il regno di Galba, da questo fu
condannato a morte nel 75 d.C., per nota storica, Galba , già governatore d’Africa, venne di seguito
assassinato, infatti fu abbandonato dalle sue guardie, rovesciato dalla lettiga e fatto a pezzi.
Dal I sec. a.C., la città assumerà tutta l’influenza della civiltà romana e sarà inevitabile il suo
definitivo assorbimento amministrativo e politico così che le vestigia della cultura sannita
collassarono sotto i colpi della cultura romana.
La storia della nostra regione è segnata da continui spostamenti e movimenti da NORD e
SUD, dall’antica Umbria verso il Sannio e da EST verso OVEST: si avvertono infatti fortissime
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influenze, anche linguistiche, provenienti dall’Adriatico veicolate da popolazioni protosabeliche
originarie della Dalmazia. Tali movimenti migratori, determinarono uno sviluppo urbano quasi
esclusivamente nell’entroterra, tralasciando la costa; la situazione rimase pressocchè invariata fino
al XIX secolo.
L’entroterra era caratterizzato dal tipico insediamento sannita, rappresentato da villaggi
fortificati senza un riferimento politico centrale, ma forti di una unità che si alimentava con la
lingua e l’organizzazione economica e sociale.
La lingua colta dei Sanniti era l’osco parlato dalle comunità del bacino sangrino fino allo
stretto di Messina; l’attività principale era caratterizzata dalla pastorizia transumante
dall’Appennino verso il Tavoliere di Puglia detto anche “Terra di Lavoro”; lo svolgimento di tale
attività si rifletteva sulla vita sociale, sulla religione e sulla struttura della famiglia.
Il bisogno che i Sanniti ebbero di espandersi sulle colline ed in montagna, appagava
l’esigenza di controllo delle ampie pianure fino al mare. Tale necessità rappresentò il vero
detonatore dei conflitti sostenuti dagli stessi con Roma ed, ancora prima, con le colonie greche.
Strabone, storico e geografo greco, vissuto dal 63 a.C. al 20 d.C., fu autore di una
“Geografia” scritta in diciassette libri; a cominciare dal terzo libro descrisse i paesi allora conosciuti
partendo dalla penisola iberica fino alle regioni asiatiche ed a proposito delle antiche città
sannitiche, scrisse:
“Alcune sono completamente scomparse ed altre sono ora ridotte a villaggi(........)dei quali
nessuno merita oggi che la si tratti da città. E noi ci spingiamo ad occuparcene al loro attuale
livello esclusivamente per il prestigio e la buona reputazione dell’ITALIA”.
La descrizione, per la verità poco esaltante, coincide verosimilmente col momento in cui si
concretizzò la conquista romana del Tavoliere e delle Murge, evento che strangolò i Sanniti nella
loro economia transumante e pastorale.
Fu quello un momento storico che trascinò il Sannio, in particolare l’alta valle del Sangro,
nella decadenza economica ed in un inesorabile spopolamento dei villaggi. Cluviae, probabilmente
non sfuggì a tale destino e fu solo con la definitiva romanizzazione, dopo la guerra sociale , che la
sua struttura urbana assunse l’aspetto di una città nel senso “moderno”, col suo foro, le sue terme, il
suo teatro, la sua zona sacra, le sue strade. Nel corso del I sec.a.C. e del II d.C., la città si sviluppò
politicamente ed amministrativamente come “municipium” romano e, nello stesso periodo,
vennero ristrutturate Alba Fucente,Corfinio,Interamnia,Peltuinum (nei pressi di Prata d’Ansidonia),
Sulmo, Teate. La popolazione di Cluviae, col municipio, ottenne autonomia amministrativa e
produsse deliberazioni che regolavano la vita sociale e l’attività della comunità: inoltre, poteva
nominare magistrati e pretori nonché conferire onorificenze.
Non abbiamo documentazione certa circa il numero degli abitanti della città dopo la
ristrutturazione nel periodo augusteo, ma sappiamo che Juvanum, simile al municipio di Cluviae
ma con maggiore estensione e importanza commerciale, contava nel I secolo d.C. secondo una
valutazione del Forni, non meno di diciottomila abitanti. Considerando che l’oppido preromano di
Cluviae aveva un’estensione pari a circa 670.000 mq. e quello di Juvanum 1.450.000, potremmo
stimare che Cluviae avesse una popolazione di non meno di ottomila abitanti.
Per una migliore comprensione della problematica storica ed archeologica che ha interessato
Cluviae, riporto integralmente la nota del Professor Adriano La Regina, apparsa sulla rivista di
“Archeologia” n°39/1967 :
“IDENTIFICATA NEL SANNIO LA CITTA’ DI CLUVIAE”
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”” Solo una parte delle città del Sannio, menzionate nelle antiche narrazioni delle guerre che i
Romani affrontarono in quella regione, è ben nota e sicuramente identificabile sul terreno. E ciò è
avvenuto generalmente quando i centri sannitici hanno conservato anche in seguito la loro
importanza, sopravvivendo come capoluoghi amministrativi nell’ambito dell’ordinamento
assegnato all’Italia romana, e mantenendo talvolta fino ad oggi la loro funzione di luoghi
d’insediamento. Molte altre città invece si sono estinte per tempo e, se è impossibile dire che
interiere sine vestigiis, perché numerosi sono i resti di centri fortificati tuttora anonimi tra le
montagne dell’Appennino centro-meridionale, bisogna riconoscere che esse sono scomparse dalla
memoria storica delle popolazioni che ancora ne abitano i territori. Il desiderio di ritrovarne
il sito si è però manifestato sempre più vivo, dal Cluviero in poi, sia negli storici che si sono
dedicati alla ricostruzione della base topografica degli avvenimenti svoltisi nel Sannio, e descritti
dalle fonti letterarie, sia nei moderni abitatori di quegli stessi luoghi, che hanno tentato di ancorare
ad elementi concreti i dati di una tradizione antica troppo spesso evanescente nell’indeterminatezza
geografica.”
Da quanto esposto, si può dedurre circa la repentina scomparsa del toponimo di CLUVIAE,
che ciò si è verificato oltre che per le motivazioni precedentemente indicate, per il determinante
fatto che il centro sannitico non ha conservato nel tempo la sua importanza e muore
amministrativamente nell’ambito dell’ordinamento romano.
“Tra le città a lungo ed invano cercate una delle più importanti è Cluviae, ricordata da Livio
perché al centro di un episodio bellico avvenuto nel 311 a.C., quando i sanniti vi assediarono un
presidio romano distruggendolo, e subendo quindi nello stesso luogo la rappresaglia del console
C.Giunio Bubulco Bruto. Ma l’importanza di conoscere il sito esatto della città non deriva
unicamente dall’esigenza di poter definire geograficamente questi avvenimenti poiché essa
costituisce il fulcro di altri grossi problemi topografici.
Sappiamo infatti che essa ottenne la costituzione municipale; che si trovava nel territorio dei
Carecini, ai quali Tolomeo assegna anche Aufidena; che visse sicuramente fino alla tarda
antichità. L’ultima testimonianza diretta che ne possediamo è il testo di un decreto con cui, nel 383
d.C., i Cluvinses Carricini nominavano loro patrono Aurelio Evagrio; il documento è inciso su
bronzo e proviene dai pressi di Vasto, l’antica Histonium, e precisamente da S.Salvo.
Sulla base degli scarsi indizi noti, gli storici da tempo erano riusciti a delimitare , a grandi
linee, la probabile ubicazione della città, che si sarebbe dovuta cercare tra Anxasum e Iuvanum.
L’unico tentativo fatto per identificarla con più precisione, sul Monte Pallano a destra del Sangro,
era archeologicamente inconsistente, poiché se ivi sono effettivamente riconoscibili i resti di una
fortezza sannitica, mancano del tutto gli indizi, difficilmente cancellabili, della presenza di un
municipio. Un lavoro di catalogazione dei centri antichi noti nelle zone più indiziate, i quali
potessero presentare le caratteristiche necessarie per riconoscervi un” oppidum”sannitico e un
“municipium” di età romana, ha fatto escludere la possibilità di cercare Cluviae a sud di Vasto,
donde proviene il documento del 383, e dove invece esisteva probabilmente una proprietà di
Aurelio Evagrio. E’stata concentrata quindi l’attenzione nel territorio compreso tra Anxanum e
Iuvanum. Le ricognizioni eseguite in questi luoghi consentivano di individuare un notevole
complesso urbanistico nella località detta Piano Laroma, presso Casoli, in provincia di Chieti”.
La probabile proprietà posseduta da Aurelio Evagrio a sud di Vasto, confermerebbe il
collegamento antico tra i territori di Cluviae e S.Salvo del “municipium di HISTONIUM”.
“Il luogo era noto per aver restituito un certo numero di iscrizioni, tra le quali una, quanto
mai frammentaria, che aveva appunto indotto il Mommsen a proporre l’identificazione, mai
discussa, con un “Pagus Urbanus”, altrimenti ignorato da qualsiasi altra fonte. Anche dal punto di
vista archeologico la zona era conosciuta, sia pure in modo inadeguato, per merito delle
segnalazioni di G.De Petra, di A.De Nino, di Nicola Fiorentino, nelle quali però i singoli resti
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antichi sono descritti frammentariamente, senza essere stati compresi nel loro tessuto topografico,
urbanistico e monumentale.
Il Piano Laroma si presenta nella situazione generale che assai spesso determinò la scelta
dell’area su cui fondare un abitato, che fosse sufficientemente difendibile per i dislivelli naturali del
suolo e per la presenza di corsi d’acqua. Sorge infatti in posizione elevata, su una lingua di terra
pianeggiante, delimitata su due lati dai torrenti Laio e Avello affluenti, con andamento
convergente, del fiume Aventino; verso nord-ovest l’area si allarga gradualmente e si estende per
un lungo tratto senza sensibili interruzioni naturali. E’ quindi questa una situazione che si riscontra
assai spesso, come nelle vicine città di Sulmo, Corfinium, Interamnia, Praetuttiorum, Aesernia.
All’estremità sud-est del pianoro è stato possibile riconoscere, in parte nei resti monumentali
e quasi interamente nel tracciato, una cinta di mura in cui si dovevano aprire almeno cinque porte,
due delle quali ancora parzialmente conservate sul lato sud-occidentale, prospiciente l’Avello; ad
esse si accedeva attraverso strade per lunghi tratti direttamente dominate dalle mura. L’estensione
dell’abitato è dunque determinabile esattamente su tre lati, mentre più incerto è il tracciato delle
mura verso nord-ovest, ove il pianoro si allarga naturalmente. Qui però intervengono altri elementi
utili, e in particolare l’accertamento di una necropoli, che delimita il punto di espansione massima
dell’area urbana; alcuni blocchi di rozza opera poligonale, estratti dal suolo nel corso di lavori
agricoli, danno infine, insieme con la traccia di un lieve dislivello, una attendibile indicazione per
il limite della città anche su questo lato. All’interno di questo spazio così delimitato, esteso in
lunghezza per circa 680 metri e con perimetro di circa 1560 metri, vi sono in vista i resti, talvolta
cospicui, di molte costruzioni e, tra queste, di un edificio termale. Questi ruderi, come del resto le
mura di recinzione, presentano ancora in taluni tratti il paramento in opera incerta o reticolato.
L’edificio meglio conservato e più chiaramente leggibile in pianta, è il teatro, ubicato sul lato
settentrionale dell’area urbana, adiacente alle mura e con la cavea esposta a nord-est, verso
l’esterno.
Sono ben riconoscibili il muro perimetrale della cavea e l’edificio scenico, ben conservato
per notevole altezza e impostato, con il suo limite posteriore, sul filo delle mura della città; il
monumento è di medie dimensioni, ed ha le murature completamente rivestite in opera reticolata.
La sua ubicazione trova un esatto confronto in un centro vicino, a Teate e in parte, anche a
Peltuinum, ove però l’edificio è esterno rispetto alle mura urbane. Fuori della zona recinta vi sono
anche ruderi di costruzioni extra urbane, tra le quali di particolare importanza doveva essere un
edificio costruito in opera mista, con pavimenti a mosaico, situato circa 140 metri a nord del
teatro.
Un’iscrizione, rinvenuta nel 1895, ci documenta che gli abitanti del luogo erano stati iscritti
nelle liste elettorali della tribù Arnensis, cosa che per i ‘ Cluvienses’ era già nota tramite Elvidio
Prisco, oriundo di questo municipio. Un’altra iscrizione rivela inoltre la presenza, sul luogo, di un
liberto degli Elvidi.
L’identificazione di Cluviae con il Piano Laroma consente di risolvere una serie di problemi
ai quali accenno qui molto brevemente. In primo luogo permette di intendere meglio la descrizione
che Plinio ci dà di questa zona e di correggerne il testo pervenutoci, il quale risulta così assai
aderente alla realtà geografica: “intus Anxani cognomine Frentani; Carecini Supernantes
<Cluvienses> et infernates Iuvanenses”. Iuvanum è quindi il secondo municipio carecino, detto
“più in basso” rispetto a Cluviae, secondo i criteri della rappresentazione cartografica antica con
l’Adriatico, il Mare Superum, disegnato in alto; tenendo conto di questo orientamento Cluviae è
situata in alto e a destra di Iuvanum. L’assegnazione di Iuvanum ai Carecini, infine, ci dà modo di
escludere dal territorio di questi Aufidena, che deve essere riconosciuta città pentra, nonostante
l’affermazione di Tolomeo. Il territorio dei Sanniti carecini può essere quindi circoscritto all’area
situata a sinistra del fiume Sangro e a destra del massiccio della Maiella, tra Guardiagrele e
Quadri. I due distretti municipali di Cluviae e Iuvanum dovevano confinare lungo il corso del fiume
Aventino affluente del Sangro”.
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C’è da ricordare il citato Helvidius Priscus, oriundo di CLUVIAE, stoico e letterato; nella
lastra bronzea datata 5 maggio 384 d.C., così lo ricordano i suoi concittadini: “………ortato sibi
honore patriam civitumque Cluviatum amare ac diligere non desit……” ossia: “ accresciuto il suo
onore, non smise di amare e proteggere la patria dei cittadini Cluviani”.
Nelle interminabili tre guerre sannitiche, i Sanniti si batterono con tenacia e determinazione,
ma dovettero soccombere solo perché inferiori sul piano organizzativo. Roma riportò una vittoria
schiacciante nel 295 a.C. a Sentino, l’odierna Sassoferrato nelle Marche, nonostante l’alleanza
Sannita si fosse stretta anche con alcune popolazioni quali gli Etruschi, i Galli e Umbri, i quali,
dopo la sconfitta, dovettero accettare un’alleanza forzata con i Romani.
Gli scontri terminarono definitivamente nel 290 a.C. con la piena ed assoluta sottomissione a
Roma repubblicana.
Terminate le guerre, l’area sotto il controllo romano si estenderà su tutta l’Italia centrale, dalle
Marche fino alle Puglie ed in questo periodo vennero insediate nuove colonie a presidio dei territori
acquisiti.
La politica di Roma, astuta e per certi versi moderna, riuscì a trasformare i popoli vinti in
collaboratori, integrandoli pienamente nelle istituzioni: Roma era generosa con chi l’aiutava ed
inesorabile con chi le si ribellava e così intorno al 150 a.C. tutta l’Italia, dalle Alpi alla Sicilia passò
sotto il dominio romano.
Non tutti gli insediamenti sanniti sono stati individuati: di alcuni conosciamo il toponimo ma
non ancora la localizzazione geografica, di altri ne conosciamo le tracce ma non il nome,
l’identificazione completa di Cluviae perciò, ci entusiasma ed esalta da una parte ma ci deprime
dall’altra perché non siamo stati capaci di valorizzare e conservare al meglio il sito archeologico
nella sua integrità, né di custodire in un museo civico i reperti recuperabili e, purtroppo, in gran
parte dispersi.
Il reperto principale della civiltà ITALICO-SANNITA nel VI secolo a.C. era in tutta l’Italia
centrale, è rappresentato dalla statua funeraria del Guerriero di Capestrano, stele rinvenuta nel 1943
nella necropoli di Capestrano risalente alla metà del VI sec.a.C.; la statua, secondo l’iscrizione,
rappresenta il re Nevio Pompuledio, e mostra, a corredo difensivo diverse armi, le stesse sono
visibili in una coppia di dischi-corazza, “KardiophilaKes”, una spada, un piccolo pugnale, un’ascia
e due lance.
Il reperto documenta inequivocabilmente la presenza dell’istituzione monarchica già nel corso
del VI secolo a.C. Nel museo nazionale teatino, oltre il guerriero, tra le attestazioni dell’Abruzzo
preromano, si conservano ricomposte le tre stele funerarie (vedi riproduzione tav. 15 ) risalenti al V
secolo a.C., provenienti da Penna Sant’Andrea e mostrano iscrizioni in lingua paleo-sabelica che
forniscono informazioni sull’assetto sociale e l’evoluzione dei popoli locali.
Un altro reperto sannita si trova in una pittura tombale presso Paestum
(vedi tav. 16 ): i soldati sanniti raffigurati indossano elmi di cuoio ornati di
pelle e corna, hanno un grande scudo rotondo “lo scutum” e un lungo giavellotto
“ il pilum”, che anche i Romani adotteranno come principale arma di difesa.
I Sanniti non guerreggiavano a schiere serrate ma con disposizione
flessibile, ideale per sfruttare al meglio le caratteristiche del terreno.
Per i rapidi spostamenti, necessari nelle operazioni di imboscata, ai
Sanniti occorreva un’armatura leggera e la loro corazza, infatti, non era di
bronzo ma di cuoio rinforzato con placche metalliche.
Un altro reperto di pregio mostra quattro guerrieri sanniti in una pittura
parietale proveniente da Ruvo ed ora conservato nel Museo Nazionale di
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Napoli (vedi tav. 17 ): da notare come all’epoca IV a.C. i cavalieri non conoscevano ancora l’uso
delle staffe che saranno impiegate più tardi. Cavalcare risultava perciò oltremodo faticoso e
richiedeva abilità e resistenza.
L’impiego delle staffe, realizzate prima in cuoio e successivamente in metallo, diventerà
di uso comune solo intorno all’XI secolo; in particolare troverà piena utilizzazione durante la prima
crociata nel 1095.
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